La previgente disciplina dell’art.2621 del codice civile
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riguardo al suddetto reato di falso, onde procedere ad una compiuta
disamina dell’illecito penale.
CAPITOLO I
LA PREVIGENTE DISCIPLINA DELL’ART. 2621
DEL CODICE CIVILE
La previgente disciplina dell’art.2621 del codice civile
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1.1. L’assetto del diritto penale societario e la riforma del 2002.
L’apparato di norme penali che costituisce il nucleo fondamentale del
diritto penale societario trova la sua fonte storica nel capo I del Titolo XI
del Libro quinto del Codice civile, recante l’intitolazione «Disposizioni
penali in materia di società e di consorzi».
Concepito quale appendice della disciplina civilistica societaria sin dal
codice commerciale del 1882, il corpus di disposizioni penali è posto a
presidio di interessi societari che ne rappresentano, pertanto, il necessario
sostrato.
Negli ultimi anni la disciplina penale societaria è stata caratterizzata
da quello che può definirsi «un sistema a due velocità»: l’immobilismo del
legislatore sul fronte della disciplina penale societaria, costituita al desueto
corpo normativo racchiuso negli artt. 2621 – 2642 c. c., si contrapponeva
invece all’impetuoso sviluppo normativo che, iniziato a cavallo tra gli anni
’80 e 90’ del secolo scorso, continuava ad interessare il diritto penale dei
mercati finanziari, che del diritto penale societario rappresenta
un’articolazione1.
Con l’approvazione del Testo unico sull’intermediazione finanziaria
del 19982, atto normativo con cui si chiude l’opera di codificazione dei
mercati finanziari, sono state poste le premesse per una riforma complessiva
del settore penal-societario.
Il processo di riforma ha visto l’avvio con la istituzione, sul finire
della XIII legislatura, della Commissione ministeriale Mirone, incaricata di
redigere un progetto da trasfondere in un disegno di legge di iniziativa
governativa.
Andato a vuoto il primo tentativo, la riforma è stata dettata dalla legge
delega n. 366 del 2001 ed attuata con d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61.
1
La metafora si deve a G. MARINUCCI, Gestione di impresa e pubblica amministrazione: nuovi
e vecchi profili penalistici, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 424 ss.
2
D. Lgs.24 febbraio 1998, n. 58.
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Per quanto concerne il reato di false comunicazioni sociali, l’attuale
formulazione degli artt. 2621 e 2622 c. c. - che prevedono due fattispecie in
luogo dell’originario art. 2621 – risulta ulteriormente modificata dall’art. 30
della legge 28 dicembre 2005, n. 262, che non hanno mutato nella sostanza
l’impostazione della riforma del 2002.
A scapito della tradizionale natura sanzionatoria della suddetta
disciplina penale, è da notare come il legislatore del 2002 abbia operato
adottando un metodo assai discutibile sotto il profilo di una buona tecnica
legislativa, dal momento che, ad essere approvate e dotate di immediato
vigore di legge, sono state per prime le norme penali di cui al Titolo XI.
É infatti pacifico che l’evoluzione dei beni giuridici tutelati,
condizioni, per via legislativa o esegetica, l’applicabilità dello strumento
penale; così, nuove situazioni giuridiche, nuovi interessi emergenti dalla
realtà economico-sociale e lumeggiati dall’interprete segnano una
indiscutibile flessibilità delle sottostanti norme penali.
Tuttavia la riforma della parte civilistica del diritto societario è stata
realizzata in un secondo momento, con l’approvazione del d. lgs. n. 6/2003.
Le inevitabili conseguenze negative sono immediatamente
apprezzabili, anche in difetto di un cospicuo repertorio giurisprudenziale:
allo sforzo titanico di realizzare un coordinamento tra la disciplina
civilistica e quella penalistica, si aggiunge il depotenziamento del principio
di sussidiarietà che informa il diritto penale.
