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CAPITOLO PRIMO: IL CONTESTO TELEVISIVO
1. La Rai nel 1968
Nel capitolo relativo al 1968 della sua Storia della televisione italiana
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,
Aldo Grasso dedica il paragrafo «programma dell’anno» all’Odissea, lo
sceneggiato in 8 puntate andato in onda sul Programma Nazionale dal marzo al
maggio di quell’anno. Si è trattato sotto molti aspetti di un evento che,
nonostante gli inevitabili elementi di continuità e affinità rispetto alla
produzione italiana di quel periodo, ha rappresentato una svolta nel panorama
televisivo e in particolare in quello ascrivibile all’ambito della fiction
2
.
Vediamo dunque come si presentava la televisione italiana nel 1968
3
.
Siamo ancora in pieno regime di monopolio, e l’offerta è distribuita su due
canali: Programma Nazionale e Secondo Programma, inaugurato nel 1962. La
Rai si trova fondamentalmente a essere l’espressione delle ideologie e dei
valori della Democrazia Cristiana, che tiene le redini dell’azienda; il Direttore
Generale è Ettore Bernabei, uomo vicino a Fanfani; ricevuto il mandato nel
1961, lo manterrà fino al 1974. Il ruolo pedagogico di cui era stata investita la
TV fin dalla sua nascita non è ancora venuto meno, e lo si ritrova anche in
generi più leggeri e non esplicitamente educativi, in cui la cultura assume una
forma più che altro divulgativa. In ogni caso si continua anche a perseguire un
obiettivo di pura alfabetizzazione: è risaputo infatti quanto in Italia la
televisione abbia contribuito a combattere l’analfabetismo, oltre che a portare a
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Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti, Milano, 2004, p.218.
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Come è evidente la parola è inglese, e anche se originariamente indicherebbe tutto ciò che fa
riferimento a prodotti di fantasia e immaginazione, col tempo il suo significato si è ristretto
passando comunemente a indicare il racconto di storie, le opere di narrativa. In Italia con il
termine fiction si è soliti fare riferimento esclusivamente al genere televisivo, alla fiction
televisiva appunto, intendendo con tale espressione la produzione di storie pensate e create per
la tv, o se non altro narrate esclusivamente tramite il medium televisivo. Per un’esauriente
disamina del termine fiction si veda Milly Buonanno, Le formule del racconto televisivo,
Sansoni, Milano, 2002, pp. 35-40.
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Fonti del presente capitolo: Milly Buonanno, Le formule del racconto televisivo, cit; Oreste
De Fornari, Teleromanza. Storia indiscreta dello sceneggiato Tv, Arnoldo Mondadori Editore,
Milano, 1990; Aldo Grasso, Storia della televisione italiana,cit; Id. (a cura di), Televisione,
Garzanti, Milano, 2008; Aldo Grasso, Massimo Scaglioni, Che cos’è la televisione. Il piccolo
schermo fra cultura e società: i generi, l’industria, il pubblico, Garzanti, Milano, 2003; Enrico
Menduni, Televisione e società italiana 1975-2000, Bompiani, Milano, 2002; Franco
Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia. Un secolo di costume, società e
politica, Marsilio, Venezia, 2001; Quaderni del Servizio Opinioni n. 22, a cura del Dott. Giulio
Carminati, Ricerche sul pubblico della TV, ERI – Edizioni RAI – Radiotelevisione Italiana,
Torino, 1971; Teche Rai: www.teche.rai.it.
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termine l’unificazione linguistica del Paese; la presenza di programmi
puramente didattici è quindi ancora piuttosto massiccia.
In realtà verso la fine degli anni ’60 la situazione politica italiana attraversa
una fase di cambiamento che si riflette anche sull’Ente televisivo. Ci sono
nuove forze politiche che si affacciano al potere, come il Partito Socialista. La
Rai diventa quindi una sorta di campo di battaglia per i nuovi rapporti di forza
che caratterizzano la politica italiana, e Gianni Granzotto, nominato
amministratore delegato Rai nel 1965, si trova a rivestire il ruolo di mediatore
nello scontro tra Democrazia Cristiana, socialisti, socialdemocratici e
repubblicani. Comunque in questo periodo la Rai si presenta ancora come
un’azienda portavoce del partito di maggioranza, la DC appunto, e le linee base
della programmazione restano tutto sommato inalterate, nonostante sia sempre
più evidente lo scollamento tra i contenuti proposti e la nuova mentalità degli
italiani dopo i cambiamenti sociali, economici e culturali di quel periodo.
