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INTRODUZIONE
Una prospettiva psicologica sulla malattia ci permette di inserire l’esperienza
soggettiva di malattia nel contesto di vita del paziente, considerandola un modo
di anticipare gli eventi della propria esistenza e superando la dicotomia mente-
corpo. Partiamo dal presupposto teorico che non vi sia una realtà indipendente
dal soggetto che la conosce, il quale pone in atto una forma attiva di costruzione
della realtà. Kelly (1955) sostiene nel postulato fondamentale, che il soggetto sia
essenzialmente un processo, così come anche più tardi Maturana (1993).
Secondo questa prospettiva è lecito considerare mente e corpo non come entità
distinte, ma come due punti di vista differenti dai quali osservare lo stesso
processo, l’essere umano. La malattia, secondo Kelly, è espressa in modo
comportamentale, come se l’individuo avesse perso i fili di domande che
potevano essere poste in modo migliore. Così i sintomi sono domande urgenti
per le quali l’individuo cerca una risposta.
La fiducia che attualmente viene riposta, da un numero sempre crescente di
persone, nelle tecniche di cura alternative, per la cura dei più svariati disagi e
malattie, forse risponde alla necessità di comprendere se stessi nella propria
globalità. La notizia recentissima sulla capacità di effettuare interventi chirurgici
senza un’anestesia farmacologica ma sotto ipnosi, dovrebbe fugare più di un
dubbio sulla sempre viva ‘questione mente-corpo’.
La Ricerca presente in questo lavoro di tesi, effettuata presso il Centro
Multidisciplinare di Day Surgery di II livello della Clinica Chirurgica Prima di
Padova, ci ha permesso di conoscere l’ulcera cutanea a partire dalle narrazioni
dei pazienti, offrendoci la possibilità di arricchire ulteriormente la conoscenza su
quella ‘terra di confine’ chiamata malattia cronica. L’ulcera obbliga le persone a
convivere con le proprie ‘gambe malate’ per lunghi periodi, anche per decine
d’anni, il dolore diventa quasi un amico, non è solo nel corpo, ma è il corpo. Il
confine fra salute e malattia rimane incerto, in un punto soggettivo del proprio
tracciato (Kelly, 1955). La sfida epistemologica parte dall’accettare le sfumature
e le apparenti contraddizioni che la malattia porta con sé, provando a
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comprendere l’anticipazione unica e soggettiva con cui ognuno costruisce la
propria esistenza, anche stando (being)
2
nella malattia.
Nel presente lavoro verranno affrontate nel primo capitolo le premesse teoriche
sulla questione mente-corpo finalizzate ad una lettura della malattia cronica, e
dell’ulcera in particolare, considerandola embodied
3
. La prospettiva teorica cui
fare riferimento è quella dei costrutti personali (Kelly, 1955).
Nel secondo capitolo sarà affrontato il tema delle ulcere cutanee croniche a
partire dalla letteratura medica e psico-sociale esistente, per provare a gettare un
po’ di luce su questa patologia non molto conosciuta ma che colpisce dall’1% al
3% della popolazione italiana a seconda delle casistiche (AIUC, 2013).
Nel terzo capitolo verrà presentata la Ricerca di tipo qualitativo effettuata tra
marzo e aprile di quest’anno, presso il Centro Multidisciplinare di Day Surgery,
il quale vanta un’esperienza pluriennale nella cura di questa patologia, con un
campione di 21 pazienti.
Il capitolo conclusivo è dedicato ai risultati ottenuti dall’analisi delle interviste
secondo l’approccio della Grounded Theory
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, con la quale osservazione ed
elaborazione teorica sono andate di pari passo, facendo emergere alcune
dimensioni di significato che hanno evidenziato temi ricorrenti e traiettorie
personali per affrontare la malattia. Nella discussione ho tentato un
inquadramento del significato della malattia in ottica costruttivista, proponendo
alcune ipotesi e alternative complementari per la cura.
2
In italiano la forma being è solo parzialmente traducibile, poiché perde quella caratteristica di
continuità che è ben resa con il present continous in inglese , e che rimanda all’idea di processo
continuo.
3
Il termine tradotto in italiano ‘incarnato’, non rende pienamente il significato come in inglese.