La concezione di quest’ultimo quale extrema ratio, cui ricorrere solo
allorché altre sanzioni si rivelino inefficaci, trae con sé l’ovvia
considerazione che la predisposizione della norma penale sia ponderata alla
luce di riflessioni circa l’ineluttabilità dello strumento penale ai fini di
un’adeguata tutela del bene civilistico.
Ciò comporta l’effettuazione di compiute valutazioni sulle sanzioni
alternative eventualmente previste ex ante, valutazioni conseguenti non solo
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alle elaborazioni della dottrina, ma soprattutto alle acquisizioni del diritto
giurisprudenziale.
Ben si comprende, pertanto, l’opinione di chi, come l’Alessandri,
avverte il rischio che lo strumento penale diventi “battistrada” della
disciplina civilista di settore3.
Quanto all’impianto generale, la riforma del 2002 si pone per taluni
aspetti in linea di continuità, per altri in linea di innovazione rispetto al
precedente progetto di legge elaborato nel 2002 dalla Commissione
ministeriale voluta dall’ex Guardasigilli Flick e presieduta dall’allora
sottosegretario alla Giustizia Mirone.
Tale progetto, incorporato nel disegno di legge delega n. 7123 e
presentato alle Camere nell’estate del 2000, prevedeva un’organica
riformulazione di tutta la materia societaria e, per quanto concerne il diritto
penale societario, una deflazione dell’intervento penale.
L’obiettivo perseguito si traduceva in una selezione dei beni giuridici
a tutela dei quali veniva predisposto lo strumento penale, con conseguente
individuazione di circoscritte fattispecie criminali.
Benché l’istanza deflazionistica informi di sé anche la riforma del
2002, non possono non evidenziarsi significativi punti di scostamento dalla
bozza Mirone.
Il decreto delegato n. 61/2002, infatti, è caratterizzato da una evidente
tendenza alla patrimonializzazione e privatizzazione dell’intervento penale:
l’oggetto giuridico del reato societario trascolora, spesso, dalla tutela di
interessi della collettività, al mero interesse del privato uti singulus.
Per quanto riguarda la fattispecie di false comunicazioni sociali, a tale
stravolgimento dell’oggettività giuridica dell’illecito penale si
accompagnano la mitigazione del rigore sanzionatorio - i livelli edittali
sono decisamente ridotti - la riduzione dei termini di prescrizione, la
3
A. ALESSANDRI, La legge delega n. 366 del 2001: un congedo dal diritto penale societario, in
Corr. giur., 2001, p. 1545.
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perseguibilità a querela di parte in alcuni casi e, infine, la trasformazione
del reato societario in reato ad evento di danno patrimoniale individuale.
Prima di addentrarsi nella ricostruzione della nuova fisionomia degli
artt. 2621 e 2622, è, però, opportuno analizzare, in un breve excursus, le
l’esperienza applicativa del vecchio art. 2621, per poi valutare quale sia
stato l’impatto delle novelle succedutesi negli anni sulla previgente
normativa dell’art. 2621.
1.2. Le false comunicazioni sociali: i nodi problematici della previgente
disciplina e il processo di riforma.
Nel disegno originario del 1942, il reato di false comunicazioni
sociali, essendo incardinata la tipicità su una ipotesi di falso ideologico in
scrittura privata4, incriminava condotte offensive di un fascio di interessi di
natura superindividuale, che veniva identificato nella trasparenza, declinata
secondo i parametri di veridicità e completezza, quale predicato essenziale
dell’informazione societaria.
Se riguardata nell’ottica di un’evoluzione normativa sospinta dal
vento dei cambiamenti della realtà economica nei primi decenni del
Novecento, la formulazione dell’art. 2621 segnava l’ultima tappa di un
processo di progressiva dismissione della concezione statica e individuale
della ricchezza (intesa come patrimonio), di stampo ottocentesco, che aveva
ispirato la previsione dell’art. 347 del codice del commercio del 1882,
mettendo in luce una visione allargata della stessa, dinamica e diffusa.
