Un’analisi del Value at Risk: metodi di calcolo e problematiche
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tutti i rischi di mercato e non, con un solo mezzo, ed è quindi possibile
confrontarli direttamente ed aggregarli.
- Dare una misura di rischio chiara e interpretabile da tutti, sia
agli addetti ai lavori e sia agli altri rami e livelli di amministrazione;
infatti, il VaR essendo un ammontare monetario, determinato secondo
un certo livello di confidenza, e quindi di probabilità, è comprensibile
da tutti.
- Infine il VaR riesce a risolvere i problemi di allocazione delle
risorse nelle banche; infatti, in una banca è molto importante decidere
dove e in che ammontare destinare il capitale, che come sappiamo è
una risorsa scarsa e fondamentale per gli enti creditizi. Prendere
queste decisioni significa conoscere il rendimento delle varie aree
d'affari della banca e, dato che considerare il rendimento da solo porta
ad un’allocazione non efficiente del capitale, bisogna tenere in
considerazione anche il livello di rischio assunto. Per questo,
attualmente, si usa il VaR per misurare sia l’esposizione al rischio
complessiva dell'intera banca (VaR reale o desiderato) e sia per
misurare l’esposizione delle singole business unit, o aree d'affari, in
modo da poter calcolare anche la redditività corretta per il rischio. Così
facendo, con l'uso del VaR, si riesce anche a dare un limite di
posizione chiaro ai vari centri di profitto, in modo che ogni operatore
Un’analisi del Value at Risk: metodi di calcolo e problematiche
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della banca possa muoversi liberamente durante la giornata, con il
solo vincolo di rispettare il proprio limite di posizione alla chiusura dei
mercati e, quindi, per questo, si riesce, a gestire il capitale in maniera
più efficiente.
Nel presente lavoro, tratterò in modo dettagliato tutti i metodi di calcolo
del VaR.
In particolare, nel primo capitolo spiegherò cosa sono i rischi finanziari
e cos’è il VaR, dandone una prima definizione e descrivendo cosa è in grado
di misurare questa tecnica.
Nel secondo capitolo, parlerò dell’approccio parametrico, o varianze-
covarianze, e di tutti i suoi metodi di calcolo.
Nel terzo capitolo, tratterò, invece, l’approccio della simulazione, le
sue due varianti e le cosiddette Prove di Stress, una tecnica per il
monitoraggio del rischio, complementare al VaR.
Nel quarto capitolo, farò, invece, un approfondimento sulla normativa
in materia di vigilanza bancaria, attualmente vigente in Italia, proponendone
le maggiori problematiche e le critiche eccepitegli.
In fine, farò delle conclusioni sull’utilizzo, sia a fini gestionali e sia a fini
di vigilanza, di questa tecnica, cercando di descrivere anche le principali
applicazioni per cui oggi è utilizzato il Value at Risk.
Il Value at Risk: una prima definizione
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I
IL VALUE AT RISK: UNA PRIMA DEFINIZIONE
I.1 I RISCHI FINANZIARI
In questo capitolo descriverò cos'è il rischio e cos’è in grado di
misurare la tecnica del Value at Risk.
Innanzi tutto definiamo il concetto di rischio come la variabilità dei
risultati intorno ad un valore atteso. S’introduce così una definizione ampia,
che riguarda l’eventualità d’accadimenti futuri, suscettibili di portare perdite
sia assolute (distruzione di ricchezza esistente), sia relative (mancato
conseguimento di ricchezza). In questo lavoro parleremo, però, solo dei
rischi finanziari e non dei rischi puri, valgono a dire dei rischi che interessano
la gestione finanziaria di un’azienda, in pratica, particolarmente legati
all’andamento di variabili economiche e della gestione finanziaria; in ogni
caso, la caratteristica principale dei rischi finanziari, che li contraddistingue
dai rischi puri, è che questi non necessariamente hanno solo manifestazione
negativa, ma, appunto, potrebbero averla anche positiva, quindi in termini di
maggior guadagno rispetto alle aspettative. Per questo motivo, parliamo di
variabilità dei risultati intorno ad un valore atteso.
Il Value at Risk: una prima definizione
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Tra i rischi finanziari si distinguono due grandi categorie: il rischio di
mercato e il rischio di credito. A queste due categorie possiamo poi
aggiungere il rischio di variazione del margine d’interesse e il rischio di
liquidità.
Per quanto riguarda la categoria del rischio di credito, possiamo
distinguere tra il rischio di controparte e il rischio di regolamento.
