INTRODUZIONE
“Voglio dire che in Kosovo, come del resto dei Balcani, è necessario astenersi da giudizi
affrettati. Più che altrove bisogna studiare, cercare la storia dei luoghi e delle persone,
cogliere i segni, annusare l’aria, sapere cosa c’era prima…Altrimenti, se ci si fida delle
prime impressioni o di quello che appare in superficie, si rischia di non capire. Qui più
che in altri luoghi la vita è complessa, difficile da ricostruire. Qui più che mai, bisogna
diffidare delle spiegazioni troppo semplici, che spesso nascondono menzogne”
2
.
La scelta di fare una tesi sul Kosovo, o meglio sull’esercito di liberazione del Kosovo,
l'UçK, è nata da un mio viaggio nella regione come volontaria nell’estate del 2008 con
l’ONG Ipsia.
Giunti in Kosovo si coglie immediatamente quella euforia che mostrano gli albanesi per
l'Uçk: monumenti, cimiteri e scritte sui muri raccontano la storia di questo esercito di
liberazione che da un piccolo gruppo di guerriglieri si è trasformato in un mito storico
per la maggioranza della popolazione kosovara.
Adem Jasharj è l'icona di questo mito. La casa dove il guerrigliero visse prima di essere
ucciso dalle milizie serbe, a Donji Prekaz, è un vero e proprio museo; una guida
accompagna i visitatori tra le macerie rimaste.
Conoscere e capire cos'è stato l'Uçk è diventato per me fondamentale per comprendere
il Kosovo.
Ho così iniziato a raccogliere materiale in Italia: libri che raccontavano la storia del
Kosovo, quotidiani, riviste e siti internet. In seguito, ho ritenuto necessario ritornare una
seconda volta in quella terra sfortunata.
Nel febbraio del 2009 mi ritrovavo così ancora in Kosovo, precisamente a Prizren, una
piccola città nella zona di Dugajini, nel sud del Kosovo. In due settimane dovevo
accumulare un po' di materiale utile per la mia tesi.
6
2
Gentilini, Fernando, Infiniti Balcani. Viaggio sentimentale da Pristina a Bruxelles, Bologna, Pendragon,
2007, p. 24.
Durante la prima settimana sono così riuscita a intervistare tre uomini diversi uno
dall'altro: un ex combattente dell'Uçk albanese di Albania, il sindaco e un consigliere
comunale dell'enclave serba di Klinë/Klina. Inoltre, ho incontrato e conversato con un
monaco serbo, un professore di albanologia e un ragazzo kosovaro.
Queste interviste mi hanno aiutato a ricostruire il contesto storico e sociale di questo
paese. Ritengo che per cercare di comprendere la storia di un luogo, lontano dalla nostra
visione culturale e sociale, sia necessario poter vivere quel paese, guardarsi attorno,
entrare nella sua realtà, rapportarsi con la gente, andare oltre l'apparenza e la visione
occidentale delle cose.
Fare interviste chiedendo dell'Uçk, non è semplice. Innanzitutto, prima di iniziare con
domande generali sull'argomento da trattare, si deve considerare che tipo di persona si
ha davanti e chiedersi se possa essere disponibile a raccontare la sua esperienza.
Domande politiche o troppo particolari possono far terminare all'improvviso l'intervista,
senza aver ricavato nessuna informazione utile per la propria ricerca.
Un esempio di una mia intervista che non è andata a buon termine è quella che ho
cercato di fare all'amministratore dell'enclave serba di Klinë/Klina. Consigliata dal mio
interprete mi sono presentata come una studentessa che sta studiando la situazione tra
serbi e albanesi del Kosovo. Non ho parlato di Uçk, perché se gli albanesi sono ben
felici di incontrare qualcuno che si occupa del loro esercito, per i serbi non è così: l'Uçk
è stato per loro un gruppo di terroristi. Dopo avergli chiesto come è la situazione in
Kosovo tra serbi e albanesi, gli chiedo ingenuamente: “cosa pensa lei della politica di
Milosevic?” La sua risposta è breve ma chiara: “è una domanda troppo personale”. Con
questa sua risposta ho capito che non potevo più né fargli altre domande sulla guerra né
soprattutto sull'Uçk. La mia intervista era così finita.
