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PARTE PRIMA
DEFINIZIONI, FISIOLOGIA E REAZIONI
CAPITOLO 1
FOCUS SULL’UMORISMO
1.1 Difficoltà di definire l’umorismo
Nei dizionari moderni l’umorismo è definito come la facoltà di interpretare con indulgenza e
comprensione gli aspetti della vita umana che suscitano il sorriso.
L’umorismo gioca un ruolo unico nella vita dell’uomo, con un ampio raggio di effetti su
molti aspetti del suo funzionamento, è inoltre una componente essenziale per restare legati alla
nostra società se inteso come elemento della comunicazione nel più vasto rango di idee, sentimenti
e opinioni; senza trascurare il suo aspetto terapeutico sul sistema nervoso e immunitario, operando
sugli agenti giornalieri di stress.
Il senso dell’umorismo è l’elemento chiave del repertorio comportamentale, considerato
come un attributo della definizione di essere umano, non a caso è stato attestato che solo pochissime
persone sono in grado di riconoscere la loro mancanza di senso dell’umorismo (Forabosco, 1994: p.
7).
Già Erasmo da Rotterdam sostenne l’ipotesi che colui che ride è intelligente perché
comprende meglio i fenomeni della realtà osservandone i lati nascosti e intuendo chi ha interesse a
mantenerli oscuri (cit. in Francescato, 2003: p. 16).
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In letteratura i tentativi di definire il senso preciso del termine si riferiscono a una
ricchissima gamma di possibili sfumature; è pertanto impresa ardua fissare, nella rigidità di una
formula, un concetto che per sua natura si sottrae alle codificazioni.
Spesso l’umorismo è identificato con l’espressione inglese humour che, dall’Oxford English
Dictionary, viene definito come la facoltà di percepire ciò che è ridicolo o divertente, oppure di
esprimere tale percezione a voce o per iscritto.
Da questa definizione appare chiara la distinzione tra umorismo e comicità: la comicità
suscita reazioni spontanee e irriflesse, e puntando sul colpo di scena, provoca l’esplosione del riso;
l’umorismo, invece, è un’operazione dell’intelletto, un’attività critica, unita ad un atteggiamento di
cordiale simpatia, rivolta a suscitare il sorriso.
In questo senso non è disgiunto dall’elemento patetico: basti pensare a un film del grande
Charlie Chaplin (1889-1997), che oscilla dalla situazione schiettamente comica delle torte in faccia
e dei famosi tic, al pathos dell’omino perseguitato dalla sorte avversa o dalla prevaricante malvagità
degli uomini.
L’umorismo sociologico di Chaplin è volto alla dissacrazione di ciò che, nella società, non
merita rispetto.
Diverso è l’umorismo come distacco dalla realtà, come una maniera speciale e difficile di
scrivere che si ha quando si fa uso di frequenti e sottilissime ironie, come, in altri termini, l’arte di
far ridere coloro che abitualmente non ridono.
Tra umorismo sociologico e umorismo distaccato dalla realtà oscillano le numerose
espressioni di umorismo nell’ambito letterario: a partire dalla spregiudicatezza di Aristofane (445-
385 a.C.) fino alla greve beffa di Plauto (254-184 a.C.), dall’insolenza di Marziale (40-140 d.C.)
alla rivoluzionaria sensualità di Boccaccio (1313-1375).
Ai tempi di Boccaccio si riteneva che la comicità avesse il potere di contrastare la morte,
difatti nel Decamerone, l’autore scrive che ridere era ritenuto un rimedio contro la peste che nel
1348 dilaniava Firenze (cit. in Francescato, 2003: p. 18).
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L’esempio più illustre di umorismo nell’Ottocento è quello di Manzoni (1785-1873).
Nel Novecento Pirandello (1867-1936) definisce l’umorismo il «sentimento del contrario» e,
nello stesso periodo, Kafka (1883-1924) fa assumere all’umorismo un volto gelido e tagliente che
poi si trasforma in metafisico paradosso con Ionesco (1912-1994).