Il rischio di controparte è relativo a tutti quegli asset che prevedono
una prestazione monetaria futura nei nostri confronti, eseguita appunto da
una controparte. In particolare, si parla di rischio perché la controparte
potrebbe trovarsi in dissesto finanziario e non effettuare la propria
prestazione (default), o farlo solo in parte. Questo evento, dipende dalla
situazione finanziaria della controparte e, quindi, dal suo livello di rating
(grado di solidità e solvibilità), oltre che dalla volontà di pagare. Il rischio di
controparte prevede non solo la stima della probabilità di default, ma anche
la stima della probabilità di migrazione, in pratica, delle possibili variazioni nel
grado di rating che un soggetto può subire nel tempo, siano esse favorevoli e
quindi che migliorino il proprio grado di rating, siano esse sfavorevoli. Alcuni
includono in questa categoria anche il rischio paese, che è quello che
prevede il rimborso parziale o addirittura il non rimborso, di obbligazioni
emesse da Paesi esteri, appunto considerando questi Stati esteri come una
controparte qualsiasi.
Il Value at Risk: una prima definizione
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Per rischio di regolamento, invece, s’intende solo il fatto che una
controparte si trovi in un dissesto finanziario momentaneo, il quale non gli
permetta il regolamento a scadenza, ma magari in tempi maggiori; si
ricomprende in questa categoria anche il rischio relativo ai sistemi di
pagamento, qualora quest’ultimi non adempiano esattamente alle loro
funzioni. Questi problemi potrebbero portare degli scompensi anche al
creditore.
Altro genere è il rischio di variazione del margine di interesse, vale a
dire il rischio associato all'andamento più o meno favorevole delle principali
poste di bilancio di una banca, le quali appunto formano il margine di
interesse. Ovviamente questo è un rischio legato all'andamento dei tassi
d'interesse, in quanto incidono direttamente sull'ammontare degli interessi
sia attivi e sia passivi.
Da ultimo definisco il rischio di liquidità, che è la misura della variabilità
delle perdite, causate dalla dismissione di un bene in tempi brevi; infatti, per
momentanee esigenze, potremmo trovarci a dismettere un’attività in breve
tempo, sopportando quindi un grosso deprezzamento della stessa, causato
appunto dal suo basso grado di liquidità.
Dei rischi di cui ho appena parlato farò solo un altro breve accenno
riguardante le tecniche di Valore a Rischio che possono essere seguite per la
loro misurazione, poiché la loro trattazione esula da questo lavoro; tratterò,
Il Value at Risk: una prima definizione
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invece, in modo più dettagliato, già dal prossimo paragrafo, la categoria dei
rischi di mercato.
Il Value at Risk: una prima definizione
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I.2 IL RISCHIO DI MERCATO
Il rischio di mercato è sicuramente la categoria più grande e
importante di rischio, poiché riguarda direttamente la gestione di portafoglio,
sia inteso come trading di borsa, sia come gestione dell’attivo.
La gestione dei rischi di mercato è determinante per qualsiasi
intermediario, poiché è sempre presente nelle operazioni che questi effettua
e, da qualche tempo a questa parte, in particolar modo la gestione di
portafoglio, sta crescendo sempre più.
Per rischi di mercato s’intendono, in prima approssimazione, tutti quelli
strettamente legati all’andamento di variabili economiche. Essi si distinguono
nelle seguenti quattro categorie:
- Il rischio di interesse: si manifesta quando il valore delle
posizioni assunte è sensibile a variazioni dei tassi d'interesse. È un
rischio tipico delle obbligazioni e dei contratti derivati su tassi di
interesse. Per una banca il rischio di interesse non si manifesta solo
con la diminuzione del corso, ad esempio, di un titolo obbligazionario
o con la diminuzione del rendimento di un titolo a tasso variabile, ma
si manifesta anche in termini di mancato guadagno, nel caso, ad
esempio, di un mutuo stipulato a tasso fisso e di un aumento dei tassi,
Il Value at Risk: una prima definizione
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perché in questo caso la banca potrebbe guadagnare di più
riscattando il mutuo e concedendone uno nuovo ad un tasso
maggiore.
- Il rischio di cambio: è quello che dobbiamo considerare in tutte
le posizioni denominate in valuta diversa da quella domestica. In
particolare, in questo caso, tutti gli asset denominati in valuta estera
sono soggetti a cambiamenti di valore proprio in funzione degli
apprezzamenti o deprezzamenti del tasso di cambio.