Comunque ho trovato anche molta gente gentile e disposta ad aiutarmi; l'ex combattente
dell'Uçk era ben felice di raccontare la sua storia a una studentessa italiana curiosa di
conoscere la storia del Kosovo e dell'esercito di cui ha fatto parte. Anche la
conversazione con il professore di albanologia è stata lunga, ma molto interessante e
piacevole. Sarebbe rimasto ore e ore a raccontarmi del Kosovo e della sua esperienza
personale.
7
Grazie al mio interprete albanese del Kosovo Blerim, che conosceva un giornalista del
giornale albanese Koha Ditore
3
, ho avuto modo di entrare nella sede centrale del
quotidiano, che ha come ex direttore Veton Surroi
4
, e consultare gli articoli del giornale
dal 1997 al 1999.
Non avendo molto tempo, ho considerato solo gli articoli principali che parlavano
dell'Uçk.
Prima di addentrarsi nella storia dell'Uçk, nel primo capitolo mostro il Kosovo da un
punto di vista geografico, sociale e storico. L'arco di tempo che prendo in
considerazione inizia dalla battaglia di Kosovo Polje del 1389, dove i popoli balcanici si
scontrarono contro gli invasori ottomani.
In questo primo capitolo cerco di leggere due storie del Kosovo: quella albanese e
quella serba. Gli albanesi si considerano gli eredi degli illiri, uno dei più antichi popoli
che per prima hanno abitato in Kosovo, e ritengono il 1878, anno della Lega di Prizren,
come la data simbolo della nascita del loro nazionalismo, per cui il Kosovo è così
ritenuto come la loro terra madre. Per i serbi il Kosovo è invece la terra sacra, la terra
dove vi sono più monasteri ortodossi che in altre zone della Serbia, la terra dove nel
1389 subirono una pesante sconfitta da parte degli ottomani che determinò la fine del
regno del principe Lazar e l'inizio dell'occupazione musulmana.
Esaminare queste due letture del passato è, oltre che interessante, anche necessario per
comprendere successivamente l'origine dell'Uçk.
Pertanto seguendo sempre un filo storico – cronologico, nel secondo capitolo, presento
l'origine dell'Uçk analizzando quattro possibili cause che sono state determinati per la
storia del Kosovo e per la nascita del movimento di liberazione: la politica del governo
di Belgrado dal 1918 al 1989; la pace di Dayton e l'irrisolta questione del Kosovo da
parte delle potenze europee; la politica della non violenza di Rugova negli anni novanta
e il movimento nazionalista albanese; e per finire l’Albania di Hoxha e la crisi
economica del 1996 – 1997.
8
3
Il nuovo direttore del quotidiano albanese è il giovane Agrom Bajrami.
4
Veton Surroi è un importante giornalista e politico del Kosovo. Egli è inoltre il fondatore ed ex leader
del partito riformista ORA; è stato anche membro dell'Assemblea del Kosovo dal 2004 al 2008.
Se nei primi due capitoli ho fatto un lavoro soprattutto di lettura e analisi bibliografica,
dal terzo capitolo in poi analizzo la nascita e la crescita dell'Uçk attraverso i quotidiani
italiani e stranieri come: il Corriere della sera, La Repubblica, La Stampa, La Gazzetta
del Mezzogiorno, Il Messaggero, La Padania, il Manifesto, L'Avvenire, The New York
Times, Le Monde diplomatique e Koha Ditore; i settimanali: Panorama, Famiglia
Cristiana, L’Espersso, Internazionale; la rivista italiana di geo politica Limes; i
reportage di International crisis group
5
; portali internet di Osservatorio sui balcani
6
,
Notizie Est,
7
Caffè Europa
8
, Amensty International
9
, Osce
10
, Le Courrier des Balkans
11
e Radio Free Europe/Radio Liberty
12
. Ho ritenuto interessante e molto utile considerare
anche dei filmati che documentano la guerra in Kosovo: Nascita e morte di un nazione,
di Giancarlo Bocchi, i Dannati del Kosovo di Enrico Vigna, Presidente
dell’Associazione Sos Jugoslavia e La guerra infinita. Kosovo nove anni dopo di
Riccardo Icacona, andato in onda su Rai Tre il 19 settembre 2008.
