2
La nozione di documento è oggetto di un’antica
ma ancora attuale disputa che si concentra intorno a
due opinioni: la prima, che intende dare una
definizione di documento che sia valida per tutto
l’ordinamento, è efficacemente espressa dalla
formula per la quale il documento (che deriva da
docere, insegnare) è una cosa che ci fa conoscere un
fatto e si contrappone al testimone che è una persona
che narra e non una cosa che rappresenta
3
; la
seconda, che, invece, non ritiene possibile una
definizione unitaria di documento che sia valida
anche per l’ordinamento penale, che identifica il
documento con la nozione più ristretta di documento
scritto, classica e autorevole è quella che definisce il
documento come “ogni scrittura fissata sopra un
mezzo trasmissibile, dovuta ad un autore
determinato, contenente manifestazioni di volontà
ovvero attestazioni di verità, atte a fondare o a
suffragare una pretesa giuridica o a provare un fatto
interessi lesi dall’uso dell’atto falso sono protetti soltanto in via mediata, quale
obiettivo ultimo che trascende l’ambito legale della tutela…” dello stesso
avviso è la giurisprudenza prevalente, v. Cass. S.U., 22 marzo 1969, in Riv.
Pen., 1970, II, 435.
3
F. CARNELUTTI, Teoria del falso, Padova, 1935, p.139; altre definizioni in
senso ampio sono quella di MALINVERNI, Teoria del falso documentale,
Milano, 1985, p.15, che definisce il documento come “l’oggetto che rappresenta
un pensiero” e quella di A. GUIDI, Teoria giuridica del documento, Milano,
1950, p.46 che lo definisce come “un oggetto corporale, prodotto dall’umana
attività di cui conservi le tracce il quale, attraverso la percezione dei grafici
sopra di esso impressi, o delle luci o dei suoni che può fornire, è capace di
rappresentare, in modo permanente, a chi lo ricerchi, un fatto che è fuori di esso
documento”.
3
giuridicamente rilevante in un rapporto processuale o
in un altro rapporto giuridico”
4
. Questa definizione
contiene i tre elementi che si ritiene un documento
debba avere per poter essere tutelato penalmente: 1-
la forma scritta; 2- la riconoscibilità dell’autore; 3- il
contenuto.
5
Questa è la base dalla quale partire per
poter vedere se e come si possa tutelare il documento
elettronico (rectius informatico) in un quadro
normativo non ancora modificato dalla Legge n. 547
del 23 dicembre 1993.
Il primo elemento di cui bisogna tener conto per
questa analisi è, come abbiamo visto, la forma
scritta. Come forma scritta possono intendersi non
solo i segni alfabetici, ma anche quelli numerici,
stenografici, criptografici, ecc., purché esprimano un
pensiero. Essa deve essere comprensibile da tutti o
da un certo numero di persone, ciò che è
indecifrabile o comprensibile solo all’autore dello
scritto non costituisce documento. La lingua
utilizzata è ininfluente, può essere italiana o
straniera, antica o moderna.
6
La forma scritta non
implica che il documento debba essere compilato
manualmente, infatti si possono utilizzare anche
mezzi meccanici, quali possono essere la stampa e la
4
V. MANZINI, Trattato di diritto penale, vol. VI, Torino, 1935, p. 555 n. 2218
5
vedi F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p.90 ss.
6
F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p.91.
4
dattilografia, salvo nei casi in cui è richiesta la
sottoscrizione, come vedremo. La forma scritta
presuppone l’incorporazione del documento in un
supporto fisico che non deve essere necessariamente
trasmissibile, ma può anche essere una cosa
immobile, quindi non è rilevante il materiale con cui
si è formato il documento
7
.
A questo punto possiamo vedere se il
documento informatico abbia o meno i requisiti
richiesti per considerarlo scritto. Il documento
informatico viene inteso dalla dottrina in una
duplice accezione: documento informatico in senso
stretto e documento informatico in senso ampio.
8
I
documenti informatici in senso stretto sono
memorizzati in forma digitale nella memoria
centrale, ovvero nelle memorie di massa
dell’elaboratore,
9
e non possono essere letti o
comunque percepiti dall’uomo se non a seguito
dell’intervento di apposite macchine (o programmi)
7
v. F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p.91 e Cass. 3/6/77, in Arch. Pen., 1979, II,
192.
