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INTRODUZIONE
1. L’oggetto della mia trattazione
La mia relazione finale ha ad oggetto l’attuazione della tutela dei diritti dei minori.
La riflessione ha riguardato la normativa applicabile per assicurare effettività alla
protezione dei loro diritti, in particolare verificando l’adeguatezza delle misure
attraverso l’analisi del percorso dottrinale e giurisprudenziale con riguardo in
particolare all’esercizio del diritto di visita in caso di separazione o divorzio dei
genitori. Il tema dell’attuazione in concreto del cd. diritto di visita offre in qualche
modo un terreno d’elezione per la verifica che mi propongo.
La figura del minore assume un ruolo centrale e di primaria importanza nella mia
trattazione: le posizioni di garanzia assumono struttura e funzione particolare
quando ne è destinatario il minore, cui la legge mira ad assicurare non tanto o
soltanto un benessere materiale, quanto lo sviluppo armonioso e la
conservazione di valori immateriali quali una corretta relazione genitoriale, il
rispetto del diritto all’educazione ed alla crescita in un contesto estremamente
delicato in cui è prioritario il rispetto della personalità del bambino. In gioco sono
diritti/doveri che con molta difficoltà possono riportarsi a tecniche di coercizione,
quindi a strumenti processuali di tipo tradizionale: lo sforzo compiuto
dall’Ordinamento nazionale, ma anche da quello comunitario è centrato sulla
ricerca di un punto di equilibrio credibile tra la tendenziale incoercibilità dei
comportamenti umani e l’aspirazione a disciplinarne eventualità e contenuti in
vista dell’interesse superiore del minore. Questa figura viene inevitabilmente
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centrale nella riflessione, perché impronta di sé i problemi esasperandone la
criticità. Per conseguenza il punto di partenza non può che essere la
ricostruzione del catalogo dei diritti fondamentali, garantiti ai minori dagli
Ordinamenti internazionale, comunitario ed italiano.
La prospettiva in cui muove l’indagine è quella di una tutela del fanciullo piena,
completa ed efficace; al minore deve essere assicurato benessere, un adeguato
clima famigliare ed il riparo da pregiudizi.
Il terreno di ricerca è dunque essenzialmente quello dei procedimenti/rimedi
contemplati dall’Ordinamento italiano applicati od applicabili in materia di diritto di
visita, che si presta in modo esemplare ad una ricognizione di tutti i temi posti
dalla ricerca di una garanzia effettiva non solo formale dei diritti del bambino in
caso di crisi della relazione intragenitoriale. In particolare il tema si pone con
chiarezza laddove il genitore affidatario manifesti il rifiuto di consegnare il minore
all’altro genitore, non affidatario, titolare del diritto di visita; nonché nell’ipotesi in
cui il genitore non affidatario, al termine del periodo di visita, non faccia
conseguire il rientro del minore presso la residenza dell’affidatario.
Si tratta di stabilire se e come le strutture ed i procedimenti in vigore possano
efficacemente trovare applicazione per fare fronte al mancato esercizio del diritto
di visita del genitore, nella piena e completa salvaguardia degli interessi dei
fanciulli coinvolti.
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Pregiudiziale all’analisi della normativa processuale applicabile in materia risulta
una veloce riflessione sui concetti di fungibilità ed infungibilità. Il tema è
ovviamente centrale per la comprensione dei problemi di effettività della tutela
quando, come in modo esemplare nel caso, i diritti riguardano valori immateriali e
condotte strettamente personali, categoria cui si ascrivono le obbligazioni aventi
ad oggetto il diritto di visita.
Data la natura chiaramente infungibile del diritto di visita, l’individuazione di un
procedimento esecutivo in grado di garantire tutela anche a questo tipo di
obblighi è tradizionalmente molto difficile e complessa, nel caso a maggior
ragione perché coinvolge in qualche modo la prescrittibilità e coercibilità di
comportamenti che richiedono una speciale sensibilità, perché toccano posizioni
di estrema fragilità anche sul versante adulto del rapporto genitoriale. Scontata la
fredda limitazione tecnica delle misure coercitive processuali, l’indagine mira solo
a capire se i procedimenti di esecuzione forzata e gli altri rimedi disciplinati nel
Codice di procedura civile possano trovare applicazione in caso di mancata
esecuzione di obblighi infungibili, quale il diritto di visita.