Il 28 febbraio 1997 al funerale di un maestro ucciso dalle milizie serbe, due uomini
vestiti di nero si presentano come i rappresentanti del movimento di liberazione del
Kosovo: Uçk.
Da quel momento l'Uçk non è più considerato un gruppo di misteriosi guerriglieri: gli
attacchi contro le milizie serbe diventano sempre più numerose; è la guerra dell'Uçk
9
5
I reportage di international crisis group si trovano al portale www.crisisgroup.org.
6
Osservatorio sui Balcani è un progetto fondato nel 2000 e promosso dalla Fondazione Opera Campana
dei Caduti e del Forum Trentino per la Pace e i diritti umani, con il supporto dell'Assessorato alla
solidarietà internazionale della provincia autonoma di Trento e del comune di Rovereto. Il sito è
www.osservatoriosuibalcani.org.
7
Notizie Est è una testata on line fondata nel 1997 che si occupa principalmente di notizie e analisi
relative ai Balcani. Dal 2005 ha sospeso la pubblicazione di articoli e notizie per mancanza di fondi.
L'archivio dal 1997 al 2004 si trova al portale www.notizie-est.com.
8
Caffè Europa è una testata on line fondata nel 2003 che si occupa di attualità, cultura e società. Il sito è
http://caffeeuropa.it.
9
Amnesty international è un'organizzazione non governativa fondata nel 1961. Il sito internet è:
www.amnesty.it.
10
Osce: The organization for Security and Cooperation in Europe. Il portale è www.osce.org.
11
Le Courrier des Balkans è una testata online francese che si interessa soprattutto dei Balcani. Il sito
internet è: http://balkans.courriers.info.
12
Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL)è una delle principali organizzazioni d'informazione nel
mondo. Produce programmi per la radio, internet, e le televisioni soprattutto in paesi dove la libertà di
stampa è limitata. Il sito internet è www.rferl.org.
contro i serbi di Milosevic. Gli albanesi che vivono lontano dal Kosovo da molti anni
“sentono il richiamo” dell'Uçk: molti giovani decidono così di tornare in Kosovo e di
arruolarsi tra le sue file.
La pace di Dayton, dove le grandi potenze considerarono il Kosovo come un problema
della Serbia e la linea politica di Rugova che seguiva la via della non violenza, non
avevano portato a nessun risultato positivo: le violenze tra serbi e albanesi sembravano
essere aumentate.
A Ramboulliet si decise la guerra e non la pace. La Nato aveva già scelto come loro
alleati l'esercito di liberazione del Kosovo. Il rapporto Nato e Uçk è al quanto
particolare: prima i guerriglieri dell'esercito di liberazione erano stati accusati di essere
dei terribili terroristi proprio dalla Nato, in seguito, sono visti come la loro fanteria, il
loro esercito di terra.
La guerra dei 78 giorni contro i serbi di Milosevic inizia il 24 marzo 1999 e termina i
primi di giugno dello stesso anno.
É l'Uçk il vero e l'unico vincitore di questa guerra, in quanto questo gruppo di
guerriglieri che lottavano per la liberazione del Kosovo riuscì a conquistare la più
grande e più forte organizzazione mondiale: la Nato.
L'uccisione del giovane italiano Francesco Binder, che si era arruolato nelle file
dell'Uçk circa un mese prima della fine della guerra, espone inquietanti misteri che
stanno intorno a questo esercito. L'articolo di Giancarlo Bocchi, che apre il quarto
capitolo della tesi, ben analizza la storia di questo giovane italiano che decise di sposare
la causa dell'Uçk. Sorge così spontanea una domanda: cos'è effettivamente questo
esercito di liberazione?