Chi si occupa di umorismo con interesse scientifico deve fare i conti con chi la ritiene una
scelta poco opportuna.
Umberto Eco (1980) dichiara: «da tempo ho deciso che, quando avrò sessant’anni, scriverò
un libro (straordinario) sul comico. Non prima, per evitare le brutte figure di Aristotele, Bergson,
Freud e altri» (cit. in Fioravanti, Spina, 1999: p. 7).
In un passo della Retorica, Aristotele (384 - 322 a.C.) scrive che l’ironia può minare la
serietà di un avversario e che la serietà, viceversa, uccide l’umorismo. L’autore considera, quindi,
serietà a umorismo come due sentimenti antitetici e inconciliabili.
In maniera simile Bergson (1900), definisce il riso come una sorta di sfida impertinente alla
speculazione filosofica; sfida che McDougall (1921), ritiene perdente per gli studiosi ironizzando su
molti autori ideatori di teorie ridicole del ridicolo (citt. in Forabosco, 1994: p. 2).
Anche in campo psicologico occuparsi dell’umorismo non deve essere stato troppo facile se
è vero che, dopo Freud, pochissimi hanno compiuto studi significativi a riguardo.
Freud interpreta il senso dell’umorismo come il più valido tra i meccanismi di difesa,
descrivendolo come un regalo raro e prezioso. Nel suo libro Il motto di spirito e la sua relazione
con l’inconscio, pubblicato nel 1905, Freud sostiene l’affinità tra motto di spirito e sogno: i sogni,
tanto quanto le arguzie o i motti di spirito, sono al servizio di una funzione psicologica di base
rendendo possibile il soddisfacimento di pulsioni, specie quelle aggressive e sessuali, che
l’individuo solitamente, sotto l’azione censoria della società, reprime oppure neutralizza.
Dopo di lui Dixon (1980), suggerisce di considerare il senso dell’umorismo come
un’alternativa conoscitiva che permette all’individuo di considerare una prospettiva più leggera di
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un evento stressante e, grazie a ciò, di ridurre le conseguenze emotive e deleterie dell’evento stesso
(cit. in Moran, Massan, 1997).
Esposte queste considerazioni dei primi pionieri dello studio dell’umorismo, oggi
l’attenzione degli studiosi si rivolge alla comprensione dello stimolo che provoca il divertimento.
A tale scopo, sono stati analizzati i vari tipi di materiale comico che si può ritrovare in ogni
cultura: testi scritti, romanzi, commedie, motti di spirito, barzellette e storielle, quadri, disegni,
vignette e, più recentemente, film, spettacoli televisivi e siti internet.
Uno dei risultati di questi studi è la classificazione di diversi tipi di umorismo:
ξ l’umorismo bonario, che concepisce il comico come svago;
ξ la tragicommedia, che provoca il riso attraverso il pianto;
ξ l’umorismo raffinato a forte valenza intellettuale, che si esprime nei motti di spirito, nei giochi
di parole e nell’arguzia;
ξ l’umorismo usato come arma, nella satira e nella parodia;
ξ l’umorismo nero, volto a una funzione positiva che aiuta a tollerare le situazioni di pericolo
reale.
Inoltre, l’umorismo che emerge da una barzelletta o da una determinata situazione, non è
sempre percepito da tutti, spesso infatti, è dato solo ad alcuni di fruire di un particolare vissuto di
piacere e di divertimento che si esprime in un sorriso o in una risata.
Patty Wooten, in un suo articolo intitolato Humor an antidote for stress (1996), definisce lo
stress come una condizione avversa, durante la quale si sperimentano emozioni molto sgradevoli
che spesso portano al nascere di sentimenti di futilità o di disperazione.
L’autrice contrappone a tali esperienze l’umorismo, descrivendolo come meccanismo di
auto cura.
La Wooten spiega come il senso dell’umorismo, offrendo l’opportunità di provare delizia,
gioia in determinate esperienze, garantisce il rilascio della tensione.
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L’esperienza della risata, bandisce momentaneamente i sentimenti di rabbia e paura,
offrendo momenti in cui è possibile sentirsi allegri, pieni di speranza e liberi da preoccupazioni.