4
Approccio di ricerca sociale che si ispira al paradigma ‘interpretativo’ teorizzata da Glaser e Strauss nel
loro lavoro The Discovery of Grounded Theory (1967) che si colloca nell’ambito delle metodologie di
ricerca qualitativa.
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PRIMO CAPITOLO
Premessa teorica
1. Il problema mente-corpo
Il problema mente-corpo rinvia alla questione metafisica sull’origine e la natura dei
processi fisici e psicologici, e di come questi siano in relazione fra loro. L’ambito
d’indagine della Psicologia della salute è un terreno particolarmente fertile per sondare
la questione mente-corpo. Il problema risulta infatti maggiormente evidente nei
tentativi, spesso vani, della medicina classica, di render conto del perché di alcune
malattie, di processi patologici, o di guarigioni ‘miracolose’. Nonostante la vasta
conoscenza elaborata dalla disciplina medica relativamente al mondo fisico, subentra il
dubbio, liquidato solo dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto, con rapide soluzioni
che rientrano nell’ambito di pertinenza della psico-somatica o della psicologia.
Il problema del rapporto tra mente e corpo è uno dei problemi tradizionali della filosofia
della mente
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, che esplode nell’età moderna con Cartesio e arriva fino ai giorni nostri.
Tradizionalmente si possono individuare due grandi filoni: il monismo ed il dualismo. Il
primo sostiene che l'organismo umano si presenti come un'unica realtà, basata su una
sola sostanza fondamentale, di cui sia mente che corpo sono parti differenti ma
correlate. Il secondo afferma invece che mente e corpo, essendo sostanzialmente
differenti vadano considerati separatamente.
Il problema può essere riassunto nella domanda: esiste il mondo fisico? Quello che
appare potrebbe essere tutto un sogno, un’allucinazione, mentre non si pone alcun
dubbio su ciò di cui si fa esperienza, se vi è coscienza di qualcosa (cogito ergo sum). Si
può dubitare dell’esistenza degli oggetti al di fuori di questa esperienza, ma non si può
dubitare che esista il soggetto di questa esperienza. Riguardo a che rapporto esiste tra il
«cogito» e il «corpo» Cartesio sostiene che il pensiero sia senza dubbio distinto dal
corpo, tant’è che mi posso cogliere chiaramente e distintamente come esistente,
prescindendo dall’esistenza oggettiva del corpo. Si tratta di un dualismo ontologico che
fornisce un supporto alla convinzione dell’immortalità dell’anima, ma crea un problema
che assillerà a lungo grandi pensatori: se mente e corpo non hanno nulla in comune,
come fanno a interagire tra loro? E perché dovrebbero interagire? Il problema è molto
attuale e forse ancora lontano da una risposta definitiva e condivisa dalla comunità
scientifica nel suo complesso.
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Lo studio filosofico della mente, degli atti, della coscienza e delle funzioni mentali cognitive e delle loro
relazioni con il cervello, il corpo e il mondo.
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I diversi paradigmi psico-sociali che si sono alternati nel corso del tempo, hanno
proposto teorie, metodi e criteri per provare a dare una risposta alla questione.
La visione positivista del novecento si fondava su alcuni presupposti teorici di chiarezza
e linearità che già avevano caratterizzato il positivismo ottocentesco, primo fra tutti il
realismo ontologico: il mondo esiste indipendentemente dalla nostra conoscenza. La
principale conseguenza di questo assunto fu lo sviluppo di un modo di parlare nuovo
con un linguaggio mutuato dalla matematica e dalla statistica. Lazarsfeld (1955) lo
chiamò il linguaggio delle variabili: ogni oggetto sociale a partire dall’individuo veniva
analiticamente definito sulla base di attributi e proprietà, le variabili, e alla somma di
queste, ridotto. La variabile, con i suoi caratteri distintivi di oggettività e
operazionabilità diventava protagonista assoluta dell’analisi, senza più bisogno di
ritornare alla ricomposizione di quell’unitarietà originale, caratteristica imprescindibile
dell’individuo da cui l’analisi partiva. La misurazione delle variabili, la distinzione in
dipendenti e indipendenti, la quantificazione delle relazioni intercorrenti e la
formulazione di modelli causali offriva un modello formale che organizzava la
conoscenza in una forma manipolabile, tale da poter essere sottoposta a indagine
empirica.
