5
INTRODUZIONE.
“Tutto dipende radicalmente dalla politica”
1
, afferma Rousseau nelle
Confessioni, fornendo un chiaro spunto interpretativo alla sua produzione
complessiva, anche quella non direttamente incentrata sul problema della
società e della convivenza civile.
L'impegno politico che sostiene l'opera di Rousseau ne spiega da una parte
la coerenza e dall'altra la valenza polemica e radicalmente alternativa nei
confronti della realtà data. E' chiaro che il filosofo voleva demolire le basi su
cui si fondava l'esistente, ovvero la società a lui contemporanea, per arrivare
poi a proporre una soluzione rivoluzionaria, che fosse in grado di riconciliare
l'innocenza e l'armonia originarie, entrambe smarrite con il progressivo
allontanamento dalla Natura.
Da questo punto di vista le opere del filosofo non sembrano più dei singoli
esercizi dialettici scollegati tra di loro, come superficialmente si potrebbe
pensare, ma vanno invece a formare un tutto omogeneo, nel quale ogni parte
riveste un ruolo importante. Del resto, come afferma E. Cassirer, Rousseau
“non si è mai stancato di difendere, fin negli anni più tardi, l'unità della sua
opera.”
2
I primi scritti di Rousseau sono il Discorso sulle scienze e sulle arti e il
Discorso sull'origine della disuguaglianza, pubblicati rispettivamente nel 1750
e nel 1755. La storiografia generalmente identifica questi testi come la “fase
critica”
3
della filosofia rousseauiana, in cui l'autore si accinge a demistificare
dei preconcetti al suo tempo assodati, con l'esito di far vacillare anche le
1
J.-J. Rousseau, Confessioni (1789), tr. it. di V . Valente, Mondadori, Milano, 2004, libro IX, p. 481.
[Cfr.]
2
E. Cassirer, Il problema Gian Giacomo Rousseau (1932), in E. Cassirer, R. Darnton, J. Starobinski,
Tre letture di Rousseau, tr. it. di M. Albanese, G. Guglielmi, A. De Lachenal, Laterza, Bari, 1994,
p. 21.
3
Ad esempio Robert Derathé, nella sua introduzione al Contratto sociale, distingue nettamente tra
una fase critica e una positiva della filosofia di Rousseau, che secondo lui sono incarnate
soprattutto nel Discorso sulla disuguaglianza, per quanto riguarda la prima, e nel Contratto sociale
per la seconda. Derathé individua il punto di collegamento tra queste due fasi nella prefazione al
Narciso, in particolare nell'affermazione: “Tutti questi vizi non appartengono tanto all'uomo,
quanto all'uomo mal governato.” (R. Derathé, Del contratto sociale, in J.-J. Rousseau, Il contratto
sociale (1762), tr. it. Di V . Gerratana, Einaudi, Torino, 1994, p. XI.)
6
opinioni più condivise. Ad esempio Rousseau mette in dubbio che le scienze
e le arti abbiano arrecato vantaggi alla specie umana; e ancora, afferma che
la disuguaglianza e la miseria sono sorte solo quando l'uomo si è costituito in
società e non prima, nello stato di natura o in una sua specifica fase, come
aveva affermato la tradizione giusnaturalista.
Con questa spietata critica alla modernità Rousseau va a toccare quei nervi
scoperti che il buoncostume settecentesco si rifiutava di vedere
4
: il peso e il
valore delle scienze e delle arti vengono ridimensionati, e la società civile,
che con le sue leggi positive promuove la “guerra di tutti contro tutti”, perde la
sua legittimità: ad essa sono preferibili addirittura le istituzioni primitive dei
selvaggi che all'epoca di Rousseau abitano il Nuovo mondo.
A queste opere critiche seguono, tra gli altri, i due testi più celebri di
Rousseau, il Contratto sociale e l'Emilio, che fungono da punto di arrivo del
suo percorso filosofico. Dopo aver demolito, il filosofo vuole ricostruire. Ne
consegue una proposta che può sembrare duplice, ma che in realtà va letta
in modo unitario: è necessario un cambiamento politico che ristabilisca la
naturale libertà dell'uomo in seno a un ambiente affettivo, la comunità,
costituita da relazioni umane autentiche; per attuare tale mutamento sono
necessari degli uomini diversi, nuovi, che siano in grado di riconciliare quegli
affetti che nella società malata non sono adeguatamente valorizzati.
