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Introduzione
L’idea di questo elaborato mi è sembrata fin dall’inizio molto simile alla
costruzione di puzzle. Per quanto mi sembrasse una forma indefinita nei primi
giorni in cui ho iniziato a scriverne, ho osservato come lentamente prendesse
forma in seguito all’aggiunta di un pezzo dopo l’altro. Le parti prima distanti e
apparentemente lontane sia fisicamente che concettualmente si sono
progressivamente avvicinate grazie ai collegamenti che le hanno rese parte di un
disegno d’insieme.
Ritengo importante all’interno di un testo che cerca di mettere in evidenza la
rilevanza della persona in un contesto, lavorativo/formativo, evitare di dare per
scontato un aspetto importante come quello relativo alla persona che il testo lo
scrive. Prima di potermi occupare del resto, credo sia doveroso dare ai lettori
alcune informazioni relative al punto di partenza in cui mi trovo. La realtà che
andrò a descrivere nei prossimi capitoli, non è un punto zero prima del quale non
esisteva nulla. A tale proposito mi torna in mente un esperimento di ricerca a cui
ho partecipato nel mese di settembre 2013. L’esperimento consisteva nel guardare
il nostro alter ego virtuale compiere un percorso sullo schermo di un computer ed
in seguito, con il supporto del mouse e della tastiera, bisognava far ripetere al
nostro avatar lo stesso identico percorso. La difficoltà consisteva nel fatto che
la mappa del luogo veniva visualizzata da prospettive diverse da quella originale.
Realizzai discreti punteggi in tutte le prove ad eccezione della prima. Questo mi
dissero in fase di restituzione. Per me fu abbastanza semplice spiegare come mai
quelle prove presentavano risultati così diversi. In maniera piuttosto ingenua non
avevo prestato attenzione ad un aspetto molto importante. Oltre alla prospettiva
cambiava anche il punto di partenza e di questo mi sono reso conto solo dalla
seconda prova. Ora provate a pensare di non considerare in un ambiente di lavoro
il punto di partenza. Basti pensare la differenza che si può rilevare fra un
ambiente appena avviato e che si sta espandendo confrontato con un ambiente in
lavorativo in piena recessione. Lo stesso tipo di intervento di osservazione
sarebbe profondamente diverso, a meno che non fossimo tanto ingenui da voler
fingere che questo aspetto possa essere tenuto al di fuori delle nostre
considerazioni.
In quest’ottica voglio premettere il percorso che mi ha portato qui affinché sia
più facile capire le sfumature di quello che andrò a scrivere.
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Ho una laurea in psicologia clinica e di comunità per cui è possibile che le mie
idee e considerazioni possano essere influenzate dagli studi precedenti. Non ho
mai speso questo titolo in maniera tradizionale ma penso di averne usufruito
costantemente in tutti gli ambiti lavorativi in cui mi sono speso in questi anni.
In particolare dal 2007 lavoro come docente in enti di formazione professionale e
nei corsi di formazione per lavoratori con contratto di apprendistato. Cosa
insegno? Laboratorio d’informatica. Come ci sono capitato? Nel fare un favore ad
un amico che collaborava con una società che al tempo non aveva personale a
sufficienza per coprire tutti gli incarichi di cui era responsabile. Ci tengo ad
aggiungere che essendomi diplomato presso un istituto tecnico commerciale, avevo
scelto un particolare indirizzo che mi avrebbe permesso di aggiungere la dicitura
“e programmatore” a fianco del titolo di ragioniere. Questo unito ad una passione
per la tecnologia mi hanno fornito il così detto Know-how. Quello che non sapevo
era che in realtà, specialmente negli enti di formazione professionale, sarebbe
stato molto più utile il mio saper fare in ambito psicologico. Col passare del
tempo i miei interventi si sono concentrati sempre meno con le persone con
contratto di apprendistato e sempre di più nei percorsi di obbligo formativo ora
denominati d’istruzione e formazione professionale. Negli ultimi anni il mio
lavoro si è concentrato in un ente in particolare, l’E.n.f.a.p. nella sua sede
operativa di Forlì. Sarà proprio questo ente ad essere preso in considerazione in
maniera più dettagliata al fine di approfondire una serie di argomenti e favorire
un buon numero di riflessioni, che spero possano maturare di capitolo in capitolo.
