iv
Commercio), si fonda sulla constatazione che un grado insufficiente di
tutela o una disparità di disciplina della proprietà intellettuale nei
diversi Stati rappresenta un’importante causa di distorsioni nel
commercio internazionale. Di qui, la necessità di promuovere una
tutela adeguata e uniforme nei diversi settori della proprietà
intellettuale.
L’ Accordo TRIPS, dunque, ha stabilito una serie di regole per il
sostegno e la protezione dei diritti di proprietà intellettuale; la parte
relativa ai brevetti, regolandone la commercializzazione, stabilisce la
disponibilità e, quindi, l’accesso ai farmaci nei Paesi aderenti
all’OMC.
Negli ultimi decenni la ricerca farmaceutica è stata condotta in
prevalenza dall’industria; è, quindi, necessario concedere la possibilità
di tutelare con il brevetto gli investimenti effettuati, al fine di evitare
che l’industria possa essere sfruttata indiscriminatamente dalle
concorrenti della impresa innovatrice, a tutto discapito della attività di
ricerca. Così, il brevetto su un farmaco garantisce un monopolio sul
prodotto o anche su un determinato processo di produzione, vietando,
in tutti gli Stati membri, la produzione, l’impiego e il commercio di
prodotti equivalenti, senza l’autorizzazione del titolare del brevetto. In
v
questo quadro, si inserisce il problema dell’accesso ai farmaci
essenziali nei PVS (Paesi in via di sviluppo) in quanto il considerevole
costo dei farmaci per curare malattie specifiche è determinato,
principalmente, dagli oneri della ricerca e dallo sviluppo del prodotto
stesso e dal ruolo che ogni medicinale svolge nel mantenimento di una
ricerca complessa e di una struttura di sviluppo.
Con questo mio lavoro mi propongo di ripercorrere gli aspetti
salienti della disciplina internazionale della proprietà intellettuale
dell’Accordo TRIPS, mettendo in rilievo come l’attuazione della vasta
normativa contenuta in tale Accordo da parte di quei paesi
economicamente arretrati, quali i PVS, abbia comportato enormi
difficoltà di attuazione nonostante i benefici riconosciuti loro
dall’OMC e che differenziano la loro posizione giuridica da quella
degli altri membri dell’Organizzazione.
Problema fondamentale trattato in questo mio lavoro è proprio
quello dell’influenza dei diritti di proprietà intellettuale sull’accesso ai
farmaci essenziali nei PVS.
Nella prima parte del lavoro, dopo aver presentato gli elementi
essenziali del quadro normativo ed istituzionale nel quale si inserisce
l’Accordo TRIPS, mi occuperò della dimensione storica della tutela
vi
internazionale della proprietà intellettuale; esaminerò, dunque,
l’aspetto del trattamento differenziato disposto dall’Accordo nei
confronti di PVS e il tentativo di tali Paesi, di promuovere e sostenere
la piena ed effettiva attuazione delle eccezioni sanitarie previste dalla
normativa TRIPS, al fine di potere produrre ed importare i farmaci
generici, necessari a garantire il diritto alla salute delle popolazioni.
1
CAPITOLO I
DAL GATT ALL’OMC
I. 1. IL CORPUS NORMATIVO DELL’ACCORDO GENERALE
Nella seconda metà del ventesimo secolo considerazioni di diversa
natura indussero gli Stati ad instaurare stretti legami di cooperazione
economica. Accanto alla conclusione di un gran numero di accordi
bilaterali e regionali, gli Stati avvertirono l’esigenza di elaborare una
normativa multilaterale la cui applicazione avrebbe dovuto favorire la
progressiva riduzione degli ostacoli agli scambi di beni e servizi su scala
mondiale. In tale contesto va considerata la conclusione, il 30 ottobre 1947
a Ginevra, del GATT, General Agreement on Tariffs and Trade, ossia
dell’accordo generale multilaterale sulle tariffe doganali e il commercio.
Esso rappresentò un corpus, unico nel suo genere, di disposizioni
normative, prassi consolidate, decisioni e interpretazioni degli organi
istituzionali che produssero le regole a fondamento della disciplina
giuridica del commercio dei beni
1
.
1
Cfr. COMBA, Il neoliberismo internazionale, Milano, 1995.