É quello che cerco di spiegare in questo capitolo. Considero così due aspetti dell'Uçk: il
canale finanziario, come e da chi viene finanziato, e come albanesi, serbi e giornali
internazionali considerano l'Uçk: terroristi o guerriglieri?
L'ultimo capitolo è uno sguardo generale ai primi mesi di dopo guerra in Kosovo: la
trasformazione e la vendetta dell'Uçk contro serbi e albanesi collaborazionisti.
La storia dell'Uçk si conclude con il tribunale della ex Jugoslavia e in particolare, con
l'importante lavoro svolto dalla procuratrice svizzera Carla Del Ponte contro atti
criminali commessi da alcuni membri dell'Uçk.
10
Come fonti ho considerato il libro di Carla Del Ponte, La caccia, io e criminali di
guerra, e i documenti del Tribunale dell'Aja rilevati dal programma d'esame di Storia
dell'Europa Orientale, conseguito con il professore Calvetti, e dai reportage di
International Crisis Group.
Fare una tesi sull'Uçk é presentare il Kosovo attraverso un esercito sul quale si sono
dette tante falsità e altrettante verità. Chiedersi chi sia stato questo esercito di
liberazione significa che almeno una certezza, in questo caos balcanico, se si vuole c’è.
E come ben evidenzia con rabbia Roberto Saviano alla fine del suo libro Gomorra.
Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra: “Sapere, capire
diviene una necessità. L'unica possibile per considerarsi ancora uomini degni di
respirare”
13
.
11
13
Saviano, Roberto, Gomorra. Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra,
Milano, Mondatori, 2006, p. 331.
L'ORIGINE DEL NOME
Tutto il territorio del Kosovo è diviso in due metà quasi uguali: la metà ovest e la metà
est. La metà ovest del Kosovo è nota ai serbi con il nome di Metohija, “derivato da
metochia, parola greca-bizantina che significa proprietà monastica e rileva il fatto che
qui molti monasteri ortodossi ricevettero ricchi lasciti (terreni agricoli, fruttiferi e
vigneti) dai governanti serbi medievali”
14
. Invece la parte orientale del Kosovo è per i
serbi semplicemente nota come Kosovo. E così con Tito il nome ufficiale dell’unità
amministrativa di questa regione divenne Kosovo – Metohjia o abbreviato Kosmet.
La provincia prende il proprio nome dalla località di Kosovo Polje (Fushë Kosovë in
albanese), a nord di Pristina, teatro della battaglia omonima del 1389 che vide i serbi del
principe Lazar opporsi agli invasori ottomani del sultano Murad. In serbo Kosovo Polje
significa “Campo del merlo” o piana del merlo, essendo Kosovo la forma declinata e
possessiva della parola slava e serba “Kos”, merlo, ossia del merlo.
Però gli albanesi del Kosovo non sono d’accordo nel chiamare questa regione Kosovo -
Metohjia, dato che significherebbe riconoscere che l’identità di questo territorio sia
legata esclusivamente ai serbi. Così essi identificano la parte occidentale del Kosovo
con il nome Rarafsh Dukagijn, cioè l’altopiano di Dukagjin, nome di una famiglia
albanese che governò nel medioevo e diede il proprio nome anche a una parte del
territorio dell’Albania settentrionale, e chiamano tutta la regione (la parte occidentale e
orientale) semplicemente Kosova.
Diverse sono anche le terminazioni della popolazione albanese del Kosovo. I serbi in
gergo li chiamano “sciptari”, termine che era molto diffuso per dire “albanese”. Per i
turchi essi erano “arnauti”, termine ripreso anche da fonti storiche occidentali. I serbi
solevano chiamarli anche “arbanassi”
15
.
12
14
Malcolm, Noel, Storia del Kosovo. Dalle origini ai giorni nostri, Milano, Bompiani, p. 33.
15
Benedikter, Tomas, Il dramma del Kosovo. Dall’origine del conflitto fra serbi e albanesi agli scontri di
oggi, Roma, Datanews, 1998, p. 13.
