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2. Gli Application Store
Il Mobile Commerce (o Mobile e-Commerce) potrebbe essere definito come il
commercio elettronico attraverso i dispositivi mobile (Anckar e D’Incau, 2002) o in
alternativa come il prodotto risultante dall’interazione tra transazioni di business,
applicazioni di internet e comunicazioni mobile (Grami e Schell, 2004).
Agli inizi degli anni 2000 la scena era dominata del modello basato su Portali Mobile,
che hanno costituito la base della catena del valore del Mobile Commerce (Barners
2002). I portali mobile erano interamente gestiti e fortemente controllati dai Mobile
Network Operators (MNO), che costruirono un modello altamente centralizzato (Kuo e
Yu, 2006). Questo contesto fu drammaticamente scosso nel 2008 dal lancio dell’App
Store della Apple Inc., che introdusse un nuovo paradigma distributivo nel Mobile
Commerce. Ghezzi et al. (2010) mostrano che la strategia di far leva su asset forti, come
la reputazione del marchio, il lancio dell’innovativo device, iPhone, e la scelta di
collegare il modello dell’App Store ad altre attività di business preesistenti, cioè, ad
iTunes, abbia permesso di sfruttare sinergie, ridurre gli investimenti e usufruire di
elevate esternalizzazioni di rete, che ha portato Apple a cambiare le regole del gioco
nell’ambiente competitivo, rilegando gli MNO ad un ruolo marginale.
Un’application store è un portale web da cui un generico utente può scaricare
applicazioni software per dispositivi mobile che incrementano l’utilità associata al loro
uso. Le applicazioni mobile (nel prosieguo, apps) sono generalmente sviluppate da terze
parti, che possono essere delle imprese o dei singoli individui. Dunque, un app store
rappresenta una piattaforma distributiva che permette agli sviluppatori di raggiungere
gli utenti finali. Secondo Hagiu (2007), questo modello può essere classificato come
una piattaforma “Two-Sided” che genera un mutuo meccanismo di vantaggio. Grazie al
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lavoro degli sviluppatori, il proprietario della piattaforma può sfruttare delle indirette
esternalità di rete che accrescono il valore dei dispositivi mobile. Infatti, maggiore è il
numero di apps presenti in un dispositivo, maggiori sono le sue potenziali funzionalità.
D’altra parte, gli sviluppatori sono interessati a vendere le loro apps attraverso un app
store, poiché consente loro di raggiungere un gran numero di consumatori in tutto il
mondo. Differentemente dal mercato di musica digitale, dov’è predominante un
modello Pure Merchant
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, sono gli sviluppatori che generalmente scelgono il prezzo
delle loro apps. Anche se, secondo il modello di revenue sharing introdotto da Apple, ed
utilizzato da tutti gli altri competitors, gli sviluppatori ricevono il 70% del prezzo di
vendita da ogni transazione, mentre il rimanente 30% è trattenuto dal proprietario della
piattaforma. Il modello 70-30 è applicato a tutti gli sviluppatori e a tutte le transazioni
nello store.
Il nuovo paradigma distributivo ha permesso all’ultima entrante, come Apple, di
aumentare il proprio vantaggio competitivo in un settore che cresce velocemente come
quello degli smartphone. In risposta al grande successo ottenuto dai device mobile di
Apple, dal 2008 molte imprese, che competono con essa nel mercato dei device, come
RIM, Nokia e Samsung, hanno lanciato il loro application store. Questa rapida
proliferazione di app store ha coinvolto non solo gli attori tradizionali dell’industria
mobile, ma anche importanti nuovi entranti come Google, che, come precedentemente
detto, nel 2008 lanciò il suo Sistema Operativo (OS), Android, e realizzò il suo app
store, l’Android Market. Come risultato di tutte queste mosse, il nuovo modello di
distribuzione delle apps mobile, ha recentemente catturato l’attenzione di molti attori
1
Un modello Pure Merchant indica un classico modello di rivendita, in cui l’intermediario acquista i
prodotti dai venditori e li rivende ai clienti finali. Le differenze tra questo e il modello Two-Sided
verranno esposte nella sezione successiva.
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dell’industria degli smartphone, specialmente, i proprietari di OS, i produttori di device
e gli sviluppatori di applicazioni. Gli sviluppatori dei Sistemi Operativi e/o i produttori
dei device sono i proprietari degli app store, mentre gli sviluppatori forniscono i
contenuti che incrementano il valore che l’app store genera per i business correlati dei
proprietari della piattaforma. È importante notare che nonostante la sua recente
introduzione, il commercio mobile sta crescendo enormemente. Secondo Gartner (2011)
le applicazioni mobile hanno generato ricavi per 5,2 Miliardi di Dollari nel 2010, e
secondo un report di Forrester Research si prevede che i ricavi derivanti dagli acquisti e
download delle apps per smartphone e tablet raggiungerà i 38 Miliardi di Dollari nel
2015 (Bilton, 2011).