2
Volendo realizzare il principio di non discriminazione incondizionata
2
,
nell’Accordo Generale (GATT) fu inserita la clausola della nazione più
favorita (art. I) secondo la quale tutti i vantaggi, i benefici, i privilegi o le
immunità, accordate da una parte contraente a un prodotto originario o
destinato a qualsiasi altro paese, sarebbero stati immediatamente e senza
condizioni, ossia in modo automatico e gratuito, estesi a tutti i prodotti
similari originari o destinati al territorio di tutte le altre parti contraenti.
Oggetto principale della clausola furono i dazi, ma essa trovò altresì
applicazione a una serie di altri diritti e imposizioni che colpirono, in modo
più o meno diretto, le importazioni o le esportazioni.
In virtù degli accordi multilaterali conclusi in sede dei negoziati del
Tokyo Round nel corso degli anni ’70, al corpus del GATT fu aggiunto il
c.d. “Quadro Giuridico”, che poi diventò la Parte IV del GATT stesso. Il
Quadro Giuridico mise a fuoco la problematica inerente la coesistenza, nel
GATT, di paesi membri molto diversi tra loro, soprattutto in termini di
livello di sviluppo economico.
La soluzione adottata fu quella di legittimare un sistema di preferenze,
per sua natura discriminatorio, a favore dei Paesi in via di sviluppo (PVS) e
2
Al fine di promuovere la creazione di relazioni pacifiche tra gli Stati riducendo la possibilità che
questioni di ordine economico potevano essere alla base di nuovi conflitti, fu considerato fondamentale
eliminare ogni forma di discriminazione nei rapporti commerciali e creare un sistema normativo che
favorisse la partecipazione degli Stati alla rete di interscambio commerciale sulla base dei vantaggi
comparati.
3
dei Paesi meno avanzati, sistema che trovò giustificazione solo nelle
condizioni di particolari necessità in cui versavano i paesi beneficiari. Con
il progressivo miglioramento delle performance economiche e
commerciali, tali paesi dovettero anch’essi assoggettarsi alle disposizioni e
agli obblighi derivanti dall’ Accordo generale. Dal punto di vista formale,
questo sistema derogatorio fu realizzato con l’inserimento di una clausola
di abilitazione
3
, associata ad una clausola evolutiva o di ritorno graduale
4
.
Il principio di non discriminazione fu attuato e rafforzato anche
tramite la clausola del trattamento nazionale (art. III): i prodotti provenienti
dal territorio di qualsiasi altra parte contraente non potevano essere colpiti,
direttamente o indirettamente, da tasse o altre imposizioni interne di
qualsiasi tipo, in misura superiore a quelle che colpivano, direttamente o
indirettamente, prodotti nazionali simili.
Questo valeva anche con riguardo a qualsiasi legge, regolamento o
prescrizione relativa alla vendita, trasporto, distribuzione e utilizzazione dei
prodotti sul mercato interno.
3
Attraverso la clausola di abilitazione, l’applicazione di norme diverse a soggetti diversi in ragione del
loro differente grado di sviluppo economico venne accettato come integrante di una disciplina ispirata ai
principi di libero scambio e la libera interazione delle forze di mercato venne considerata una condizione
necessaria.
4
Così l’applicazione di una normativa particolare ai rapporti tra parti contraenti di diverso livello di
sviluppo economico fu considerata come una misura transitoria e non permanente, finalizzata ad avviare
processi di sviluppo nei Paesi economicamente arretrati per permettere loro di adeguare progressivamente
le politiche commerciali alle disposizioni dell’Accordo generale.
4
Anche in questo caso, il divieto della discriminazione operava in modo
automatico e prescindeva dal fatto che, ai prodotti esteri colpiti, potesse
derivare un qualsiasi pregiudizio.
