6
la suddivisione della cultura in primaria (le opere) e secondaria (la critica), poiché ogni
«forma seria di arte, di musica e di letteratura è un atto critico»6.
Di qui la lucida e lungimirante domanda che Montale pose il giorno della
premiazione a Stoccolma: è ancora possibile la poesia? Svincolato, non avulso però, da
contesti storici e letterari presenti e passati (si veda ad esempio Dante ieri e oggi)7, egli
visse la poesia come ispirazione, intuizione e rimuginazione, non necessariamente
legati a canoni estetici e forme grammaticali. Anche per questo, ammise di scrivere
poco: «l‟argomento della mia poesia (e credo di ogni poesia possibile) è la condizione
umana in sé considerata; non questo o quello avvenimento storico. Ciò non significa
estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza e volontà, di non
scambiare l‟essenziale col transitorio»8. Inoltre: «non saprei spiegare come la poesia
nasce in me: so solamente che ogni mia poesia è preceduta da una lunga e oscura
gestazione, nella quale però non è contenuto nulla di prevedibile: né l‟argomento, né il
titolo, né l‟ampiezza dello sviluppo»9 e ancora «non vado alla ricerca della poesia, ne
sono visitato»10.
Si evince dunque che la poesia è una condizione individuale di cui l‟arte può
fare a meno ma «non poesia priva affatto d‟arte»11. L‟artista perciò «è tale solo in
quanto crea un oggetto nel quale si riconosce e che non era esattamente nelle sue
previsioni. Ma questo non può farci credere che l‟arte coincida con la tecnica e che
l‟analisi dei procedimenti tecnici dell‟artista esaurisca il compito della critica. In parole
povere: la tecnica è presente in ogni opera d‟arte ma non è l‟arte e non fa l‟arte, perché
in se stessa è perfettamente imitabile e si può studiarne il progresso, mentre nessun
essere ragionevole, almeno in Italia, crede nel progresso dell‟arte»12.
E siamo al punto centrale della mia analisi: c‟è stato, c‟è, potrà esserci
progresso letterario, inteso come un voltare letteralmente pagina, un‟evoluzione non
temporale né storica ma un adattamento socio-culturale della scrittura alla realtà
contemporanea (ricordando che ogni forma espressiva ed artistica nasce e si sviluppa
proprio come esegesi dell‟immediato) in Italia?
A giudicare dall‟ultimo secolo direi di no. Sulla nostra letteratura pesa infatti la
maledizione della solennità, dello stile tragico e del lirismo, al di fuori dei quali gli
appellativi giocano sempre al ribasso. In realtà l‟Italia rimane un paese da fazzoletto e
da letteratura per predormienti e stitici, basata, quando non si va a braccio, su canovacci
sbiaditi e contenuti triti e ritriti in salse preconfezionate con tanto di manifesti,
propaganda ed iscrizioni a circoli chiusi. Per restare al Novecento, potremmo elencare
una quantità surreale di movimenti, indistintamente di prosa e poesia, che ne hanno
caratterizzato lo svolgimento: verismo, futurismo, ermetismo, neorealismo,
crepuscolarismo, estetismo, vocianesimo, decadentismo, espressionismo, surrealismo,
simbolismo, sperimentalismo, cannibalismo. Questi, se consideriamo soltanto correnti
nazionali o importate con un certo successo da altre letterature, altrimenti la lista si
allungherebbe a dismisura: dadaismo, naturalismo, beat, underground, pop art. Per
non parlare poi di tutte le “risciacquature” esegetiche e degli strumenti critici:
crocianesimo, marxismo (scuola di Francoforte inclusa), socialismo, positivismo,
strutturalismo, psicoanalisi, esistenzialismo, darwinismo ecc…
6
G. Steiner, Vere presenze, trad. it. C. Béguin, Milano, Garzanti, 1998, p. 24.
7
E. Montale, Sulla poesia, cit., pp. 15-34.
8
Ibidem, p. 574.
9
Ibidem, p. 577.
10
Ibidem, p. 568.
11
Ibidem, p. 102.
12
Ibidem, p. 140.