In pratica il modello televisivo, che si mantiene ancora su posizioni
acritiche relativamente a questioni sociali, e vincolato a stereotipi familiari
nonché a tabù sessuali, non riesce a stare al passo con la maturità ormai
raggiunta dal suo pubblico
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; il quale si rispecchia meglio nella carta stampata,
dove si affrontano questioni sociali che la televisione non si permette ancora di
prendere in considerazione
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. Del resto, forse a torto, la tv è accusata di non
riportare la verità riguardo ai moti di contestazione del ’68; e non perché non si
adoperi per documentare con attenzione il fenomeno. Una simile percezione è
probabilmente dovuta al fatto che «una intera generazione, figlia dell’universo
dell’industria culturale, come intuì Umberto Eco, aveva generato i propri
anticorpi contro un decennio di influenza televisiva»
6
. Insomma, per la prima
volta da quando è nata, la Rai appare inadeguata al cospetto della società
italiana; il passo successivo sarà quello della nascita delle emittenti libere, e poi
della rottura del monopolio
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.
4
Aldo Grasso, Massimo Scaglioni, Che cos’è la televisione, cit., pp.366-367.
5
Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, cit, pag. 369.
6
Ivi, p. 370.
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Si veda anche Enrico Menduni, Televisione e società italiana, cit., pp. 11-12.
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1.1 La programmazione
La programmazione continua ad attingere a repertori della cultura che
appartengono ad altri ambiti piuttosto che allo specifico televisivo; uno di
questi ambiti è il teatro, in particolare di prosa. In effetti bisogna dire che fin
dai primi anni di vita del nuovo mezzo il teatro aveva costituito un modello cui
ispirarsi, ed aveva rappresentato un perfetto strumento per il progetto
pedagogico e di promozione culturale della Rai. Le forme in cui si presentava
erano sostanzialmente due: una era la ripresa in diretta dal teatro, che quindi
manteneva una sorta di “sacralità” del palcoscenico, oltre che tempi e modalità
prettamente teatrali; l’altra forma era quella della traduzione, ossia una vera e
propria messa in scena televisiva di un testo teatrale, che rispetto alla modalità
precedente presentava movimenti di macchina e moltiplicava i punti di vista
dello spettatore frazionando il palcoscenico in diversi piani. In ogni caso
almeno fino alla metà degli anni Sessanta entrambi i tipi di “teleteatro” sono
vincolati all’uso della diretta. Chiaramente l’innovazione costituita dalla
registrazione video magnetica, di cui parleremo diffusamente, porterà nuove
possibilità anche per questa forma espressiva; il teatro televisivo inizierà ad
avvalersi del nuovo linguaggio proprio dell’elettronico per realizzare delle vere
e proprie «messinscena d’autore»
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, con registi quali Silverio Blasi, Flaminio
Bollini, Franco Enriquez, Mario Ferrero, Claudio Fino, Guglielmo Morandi, e
persino Eduardo De Filippo. A partire dalla metà degli anni ‘60 il confine tra
teleteatro e teleromanzo è sempre più sottile, come dimostra anche il fatto che
si attinga sempre di più a temi di attualità o a ricostruzioni storiche, più che a
testi di stretta origine teatrale; alcuni esempi sono le serie Vivere insieme o
Teatro inchiesta. A ulteriore dimostrazione di questa vicinanza tra i due generi
resta da dire che molti registi di sceneggiati avevano iniziato la loro esperienza
proprio con il teatro televisivo; tra questi ci sono anche i due nomi più
rappresentativi del genere: Sandro Bolchi e Anton Giulio Majano. Ecco alcuni
esempi del teatro apparso in tv nel 1968: si passa da Cavalleria rusticana di
Verga, a Felicita Colombo di Giuseppe Adami, da Le commedie di Pantalone
alla Maria Stuarda di Schiller, da Napoli Milionaria di Edoardo De Filippo a
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Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, cit., p. 356.