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2.1 Due Modelli a Confronto: Pure Merchant vs Two-Sided
Prima di passare ad una più accurata analisi degli aspetti strategici che riguardano gli
application store, risulta utile effettuare un confronto tra i tre modelli di Mobile
Commerce citati finora.
Per analizzare le differenze esistenti è possibile fare riferimento alla classificazione
proposta da Hagiu (2007) ed evidenziare come le diverse leve di marketing vengano
gestite nei tre casi. Inoltre risulta molto interessante enfatizzare chi detiene il controllo
delle informazioni relative ai clienti.
Nel suo articolo Hagiu individua due modelli di intermediazione nel mercato digitale:
• il modello Merchant, in cui è presente un player che acquisisce i contenuti dai
developer e, a sua volta, li rivende ai consumatori finali;
• il modello Two-Sided Platform in cui si viene a creare un vero e proprio e-
marketplace, che consente ai venditori affiliati di vendere direttamente i contenuti ai
consumatori finali.
La principale differenza tra le due tipologie consiste nel fatto che nel primo modello il
venditore, avendo acquisito il possesso del bene/servizio da rivendere, ne ottiene il
pieno controllo e può decidere a suo piacimento come condurre la politica di vendita.
Nel modello piattaforma, invece, chi gestisce il marketplace lascia ai provider di
contenuti il controllo delle leve di marketing.
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Figura 1 Modelli "Pure Platform" e "Pure Merchant" a confronto
A differenza del modello Merchant, il modello basato su piattaforma presenta delle
esternalità di rete tra venditori e consumatori. Questo è dovuto al fatto che questi
modelli diventano attraenti per gli utenti nel momento in cui i contenuti offerti
assumono livelli di qualità e quantità piuttosto elevati. In altre parole, maggiore sarà il
numero di venditori presenti nella piattaforma, più questa sarà in grado di attrarre
consumatori, i quali, a loro volta, sapranno attirare ancora altri venditori disposti ad
utilizzare la piattaforma per le proprie attività commerciali. Questo può limitare il
successo di una piattaforma, in quanto alcuni venditori, nutrendo dei dubbi riguardo al
fatto che altri seller sceglieranno di utilizzare la stessa piattaforma, decideranno di
ritardare il proprio ingresso (Hagiu 2007).
D’altra parte occorre notare gli enormi vantaggi che un modello Two-Sided Platform
può comportare, primo fra tutti la capacità di raggiungere un vasto bacino di utenza
minimizzando gli investimenti in promozione e distribuzione. Affiliarsi ad un e-
marketplace comporta infatti il vantaggio di accedere ad una copertura di mercato più
ampia con costi di marketing e distribuzione più bassi (Perrone 2010).
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Inoltre i modelli basati su piattaforma consentono di raggiungere un risultato strategico
fondamentale: la possibilità di scaricare parte del rischio sui developer di contenuti. Il
modello piattaforma preserva gli investimenti da parte dei developer, in quanto questi
mantengono il proprio status di residual claimant e, di conseguenza sono maggiormente
incentivati a investire sia per aumentare la qualità dei propri prodotti, che per ridurne i
costi di produzione.
Le due tipologie di intermediazione, Merchant e Two-Sided Platform, vanno viste come
due alternative che stanno agli estremi di una sorta di “linea continua di
intermediazione” (Hagiu 2007). In altre parole, tra i due estremi esistono svariate forme
intermedie, la cui adozione da parte delle imprese è funzione delle scelte strategiche
delle stesse.
Nel confrontare i 2 modelli di M-Commerce verrà evidenziata non solo la forma di
intermediazione che sta alla base, bensì anche il grado di controllo da parte del
venditore. Nella definizione del controllo si farà riferimento alle tre dimensioni scelte da
Hagiu:
• leve di marketing: prodotto, prezzo, distribuzione e promozione;
• condivisione del rischio;
• influenza del marchio; ovvero se è il marchio dei developer ad avere una
maggiore influenza rispetto a quello dell’intermediario, o viceversa.
Inoltre si terrà conto di un’ulteriore dimensione, non trattata da Hagiu: il controllo dei
clienti, ovvero chi detiene il controllo delle informazioni relative ai clienti.
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Per poter meglio analizzare i due modelli, si farà riferimento oltre che agli application
store, per il modello Two-Sided, anche allo store di musica digitale, l’iTunes Store, che
approssima bene un tipico Pure Merchant Model.