7
La frammentizzazione della cultura italiana ha ovviamente radici lontane e non
appartiene soltanto a sfere letterarie, bensì a quelle sociali, storiche e soprattutto
politiche. E‟ necessario a questo punto fare un passo indietro, per analizzare le basi da
cui il Novecento prese corpo. Nel 1856 venne pubblicata una raccolta di lettere,
originariamente comparse sul periodico milanese lo «Spettatore», di Ruggiero Bonghi,
professore universitario e ministro della Pubblica Istruzione, dall‟eloquente titolo
Perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia13. Snobbato e sottovalutato, a
causa della presunta non attendibilità dell‟autore che nel panorama italiano non
rivestiva né un ruolo di critico né tanto meno di scrittore, il testo, pur colpevole di
eccessi retorici e verbosità esasperanti, affronta annose tematiche strutturali della
letteratura italiana che il passare del tempo non ha affatto smussato. Tra le principali, è
importante segnalare la questione linguistica14 e la conseguente abitudine di dividere
giudizi e critiche in base alla diversa area geografica; la mancanza di lettori, in
particolare di sesso femminile, di opere italiane (secondo la felice formula «lettori che
non vogliono leggere, e autori che non si fanno leggere»15), ma non di opere di altre
letterature tradotte o addirittura lette in lingua originale (p. 53 e segg.); la mancata
acquisizione da parte della prosa di «quella certezza, quella vena, quella nettezza, e
quelle tante altre qualità che le mancano»16; l‟isolamento di critici e letterati, che così
«chiusi, si sono organizzati da sé come a modo di casta: e non attingendo a quella, ch‟io
direi mente comune letteraria d‟un popolo, non avendo coscienza dei nuovi bisogni
delle menti moderne, scostando sempre più il loro stile dalla naturalezza, e la loro
lingua da quella che sentivano parlare e che parlavano essi stessi, si sono in grandissima
parte o persi in soggetti la più gran parte inutili per ogni verso, o gli hanno trattati senza
saper dar loro nessun interesse, ed hanno scritto, quasi sempre, in una maniera
insopportabile»17; l‟assunzione a dogma o idolo di un autore da parte di ciascun gruppo
o casta che non «s‟occupa se non di contraffarlo, di adoralo, o di difenderlo»18 a
discapito di altri autori o caste; la divisione causata dalle diverse opinioni sulla lingua e
sullo stile «tutte privissime di senso comune, e fondate sopra criterii gretti ed
arbritarii»19; la mancata influenza della letteratura italiana sulle altre europee (pp. 80-
96); l‟immancabile oscillazione «tra il disprezzo dell‟arte e l‟ossequio dell‟artificio»20;
la mancanza di un certo tono brioso che possa essere paragonato alla verve francese o
all‟humour inglese (pp. 97-102).
A proposito dell‟ultima osservazione, segnalo l‟intervento di Italo Calvino, nella
conferenza di apertura delle Lezioni americane, che sottolinea una certa mancanza di
“leggerezza” stilistica e di contenuto a favore della pesantezza: «due vocazioni opposte
si contendono il campo della letteratura attraverso i secoli: l‟una tende a fare del
linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sopra le cose come una nube, o meglio
un pulviscolo sottile, o meglio ancora come un campo d‟impulsi magnetici; l‟altra tende
a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore, la concretezza delle cose, dei corpi,
delle sensazioni»21.
In effetti, persino durante la grande stagione del Rinascimento, la solennità, la
prosopopea e la seriosità della letteratura portava in sé il germe della parodia e della
13
R. Bonghi, Perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia, Milano, SugarCo, 1993.
14
Sulla questione della lingua, evoluzione e problematiche, basta leggere un qualunque trattato di
linguistica italiana, in particolare Tullio De Mauro.
15
R. Bonghi, Op. cit., p. 57.
16
Ibidem, p. 60.
17
Ibidem, p. 63.
18
Ibidem, p. 68.
19
Ibidem, p. 69.
20
Ibidem, p. 104.