Questa evoluzione culturale rappresenta il sostrato delle innovazioni
normative che vennero apportate dalla legge 660 del 1931, un
provvedimento, però, che si caricava di una istanza repressiva sino ad allora
sconosciuta, posto che il vecchio art. 247 si limitava a prescrivere una
sanzione pecuniaria.
4
Questa la qualificazione della giurisprudenza di legittimità. Cfr. Cass. Pen., 13 novembre 1981,
in Riv. pen., 1981, p. 748.
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La scelta di criminalizzazione pone in essere, infatti, una reazione
legislativa al dilagare di falsi nei bilanci delle società colpite dalla nota
depressione economica del 1929, allorché si rese pressante la necessità di
una severa risposta repressiva.5
D’altronde, l’art. 2 della legge 660 del 1931, nel riscrivere le condotte
di false comunicazioni sociali, vi introduce il pubblico come destinatario
dell’illecito, così determinandone, da un lato, il distacco dall’alveo del reato
di truffa, dall’altro l’attitudine alla tutela penale degli interessi economici
diffusi.
In questo contesto di rinnovamento, l’attribuzione di rilevanza penale
all’aggressione di interessi economici diffusi avrebbe rappresentato il punto
di forza per il riconoscimento di autonomia scientifica al diritto penale
societario, il cui piano operativo, pubblico, è distinto da quello privato dei
reati contro il patrimonio6.
Sotto l’impero della previgente disciplina, infatti, in considerazione
della poliedricità della fattispecie, cioè della idoneità a proteggere interessi
di molteplici categorie di soggetti, era prevalso l’orientamento
interpretativo che ravvisava nelle false comunicazioni sociali un reato
plurioffensivo.
L’oggetto era, in altri termini, individuato nel fascio di interessi che
dalla società in quanto tale si estendeva alle persone dei soci, ai creditori
sociali attuali e potenziali, fino ai terzi e ad interessi economici pubblici o
collettivi ovvero alla tutela della publica fides7.
5
G. MARINUCCI, Falso in bilancio: con la nuova delega avviata una depenalizzazione di fatto,
in Guida al dir. 2001, p. 10.
6
Questo aspetto è ben messo in luce in D. PULITANÓ, False comunicazioni sociali, in A.
ALESSANDRI (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002, p. 144, in cui
l’Autore afferma: «il pericolo, che l’incriminazione delle false comunicazioni sociali intende
prevenire, è un pericolo che tocca non semplicemente posizioni individuali, ma alcune condizioni
essenziali del normale andamento del mercato. E lo stesso è a dirsi per le altre figure di falso, che
il diritto penale societario prevede in separate disposizioni».
7
In giurisprudenza, significativa è la sentenza sul noto caso Cultrera; si veda Cass. Pen., 28
febbraio 1991, in Cass. pen., 1991, p. 1849. In dottrina, si vedano, F. ANTOLISEI, Manuale di
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12
La tutela di tali interessi, pertanto, consentiva di configurare un reato
di pericolo astratto, chiamato a sanzionare comportamenti non direttamente
causativi di danno, ma potenzialmente in grado di determinarlo.
A coloro che propendevano per tale natura plurioffensiva del reato, si
contrapponevano i fautori delle teorie monoffensive, incentrate ora
sull’uno, ora sull’altro degli interessi evocati.
In tali concezioni si avvertiva, peraltro, il rischio che la configurazione
di una oggettività giuridica aperta avrebbe comportato la messa in
discussione della categoria del bene giuridico, considerato tradizionalmente
una entità tangibile e preesistente alla valutazione legislativa8.
Appariva, dunque, preferibile l’opinione secondo cui l’oggetto tutelato
era da individuare in un bene giuridico immateriale e intermedio, dotato di
autonoma rilevanza rispetto agli interessi economici “finali”: la trasparenza
dell’informazione societaria, da intendersi come interesse alla veridicità e
compiutezza della medesima informazione.
A siffatto bene superindividuale veniva riconosciuta una natura
istituzionale o funzionale, dal momento che la tutela della trasparenza nella
gestione dell’impresa rappresenta un caposaldo delle moderne economie,
essendo il presupposto della fiducia riposta dagli operatori economici e dai
risparmiatori nel mercato9.