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Processo a Gesù di Diego Fabbri all'Ifigenia in Tauride di Goethe
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La rivista teatrale, intorno alla metà del secolo scorso, rappresentava lo
spettacolo popolare per eccellenza, quindi fu naturale per la tv degli esordi
attingere a questa forma di intrattenimento. Negli gli anni ’50 i modelli di
questo genere erano rappresentati da Un, due, tre (andato in onda per sei
edizioni a partire dal 1954), costruito sugli sketch comici di Ugo Tognazzi e
Raimondo Vianello, o Canzonissima di Garinei e Giovannini. Gli anni ’60
portano una ventata di innovazione anche in questo campo: si realizzano
spettacoli più imponenti, con grandiose regie, scenografie maestose e balletti
raffinati. I programmi sono imperniati sugli ospiti, sia fissi che “d’onore”, vere
e proprie stelle della musica del calibro di Mina, nomi famosi quali Billi e
Riva, Tognazzi e Vianello, Walter Chiari, Dario Fo, Oreste Lionello, Sandra
Mondaini, Aroldo Tieri, e l’algida e professionale sensualità delle gemelle
Kessler, solo per citare alcuni dei protagonisti. Antonello Falqui, che proviene
dal decennio precedente, può essere considerato il regista per eccellenza del
varietà classico, caratterizzato da eleganza formale, maestosi movimenti di
macchina e scenografie liberty; sono suoi Giardino d’inverno (1961), Studio
Uno (1962), Biblioteca di Studio Uno (1964) Canzonissima (le edizioni più
famose sono quelle del ’68 e del ’69), nonché commedie musicali come La
vedova allegra o Felicita Colombo. Enzo Trapani rappresenta invece la novità
più radicale, con riviste senza conduttore, montaggi arditi, e l’impiego di
tecnologie all’avanguardia; negli anni ’60 si ricordano Alta pressione (del’62),
Il signore delle 21 con Marcello Marchesi (1963), e Senza Rete (del ’68 e del
’70). Quest’ultimo andò in onda per la prima volta nel '68, ma proseguì fino al
1975; si trattava di uno show musicale in cui si avvicendarono diversi
conduttori: Raffaele Pisu, Luciano Salce, Ric e Gian, Enrico Montesano, Paolo
Villaggio, Renato Rascel, Lino Banfi che debuttò proprio grazie a questo
programma; ogni puntata era dedicata a un cantante famoso, che per la prima
volta si esibiva in TV non in playback (la rete di protezione cui fa riferimento il
titolo) ma dal vivo e accompagnato da una grande orchestra. Tra i cantanti che
si alternarono sul palco di Senza rete si ricordano Rita Pavone, Johnny Dorelli,
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Per il genere del teleteatro si vedano Grasso-Scaglioni, Che cos’è la televisione, cit., pp. 151-
152, e Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, cit., p. 356-357.