Infatti, erroneamente, a prima vista, si potrebbe classificare l’iTunes Store come una
Two-Sided Platform, in quanto l’aspetto maggiormente visibile è quello di un sito
internet gestito da Apple che consente agli utenti di acquistare musica di proprietà delle
maggiori case discografiche mondiali. A dire il vero, analizzando meglio la strategia
adottata da Apple nel definire questo modello di Mobile Commerce che tanto successo
ha avuto su scala globale, il livello di controllo esercitato dall’azienda di Cupertino può
essere ricondotto a quello di un Merchant.
All’interno dell’iTunes Store i contenuti multimediali vengono “confezionati” e venduti
da Apple a prezzi che la stessa azienda di Cupertino decide. I contenuti messi a
disposizione degli utenti presentano dunque delle fasce di prezzo standard: 0,99$ per i
brani singoli, 1,99$ per gli episodi delle serie TV, 9,99$ 14,99$ per i film. La ragione
che sta dietro la definizione di un così rigido schema di pricing dei contenuti è la
volontà, da parte di Apple, di rendere più semplice da comprendere il meccanismo di
funzionamento dell’iTunes Store e più attrattivo l’accesso allo stesso (Hagiu 2007).
A Cupertino erano certi che se il progetto riguardante la vendita di musica digitale on-
line avesse riscontrato il successo degli utenti, questo avrebbe significato il successo
dell’iPod, come effettivamente è stato. Di conseguenza, consapevole che un modello
più “liberale”, in cui i providers di contenuti sarebbero stati liberi di definire i propri
prezzi, potesse risultare meno “user friendly”, Steve Jobs decise di fare leva sul proprio
potere contrattuale, proponendo un modello di intermediazione molto vicino al Pure
Merchant.
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Dunque, i fornitori di contenuti perdono in parte il controllo dei prezzi dei propri
prodotti, ma non solo.
Per potere acquistare i contenuti dell’iTunes Store, come accade anche per l’App Store,
vengono richiesti una password ed il proprio ID Apple: occorre dunque essere registrati
e questo significa che è Apple che detiene le informazioni riguardanti i clienti e non
certo le case discografiche. Attraverso la disponibilità di queste informazioni, Apple ha
creato la funzionalità “Genius” che consente di consigliare dei contenuti all’utente, sulla
base di ciò che lo stesso ha precedentemente scaricato.
Tutto ciò consente di affermare che il controllo della lista dei clienti e delle relative
informazioni è nelle mani di Apple.
Per quanto riguarda, invece, la questione legata al brand, va detto che il potere di Apple
è comunque uguale a quello delle grandi case discografiche; è interesse di Apple che le
maggiori case discografiche decidano di vendere i propri contenuti sullo Store, non solo
il viceversa, proprio per sfruttare le famigerate esternalità positive.
A tal proposito è molto interessante riportare un dato dal quale risulta chiaro come
l’obiettivo del modello sia quello di incrementare le vendite dei dispositivi Apple: gran
parte dei profitti della combinazione iPod/iTunes provengono dalle vendite del
dispositivo, mentre è stato stimato che il profitto medio per canzone è inferiore ai 10
cents (Hagiu 2007).
Il modello dell’iTunes Store e quello dei nuovi App Store presentano diverse differenze;
nel caso dell’application store il proprietario della piattaforma instaura rapporti con
player generalmente meno forti rispetto alle grandi case discografiche, ma, al tempo
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stesso, i contenuti distribuiti sono di natura molto diversa e potenzialmente più dannosa
per l’immagine del dispositivo e dell’azienda che lo vende.
Mentre nel caso dei film e delle canzoni il rischio relativo all’asimmetria informativa è
piuttosto limitato, nel caso delle app raggiunge livelli pericolosissimi. Non a caso Apple
ha messo in piedi un vero e proprio staff adibito al controllo ed all’approvazione delle
applicazioni da vendere nel proprio App Store, cosa che, invece, Google ha deciso di
non fare, come verrà mostrato successivamente. In ogni caso, i developer delle
applicazioni devono tenere conto delle linee guida del proprietario della piattaforma, ma
sono liberi di scegliere il prezzo dei propri prodotti. La scelta di puntare su un modello
più orientato verso la Two-Sided Platform può essere spiegato con la necessità di avere
a che fare con residual claimant cui scaricare parte del rischio.
Vi è sempre la presenza di un marchio forte, che fa da garante per la distribuzione dei
contenuti e al tempo stesso rende più attraente la piattaforma tanto ai developer, quanto
agli utenti. Questi ultimi sono più propensi alla affiliazione alla piattaforma proprio in
virtù del fatto che questa sia gestita da colosso internazionale.
La tabella della pagina seguente sintetizza i principali aspetti dei due modelli di M-
Commerce analizzati, seguendo il framework precedentemente descritto.