Il mio obiettivo è molto modesto, ma con presunzione spero di riuscire a
raggiungerlo. Quello che mi prefiggo è che durante la lettura dei prossimi
capitoli chiunque legga questo testo possa alla fine mettere in discussione il
proprio atteggiamento nel portare avanti la propria attività lavorativa, magari
anche semplicemente pensando di aver letto un sacco di sciocchezze e che nessuno
sarebbe così ingenuo nel prestare attenzione alle questioni sollevate. Questo
significherebbe comunque che un’autocritica è stata fatta, che un confronto fra
quello che leggerete e il vostro modo di essere professionali è avvenuto c’è stato
un avvicinamento uno sguardo magari in seguito si è deciso di ignorare quanto
letto, di respingerlo o amarlo, ma se ci fosse un confronto per me sarebbe già un
successo. Non ho la pretesa d’insegnare il lavoro a nessuno, ma la schiettezza di
riferire situazioni: alcune mi si sono presentate, altre in cui ho agito in modo
che si realizzassero. Da tutte queste ho tratto una serie d’indicazioni che ho il
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desiderio di condividere e non imporre, anzi sarei ben lieto di ricevere tutte le
note del caso, purché come spero di fare io nelle prossime pagine, siano
adeguatamente argomentate.
L’E.n.f.a.p. non è l’unica mia attività e come dicevo prima mi pare corretto
descrivere in toto la mia situazione di partenza affinché si possano capire meglio
le mie posizioni. Contemporaneamente alla laurea in psicologia, un po’ come hobby
un po’ per passione, un po’ per non fare eccessivamente la vita dello studente
squattrinato, mi sono dedicato alla carriera parallela di allenatore sportivo. In
particolare mi sono dedicato al calcio nello specifico nel settore giovanile e
scolastico. Questo aspetto non è secondario, perché le sovrapposizioni di
argomenti sono frequenti e queste informazioni devono essere conosciute dal
lettore. Ho iniziato come allenatore, poi come responsabile di una scuola calcio
che contava oltre duecento iscritti, mi è valsa la possibilità di entrare a fare
parte della F.I.G.C., organo preposto all’organizzazione, valutazione e
regolamentazione dell’attività sportiva sul territorio italiano. Come tesserato
F.I.G.C. seguivo principalmente l’area psicopedagogica. Durante lo svolgimento dei
corsi di formazione per allenatori di calcio promossi dal C.O.N.I. e dalla
F.I.G.C. avevo la funzione di docente per le ore dei corsi inerenti a quest’area
tematica. In quelli riguardanti gli allenatori dell’attività di base (5-12 anni)
ho partecipato a molte edizioni in quasi tutte le provincie della regione Emila
Romagna. Quelli riguardanti l’attività agonistica dai 13 anni in su sono stato
coinvolto principalmente dalle provincie di Forlì-Cesena e Bologna. Sono stati
questi corsi insieme alle docenze presso gli enti di formazione professionale che
un bel giorno mi hanno fatto riflette su un aspetto che mi ha scioccato. Il ruolo
di docente mi piaceva tantissimo. Una professione che non avevo mai considerato.
Se ripenso a quando da adolescente mi disperavo per un interrogazione al pensiero
di dover parlare in pubblico, a come sono ora in cui spesso durante docenze con
molto pubblico motivato, come i corsi allenatori, dove ci sono persone che fanno
cinque settimane di martirio per seguire tutto il corso, mi tocca concludere quasi
sempre scusandomi per essermi dilungato. Realizzato il fatto di provare interesse
per questa professione mi sono detto, perché non tentare di accedewre
all’insegnamento in maniera più congruente coi miei studi ed ho avviato un
percorso che spero mi porti verso questo traguardo. Durante il percorso sono
entrato più volte in contatto con il mondo dell’insegnamento della formazione e da
qui la mia curiosità verso questo tema. Trattare la professionalità nell’ambiente
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di lavoro. Analizzare se in un esperienza concreta come quella dell’E.n.f.a.p. si
dia importanza al solo know-how dei docenti o se ci siano altri aspetti rilevanti
e quanto questi vengano presi in esame consapevolmente. Se sia possibile pensare
di organizzare la formazione delle persone che andranno ad occuparsi d’istruzione
e formazione qualora si ritenesse che altri attributi potrebbero valorizzare le
potenzialità dei docenti e a cascata di tutti gli studenti che avrebbero a che
fare con questi docenti.