In questo testo userò il termine Kosovo, più consueto sia in italiano sia
internazionalmente. Ciò non implica nessuna presa di posizione.
13
CAPITOLO 1
IL KOSOVO TRA GEOGRAFIA E STORIA
1.1 Kosovo: presentazione geografica, demografica e sociale
Il Kosovo non ha mai avuto dei confini precisi. Da un’analisi cartografica – storica non
risulta mai una nazione che riporta questo nome; infatti la terra in questione è sempre
stata annessa ad altri regni o dominazioni.
E così “il Kosovo benché abbia avuto un ruolo centrale nella storia dei Balcani, è
rimasto, per molta parte di quella storia, misterioso e poco conosciuto al mondo
esterno”
16
.
La causa di questa inaccessibilità del Kosovo, fu sia politica, in quanto contrassegnato
da continui disordini durante l’ultimo periodo dell’impero ottomano, sia geografica, che
ne sottolinea appunto l’isolamento e, allo stesso tempo, l’importanza quasi centrale.
Il Kosovo si estende su un’area di circa 10.887 kmq (poco più grande di una regione
come l’Umbria), al centro sud della penisola balcanica
17
.
Confina a nord-ovest con il Montenegro, a nord-est con la Serbia ed a sud con l’Albania
e la Macedonia. La catena montuosa più importante è quella dei monti Sar che corre ad
est del complesso montuoso dell’Albania settentrionale e forma molta parte del confine
meridionale del Kosovo. Tutti i fiumi che scorrono in Kosovo, sfociano in tutti i tre i
mari che bagnano i Balcani: l’Egeo, il mar Nero e l’Adriatico.
14
16
Malcom, Noel, Storia del Kosovo. Dalle origini ai giorni nostri, cit., p. 31.
17
Hosh E., Storia dei Balcani, Bologna, il Mulino, 2006, p. 2.
L’età media della popolazione kosovara risulta essere abbastanza bassa 24 anni.
Paragonata ai paesi europei la popolazione kosovara è così la più giovane d’Europa. È
dal 1981 che in Kosovo non viene eseguito un censimento, in quanto nel 1991 gli
albanesi decisero di boicottare quello jugoslavo. L’Ufficio centrale di statistica di
Belgrado dovette quindi ricorrere a stime che indicavano 1,8 milioni di abitanti, di cui
1.680.000 (82,2%) di etnia albanese. Le stime elaborate dagli studiosi albanesi (H.
Islami, Democraphic reality in Kosova) per il ’93 indicano il numero di abitanti in
2.1000.000, di cui l’87,8% albanesi, il 6,6% serbi e il resto appartenente ad altri gruppi
minori quali turchi, musulmani, slavi e rom. Infatti, secondo stime dell’Unione Europea
la popolazione totale del Kosovo nel 1998 risulta essere di circa 2.2 milioni di abitanti,
di questi l’82-90% appartenevano alla comunità albanese
18
.
Chi arriva per la prima volta in Kosovo e passeggia per Prishtinë/Priština sembrerà
apparentemente di trovarsi alla periferia di una città dell’Europa dell’est, palazzi grigi e
alti, costruzioni un po’ ovunque; la presenza di nuvole di grossi corvi neri, forse, gli farà
un attimo pensare che non si trova in una città dell’Europa più povera, ma è a Pristina,
dal 17 febbraio 2008 la capitale del Kosovo. A Prishtinë/Priština difficilmente riuscirà a
cogliere il peso che tuttora, in misura certamente minore di qualche anno fa, hanno le
tradizioni nella vita della maggior parte degli albanesi che popolano i villaggi e la
campagna. È evidente che la presenza degli internazionali e delle organizzazioni non
governative stanno trasformando anche la tradizione nei villaggi; in quanto i giovani
albanesi attratti dai costumi occidentali, lentamente si allontanano dal nucleo familiare,
dall’antica tradizione, che per secoli ha governato quest’area, così misteriosa e poco
conosciuta dalle popolazioni europee.
La tradizione albanese segue un codice di legge consuetudinaria, di antica data: il
Kanun.