Alcune celebri letture dell'opera rousseauiana invece danno preminenza ad
un aspetto piuttosto che all'altro: per restare ad alcuni esempi più eclatanti,
Engels e gli autori che vi si richiamano in maniera più diretta, ad esempio,
indicano nel Contratto sociale, soprattutto nelle pagine in cui si inneggia alla
rivoluzione, il punto di arrivo della fase critica dei Discorsi. L'altro orizzonte
interpretativo, che si può far risalire fino a Kant, vede nella teoria pedagogica
dell'Emilio la soluzione rivoluzionaria alle problematiche esposte nei testi del
1750-1755, che presuppone la rifondazione dei valori sul piano educativo, e
4
“In quei miei scritti bisognava distruggere l'illusione che ci colma di una folle ammirazione per gli
strumenti della nostra infelicità, bisognava correggere quel falso apprezzamento per cui colmiamo
di onori talenti dannosi e sprezziamo virtù benefiche.” (J.-J. Rousseau, Rousseau giudice di Jean-
Jacques, in E. Cassirer, Il problema Gian Giacomo Rousseau, cit., p. 21.)
7
che porterà verso la costituzione di un'umanità nuova.
Dopo quasi due secoli di incomprensione, ora la storiografia generalmente
riconosce l'integrazione tra il Contratto sociale e l'Emilio, come facenti parte
di una proposta unitaria di rinnovamento da parte del filosofo ginevrino.
Tutta l'opera di Rousseau risente dell'imperativo, a tratti nostalgico ma
chiaramente pragmatico, di tornare alla Natura per fuggire la storia: il
compimento di questo percorso è tratteggiato nel Contratto sociale e
nell'Emilio, pubblicati non a caso nello stesso anno, il 1762. Nel Contratto
l'autore si propone di “snaturare” l'uomo, per ricondurre la società
nell'orizzonte naturale: non con un ritorno ad istituzioni del passato, ma con
la formidabile legittimazione della sovranità popolare, che detronizza le
autorità autoreferenziali dei monarchi e dei patriziati settecenteschi. Nelle
assemblee popolari si manifesta la Volontà generale, il principio che
racchiude in sé verità e giustizia, e che fa da ponte ad un ritorno alla Natura,
intesa nel senso di trasparenza, eguaglianza ed armonia.
Nell'Emilio invece è l'individuo ad essere ricondotto verso la sua dimensione
naturale: l'educazione che il giovane riceve è privata, solitaria, e richiama
indirettamente l'uomo originario immaginato da Rousseau nella prima parte
del Discorso sulla disuguaglianza. In quel testo il filosofo ginevrino si accinge
a spogliare l'uomo di tutte le caratteristiche sociali acquisite per arrivare a
descrivere che cosa esso è originariamente: una creatura essenzialmente
solitaria perfettamente inserita nell'ambiente circostante.
Il giovane Emilio viene educato all'aria aperta dal precettore, il quale non farà
nulla per interferire con la spontanea crescita e formazione di sé del ragazzo.
L'obiettivo dell'educatore è fare sì che l'allievo impari da sé, a contatto con le
cose, con la natura e con gli uomini: alla fine di questo percorso l'ormai uomo
Emilio sarà indipendente e libero come l'uomo originario del Discours, ma a
differenza di questo sarà in possesso di tutte le peculiarità e le fortune che
appartengono all'uomo civilizzato, che per Rousseau sono raccolte e
espresse nella morale e nella religione.
Durante i numerosi dibattiti con gli enciclopedisti Rousseau si faceva
8
sostenitore dell'educazione pubblica, elogiandone i benefici che aveva
apportato a popoli antichi quali i Cretesi, gli Spartani e i Romani. Ma secondo
il Rousseau dell'Emilio oramai la società ha raggiunto livelli di corruzione tali
che essa non è più in grado di educare correttamente i suoi figli, perché si è
violentemente allontanata dalla via maestra, la Natura, ed ha mistificato tutti i
valori.
Al Rousseau del suo tempo non resta che l'educazione privata, condotta
secondo ragione e orientata verso la Natura. Il suo orizzonte è proiettato
verso la creazione dell'Uomo Nuovo, che sarà in grado di fondere la buona
politica e la retta educazione, mettendo in atto quel cambiamento necessario
a porre fine al mondo dell'apparenza e della corruzione nel quale l'essere
umano si è inserito con le sue stesse mani.
Secondo varie testimonianze Rousseau stesso offre le motivazioni filosofiche
che accomunano politica ed educazione; ad esempio Madame d'Epinay,
letterata e protettrice del filosofo, riferisce che egli avrebbe affermato: “per
educare bene i giovani bisognerebbe cominciare col rifondere tutta la
società.”
