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sono state a guardare: associazioni industriali di varie regioni (in particolare
Veneto) hanno promosso una capillare informazione; il Ministero delle
Attività Produttive e del Commercio Estero ha in varie riprese finanziato le
leggi 212 e 84 che hanno svolto un rilevante ruolo nella promozione
dell’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese. E il risultato è
evidente: in Albania, Romania, Slovacchia,Bulgaria, Croazia, si è insediato
stabilmente un tessuto di piccole imprese italiane che, mediante investimenti
diretti propri (i cosiddetti IDE) o con l’acquisizione di piccole imprese locali,
oppure mediante il meccanismo della subfornitura (di solito partecipando
nel capitale di piccole imprese locali), incide profondamente nell’economia di
tali nazioni. Oltre al radicamento delle PMI, soprattutto nei settori tipici del
made in Italy (tessile-abbigliamento-calzature, mobili, oggetti per la casa e
per la persona, agro-alimentare, meccanico), negli ultimi anni si è assistito al
forte impatto di aziende di servizi: banche ed assicurazioni che hanno
acquisito primarie banche e istituti di assicurazione oltre confine;fra tutte
vale la pena di citare Banca Intesa, Unicredit, Assicurazioni Generali. Si tratta
di un’importante svolta per assicurare agli imprenditori italiani il giusto
sostegno finanziario per investimenti in quelle regioni e all’imprenditoria
locale, afflitta da una cronica carenza di capitali, maggiori opportunità di
crescita e di sviluppo. Ciò è giustificato dai numeri: l’Italia è il primo partner
commerciale della Romania, il terzo della Bosnia, il quarto più importante
partner della Macedonia, il primo in Croazia, il secondo in Serbia-
Montenegro e ancora il primo in Albania con una quota superiore al 40 per
cento dell’intero commercio estero. Tendono inoltre a sparire i
comportamenti elusivi e di speculazione (che si spostano verso le nazioni ora
più arretrate come la Moldavia) e sono rafforzati i legami commerciali a
medio-lungo termine. A questo proposito, la creazione di un’area commercio
e scambio dalla Croazia, Romania, Bulgaria, si sta allargando all’Albania, la
Bosnia e la Turchia, la Moldavia,la Russia e l’Ucraina, e sarà un fattore di
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propulsione della crescita e una magnifica occasione di sviluppo che l’Italia
può pienamente cogliere, raccogliendo i frutti degli investimenti effettuati.
Questo scenario in continuo divenire non può essere ignorato e,oltre
all'interesse dell'imprenditoria,suscita la curiosità degli studiosi ad ogni
livello. D'altro canto,come lo stesso Michail Gorbaciov anni fa ebbe a
sottolineare,in modo profetico,riferendosi allo scenario socio-economico
dell'URSS “Oggi,l'unico punto fermo è che tutto si muove”2.
Ed è proprio alla luce di questo nuovo contesto economico, di questa forma
di dinamismo cadenzato,del vivace riaffiorare dell'attrattiva per i territori
dell'est dell'Europa nonché dei cambiamenti che la stessa sta vivendo, che il
mio lavoro si sviluppa incentrandosi, nello specifico, sulle scelte di
localizzazione delle piccole e medie imprese italiane effettuate con il fine di
conseguire e mantenere un vantaggio competitivo.
Il primo capitolo affronta così la realtà delle PMI nel nostro Paese,penalizzate
dalla loro struttura dimensionale e,di riflesso,patrimoniale e finanziaria.
L'esposizione si articola attraverso la presentazione e l'illustrazione delle
difficoltà incontrate da queste piccole realtà imprenditoriali italiane
nell'escalation economica e offre,attraverso diverse modalità ad hoc per
internazionalizzare, la chance per poter uscire dai confini nazionali.
Il secondo capitolo si occupa invece,nello specifico,del fenomeno della
delocalizzazione,presentata come escamotage,anche per le imprese
minori,per poter crescere ed espandersi,realizzando la loro attività
produttiva al di fuori del territorio d'origine,con un occhio sempre diretto
all'abbattimento dei costi. Una nota è anche per la situazione occupazionale
e,al timore che l'esternalizzazione possa,almeno in via teorica, causare un
depauperamento per l'intera nazione.
Il terzo capitolo ha come fulcro la Romania, in quanto proto-meta per la
2 Michail Gorbaciov,”L'URSS verso il duemila:pace e socialismo”,Teti editore,1985
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delocalizzazione delle piccole imprese italiane,in particolare venete,che
hanno esportato e riprodotto veri e propri distretti. L'attenzione si sofferma
sul distretto del legno/arredo e sulle scelte degli imprenditori del Livenza e
della Brianza. L'iter si snoda attraverso le diverse scelte e motivazioni che
hanno fatto della Romania una meta privilegiata per le aziende
delocalizzatrici fino a giungere a una nuova fase che,in
controtendenza,prevede il disinvestimento.