Questa impostazione non tardò, però, a mostrare l’opposto esito
valutativo a cui portava, il travalicamento, cioè, delle false comunicazioni
sociali dagli steccati normativi e ciò per una pluralità di ragioni attinenti a
difetti genetici della formulazione. Tra questi spicca il nodo problematico
diritto penale, Leggi complementari, Milano, 1983, p. 323 ss.; G. AZZALI, Caratteri e problemi
del delitto di false comunicazioni sociali, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1991, p. 373 ss.
8
Contro la teoria della plurioffensività, cfr. M. LA MONICA, voce Reati societari, in Enc. dir.,
XXXVIII, 1987, p. 945; E. MUSCO, Bilanci anomali e false comunicazioni sociali:
identificazione inevitabile?, in Giur. comm., 1981, p. 509; G. ZUCCALÁ, Precisazioni e rilievi sul
delitto di false comunicazioni sociali, in Studi Antolisei, Milano, 1965, p. 15 ss.
9
Si vedano G. MARINUCCI – E. DOLCINI; Corso di diritto penale, Milano, 1995, p. 178; M.
DONINI, Teoria del reato. Una introduzione, Padova, 1996, p. 180 ss.
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che viziava ab origine la fattispecie incriminatrice: la indeterminatezza del
concetto di trasparenza.
Invero, secondo alcuni studiosi e certa giurisprudenza, la trasparenza
si esauriva nell’obbligo di veridicità sic et simpliciter, sicché la
strumentalità sostanziale, che ad avviso della dottrina dominante era il
connotato che consentiva di elevarla al rango di oggetto giuridico
intermedio, trascolorava in una strumentalità processuale. In altri termini, le
false comunicazioni sociali avrebbero configurato un reato-ostacolo utile
alla polizia dei mercati10.
Quale sia stata l’applicazione pretoria di questi ragionamenti sarà
illustrato oltre.
In secondo luogo, anche volendo riconoscere natura di bene
intermedio sotto il profilo sostanziale, non si riesce a colmare il deficit di
univocità insito nella trasparenza; il concetto è, infatti, tutt’altro che
univoco, proprio perché l’interesse alla veridicità e completezza
dell’informazione si presta ad esser inteso in almeno tre accezioni, a
seconda degli interessi finali oggetto di tutela mediata.
Così la trasparenza può mirare a tutelare il patrimonio dei singoli
operatori economici, esser preordinato ad assicurare l’etica nei
comportamenti della società commerciale, ovvero svolgere la funzione di
controllo della gestione sociale circa le prospettive di crescita dell’ente.
Secondo quest’ultima accezione, l’interpretazione del dovere di
trasparenza varia in funzione del tipo di società, poiché nel caso di piccole
società saranno tutelati gli interessi dei soci di minoranza o di quelli
potenziali, mentre qualora si tratti di società ad azionariato diffuso,
10
Su questo impiego della fattispecie incriminatrice, si veda per tutti C. PEDRAZZI, False
comunicazioni sociali: presidio dell’informazione societaria o delitto ostacolo?, in AA. VV., Studi
in ricordo di Giandomenico Pisapia, Milano, 2000, p. 826 ss.
La previgente disciplina dell’art.2621 del codice civile
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assumono rilevanza anche gli interessi dei soci di maggioranza e degli
investitori11.
Ma vediamo quale sia stata l’esperienza applicativa del vecchio art.
2621.
Ritenuto l’asse portante del sistema di diritto penale societario12, l’art.
2621 ha dimostrato nel sessantennio precedente all’intervento del
legislatore nel 2002, una straordinaria duttilità applicativa, al punto che, in
questo lungo periodo, non è stato ritenuto necessario procedere ad una sua
riconfigurazione, al contrario di quanto è, invece, avvenuto per altre
fattispecie del titolo XI del codice civile.