5
E' questa la problematica che Rousseau ha in mente quando meditava il
Contratto sociale, e più precisamente, come scrive nelle Confessioni, la
domanda che il filosofo si poneva in quella fase era la seguente: “Quale è il
genere di governo atto a formare il popolo più virtuoso, più illuminato, più
saggio, il migliore insomma, usando questa parola nel significato più
ampio?”
6
Inoltre, nella corrispondenza con il libraio Duchesne, a proposito del
Contratto, “Rousseau dichiara che l'opera [il Contratto sociale] deve passare
per una specie d'appendice al trattato sull'educazione e che le due opere
insieme formano un tutto completo.”
7
Rousseau aveva sempre visto collegate
la politica e l'educazione, perché per formare il popolo migliore in assoluto
sono necessarie una buona costituzione politica e una retta educazione.
5
D'Epinay, Histoire de Mme de Montbrillant, a cura di G. Roth, Paris, 1951, III, p. 136.
6
J.-J. Rousseau, Confessioni, cit., libro IX, p. 481.
7
R. Derathé, Del contratto sociale, cit., p. XV .
9
Inoltre Rousseau era un profondo ammiratore di Platone, il quale, a suo
avviso, insegnava proprio come l'educazione e la politica fossero
strettamente collegate, perseguendo il medesimo scopo.
A proposito della Repubblica, Rousseau nell'Emilio afferma: “Chi voglia avere
un'idea dell'educazione pubblica, legga la Repubblica di Platone. Non è
affatto un'opera politica, come ritiene chi giudica i libri solo dal titolo: è il più
bel trattato di educazione che sia mai stato scritto.”
8
Non a caso I. Fetscher evidenzia l'ammirazione che il filosofo ginevrino
aveva per Platone nominando il capitolo dedicato al Contratto sociale, la
“Repubblica di Rousseau”
9
.
Platone è senza dubbio la pietra miliare di un certo tipo di filosofia che si
realizza nella politica. Egli è tra i pochi filosofi antichi e medievali che hanno
scritto seriamente di politica; mentre la grande maggioranza di essi lo ha
fatto quasi per un puro divertissement, o comunque non facendo confluire il
proprio sistema filosofico nell'ambito concreto di un progetto politico.
Rousseau segue l'esempio platonico sia nel collocare in un posto centrale la
riflessione politica, sia nel collegare politica ed educazione per il proprio
scopo filosofico.
Anche per lui risulta centrale l'antico problema: “chi educherà gli educatori?”.
E' proprio per scongiurare il ripetersi di un circolo vizioso tra cattivi maestri ed
ignari educandi che la politica e l'educazione devono fare parte dello stesso
progetto.
L'Emilio porta il lettore a interrogarsi su questo punto, rivelando la natura
essenzialmente politica di quest'opera, redatta per integrare le tesi sostenute
nei Discorsi e per sostenere le proposte del Contratto sociale. L'obiettivo è
quello di mettere in moto il rinnovamento politico che sostenga il
cambiamento interiore dell'individuo, e che, ribaltando la situazione, riesca a
creare una situazione circolare in cui uomini integri e portatori di una retta
educazione possano liberamente aiutare il formarsi spontaneo dei loro figli,
8
J.-J. Rousseau, Emilio (1762), tr. it. di P. Massimi, Mondadori, Milano, 1997, pp. 12-13.
9
I. Fetscher, La filosofia politica di Rousseau (1968), tr. it. di L. Derla, Feltrinelli, Milano, 1972, p.
88.
10
che a loro volta faranno lo stesso con i loro.
I due testi, il Contratto sociale e l'Emilio hanno una genesi molto diversa l'uno
dall'altro. Il Contratto è la conclusione di un percorso meditativo lunghissimo:
quasi diciotto anni infatti intercorrono tra il concepimento e la pubblicazione.
Rousseau stesso fa risalire l'interesse per temi di carattere politico al suo
viaggio a Venezia del 1743-1744, in cui cominciò a maturare una critica al
governo repubblicano. E' in quel momento che il filosofo concepì “l'opera che
avrebbe dovuto mettere il suggello alla sua reputazione, le Institutions
politiques”
10
, che cominciò a scrivere pochi anni dopo, cioè subito dopo il
Discorso sulla disuguaglianza.
Questo forte interesse di Rousseau per l'argomento dimostra ancora una
volta come l'ambito politico rivesta una parte predominante nel suo “sistema”
filosofico, se così ci è permesso di chiamarlo.