8
E. GIANNANTONIO, Il valore giuridico del documento elettronico, in Riv.
Dir. Comm., I, 1986, 263. ID. , Manuale di diritto dell’informatica, I ed.,
Padova, 1994, p.339.
9
L’espressione “memoria” può essere definita come un “luogo” dove vengono
immagazzinati i dati per essere elaborati.In un elaboratore elettronico esistono
fondamentalmente due tipi di memoria: la memoria centrale e la memoria di
massa; la memoria centrale viene utilizzata dall’elaboratore per operare sui dati
stessi, essa è volatile,quindi quando viene spento l’elaboratore viene cancellata
e i dati contenuti in essa vengono perduti; la memoria di massa ha la funzione di
immagazzinare e conservare i dati, quindi non è volatile e una volta spento
l’elaboratore i dati non vengono cancellati (es. floppy-disk, nastri magnetici,
ecc…)
5
traduttrici che rendano percepibili e comprensibili i
segnali digitali
10
dai quali sono costituiti. I
documenti informatici in senso ampio sono tutti quei
documenti formati dall’elaboratore mediante i suoi
organi di uscita (output), quale può essere la
stampante. Tali documenti non sono necessariamente
in forma digitale, ma possono essere costituiti da un
testo alfanumerico, un disegno o un grafico
memorizzati su un supporto cartaceo o di altro tipo.
La distinzione tra queste due diverse accezioni di
documento informatico riveste un’importanza
fondamentale: infatti, mentre la dottrina concorda
nel considerare soddisfati i requisiti della forma
scritta dal documento informatico in senso ampio, in
quanto il prodotto dell’elaborazione è direttamente
leggibile dall’uomo senza l’ausilio di macchine o
programmi ed è incorporato su un supporto idoneo,
essa si divide a proposito del documento informatico
in senso stretto tra chi comunque vede soddisfatti i
requisiti della forma scritta e chi, invece, ritiene che
il documento informatico in senso stretto non sia un
documento scritto e quindi non sia possibile una
tutela penale dello stesso. Quest’ultima muove
dall’analisi delle fattispecie disciplinanti la “falsità
10
L’espressione “digitale” (da digit, cifra) indica il metodo con il quale sono
memorizzati e trasmessi i dati da un elaboratore: vengono utilizzate
combinazioni di due segni (0 e 1) chiamate bit.
6
in atti “ e che “occorre subito rilevare che il nostro
ordinamento (prima della riforma della L. 547/93)
pone ad oggetto materiale delle condotte di <<falso
documentale >> solo gli <<atti>>, i <<certificati>>,
le <<autorizzazioni>>, le <<registrazioni>>, le
<<notificazioni>>, le <<scritture>>, ecc.:tutti
termini che, secondo la tradizione interpretativa della
dottrina e della giurisprudenza, richiedono
innanzitutto la utilizzazione della <<forma scritta>>
(pur intesa in senso lato), quale elemento essenziale
di individuazione.
Appare perciò estremamente problematico, già
sotto questo primo profilo, senza violare il divieto di
interpretazione analogica della norma incriminatrice,
considerare come documento espresso in forma
scritta, o perlomeno <<leggibile da un uomo>>,
l’informazione o l’insieme di informazioni destinate
al (od oggetto del) processo di elaborazione
elettronica: i <<dati informatici>> sono costituiti
infatti da un complesso coordinato di impulsi
magnetici (bit), o di altri segni (perforazioni di
schede), negativi e positivi, variamente collegati e
collocati, funzionali in modo esclusivo ad essere
<<letti>> dalla macchina stessa.”
11
. La parte della
11
L. PICOTTI, Problemi penalistici in tema di falsificazione di dati informatici,
in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1985, p. 952. nello stesso senso
v. C. SARZANA, Note sul diritto penale dell’informatica, in La Giust. Pen.,
7
dottrina che sostiene, invece, la possibilità di
considerare il documento informatico in senso stretto
come soddisfacente i requisiti della forma scritta,
parte da una definizione più ampia di scrittura.