A conclusione dell’analisi della normativa vigente, mi è parso di poter avanzare
una soluzione interpretativa al problema, non senza però sottolinearne ed
evidenziarne i grossi limiti.
2. Gli Ordinamenti internazionale e comunitario
La trattazione si svolge in prospettiva transnazionale oltreché interna perché con
l’eliminazione delle dogane, la creazione di un mercato comune, il ravvicinarsi
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delle politiche economiche dei vari Stati è aumentata esponenzialmente la
mobilità delle persone. Conseguenza di questo movimento è la formazione di
famiglie composte, ossia famiglie costituite da soggetti di cittadinanza differente
(diversità dovuta a ragioni di nascita oppure a trasferimenti avvenuti dopo la
separazione o il divorzio dei coniugi) o da soggetti aventi più di una cittadinanza.
Ordinamenti internazionale, comunitario, nazionale sono i diversi livelli e sistemi
di cui occorre capire correttamente gli ambiti di efficacia, per superare i problemi
applicativi conseguenti alla interazione tra i vari livelli.
I primi vengono coinvolti in quanto oggetto del discorso sono fattispecie
caratterizzate dalla nazionalità differente dei coniugi; pertanto, in tale contesto,
risulta indispensabile ed imprescindibile il richiamo al Diritto internazionale e
comunitario. I secondi vengono coinvolti in quanto rilevanti in materia di Diritto di
famiglia, materia non disciplinata dall’Ordinamento internazionale ed europeo; in
particolare, assumono rilievo le discipline sostanziali e di Diritto internazionale
privato dei singoli Stati membri.
Il Diritto internazionale e comunitario si occupano dell’individuazione del foro
competente, della legge applicabile nella risoluzione delle controversie
riguardanti i figli minori della coppia, nonché della necessità di assicurare
efficacia transfrontaliera alle decisioni adottate dall’Ordinamento ritenuto
competente. Quindi individuato lo Stato competente, alla controversia viene
applicata la sua disciplina interna.
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Da ciò sorge un delicato e gravoso compito affidato all’interprete: risolvere i
conflitti, sull’esercizio del diritto di visita, insorti tra genitori separati o divorziati,
residenti in Stati membri differenti, relazionandosi con fonti, princìpi e precetti
appartenenti a differenti Ordinamenti. Nel contesto familiare l’interpretazione
incontra maggiori difficoltà poiché l’applicazione della disciplina di un
Ordinamento e la relativa esclusione dell’altro comportano significative
conseguenze personali per i vari soggetti coinvolti nel rapporto giuridico
interessato.
3. La tutela apprestata dall’Ordinamento italiano
Nonostante le difficoltà rilevate l’opera legislativa, dottrinale e giurisprudenziale
italiana, spinta dall’esigenza di assicurare un’effettiva protezione dei diritti dei
minori, si è adoperata perché la tutela prioritaria e preminente dei loro interessi si
realizzasse.
I rimedi non coercitori vigenti nel nostro Ordinamento non erano in grado di
assicurare adeguata tutela al fanciullo, perché relegavano alla discrezionalità dei
singoli, dei genitori in questo caso, la libertà di scelta tra l’adempimento e il non
adempimento dei propri doveri genitoriali; pertanto questi strumenti non
garantivano una piena e completa realizzazione degli interessi del fanciullo.
Quindi l’attenzione di Legislatore ed interpreti si è rivolta verso l’introduzione ed
applicazione di strumenti e rimedi coercitivi in grado di coartare la volontà del
genitore, salvaguardando il minore da pregiudizi.
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L’obiettivo dell’indagine era assicurare l’effettiva protezione dei diritti dei minori, in
particolare del diritto del fanciullo al mantenimento di una relazione stabile con i
propri genitori. Guardando al piano strettamente processuale occorre rilevare che
l’obiettivo è stato raggiunto con l’emanazione dell’art. 614-bis c.p.c., il quale
prevede la possibilità di irrogare una misura coercitiva indiretta al fine di condurre
all’esecuzione degli obblighi infungibili. Pertanto l’esecuzione del diritto di visita
del genitore, laddove non si realizzi per spontanea volontà dello stesso, viene
coattivamente posto in essere in ragione della pressione psicologica svolta dalla
misura coercitiva indiretta irrogata.