Il quarto e ultimo capitolo,infine,illustra le prospettive di crescita economica
offerte dalle ex repubbliche sovietiche,evidenziando tuttavia i limiti e i disagi
che ancora esistono in quei territori. La discrasia per le piccole e medie
imprese italiane è palese e il cammino segnato non potrà essere percorso
senza il preponderante ausilio degli enti e delle strutture sia italiane che
locali.
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1.2)Un percorso di analisi
Il palcoscenico dell'economia italiana vede ormai la parte di protagonista
affidata alla piccola e media impresa(PMI),il cui ruolo è da tempo al centro
del dibattito sulle prospettive di sviluppo nazionale. In realtà, con la crisi
della grande industria,che ha dapprima coinvolto il settore pubblico per poi
toccare quello privato,il sistema economico del nostro paese si sta reggendo
soprattutto sul contributo delle piccole e medie imprese la cui potenziale
crescita è tuttavia particolarmente dibattuta e, declinata attraverso molteplici
percorsi ,divenendo pertanto oggetto di una vivace querelle:essa risulta
infatti articolabile sia attraverso il più tradizionale mantenimento della
propria posizione competitiva sul mercato di riferimento,sia attraverso
l'accrescimento della stessa alla conquista dei nuovi mercati internazionali.
Già nel 1981,Peter Ferdinand Drucker,sosteneva che anche le piccole imprese
avrebbero dovuto tener conto della prospettiva mondiale nell'ottica della
loro pianificazione.3
Un processo del genere risulta tuttavia estremamente complesso e di ardua
realizzazione se si parla di piccola dimensione produttiva:la necessità di
ingenti investimenti e la mancanza di personale qualificato costituiscono un
serio handicap alla penetrazione di nuovi mercati;a ciò si aggiunge il disagio
generato da una legislazione fiscale non di certo a sostegno che moltiplica le
difficoltà:le imprese italiane sono infatti penalizzate da una serie di obblighi
procedurali e normativi,per i quali sarebbe auspicabile un intervento di
snellimento. Inoltre,a differenza della grande impresa che tende ad assumere
un atteggiamento economico proattivo,volto per quanto possibile ad
influenzare il mercato cogliendone e interpretandone in anticipo i segnali di
cambiamento,la PMI si comporta in modo reattivo:la condizione iniziale è
3 Peter Ferdinand Drucker,”Dirigere in tempi di turbolenza” ,Etas Kompass,1981
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quella di subire il mercato assumendo gradualmente una serie di
atteggiamenti adattivi tali da plasmare la propria natura considerando i
potenziali mutamenti. In questo avvilente panorama,tuttavia,un quid
positivo è da ricercare in un tipo di “attività al prodotto” che ha consentito
alle PMI di poter essere competitive grazie ad un'approfondita e capillare
conoscenza del bene e delle modalità realizzative dello stesso,combinazione
che ha permesso l'ottenimento di merce di qualità a prezzi contenuti;un
percorso market oriented potrebbe perciò rappresentare la chiave per la
conquista dei mercati internazionali. Tuttavia è da sottolineare che la
riproduzione del vantaggio competitivo non può più far leva soltanto sulle
risorse,sui meccanismi e sulle capacità di innovazione locale ma, carpendo e
acquisendo le competenze e le skills prodotte in altri contesti e,integrandole
con le specificità aziendali e territoriali,deve necessariamente seguire le
dinamiche per poter partecipare a sistemi del valore e a reti di relazione di
scala internazionale.4
I percorsi di apertura che si presentano possono quindi rappresentare
un'opportunità per ridefinire il modello della PMI, aggiornandolo attraverso
una riattribuzione di eventuali specializzazioni,forme di organizzazione
della produzione e processi di innovazione tra territori diversi.
Tradizionalmente le realtà produttive italiane,spesso riconducibili a veri e
propri distretti industriali,avevano pensato ai paesi esteri soprattutto come
mercati di sbocco o come fonte di approvvigionamento di materie prime:è
perciò necessario oggi un rinnovamento che si concreti in un sistema
produttivo in grado di partecipare pienamente al circuito internazionale di
divisione del lavoro,selezionando le migliori conoscenze e competenze
nonché le risorse più efficienti,non più su base locale ma su scala globale. É
4 Alberto Bramanti, Mario A. Maggioni ,”La dinamica dei sistemi produttivi
territoriali:teorie,tecniche,politiche”,Franco Angeli,1997
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perciò necessario configurare un percorso di internazionalizzazione delle
imprese che non determini il mero sfruttamento delle risorse del paese
ospite,ma piuttosto ricostruisca le condizioni di sviluppo che hanno
consentito la crescita dei sistemi locali italiani:si tratta quindi di ricreare
contesti in cui le imprese partecipano a un più ampio sistema economico-
sociale sostenuto anche dalle istituzioni(centri
servizi,scuole,associazioni...)tale da poter condividere un progetto comune di
sviluppo del territorio.