Norman Cousins è stato il primo a richiamare l’attenzione della comunità medica, sui
potenziali effetti terapeutici dell’umorismo.
Poiché si era già a conoscenza del fatto che, le emozioni negative hanno un impatto
sfavorevole sulla salute, Cousins postulò una teoria secondo la quale si può affermare con certezza
anche il contrario; ovvero, che le emozioni positive hanno un impatto positivo sulla salute (cit. in
Wooten, 1996: p. 50).
Ridere consente di sperimentare emozioni positive quali: gioia, speranza, fiducia e amore.
Grazie alla ricerca effettuata durante gli ultimi anni, è possibile affermare con certezza che
la risata offre una sorta di purificazione dalle emozioni negative: ridendo è possibile scaricare la
tensione emotiva causata dal sopraggiungere di eventi stressanti (Wooten, 1996: p. 52).
Le emozioni e gli umori che noi sperimentiamo giornalmente, colpiscono il nostro sistema
immunitario. Così come lo stress è in grado di far abbassare o di deteriorare le nostre difese
corporee, il senso dell’umorismo ci permette di percepire ed apprezzare le incongruenze della vita,
offrendo momenti di svago e di gioia.
1.2 Cosa succede nella mente di una persona che percepisce uno stimolo come umoristico?
Due diversi concetti si sono rivelati cruciali per dare risposta a interrogativi di questo tipo: il
concetto di incongruità e quello di sorpresa (cfr. Forabosco, 1994: pp. 11-25).
Nel linguaggio comune si dice incongruo qualcosa di strano, insolito, privo di coerenza.
Quando si riceve un’informazione difforme dal modello cognitivo si ha il caso di una
percezione di incongruità. Tale concetto ha un’estensione che riguarda tutte le situazioni in cui si
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verifica una discrepanza tra informazioni in arrivo e modello cognitivo, tra evento effettivo ed
evento atteso.
In generale la risposta di primo impatto a una incongruità è quella di un’attivazione
cognitiva che spinge a cercare di capire di cosa si tratta e a dargli un senso. In altri termini
l’individuazione di una incongruità costituisce innanzitutto l’identificazione di un problema da
affrontare e da risolvere a cui seguono reazioni di significato diverso.
Il compito della risoluzione non è quello di eliminare l’incongruità, bensì di renderla
accettabile per non far sentire la necessità di cercare ulteriori informazioni e spiegazioni; questo
costituisce la caratteristica essenziale che contraddistingue la risposta umoristica, rispetto alle altre
reazioni.
Perché ci sia umorismo occorre una situazione in cui lo stimolo risulti allo stesso tempo
incongruo e congruente, infatti, se lo stimolo continuasse a essere percepito come sostanzialmente
incongruo si avrebbe, come reazione, perplessità, confusione o addirittura senso di minaccia e ansia.
Se a prevalere fosse, invece, la sensazione di congruità, lo stimolo risulterebbe normale, sensato,
rendendo immotivata un’eventuale risposta di tipo umoristico.
Nel XVIII secolo numerosi studiosi hanno sostenuto l’ipotesi che il comico risiede in una
incongruità interna allo stimolo umoristico.
A prova di ciò, in tempi più recenti, si è potuto dimostrare come, variando l’incongruità di
uno stimolo è possibile aumentare, o ridurre, il numero di persone che ridono in una situazione data.
Altre ricerche hanno dimostrato come le operazioni cognitive, che portano alla risoluzione
dell’incongruità, generano un forte senso di piacere.
Afferrare il senso di una barzelletta, attiva un processo cognitivo simile a quello necessario
per risolvere un problema scientifico: quando ci si riesce, si prova la sensazione gratificante di una
scoperta, di un evento catartico, legato al buon esito di un processo cognitivo.
Una interessante teoria, che spiega i meccanismi semantici attivati dall’umorismo, è la script
theory, proposta dal linguista Victor Raskin (1985; cit. in Forabosco, 1994: pp. 26-27).