- Il rischio di prezzo: è definito come la variabilità del valore di
titoli, o delle merci, causata dall’incontro della domanda e dell’offerta
nei mercati regolamentati. E’ un rischio tipico dei titoli azionari e di
tutte le attività quotate in borsa. Nel caso di una banca, generalmente
il rischio di prezzo grava solamente sul valore dei titoli azionari
detenuti in portafoglio.
- Il rischio di volatilità: questo tipo di rischio prende in
considerazione la variazione del valore di un titolo, causata da
variazioni della volatilità del titolo stesso. La volatilità di un titolo è una
misura di rischio e, generalmente, è rappresentata dalla varianza o
dallo scarto quadratico medio dei rendimenti dello stesso, che sono,
appunto, misure della variabilità dei valori del titolo intorno al proprio
valore atteso. Il rischio di volatilità è un rischio tipico dei derivati. In
Il Value at Risk: una prima definizione
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particolare, per questo tipo di rischio il VaR riesce a fare ben poco,
anzi, come vedremo, il fatto che la volatilità non sia stabile nel tempo,
è un problema per l’utilizzo di questa tecnica.
Per tutti i tipi di rischio che ho descritto sopra esistono delle tecniche
che li misurano e, da qualche tempo a questa parte, essi possono essere
descritti anche con tecniche di Valore a Rischio, che, come vedremo nel
prossimo paragrafo, si differenziano l'una dalle altre per modalità di calcolo o
per categoria di rischio che affronta.
Il Value at Risk: una prima definizione
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I.3 IL VALUE AT RISK
In questo paragrafo, descriverò cos'è il Value at Risk, le sue varianti e
i metodi di calcolo.
Nell'accezione più comune il VaR rappresenta “….La perdita associata
ad un portafoglio di attività finanziarie che, con data probabilità pari ad ∆, non
è superata in un orizzonte temporale di riferimento… ” (J.P. Morgan)
1
. In
pratica il VaR ci dice qual è la perdita che il nostro portafoglio può subire in
un determinato arco temporale, con un certo livello di probabilità da noi
deciso. Ad esempio, se scegliamo un livello di confidenza del 95% e il VaR
calcolato è di 1000 € giornalieri, il nostro portafoglio non dovrebbe superare
la perdita stimata di 1000 €, nell'arco delle prossime 24 ore, in 95 casi su
100.
In formule il VaR si esprime così:
Equazione 1
Prob ⊥ ∆ 1VARV
t
1
Vedi MORGAN J. P., REUTERS, “RiskMetrics™ - Technical Document” Fourth Edition, 1996, (cfr.
www.riskmetricsgroup.com).
Il Value at Risk: una prima definizione
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dove “t” è il periodo di detenzione o holding period,
t
V è il valore della perdita
in t, (1 – ∆) è il livello di confidenza e VaR è il valore che soddisfa l’equazione
e che cerchiamo, vale a dire la massima perdita stimata.
A questo punto posso descrivere le varie tecniche di VaR attualmente
esistenti. Come ho scritto sopra, il VaR nella sua accezione generale misura i
rischi di mercato e, nel caso di un holding period di un giorno, è chiamato
anche con il nome di Dealy earning at Risk (DeaR), appunto come misura di
rischio giornaliera.
Anche per i soli rischi di mercato esistono diversi metodi per il calcolo,
che, principalmente, si distinguono in Historical approach e Simulation
approach.
I primi sono basati su un approccio storico, vale a dire hanno come
principale assunzione che i dati passati siano la migliore approssimazione
del futuro e si caratterizzano per esser fondati su delle ipotesi molto forti, non
sempre riscontrabili nella realtà, e perciò sono criticati. I secondi, invece,
sono basati su approcci di simulazione, cioè sulla generazione di molti
scenari di evoluzione dei valori in portafoglio e sul conseguente calcolo del
VaR in base al percentile desiderato. Quest’ultimi sono migliori dei primi, in
quanto non assumono alcuna ipotesi sull’andamento delle variabili, anche se,
allo stesso tempo, sono più onerosi in termini di calcolo e richiedono
un’elevata quantità di dati che sono difficili da reperire.