Come racconta lo scrittore albanese Ismail Kadarè nel suo romanzo Aprile spezzato, il
protagonista, il giovane albanese Gjorg, commette un omicidio per “riscattare il sangue
del fratello”
19
ucciso da una famiglia rivale. L'omicidio per vendetta era dunque
15
18
Benedikter Tomas, Il dramma del Kosovo: dall’origine del conflitto fra serbi e albanesi agli scontri di
oggi, cit., p. 11.
19
Kadarè, Ismail, Aprile spezzato, Milano, Longanesi, 2008, p. 11.
riconosciuto dal Kanun, e anzi “prevedeva lo stato di turbamento in cui l'omicida poteva
cadere per il suo atto, e permetteva che gente di passaggio facesse ciò che lui non era
stato in grado di fare. Mentre era un'imperdonabile vergogna lasciare il morto disteso
bocconi e il fucile lontano da lui”
20
. Venuti a conoscenza dell'assassinio, i componenti
maschi della famiglia del defunto possono scegliere se conferire o meno la besa alla
famiglia rivale: “nozione fondamentale nel codice morale albanese: lealtà, impegno a
non attaccare, rispetto della parola data”
21
. Passato il tempo stabilito dalla besa, che può
essere di un giorno o anche di un mese, la famiglia del defunto può ulteriormente
vendicarsi sull'assassino o sui membri maschi della sua famiglia.
Un altro punto interessante che si ritrova nel Kanun è l’onore, l’onore che è strettamente
legato all’ospitalità. Secondo il Kanun l’ospitalità viene prima della vendetta, ossia essa
è il “comandamento dei comandamenti”. Insomma “l’ospite, agli occhi dell’albanese è
un semidio. […] La dimensione divina appare ancora più autentica quando si considera
che la si acquisisce d’improvviso una sera, soltanto per alcuni colpi battuti a una porta.
Dal momento in cui bussa alla tua porta e si affida a te come ospite, […] si trasforma
immediatamente in un essere fuori dal comune, in un sovrano inviolabile, legislatore e
fiaccola del mondo”
22
. E così offendere l’ospitalità, non rispettare l’ospite, equivale a
disonorare l’uomo albanese, che non perdonerà e si vendicherà con l’omicidio di chi
l’ha disonorato. “L’ospite, nella vita dell’albanese, è la categoria etica suprema, che
prevale persino sui legami di sangue. Si può fare remissione del sangue del padre o del
figlio, ma mai di quello dell’ospite”
23
.
È probabile che fu Stefano Costantino Gjecov, padre della provincia francescana di
Scutari, nato nel Kosovo nel 1874 e morto nel 1929, a raccogliere la consuetudini
giuridiche del popolo delle montagne dalla voce della gente
24
.
Altra letteratura identifica, invece, come prima opera di codificazione quella realizzata
dal principe Alessandro Dukagijni, detto Lek, intorno alla metà del 1400.
16
20
Ibidem, p. 10.
21
Ivi.
22
Kadarè, Ismail, Aprile spezzato, cit., p. 64 - 65.
23
Ibidem, p. 63.
24
Evangelista, Antonio, La torre dei crani. Kosovo 2000 – 2004, Roma, Editori Riuniti, 2007, p. 33.
Nel romanzo di Kadarè, Aprile Spezzato, ambientato probabilmente pochi anni prima
dell’arrivo di Hoxha, il Kanun è presentato come la legge consuetudinaria dei popoli
delle montagne “maledette” del nord; per chi vive a Tirana, come i due personaggi del
romanzo Berisa e la sua giovane moglie, il Kanun, è visto invece, come qualcosa che
allo stesso tempo è “terribile, assurdo e fatale, come tutte le grandi cose”
25
, lontano ma
anche nello stesso tempo vicino a loro, giovani di città:
“[…] perché il Kanun”, come ben spiega il giovane sposo Berisa alla sua consorte, “non
è soltanto una costituzione, è anche un colossale mito che ha assunto la forma di una
costituzione. Una ricchezza universale davanti alla quale il codice di Hammurabi o altre
legislazioni di quei paesi si riducono a giochi infantili. Per questo è inutile chiedersi al
riguardo, come bambini, se sia buono o cattivo. Come tutte le cose grandiose il Kanun è
al di là del ben bene e del male”
26
.