Chi si interrogava sulla ragione di un tale capacità di adattamento, ne
individuava le tracce nella indefinitezza dei presupposti applicativi,
autentico punctum dolens della disciplina secondo molti, fattore propulsivo
di uno «straordinario sviluppo» della medesima, secondo altri13.
In ragione della riconosciuta funzione ancillare del diritto penale
rispetto alla sottostante disciplina civilistica, al fisiologico fenomeno di
assorbimento nel diritto vivente di nuove istanze emergenti dalla realtà
economico-sociale, si è puntualmente accompagnata l’operazione esegetica
dei giudici, volta all’adeguamento della correlativa risposta repressiva.
La degradazione dell’elemento soggettivo espresso dall’avverbio
fraudolentemente a mero dolo eventuale, il disconoscimento di irrilevanza
11
Sul concetto di trasparenza si veda F. GIUNTA, La vicenda delle false comunicazioni sociali.
Dalla selezione degli obiettivi di tutela alla cornice degli interessi in gioco, in Riv. trim. dir. pen.
econ., 2003, p. 626.
12
Talmente rilevante da esser stata definita «una delle pochissime costanti, se non l’unica, del
diritto penale societario» (cfr. C. PEDRAZZI, Profili penali dell’informazione societaria, in
AA.VV., L’informazione societaria, Milano, 1982, p. 1129).
13
Per le critiche cfr. G. E. COLOMBO, La moda dell’accusa di falso in bilancio nelle indagini
delle Procure della Repubblica, in Riv. soc., 1996, p. 713 ss; per gli altri cfr. N. MAZZACUVA,
Lo straordinario sviluppo delle false comunicazioni sociali nel diritto penale giurisprudenziale:
tra legittime istanze punitive e irrazionali soluzioni interpretative (rassegna di giurisprudenza), in
Crit. del dir., 1995, p. 283.
Per uno studio sulle connessioni tra le false comunicazioni sociali e i fenomeni di corruzione e
concussione, si veda P. DAVIGO – G. SPAGNOLO – V. PERCHINUNNO – F. BONITO, in A.
MANNA (a cura di), Falso in bilancio, concussione e corruzione: esperienze a confronto (aspetti
sostanziali e processuali), Bari, 1998, p. 21 ss.
La previgente disciplina dell’art.2621 del codice civile
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penale ai falsi, qualitativi o quantitativi, che presentavano un insensibile
scostamento rispetto al contesto delle voci di bilancio o che non arrecavano
danno ad alcuno, l’ampliamento della punibilità in ossequio alla opzione
per la plurioffensività del reato, sono i principali aspetti critici evidenziati
dai detrattori, che stigmatizzavano l’uso distorto della intramontabile figura
criminosa, il cui perseguimento risultava esser, così, strumentale e
prodromico all’accertamento di altri illeciti penali commessi contro la
pubblica amministrazione o contro il patrimonio. Ciò è, in effetti, messo in
luce da un dato statistico difficilmente controvertibile, la ingente pluralità di
addebiti di responsabilità per false comunicazioni sociali nel primo
quinquennio degli anni Novanta, periodo storico surriscaldato dalle famose
inchieste giudiziarie alle quali comunemente si allude con la nota
espressione giornalistica di “Mani pulite”14.
Da più parti veniva, così, formulato l’auspicio di una riforma che
consentisse, da un lato, di arginare l’eccessiva espansione della norma a
scapito dei principi di tassatività e determinatezza della fattispecie penale,
dall’altro di fermare il pendolo delle perduranti oscillazioni interpretative.
Le aspettative di dottrina e giurisprudenza non vennero deluse, ma la
gestazione della riforma se non lunga fu certamente tortuosa: apertasi nel
giugno del 2000, con la presentazione alle Camere di un disegno di legge
delega di iniziativa governativa che inglobava il progetto preliminare
elaborato dalla già citata commissione, presieduta dall’on. Mirone, la
stagione riformatrice, che sembrava essersi chiusa con l’emanazione del
decreto delegato 61, si riaprì con la legge sul risparmio nel 2005. Sarà,
quindi, opportuno analizzarne partitamente le tappe.