21
I. Calvino, Lezioni americane, Milano, Mondatori, 2002, p. 19.
8
canzonatura in qualità di anticorpo alla canonizzazione di forme e strutture letterarie,
che pian piano venivano assurte a tradizione, accantonando perentoriamente tutto
quanto fosse grottesco, satirico, ironico. E‟ il caso ad esempio della Risposta per
contrarî di Cenne da la Chitarra, dei sonetti di Cecco Angiolieri, del Canzoniere di
Lorenzo de‟ Medici, dei Sonetti amorosi dell‟Aretino, delle poesie erotiche del
cardinale Baffo e delle Rime burlesche di Francesco Berni, vere e proprie opere
controriformiste che gli autori scrissero per mettere in guardia se stessi e gli altri dal
pericolo di stilare libretti d‟istruzione per bricolage artistico. Questa particolare vena,
incentrata sul sermo humilis, finì per costituire un sostrato parallelo della letteratura,
restando sempre sottotraccia, in Italia e in Europa, per riaffiorare qui e là nel corso del
tempo sottoforma di tradizione libertina, fino ad attraversare l‟oceano e trovare, seppur
inconsapevole, in Bukowski un suo degno interprete.
Tutte queste considerazioni portano alla fatale conclusione che il testo di
un‟opera italiana è in realtà un pretesto belligerante, sul quale vengono virtualmente
trasportate battaglie intellettuali stabilite a tavolino da teorici, che nell‟ultimo secolo
hanno continuamente spostano il fronte dai banchi o dalle cattedre delle università alle
pagine delle riviste o dei quotidiani, nei quali i nomi sono sempre gli stessi e capita che
una recensione (meglio sarebbe dire stroncatura aprioristica) venga fatta da un critico,
che però è anche scrittore e che proverà ad avere ragione della disputa nel successivo
titolo, non più opera letteraria, bensì vera e propria appendice del pensiero e
dell‟ideologia dello stesso, ora fattosi artista. L‟anomalia di occupare posizioni
conflittuali, quali sono, metaforicamente, il giudice e il giudicato, era stata segnalata
dallo stesso Montale, che smise di scrivere poesie nel momento in cui divenne
giornalista (1948): «bisognerebbe che per la poesia sorgesse un critico nuovo. E
soprattutto un critico che non facesse versi. Oggi mi capita di leggere dotti articoli di
giovani, poi apro un‟altra rivista e vedo dei poemi degli stessi autori. Mi chiedo se
possono giudicare con una certa obbiettività»22. Ci si trova così di fronte alla
paradossale situazione del Croce o De Sanctis di turno, che fa la corsa al rispettivo
Dante o Boccaccio, che a sua volta si azzuffa per accaparrarsi un rigo nell‟indice di
un‟antologia liceale alla voce “contemporanei”.
Riviste specializzate («Voce», «Politecnico», «Officina», «Il Verri») e
movimenti letterari (futuristi, Gruppo „63 ) ieri, giornali e trasmissioni radiotelevisive
oggi, rappresentano i confini del conflitto culturale, entro il quale «siccome l‟arte è
industrializzata al sommo grado, bisogna spremere questo limone che è il libro»23, che
essendo povero di reali contenuti, ha bisogno di essere traslato sul piano politico.
Questo è il motivo per cui, ove non espressamente dichiarato, agli autori è chiesto un
engangement ideologico, oltre il superfluo morale, o la certificazione di schieramento
per esser meglio collocato in aree d‟influenza progressista o conservatrice, al fine di
non sbagliar posto nella pagina culturale del mezzo di comunicazione di parte. E‟ stato
questo, a mio avviso, il grande limite di Pasolini che, nel tentativo di rigettare e
contestare la stanca tradizione novecentesca, cercando di trascinare la scrittura fuori
dall‟aulica querelle intellettuale nelle strade, nello scomodo e contraddittorio
quotidiano, nello specchiarsi col distacco e col ribrezzo dei vizi e delle abitudini
dell‟uomo, finì con l‟essere schiacciato e strumentalizzato dal suddetto Meccanismo.
In conclusione, va sottolineato come in Italia la produzione letteraria non sia
assolutamente destinata al pubblico (simbolica ed esaustiva testimonianza, ne è
l‟affermazione del poeta Andrea Zanzotto: «scrivo ipotizzando l‟assenza di qualsiasi
22
E. Montale, Sulla poesia, cit., p. 593.
23
Ibidem, p. 594.