All’art. VI, l’Accordo Generale affrontò la questione “dumping” e
questa rappresentò, nel secondo dopoguerra, la prima regolamentazione
internazionale della materia. L’idea di fondo che governò la disciplina
approntata dal GATT, fu che, una volta depurato di ogni elemento
pubblicistico, il dumping perdesse gran parte della sua connotazione
negativa, rendendosi così praticamente innocuo per un’economia di
mercato
5
. Quindi l’Accordo, pur considerandolo condannabile, non lo
vietò, ma semplicemente lo regolamentò, stabilendo alcuni principi ai quali
gli Stati membri dovettero adeguarsi. In particolare la regolamentazione si
concentrò sulla natura, l’ammontare e i procedimenti delle sanzioni. Si
ritenne, infatti, che fossero proprio i diritti antidumping a costituire il vero
ostacolo al commercio internazionale, se applicati al di fuori di casi ben
determinati e strettamente necessari
6
. Ne conseguì che la disciplina del
dumping, servì solo per accertare i casi in cui i diritti antidumping potevano
essere lecitamente applicati.
5
Cfr. COMBA, op. cit. , p. 115.
6
Cfr. COMBA, ibidem.
5
Il GATT, peraltro, prese in considerazione solo il dumping sui prezzi,
fattispecie che incorreva quando fossero stati soddisfatti tre requisiti:
1. il prezzo era inferiore al valore normale con cui il prodotto era
messo su un mercato estero da un paese esportatore;
2. l’esportazione in dumping causava, o minacciava di causare, un
pregiudizio importante alla produzione in atto in un altro paese
membro o alla creazione di una produzione nazionale;
3. sussisteva il nesso di causalità tra le esportazioni in dumping e il
pregiudizio nel paese importatore.
Un altro principio di cui si avvalse il GATT fu quello della protezione
doganale esclusiva (art. XI), in virtù del quale i dazi doganali erano l’unica
forma di protezione ammessa per limitare gli scambi internazionali.
Parallelamente si dovette istituire anche l’obbligo di eliminare qualsiasi
restrizione quantitativa al commercio (in particolare i contingenti e le
licenze) diversa, appunto, dai dazi doganali.
6
I. 1. 1. GLI ASPETTI ISTITUZIONALI DEL GATT
Il GATT del 1947, formalmente, fu un accordo multilaterale, non una
organizzazione
7
. Per la sua amministrazione, fu predisposto un apparato la
cui principale istituzione era denominata “Parti Contraenti”. Si trattava
dell’organo politico, composto da tutti gli Stati membri che avevano aderito
all’Accordo. Le sue risoluzioni furono assunte per consensus
8
e a ciascuno
Stato membro fu attribuito un solo voto. A tale organo spettarono la
competenza interpretativa, la concessione di deroghe, la creazione di nuove
strutture istituzionali; esso esercitò un suo ruolo nell’ambito delle
consultazioni e della composizione delle controversie, così come
disponevano gli articoli XXII e XXIII del GATT.
Tra una sessione e l’altra delle “Parti Contraenti”, agiva il Consiglio
dei rappresentanti, al quale spettarono compiti decisionali su questioni
urgenti, e di supervisione sui lavori dei vari comitati e gruppi di lavoro.
L’organo amministrativo era il Segretariato, comprendente la direzione
amministrativa e il Gabinetto del Direttore Generale. Dell’apparato
7
Cfr. SACERDOTI, La trasformazione del GATT nell’Organizzazione mondiale del Commercio in
Diritto del Commercio Internazionale, 1995, n.9/1,p.74.
8
Per metodo del consensus, si intende in generale una prassi molto vicina al sistema della votazione
unanime, e tuttavia con questa non perfettamente coincidente, in quanto non è richiesta necessariamente
una adesione in positivo di tutte le parti contraenti di un accordo, ma una semplice non opposizione che
non esclude l’esistenza di riserve e obiezioni da parte di uno o più Stati.
7
istituzionale del GATT fecero parte anche una serie di comitati
9
, gruppi di
lavoro
10
e, soprattutto, i panels. Questi ultimi erano composti da soggetti
che agivano a titolo individuale, designati per svolgere funzioni
interpretative e di approfondimento, nel merito delle questioni oggetto delle
controversie tra gli Stati membri.
Alle consultazioni e alla composizione delle controversie, invero, il
GATT dedicò solo due articoli, il XXII e il XXIII: trattavasi nel complesso
di una disciplina debole e di scarsa efficacia, soprattutto per quanto
concerneva il profilo sanzionatorio.
In particolare, possono essere ricordati alcuni elementi caratterizzanti.