Il Value at Risk: una prima definizione
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Riguardo all’approccio storico, debbo dire che il metodo più diffuso è il
cosiddetto approccio varianze-covarianze o approccio parametrico, il quale
assume come dati fondamentali la stima della volatilità, le correlazioni fra
asset ed è sottoposto all’ipotesi di normalità dei rendimenti. Di quest’ultimo
se ne conoscono diverse varianti, differenti l’una dall’altra in base a cosa si
assume come variabile determinante per l’andamento del portafoglio, quindi,
come oggetto di studio per il calcolo del VaR.
Le tre varianti principali sono le seguenti:
- L’approccio Delta Normal, dove il portafoglio è scomposto in
posizioni sensibili all’andamento di poche variabili principali, i risk
factor, i quali sono oggetto dell’ipotesi che i loro rendimenti siano
distribuiti normalmente e, quindi, sono i soli ad essere oggetto di
stima. Come risk factor si usano i singoli fattori di rischio alla base
della variazione del prezzo delle attività finanziarie (tassi di interesse,
tassi di cambio, ecc.).
- L’approccio Asset Normal, che è anche quello usato da J.P
Morgan in RiskMetrics™ e prevede anch'esso l’assunzione dell’ipotesi
di normalità dei rendimenti, ma, a differenza del primo, quest’ultima
riguarda i rendimenti delle posizioni in portafoglio, opportunamente
scomposte attraverso un processo di mapping e dette benchmark, le
quali sono trattate come fossero titoli zero coupon e analizzate
Il Value at Risk: una prima definizione
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secondo i fattori determinanti per quest’ultimi (indici di mercato,
struttura a termine dei tassi di interesse relativi agli zero coupon, ecc.).
- L’approccio Portfolio Normal, che si basa invece sull’analisi
diretta del valore del portafoglio complessivamente considerato,
trattato come un’unica entità e, quindi, come un’unica variabile
aleatoria. Quest'ultimo approccio è sicuramente il più complesso
perché prevede la rivalutazione di tutto il portafoglio.
Per il calcolo delle tre varianti suddette si usa il c.d. modello Delta, dove i
rendimenti logaritmici degli asset sono considerati normalmente distribuiti e
lineari. Nel caso che nel portafoglio ci siano strumenti con pay-off non lineari
(es. opzioni), si usa, invece, un’approssimazione detta Delta-Gamma, dove si
approssima la funzione dei rendimenti ad un grado maggiore del primo, in
modo da eliminare l’effetto c.d. di convexity e cioè di non linearità.
Quest’ultimo metodo di calcolo, tra gli approcci parametrici, è quello più
usato, in quanto raccomandato da J.P Morgan in RiskMetrics™. Oltre a
questi ve ne sono altri, meno importanti, ma ugualmente utilizzati come parte
integrante dei suddetti modelli. Di essi ricordo l’approccio basato sul Capital
Asset Pricing Model, dove si calcola, prima, il VaR di un indice di riferimento
per il nostro portafoglio e poi, si calcola il VaR del portafoglio, moltiplicando il
primo per il Ε del portafoglio rispetto all’indice (per Ε intendo un coefficiente
che misura la sensibilità di un titolo rispetto a variazioni del mercato, in
Il Value at Risk: una prima definizione
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questo caso, la sensibilità dell’intero portafoglio a variazioni di un indice,
appunto preso come riferimento del mercato)
2
.
Nettamente differenti sono i modelli basati sull’approccio della
simulazione; questi, come ho già detto, non si basano su alcuna ipotesi, ma
si basano sulla generazione di numerosi scenari con cui rivalutare il
portafoglio di attività.
Principalmente distinguiamo due approcci di simulazione:
- La simulazione storica, dove si rivaluta il portafoglio secondo i
valori passati delle attività, poi lì si ordina dal miglior caso al peggiore
e, infine, si estrae il valore del portafoglio secondo il percentile
desiderato. In pratica, se abbiamo 100 osservazioni passate,
rivalutiamo il portafoglio secondo i 100 valori, ordiniamo i valori così
ottenuti dal migliore al peggiore e poi, nel caso che abbiamo scelto un
intervallo di confidenza del 95%, prendiamo la differenza tra il 95-
esimo valore ordinato e il valore corrente del portafoglio, come valore
di perdita massima. In questo modello non si formula nessuna ipotesi,
ma si assume implicitamente che il passato si ripeta in futuro, quindi,
si assumono implicitamente sia la distribuzione dei rendimenti e sia le
volatilità e le correlazioni dei valori.
2
Per il calcolo del Ε con il CAPM, vedi più avanti, il paragrafo II.2 IL MAPPING a pag. 32.