“Ciò perché :
a) identificare la scrittura con il supporto cartaceo
è un errore storico, perché la scrittura è nata
ben prima della carta (il decalogo mosaico ed il
codice di Hammurabi sono incisi sulla pietra) e
il supporto è variato sempre col tempo in
parallelo col progresso tecnico (terracotta,
bronzo, legno, cuoio, pergamena, papiro, etc.).
oggi può dunque ben essere un supporto
leggibile da un computer.
b) La scrittura – quale che sia il supporto usato –
deve consentire la lettura (ad occhio nudo o
mediante appositi apparecchi, purché
contestualmente) per facilitare
l’approfondimento del pensiero e costituire a
distanza di tempo o di luogo, documento o
mezzo di comunicazione, secondo regole
precise e oggettive, mediante segni
convenzionali (ideogrammi o caratteri
alfanumerici). I bit, combinati in byte e tradotti
1984, I, c.28 secondo cui “le difficoltà più gravi derivano dal fatto che i dati e le
informazioni contenute nei computers non possono definirsi giuridicamente
<<documenti>> almeno ai fini della legge penale”.
8
in tempo reale in lettere e/o cifre, consentono
perfettamente tale funzione. Non è requisito
essenziale della scrittura l’indelebilità…
c) Storicamente vario e, quindi, irrilevante anche
il mezzo scrivente:scalpello, stilo, penna,
matita, gesso ect. Si può, dunque, concludere
che i atti registrati nelle memorie di un
computer sono dati scritti a tutti gli effetti…
Sono scritti su un nuovo supporto (le memorie
leggibili dal computer), con un nuovo alfabeto
(quello dei bit e dei byte), con un nuovo
inchiostro o mezzo scrivente che dir si voglia
(il flusso degli elettroni determinante il
significato alternativo del bit “zero” ovvero
“uno”).”
12
In sostanza, prima della L. 547/93, si può dire
con certezza che solo il documento informatico in
12
R. BORRUSO, La tutela del documento e dei dati, in AA.VV., Profili penali
dell’informatica, Milano, 1994, p.10 ss; v. negli stessi termini C.G.
CIMARELLA, La tutela penale del documento elettronico, in Diritto
dell’informazione e dell’informatica, 1986, p. 954e E. GIANNANTONIO, Il
valore giuridico, cit., p.276 ss secondo cui “in effetti ciò che rileva perché vi sia
scrittura è la fissazione su un supporto materiale di un messaggio in un
linguaggio destinato alla comunicazione; e da tale punto di vista non può
disconoscersi che un documento elettronico può assumere il valore di atto
scritto; esso, infatti, contiene un messaggio (che può essere un testo
alfanumerico, ma anche un disegno o un grafico) in un linguaggio
convenzionale (il linguaggio dei bit) su un supporto materiale mobile (in genere
nastri o dischi magnetici o memorie circuitali) e destinato a durare nel tempo
(sia pure in modi diversi a seconda che si tratti di memorie di massa, volatili,
ROM o RAM). In altri termini il legislatore, anche se normalmente intende
riferirsi alla scrittura tradizionale, non esclude che possa essere considerata
scrittura qualsiasi linguaggio naturale o convenzionale; e quindi anche la
manifestazione materiale dei bit, il linguaggio dei documenti elettronici.
9
senso ampio può essere considerato in forma scritta,
mentre per quanto riguarda il documento informatico
in senso stretto vi sono delle difficoltà.
Il secondo elemento da prendere in
considerazione è la riconoscibilità dell’autore del
documento o, in altre parole, l’imputabilità dello
stesso all’autore. Questo punto è di importanza
fondamentale, è il vero problema del documento
informatico, che si protrarrà, come vedremo, anche
dopo la riforma del ’93. Com’è noto, il modo
ordinario, anche se non unico, con cui l’autore del
documento ne assume la paternità è la sottoscrizione,
vale a dire l’apposizione della firma in calce all’atto,
che deve essere autografa, cioè vergata a mano. Essa
non sempre è richiesta per garantire l’imputabilità
all’autore del documento, infatti ne esistono altri
modi e bisognerà distinguere tra atti pubblici e
scritture private, come poi vedremo.