Innanzitutto, per tutte le materie dell’ Accordo, valeva il principio del
negoziato obbligatorio (art. XXII): indipendentemente dalla connotazione
illecita che poteva essere attribuita al comportamento di una parte
contraente, la consultazione, o negoziato, aveva ragione di essere richiesta
da qualsiasi parte contraente e in relazione a qualsiasi materia contemplata
dall’Accordo.
9
I comitati erano organi non temporanei, composti da quindici, massimo venticinque, rappresentanti di
Stati; erano incaricati di esaminare in modo continuativo una questione in particolare.
10
I gruppi di lavoro erano organi temporanei, composti da rappresentanti di Stati, designati su base
geografica e in funzione degli interessi commerciali in causa nella controversia. Infatti, ad essi era
affidato lo studio di una questione specifica, oggetto di controversia. Terminato l’esame, dovevano
presentare alle “Parti Contraenti” le loro conclusioni in una relazione. Questa, pur non avendo efficacia
vincolante per l’organo politico, al quale spettava la decisione finale, rappresentava, in ogni caso, un utile
punto di riferimento. Cfr. COMBA, op. cit. ,pp. 162-163.
8
Delle norme procedurali per la composizione delle controversie si occupò
l’art. XXIII, secondo il quale, fallita la prima fase di consultazioni
reciproche, o ecceduti tempi ragionevoli, la controversia sarebbe entrata
nella seconda fase. A questo punto le “Parti Contraenti” sarebbero
intervenute, delegando a un panel lo studio della questione. Sulla base del
rapporto emesso dal panel, le “Parti Contraenti” avrebbero deliberato la
soluzione finale. Nella prassi, peraltro, non si fece altro che approvare il
rapporto per consensus. Ciò significa che, affinché il rapporto fosse
approvato, occorreva una manifestazione positiva di volontà dell’organo.
Quindi, sarebbe bastata l’opposizione della parte soccombente per
paralizzare la procedura.
Si è dunque rilevato che uno dei difetti principali di tale sistema
giuridico fu la mancata applicazione di conseguenze pregiudizievoli
(sanzioni) a carico della parte che non si atteneva ad una decisione
approvata di un panel o ad altre decisioni del GATT
11
.
11
Il mancato rispetto di una decisione approvata di un panel poteva comportare l’autorizzazione alla parte
vincente di sospendere concessioni (art. 23.2 del GATT). Questo poteva risultare inefficace quando un
piccolo paese vinceva una controversia nei confronti di un partner commerciale di primaria importanza;
venne fatto raramente ricorso, facendosi piuttosto uso di accordi bilaterali. La mancata applicazione di
decisioni adottate di panels per parecchio tempo fu denunciata come una situazione intollerabile di
inefficacia e di mancato rispetto dei principi fondamentali del sistema. Cfr. SACERDOTI, op. cit. , p. 76.
9
I. 1. 2 LE CARENZE DEL SISTEMA GIURIDICO DEL GATT
Il sistema giuridico del GATT del 1947 presentava delle carenze di
non scarsa rilevanza. Tra queste risaltano le regole contenute nel GATT, la
cui natura fu prevalentemente programmatica, più che precettiva,
rendendole deboli. Allo stesso modo, appaiono deboli anche le procedure,
in particolare l’approvazione per consensus del rapporto del panel, la quale
costituì un elemento di fragilità molto pericoloso. Inoltre, l’assenza di un
quadro istituzionale compromise la credibilità e l’efficacia del regime
sanzionatorio, tanto che, nella maggior parte dei casi, le questioni
controverse furono risolte bilateralmente tra gli Stati coinvolti oppure
tramite azioni unilaterali di ritorsione. L’elemento che, però, più di tutti
sembra aver contribuito all’indebolimento dell’Accordo Generale, fu la
necessità di una sua formale ratifica ad opera delle parti contraenti. Ciò,
evidentemente, privava l’Accordo di una qualsiasi efficacia diretta e
vincolante nei vari Stati, con la conseguenza che, i cittadini e le imprese
non ebbero la possibilità di far valere le norme e le regole concordate
internazionalmente a loro favore, e che la responsabilità di far rispettare le
norme contenute nell’ Accordo Generale fu solo degli Stati: una decisione,
quindi, a forte connotazione politica.