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Mina, Gianni Morandi, Ornella Vanoni, Claudio Villa, Milva, Caterina Caselli,
Domenico Modugno, Little Tony. Un altro titolo rappresentativo dell’epoca è
Quelli della domenica: realizzato da uno stuolo di autori di tutto rispetto
(Maurizio Marchesi, Italo Terzoli, Enrico Vaime, Maurizio Costanzo), per la
regia di Romolo Siena e la direzione musicale di Gorni Kramer, vedeva
affiancarsi giovani talenti comici, come Cochi e Renato, Ric e Gian, e Paolo
Villaggio − che in questo frangente presentò per la prima volta i personaggi
del Professor Kranz e di Giandomenico Fracchia − insieme a ospiti famosi, tra
cui Little Tony, Caterina Caselli, Dori Ghezzi, Anna Identici
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Anche numerosi quiz arricchivano i palinsesti del periodo; il genere
prendeva spunto dal modello americano, e in Italia era già stato sperimentato
alla radio con ottimi risultati; nel passaggio in televisione guadagna in
spettacolarità, tanto da costituire una sorta di ibrido con il varietà. In effetti il
pubblico italiano necessita di show più lunghi rispetto al prototipo statunitense,
e di un arricchimento degli scarni meccanismi di gioco. Ciò avviene, appunto,
oltre che con l’inserimento di elementi spettacolari, tramite il maggiore
coinvolgimento umano. Il tutto si manifesta con la realizzazione di programmi
modellati ad hoc sulla personalità del conduttore, in una maggiore enfasi data
alle caratteristiche individuali dei concorrenti, nella presenza di ospiti illustri in
qualità di “padrini” e “madrine”, di una valletta più caratterizzata, e
nell’introduzione di canzoni, filmati, e numeri di spettacolo a supporto dei
giochi. Si ricorda ad esempio Su e giù, condotto da Corrado e basato sul
meccanismo del gioco dell'oca: i concorrenti dovevano avanzare su di un
tabellone di 40 caselle rispondendo alle domande del conduttore; arrivati alla
casella finale erano tenuti a ricostruire un puzzle per vincere il premio e poter
tornare la settimana successiva. Come contorno al gioco c'erano sketch comici,
balletti, e un ospite diverso in ogni puntata. Settevoci invece era un vero e
proprio quiz a carattere musicale, condotto da un giovane Pippo Baudo e con la
regia di Maria Maddalena Yon. In ogni puntata erano ospiti sette cantanti: 2
emergenti, 4 affermati e uno celebre; i primi due venivano giudicati
dall'applausometro, un apparecchio che misurava l'intensità degli applausi del
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Per il varietà si veda Grasso-Scaglioni, Che cos’è la televisione, cit., pp. 185-188.
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pubblico in studio; i quattro cantanti affermati venivano affiancati da altrettanti
concorrenti che partecipavano al quiz rispondendo a domante di carattere
musicale, e il vincitore era sempre decretato dal pubblico presente in studio,
che si trovava così a diventare protagonista. Settevoci è anche un valido
esempio a dimostrazione del ruolo centrale svolto dalla musica leggera: infatti
è intorno a questa e alle canzoni italiane del momento che molto spesso
vengono costruiti sia programmi di varietà che veri e propri quiz.
La canzone è uno dei capisaldi della programmazione leggera e di
intrattenimento della tv di massa; e infatti, dopo la rivoluzione del magnetico,
quando il mezzo perde in parte il proprio ruolo di documentazione della realtà
nel suo svolgersi, il Festival di Sanremo diventa l’unico grande appuntamento
in diretta della programmazione annuale
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La televisione in questo periodo accompagna anche la trasformazione della
società italiana alle prese con il miracolo economico, potremmo anzi dire che si
fa promotrice di questo cambiamento verso il consumismo, attraverso la
presentazione di beni materiali e l’esibizione di uno stile di vita lontano dalla
realtà italiana ancora spesso afflitta da una grande povertà; fondamentale in
questa trasformazione dei consumi è la pubblicità, che si esprime in una
maniera totalmente originale attraverso Carosello. Obbedendo alla necessità di
mantenere l’immagine di servizio pubblico, com'è noto il messaggio
pubblicitario era imbrigliato nei 30 secondi finali di filmati di 2 minuti in cui si
cimentarono i più importanti registi e attori, in modo da conferire
all’operazione una giustificazione artistica; tali filmati − che potevano anche
essere cartoni animati, infatti la trasmissione era molto amata dai bambini −
venivano raggruppati nel numero di 4 o 5 all’interno di Carosello appunto, un
programma vero e proprio, della durata di circa 10 minuti, con tanto di sigla di
apertura e chiusura, che andava in onda subito dopo l’edizione serale del TG.
Nel 1968 la sua collocazione è sempre ben definita e delimitata, e va ancora in
onda tra il TG della sera e lo spettacolo di prima serata; in questo periodo
contiene ogni volta 5 sketch diversi destinati a reclamizzare altrettanti prodotti,
e per i lettori del «Radiocorriere» è possibile sapere in anticipo che cosa
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Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, cit., p. 348.