Il modello partorito non risulta ancora completo e stabile riguardo ai processi
evolutivi futuri:tuttavia,pur non potendo ignorare che si tratta di una realtà
da osservare nelle sue evoluzioni e da analizzare tenendo conto del
particolare momento storico considerato,la PMI non deve essere vista come
una fase transitoria né uno stato embrionale nell'escalation dimensionale,ma
come un'autonoma e indipendente struttura produttiva passibile di processi
di crescita attraverso l'internazionalizzazione.
L'articolato iter che in quest'ottica la piccola e media impresa italiana può
seguire per i processi di crescita internazionale si snoda proponendo sia
elementi inerenti alle “strategie di ingresso”in nuovi mercati,ossia alla
condotta competitiva individuata dall'impresa per affermarsi nello scenario
estero selezionato,sia alle”modalità di ingresso”ossia le soluzioni che
rendono possibile il trasferimento all'estero dei prodotti,della
tecnologia,delle risorse e delle competenze aziendali.5
Sotto il profilo strategico,il percorso di crescita riguardante i processi di
internazionalizzazione segue le dinamiche di tre diverse sfere – l'impresa,il
territorio,le politiche- ;la scelta riguardo le attività produttive da trasferire
all'esterno o trattenere all'interno del sistema locale si riflette sulla capacità di
sostenere vantaggi competitivi nel lungo termine,in un contesto in cui la
5 Enrico Valdani,Giuseppe Bertoli,”Mercati internazionali e marketing”,EGEA,2004
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concorrenza è fortemente imperniata sull'innovazione sempre però
considerando e valorizzando le peculiarità dei territori coinvolti e legando i
due elementi attraverso le più variegate politiche di supporto.
Tuttavia,se in particolari modelli imprenditoriali,come per esempio quello
anglosassone,la rilocalizzazione di attività operative e i processi di
internazionalizzazione in genere non costituiscono un evento traumatico ma
documentano una tendenza consolidata,la situazione nel nostro territorio è
totalmente differente. Così da un lato la grande corporation americana ben
testimonia una realtà nella quale l'impresa ha sempre mantenuto una chiara
e netta separazione tra funzioni di progettazione e funzioni di produzione,tra
ideazione e design del prodotto e sue effettiva realizzazione,ottenendo
significativi successi economici anche grazie all'imponente sfruttamento di
economie di scala(economie di replicazione della conoscenza);sicché,in questi
casi,raggiunta una stabilità nelle fasi di produzione e di presidio dei
mercati,la delocalizzazione ha costituito uno step automatico nelle scelte
strategiche d'impresa alla ricerca di condizioni di maggiore efficienza,spesso
ravvisabile nei bassi costi del lavoro. In questo tipo di realtà lo sforzo
maggiore(nonché i costi più elevati)si concentra in particolar modo nelle fasi
di ideazione e progettazione del prodotto(sunk costs),pianificate in modo
totalmente indipendente:così mentre le attività a maggior valore aggiunto
sono concentrate nel paese di riferimento,le attività operative e meramente
esecutive seguono scelte dinamiche di localizzazione sempre supervisionate
da un sistema organizzativo di controllo gerarchico appositamente
predisposto.
In modo diametralmente opposto si colloca invece la piccola impresa
italiana,la cui ascesa internazionale appare al momento più complessa e
spinosa. Il rapporto tra le attività ad alto valore aggiunto e quelle operative è
particolarmente rilevante; nella nostra tradizione,infatti,”il sapere pratico
proprio del processo manifatturiero è parte costitutiva del valore aggiunto prodotto
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dall'impresa”6:tale binomio è da sempre stato elemento caratterizzante
dell'italico successo imprenditoriale,espressione diretta di situazioni
empiriche,intuizioni,relazioni e opportunità di mercato per le quali la pratica
e concreta conoscenza del prodotto ha un ruolo centrale. Il decentramento di
alcune attività può e deve quindi essere visto come forma di identificazione
di una nuova divisione del lavoro internazionale che tenga conto delle
specificità locali,sia italiane che estere. Si tratta perciò di individuare le
attività che possono essere utilmente trasferite in contesti in cui trovano un
terreno fertile per il loro sviluppo;in un'ottica di crescita economica globale è
necessario cioè capire quale può essere il percorso capace di favorire lo
sviluppo e la specializzazione dei paesi a più recente industrializzazione,in
particolare gli stati dell'est dell'Europa,in modo coerente con le dinamiche di
crescita e valorizzazione del patrimonio di competenze e conoscenze
dell'impresa italiana. 7
Le PMI devono quindi inserirsi in una nuova divisione internazionale del
lavoro oltre che dal punto di visto distributivo e commerciale,portando
attività ad alta intensità operativa in paesi contraddistinti da abbondanza di
manodopera a costi limitati, facendo in modo che i nuovi equilibri geopolitici
che hanno avuto come preludio la caduta del muro di Berlino e come
postludio l'allargamento dell'Unione europea,garantiscano la possibilità di
considerare gli stati centro-orientali del vecchio continente come un mercato
domestico.
6 Giacomo Becattini,Enzo Rullani,”Sistema locale e mercato globale”,Milano,1993
7 A.Camuffo,P.Romano,A.Vinelli”Back to the future:Benetton transforms its global
network”,2001