14
In particolare, si vedano Cass. Pen., 21 gennaio 1998, Cusani, in Cass. pen., 1998, p. 2912; Trib.
Torino, 9 aprile 1997, Romiti, in Giur. it., 1998, p. 1691; Trib. Milano, 28 aprile 1994, in Foro. it.,
1995, p. 24.
CAPITOLO II
L’ATTUALE DISCIPLINA DELLE FALSE
COMUNICAZIONI SOCIALI
L’attuale disciplina delle false comunicazioni sociali
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2.1. La bozza Mirone: una soluzione di compromesso.
Elaborato da una commissione istituita presso il Ministero di Grazia e
Giustizia con decreto interministeriale del 24 luglio 1998, il progetto
Mirone, concepito per strutturare un riordino sistematico del diritto penale
societario, rappresenta la prima tappa del processo riformatore delle false
comunicazioni sociali, benché la traduzione concreta delle previsioni in
esso contenute non sia andata oltre l’incorporazione in un disegno di legge
delega, mai approvato dalle Camere.
Per quanto concerne le false comunicazioni sociali, se la necessità di
una riscrittura del reato - sulla cui applicazione piovevano le critiche
suesposte, in concomitanza, peraltro, a processi penali ancora in corso - era
ben presente nelle menti dei compilatori del Progetto, i tentativi di smussare
le asperità dell’incriminazione prevista dal codice dovettero fare presto i
conti con la difficoltà di procedere ad una tipizzazione oggettiva del fatto
nei termini di una maggiore tassatività rispetto alla formulazione allora
vigente.
Ne fornisce prova il dibattito tra i componenti della Commissione, di
cui dà conto la Relazione illustrativa, circa la previsione di un principio
direttivo che avrebbe dovuto esser seguito dal Governo in sede di redazione
del decreto delegato di attuazione, consistente nel «precisare altresì che le
informazioni debbono essere significative e tali da alterare sensibilmente la
rappresentazione della situazione stessa»15.
Il principio non venne inserito, atteso che, secondo la maggioranza,
avrebbe potuto comportare uno svuotamento di efficacia della norma in
conseguenza della limitazione applicativa.
Nondimeno, la preoccupazione di restringere l’ambito oggettivo della
fattispecie permeò di sé il procedere dei lavori, unitamente al
15
Cfr. Relazione illustrativa dello schema di disegno di legge delega per la riforma del diritto
societario, in Riv. soc., 2000, p. 75.
L’attuale disciplina delle false comunicazioni sociali
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convincimento, in linea con l’opinione maggioritaria della dottrina, che,
condizione necessaria per arginare gli abusi applicativi fosse l’attenuazione
del carattere di plurioffensività del reato.
Invero, l’innovazione fondamentale del Progetto risiede nella
esclusione dal novero delle comunicazioni sociali di quelle i cui destinatari
fossero soggetti predeterminati, essendo incriminata la falsa o incompleta
informazione soltanto se rivolta a categorie aperte di soggetti, i soci e il
pubblico.
E, infatti, va in questo senso l’ancoraggio della tipicità della condotta
al requisito dell’idoneità ad ingannare i destinatari delle comunicazioni
sociali, come pure l’attribuzione di rilevanza all’informazione, intesa come
«fatto materiale ancorché oggetto di valutazione».
Ma il Progetto si spingeva oltre, propugnando una razionalizzazione
più incisiva delle varie ipotesi di mendacio riconducibili all’art. 2621, come
l’armonizzazione delle falsità in comunicazioni sociali dirette alle autorità
pubbliche di vigilanza e l’enucleazione di una ipotesi a sé stante di falso in
prospetto.
Immancabile la riconfigurazione del dolo, oggetto di intepretazioni
che, facendo perno sull’avverbio fraudolentemente, l’avevano reso
evanescente: il Progetto, infatti, irrobustiva l’elemento soggettivo mediante
la previsione di un dolo specifico caratterizzato dal fine «di conseguire, per
sé o per altri, un ingiusto profitto».