Anche in questo caso rileva la distinzione tra
documento informatico in senso ampio e documento
informatico in senso stretto. Infatti, anche chi
riconosce che il documento informatico in senso
stretto può considerarsi scritto ritiene il problema
della sottoscrizione, quando richiesta, insuperabile,
in quanto mancava una normativa ad hoc.
13
Il
13
R. BORRUSO, La tutela del documento e dei dati, cit., p.15 che, nonostante
consideri il documento informatico in senso stretto come scritto, rileva che
10
documento informatico in senso stretto, sempre
nell’ipotesi che venga considerato scritto, poteva
avere una tutela penale quando non era ritenuta
necessaria dall’ordinamento la sottoscrizione per
l’imputazione del documento al suo autore;
14
per chi,
invece, non lo considerava scritto, la questione della
sottoscrizione era un’ulteriore dimostrazione della
tesi dell’impossibilità di tutelare penalmente il
documento informatico in senso stretto.
15
Terzo ed ultimo punto dell’analisi è il
contenuto. Il contenuto può essere di due specie: può
consistere nell’esposizione di un fatto, come ad
esempio nel processo verbale in cui il cancelliere
rende conto di un’operazione eseguita dal giudice,
oppure di una dichiarazione di volontà, come nella
quietanza rilasciata da una persona ad un’altra. A
questo proposito non rileva più la dicotomia tra
“grande attenzione, invece, merita il problema dell’autografia in quanto, se è
eccezionale l’esigenza di un documento tutto scritto di pugno dell’autore (come
ad es. il testamento olografo di cui all’art. 602 c.c….) deve essere, invece,
autografa la sottoscrizione senza della quale – di norma – nessun atto giuridico
è imputabile al suo autore: autografia e imputabilità diventano, quindi, aspetti
inscindibilmente correlati. Il computer … consentirebbe perfettamente… la
registrazione nelle memorie informatiche dell’autografia, riprodotta, quindi, poi
su tabulato per identità di immagine previa digitalizzazione, ma neppure con ciò
diventerebbe sicuramente certa la riferibilità della sottoscrizione all’autore dello
scritto, proprio per la libera trasferibilità dei relativi bit da un documento ad un
altro e l’impossibilità di riconoscere l’originale dalla copia.”
14
C.G. CIMARELLA, La tutela penale, cit., p 949; G. MARINI, Condotte di
alterazione del reale aventi ad oggetto nastri ed altri supporti magnetici e
diritto penale, in Riv. Dir. Proc. Pen., 1986, p.393.
15
C. SARZANA, Note, cit., c.28 secondo il quale “neppure i tabulati possono
definirsi documenti ed in particolare scritture private, giacché è essenziale per
tale configurazione che essi siano sottoscritti dalla parte”.
11
documento informatico in senso stretto e in senso
ampio, ma entra in gioco le modalità
dell’elaborazione del documento stesso. Infatti
l’elaboratore elettronico può essere utilizzato in due
modi diversi: informativo, dove si limita
all’acquisizione ed esportazione di informazioni (ad
es. si utilizza l’elaboratore per scrivere un atto
oppure come archivio); cibernetico, dove
l’elaboratore prende delle decisioni che modificano
irreversibilmente la realtà esterna senza alcun
intervento umano (es. bancomat o autorizzazioni e
certificati rilasciati da terminali). In dottrina si è
discusso se un documento prodotto ciberneticamente
si possa considerare una manifestazione di volontà
del soggetto a cui il documento è stato imputato, in
quanto può anche ignorarne l’esistenza. Si è risposto
positivamente considerando che “la volontà che il
contenuto di un atto informatico sia riferito a chi in
esso ne appare l’autore può sussistere – si badi –
anche se il contenuto di esso non è conosciuto – e
quindi voluto – nella sua particolarità dal
sottoscrittore in quanto il procedimento deliberativo,
che lo ha concretamente determinato, è il frutto solo
di regole generali, astratte e condizionate (anche se
analitiche, in equivoche, complete il cui complesso è
chiamato algoritmo) che l’autore si è limitato a