Partiamo da un presupposto, gli insegnanti nel bene o nel male sono persone che
entrano di prepotenza nella vita degli studenti, la scuola è “dell’obbligo” fino
ad una certa età e vista l’incedibile limitatezza nella possibilità di scelta
della scuola per gli Italiani (Floris, 2008) è evidente che la fortuna abbia un
peso piuttosto rilevante nella formazione futura dei nostri allievi. Capitare con
il professore giusto piuttosto che con quello che deve passare la mattinata in
qualche modo in attesa che arrivi il giorno della paga sarà sicuramente un fattore
che inciderà molto nella carriera scolastica di un ragazzo. A tal proposito
durante la lettura dei diversi capitoli vi invito a pensare ai docenti che avete
avuto nel corso della vostra formazione di professionisti, cosa e chi vi ha
portato ad essere ciò che siete. Riconoscere nelle descrizioni certi stereotipi
con cui avete interagito durante la vostra carriera scolastica può essere l’inizio
di una prima riflessione. A questo proposito non posso esimermi dal dedicare
almeno qualche riga ad alcune perone significative nella mia vita da studente.
Escludendo per motivi di opportunità quelli dell’ultimo corso di laurea che
ringrazio in maniera generica per aver compreso lo sforzo di uno studente
lavoratore che tenta di laurearsi in corso, soprattutto avendo pazienza nelle
registrazioni degli appelli e ai ricevimenti ai quali giungevo trafelato mentre mi
spostavo da una sede di lavoro alla successiva. Trovo sia opportuno indicare
alcuni degli insegnanti che sono stati significativi per due motivi. Il primo
perché l’argomento principale di questo lavoro è quello di invitare alla
riflessione le persone che lo leggeranno. Riflessione su quanto incidano fattori
diversi dal know-how in ambito professionale soprattutto in contesti legati
all’istruzione. Secondo motivo come ho anche premesso, conoscere il punto di
partenza di un percorso è molto importante ed è per questo che la conoscenze in
merito alle esperienze vissute dal narratore avranno inevitabilmente un effetto su
quanto scritto. La scuola materna l’ho frequentata presso un istituto gestito
dalle suore. Il rigore che spesso viene attribuito alla formazione ricevuta con
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questa gestione devo dire non mi ha mai disturbato, pur consapevole che alcune
delle suore all’interno della scuola fossero piuttosto rigide, la fortuna volle
che quella che principalmente si occupava della mia sezione fosse tutt’altro che
severa e il mio carattere mite mi fece vivere un esperienza serena anche se
piuttosto discontinua, visto che con frequenza approfittavo del fatto che
alternativamente uno dei miei genitori, in conseguenza dei turni lavorativi fosse
a casa. Questo approccio all’insegnamento si è riproposto per tutto il periodo
della scuola elementare, ora primaria di primo grado, dove la maestra di
riferimento, ha sempre investito molto nel creare un clima di classe che fosse
favorevole all’apprendimento. Mi resta il rammarico, nonostante fossi un buon
allievo, di non aver appreso tutto quello che mi poteva insegnare. Faceva la
maestra ma era una laureata in lettere e avrebbe quindi potuto anche insegnare
italiano a ragazzi più grandi, eppure la mia idiosincrasia verso la punteggiatura
iniziò a questo livello della scuola. Ricordo ancora un giudizio piuttosto
perentorio che mi venne assegnato in seguito alla correzione di un tema svolto
durante le vacanze estive nei i primi anni delle scuole medie. In sintesi la
professoressa giudicò positivamente la narrazione e il ritmo del racconto ma alla
fine si sfogò con un commento in rosso “la punteggiatura è indispensabile!!!”.
Probabilmente da quel momento in avanti iniziai a preferire la lettura alla
scrittura. Salvo qualche eccezione mi sono sempre dedicato alla scrittura per
dovere raramente per diletto, mentre feci della lettura un hobby a cui dedicarmi
quando il tempo lo permette. Anche negli anni successivi i miei ricordi più
significativi sono legati alle insegnanti di lettere soprattutto negli anni delle
scuole superiori o secondarie di secondo grado. Paradossale questo aspetto se
rapportato al fatto che frequentavo un istituto tecnico commerciale. Che fosse
un’indole interiore o l’abilità e passione delle docenti di lettere nel
coinvolgere noi studenti questo è piuttosto complicato da stabilire, resta il
fatto che quello che ricordo e quando i ricordi iniziano ad essere così lontani
nel tempo devono essere collegati a delle emozioni che ne rinforzano la fissazione
è quasi sempre legato a lezioni di questa materia. Nei primi anni l’episodio che
mi segnò fu la richiesta della docente di poter leggere alla classe uno passo di
un mio tema. Conoscendo il mio conflittuale rapporto con la punteggiatura, devo
sinceramente dire che ebbi un attimo di esitazione, non volevo certo diventare il
simbolo di come non si mettono le virgole o i punti. Poi acconsentì, convinto del
fatto che era poco probabile che una docente chiedesse il permesso per denigrarmi.