Il materiale che avrebbe dovuto comporre le Institutions viene rimaneggiato
fino ad andare a comporre il cosiddetto Manoscritto di Ginevra, ovvero la
prima redazione del Contratto. La base di questo testo, con le successive
correzioni e ampliamenti, andrà a costituire il Contratto sociale che altro non
è, secondo l'annotazione di Rousseau, se non “un piccolo trattato estratto da
un'opera più ampia”
11
.
La genesi dell'Emilio è invece molto diversa: dopo aver avuto delle
esperienze come precettore che non avevano, secondo lui, sortito i risultati
sperati, il filosofo si interroga su quale possa essere la migliore educazione
da impartire agli allievi. In questo periodo Rousseau aveva appena dato alle
stampe la Nuova Eloisa, romanzo epistolare che ben analizza le più piccole
sfaccettature psicologiche della vita umana, e stava lavorando
parallelamente alle Institutions politiques.
Nell'Emilio Rousseau fonde tematiche molto diverse tra loro, e il sottotitolo “o
10
J.-J. Rousseau, Confessioni, cit., libro IX, p. 481. [Cfr.]
11
“Questo piccolo trattato è estratto da un'opera più ampia, iniziata una volta senza aver prima
misurato le mie forze e abbandonata da molto tempo. Dei diversi frammenti che si potevano
ricavare da ciò che era già fatto questo è il più considerevole e mi è parso il meno indegno di
essere offerto al pubblico. Il resto ormai non esiste più.” (J.-J. Rousseau, Il contratto sociale
(1762), a cura di R. Gatti, RCS, Milano, 2010, p. 8.)
11
dell'educazione” mal rende l'idea della complessità di quest'opera. In essa il
filosofo ginevrino inserisce riferimenti agli argomenti più disparati, ma il filo
conduttore rimane il tentativo di conoscere integralmente l'essere umano,
scavando nel profondo delle sue passioni e delle sue abitudini. La risposta a
questo tentativo non può essere che politica, ovvero la formazione dell'Uomo
Nuovo, indipendente ma inserito in una comunità, autonomo ma vincolato
agli altri dagli affetti, e in sostanza libero. Libero però nel senso
rousseauiano
12
, cioè nel senso che la sua libertà si manifesta
esclusivamente all'interno di una comunità di eguali.
Per ammissione stessa di Rousseau le due opere, il Contratto sociale e
l'Emilio, avrebbero dovuto essere pubblicate simultaneamente, ma “il
Contratto sociale uscì uno o due mesi prima dell'Emilio”
13
: il filosofo riuscì
solo in parte a realizzare il suo “disegno”
14
, ovvero quello di non mettersi
troppo in vista con l'uscita dei due testi. Infatti aveva in progetto di ritirarsi per
qualche tempo a vita privata per non aizzare esageratamente l'opinione
pubblica e le autorità che con ogni probabilità avrebbero attaccato le due
opere.
Pochi mesi dopo entrambi questi testi ricevettero condanne da parte delle
autorità politiche e religiose, tanto che in alcune città le loro copie vennero
bruciate pubblicamente nelle piazze. In Francia e in Svizzera su Rousseau
pendeva un mandato di arresto, e da questo momento in poi la sua vita non
sarebbe stata più la stessa: dovette peregrinare da un luogo all'altro in
clandestinità e le autorità ebbero buon gioco a costruire su di lui l'immagine
di un pensatore sedizioso e contrario ai dogmi religiosi, sia cattolici che
protestanti. Questa situazione lo portò a maturare sempre più un'inquietudine
interiore che troverà il culmine negli ultimi anni della sua vita quando, solo e
mal considerato dagli ambienti intellettuali, si lasciò andare ad un vero e
proprio delirio paranoico.
12
“L'impulso del solo appetito è schiavitù e l'obbedienza alla legge che ci siamo prescritta è libertà.”
(J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, cit., p. 23.)
13
J.-J. Rousseau, Confessioni, cit., libro XI, p. 658.
14
Ibidem.
12
Un fatto grave per Rousseau fu la condanna del Contratto sociale e
dell'Emilio da parte della Repubblica di Ginevra, in cui era nato. La condanna
non si era fatta aspettare: poco dopo la pubblicazione delle due opere la
Repubblica aveva decretato il rogo delle copie e l'arresto dell'autore.
15
Il
filosofo aveva in precedenza dedicato alla città e alle sue istituzioni il
Discorso sulla disuguaglianza, elogiandone la buona configurazione politica
e la correttezza dei magistrati.