Wilhelm Wundt, applicando il metodo sperimentale allo studio dei fenomeni psichici,
fondò la moderna psicologia sperimentale, dando vita alla psicologia come scienza
autonoma. Egli studiò la psiche applicando i procedimenti quantitativi della matematica,
giungendo a sostenere che tra fenomeni psichici e fenomeni fisici, tra mente e corpo,
esiste uno stretto parallelismo.
Oggi l’ambito di indagine è di competenza delle neuroscienze: lo studio scientifico dei
meccanismi biologici che, in tutte le specie animali e nell’uomo, producono e regolano
le funzioni della mente. Coscienza, autocoscienza e processi mentali di ordine superiore
non sarebbero unitari e indivisibili. Acquistano sempre maggiore importanza i modelli
selettivi, come il ‘connessionismo’ e il ‘darwinismo neuronale’. Nella visione
connessionistica, per esempio, l’intelligenza del sistema risiede nello schema di
interconnessione tra i nodi, capace di modificarsi spontaneamente con l’esperienza. Non
riesce tuttavia a cogliere i meccanismi della plasticità sinaptica e neuronale.
Parallelamente al positivismo, si è affermato un approccio collocabile genericamente
sotto il termine di ‘interpretativismo’, il quale abbraccia tutte le visioni teoriche per le
quali la realtà non può semplicemente essere osservata, ma va interpretata. Da un punto
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di vista ontologico qui s’inseriscono costruttivismo e relativismo, che contemplano
l’esistenza di realtà multiple: il mondo conoscibile è quello del significato attribuito
dagli individui. L’esperienza vissuta è il punto di partenza di ogni conoscenza e l’uomo
compie le proprie esperienze attraverso il proprio corpo.
Questa corrente ha origini antichissime, già con la scuola sofista (V secolo a.C.) si
afferma attraverso Protagora il relativismo come forma di conoscenza: ‘L’uomo è la
misura di tutte le cose’. Il costruttivismo filosofico fonda le sue origini nel pensiero di
Husserl, filosofo tedesco che ebbe modo di conoscere e seguire a Vienna le lezioni di
Brentano, la cui psicologia descrittiva, incentrata intorno alla nozione-chiave di
intenzionalità, alimentò tutta la sua riflessione successiva (Philosophie der Arithmetik,
1891). Fra gli esponenti principali del costruttivismo troviamo Von Glasersfeld, Von
Foerster, Maturana e Varela, Morin, Le Moigne, Goodman.
Maturana e Varela (1972) propongono l’idea dell’essere vivente come ‘macchina
autopoietica’ che produce continuamente se stessa, “per mezzo di produzione continua
e ricambio dei suoi componenti, quello che caratterizza gli esseri viventi è quello che si
perde nel fenomeno della morte”. L'impostazione rimane fondamentalmente
deterministica, inoltre i sistemi viventi vengono ora spiegati in termini di relazioni e non
in termini teleologici. L’altro punto importante è che i componenti di una macchina
autopoietica non sono oggetti o elementi fisici statici o individuali, ma processi, come
per esempio le reti metaboliche della cellula.
L’interpretativismo si discosta radicalmente dal positivismo, affermando non solo
diversi ambiti d’indagine, ma diverse tecniche e procedure di ricerca. L’impostazione
soggettivista non può adottare il linguaggio delle variabili, poiché ciò che è soggettivo,
personalmente costruito, sfugge alla quantificazione oggettiva, e solo attraverso
l’immedesimazione empatica può essere colto e compreso. L’essere umano deve essere
colto nella sua interezza, non è scomponibile in variabili misurabili matematicamente, e
non è riconducibile alla somma delle sue parti. Anche l’affermarsi del concetto di
personalità, seppure nelle sue variabili e nelle difficoltà di definizione, poneva in
evidenza la questione del ‘sé’ come filtro di tutte le esperienze e come modo, soggettivo
appunto, di interpretare la realtà. Maturana e Varela (1987) sostengono che bisogna
mettere l’oggettività tra parentesi: questo termine indica come la "realtà" sia un percorso
cognitivo ritagliato all’interno di altri percorsi cognitivi possibili, ponendo tra parentesi
la pretesa di un'oggettività da descrivere indipendentemente da chi la osserva.