Pertanto secondo Berisa gli albanesi devono esseri fieri del popolo delle montagne,
perché “è l’unico che pur vivendo in uno Stato moderno europeo e non un insediamento
di tribù primitive, abbia rifiutato le leggi, […] tutti gli organi di Stato; […] per sostituirli
con altre regole morali così complete che furono necessariamente riconosciute dagli
amministratori degli occupati stranieri, poi dallo Stato albanese indipendente”
27
.
Ma come ben rileva il diplomatico italiano Fernando Gentili, queste parole che
nascondono il pensiero di Kadarè, “restano immagini bellissime ma niente di più”
28
.
Altro punto fondante della comunità albanese è la famiglia, o meglio il fis, la famiglia
allargata. Persiste così la famiglia estesa patriarcale, che raccoglie genitori e figli. La
famiglia rurale tipica è composta da 15 persone. Nell’ambiente rurale molti matrimoni
vengono spesso concordati dai genitori o dai parenti.
Così dopo aver presento a grandi linee il Kosovo di oggi dal punto di vista geografico,
demografico e sociale, è ora utile, porre attenzione alla storia del Kosovo partendo dalle
sue origini.
17
25
Kadarè, Ismail, Aprile spezzato, cit., p. 60.
26
Ivi.
27
Ivi.
28
Gentilini, Fernando, Infiniti Balcani. Viaggio sentimentale da Pristina a Bruxelles, cit., p. 24.
1.2 Il Kosovo per gli albanesi, il Kosovo per i serbi
“Il buon uso della memoria è quello che serve una giusta causa, non quello che si limita a riprodurre il
passato”
29
.
Secondo lo storico Tim Judah “in Kosovo, history is not really about the past, but about
the future. In other words, he who holds the past holds the future”
30
.
Il futuro si lega così inesorabilmente al passato, la storia diventa la protagonista assoluta
sia per i serbi sia per gli albanesi.
Dopo l’entrata delle truppe Nato nel Kosovo, il 12 giugno del 1999, gli albanesi
iniziano a distruggere le statue dei re medievali serbi. Poche settimane dopo, la casa
della Lega di Prizren, simbolo del Risorgimento albanese, viene incendiata.
Queste azioni non sono semplici atti di vandalismo, anzi, sottolineano perfettamente che
in Kosovo “history is war by other means”
31
.
Pertanto la rilettura della storia in chiave nazionalista, da parte sia dei serbi, sia degli
albanesi, anziché riequilibrare le conoscenze, si è trasformata in un inutile programma
politico e in un consapevole e potente strumento di propaganda
32
.
Secondo lo storico francese Todorov “la memoria”, qui nel senso storico, “non è né
buona né cattiva. I benefici che si spera di trarne possono essere neutralizzati, o
addirittura traviati dalla forma stessa che assumono i nostri ricordi, che navigano
costantemente fra due scogli complementari: la sacralizzazione, o isolamento radicale
del ricordo, e la banalizzazione, o assimilazione abusiva del presente al passato”
33
. La
18
29
Todorov, Tzvetan, Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico, Milano,
Garzanti, 2000, p. 194.
30
Judah, Tim, Kosovo, War and Revage, New – Haven London, Yale University Press, 2002, p. 1.
31
Ivi.
32
Bianchini, Stefano, Sarajevo. Le radici dell’odio, Roma, Edizioni Associata, 2003, p. 8.
33
Todorov, Tzvetan, Memoria del male, tentazione del bene, cit. p. 195. Lo storico francese fa un’analisi
interessante e molto accurata sul XIX secolo, domandandosi “come ci si ricorderà un giorno di questo
secolo”? E parafrasandolo mi domando: “come ci si ricorderà tra altri dieci anni del conflitto serbo
albanese, e in generale dei Balcani?”