Pochi anni prima, nel 1754, Rousseau si era riconciliato con la Repubblica
16
riconvertendosi alla fede calvinista ed acquistando il diritto di essere citoyen,
che in gioventù aveva perso con la conversione al cattolicesimo: ma
evidentemente questo non era bastato.
Già con la dedica al secondo Discorso il filosofo si era fatto dei nemici potenti
in città, perché gli elogi della Repubblica erano accompagnati da una
implicita passione democratica che esaltava la sovranità popolare. Ginevra a
quel tempo era governata da un gruppo di oligarchi, un patriziato che
costituitosi in consiglio (il Petit Conseil) aveva il potere di ratificare le leggi
proposte dall'assemblea dei cittadini. Questo gruppo ristretto era in lotta con
la fazione borghese che premeva per essere riconosciuta al pari
dell'oligarchia. Dopo la condanna e il mandato di arresto, Rousseau venne
contattato dagli ambienti borghesi della città che lo usarono come pretesto
per riaccendere la loro lotta contro l'oligarchia. Il filosofo mise a disposizione
della causa la sua penna e scrisse le Lettere dalla montagna, che sono un
vivido esempio di impegno politico. In queste lettere Rousseau critica
fortemente gli abusi che il Petit Conseil aveva fatto dal punto di vista
costituzionale e, seguendo coerentemente le idee esposte nel Contratto,
denunciava la mancata distinzione tra potere esecutivo e potere legislativo,
15
Nella sentenza del 19 Giugno 1762 il Petit conseil condannò i due testi ad essere bruciati “come
temerari, scandalosi, empi, tendenti a distruggere la religione cristiana e tutti i governi.” (R.
Derathé, Del contratto sociale, cit., p. XXXII.)
16
I primi problemi con Ginevra sorsero quando Rousseau, in gioventù, si convertì al cattolicesimo.
Questa prima conversione viene descritta da Rousseau in modo sarcastico, “Mi feci cattolico, ma
non cessai di essere cristiano”, e motivata dall'urgenza di “avere pane.” (Confessioni, Libro II, in P.
Casini, Introduzione a Rousseau (1974), Laterza, Bari, 1991, p. 105.)
13
in quanto causa principale della mancanza di sovranità popolare a Ginevra.
Nel 1763 Rousseau rinunciò ai suoi diritti di cittadino facendo nascere un
vero e proprio caso politico, che divenne occasione di scontro tra fazioni
politiche, gruppi economici e sociali. La posta in gioco era la rivincita del
partito borghese, o popolare, che era stato sconfitto nel 1734, quando il
patriziato aveva di fatto esautorato l'assemblea popolare, nominando i
membri del Petit Conseil e dei Deux Cent. Queste due magistrature si
cooptavano a vicenda escludendo l'assemblea popolare dalle decisioni
cittadine.
Nelle Lettere dalla montagna Rousseau insiste sul ritorno allo spirito
originario della Repubblica, inneggiando a quella fase comunale in cui
Ginevra rappresentava ai suoi occhi un modello democratico. In questo
contesto si inseriscono gli epiteti di “despoti” e di “tiranni” che Rousseau
rivolge ai venticinque membri del Petit Conseil.
L'apporto di Rousseau apre una fase nuova a Ginevra in quanto nelle
elezioni del 1765 il patriziato subisce una prima sconfitta. Il filosofo non
trasse alcun vantaggio da questa vittoria: “perseguitato dal clero, diffamato
da Voltaire, scacciato a furor di popolo da Motiers, dovette cercar rifugio sul
lago di Bienne e poi in Inghilterra. Non rimise mai piede a Ginevra, né si
occupò più delle vicende interne della città.”
17
Se la riflessione sull'educazione di Rousseau è legata a doppio filo a quella
politica, essa manifesta anche una chiara connessione con la religione. In
questo senso si potrebbe dire che il percorso filosofico di Rousseau, così
come si è delineato nella stretta relazione tra il Contratto sociale e l'Emilio,
propone anche una nuova soluzione al problema della teodicea. La sua
posizione inizialmente presenta delle analogie con la tradizione cristiana
salvo poi discostarsene fortemente, negando in blocco la dottrina del
“peccato originale”, in favore della “religione naturale”. Come per la teologia
cristiana, anche per Rousseau la comparsa della ragione ha portato l'uomo
verso la strada dell'errore, che si manifesta specificamente nella
17
Ivi, p.102.