Il problema posto alla base della mia trattazione consisteva nel tentativo di capire
come si potesse realizzare l’attuazione della tutela dei diritti dei minori, con
riguardo in particolare all’esercizio del diritto di visita del genitore, laddove tale
diritto non venisse correttamente esercitato. L’indagine mi ha portato a ritenere
che né mediante strumenti coercitivi né tantomeno mediante strumenti non
coercitivi sia possibile assicurare la tutela effettiva del diritto del minore ad un
rapporto stabile e continuativo con il proprio genitore. Questa conclusione deriva
dal limite proprio di questo tipo di obblighi rappresentato dalla sfera dell’affettività
del genitore. La sfera dei sentimenti di una persona rappresenta l’unico limite di
ogni indagine processuale avente ad oggetto l’esecuzione del diritto di visita.
Quindi la soglia dell’affettività inficia qualsiasi rimedio, anche coercitivo,
predisposto dall’Ordinamento in tale materia, pertanto occorre intraprendere
questa analisi tenendo sempre in considerazione il suo principale limite.
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CAPITOLO I
I DIRITTI FONDAMENTALI DEI MINORI
1. Introduzione
Sebbene nell’Ordinamento internazionale e comunitario siano presenti una
moltitudine di Stati differenti per usi, costumi, cultura, religione rimane un punto di
contatto tra queste realtà: la considerazione della prole quale soggetto debole
della famiglia, meritevole di una particolare ed adeguata protezione.
La tutela del minore avviene tramite l’attribuzione allo stesso di diritti; in questa
sede intendo spiegarli brevemente, al fine di dare atto dello scenario in cui la
figura del minore è inserita. Prima di esaminarli, occorre chiarire quale sia il limite
di età al superamento del quale non è più possibile parlare di soggetto minore.
Tale limite, secondo alcune Convenzioni, sarebbe rinvenibile nel compimento del
diciottesimo anno di età, secondo altre, nel compimento del sedicesimo anno;
pertanto il concetto di minore va sempre contestualizzato in relazione allo
strumento normativo da cui promana il diritto.
2. Il minore e l’ambito comunitario ed internazionale
2.1. Introduzione
La Dichiarazione di Ginevra del 1924 è il primo atto che, a livello internazionale,
si occupa del minore, riconoscendo che l’umanità ha il dovere di offrire al
fanciullo quanto di meglio possiede; fornirgli i mezzi necessari per il suo sviluppo,
nonché il nutrimento, la cura, l’aiuto, il recupero, l’assistenza, il soccorso e la
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protezione contro ogni forma di sfruttamento. Nel 1948 la Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo, cosi come la Carta europea dei diritti fondamentali
(c.d. Carta di Nizza), all’art. 25
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garantisce a tutti i bambini protezione sociale per
crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale
e sociale, in condizioni di libertà e di dignità.
Nel 1959 il preambolo della Dichiarazione dei Diritti del fanciullo statuisce che il
fanciullo, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale, ha bisogno di cure
speciali e di adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita.
Nell'adozione delle leggi rivolte a tal fine, deve essere tenuto in preminente
considerazione il superiore interesse del fanciullo.
Il minore, per quanto è possibile, deve crescere sotto le cure e la responsabilità
dei genitori in un clima di affetto, sicurezza materiale e morale; egli ha diritto ad
una vita familiare serena, solida, in grado di costituire un costante punto di
riferimento.
Il mantenimento, nel tempo, dello stesso luogo di soggiorno della famiglia
costituisce un elemento fondamentale per una crescita serena del bambino;
esigenza che, oggi, risulta sempre più utopistica perché, a causa del diffondersi
dei matrimoni tra cittadini di Stati europei differenti ed il crescente numero di
separazioni e divorzi, il minore è sempre più soggetto a frequenti spostamenti. In
presenza di una spiccata transnazionalità della controversia è probabile che
venga compromesso lo sviluppo del minore che, in assenza di una tutela
internazionale e comunitaria della prole, sarebbe lasciato alla mercé dei
Legislatori nazionali.
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Alla luce di ciò risulta più facile comprendere la Convenzione di New York
laddove prevede il diritto del fanciullo a preservare la propria identità (la
nazionalità, il nome e le relazioni familiari) e la necessità di assicurargli un
adeguato contesto educativo. All’art. 8 viene sancito il diritto soggettivo del
minore a preservare le relazioni famigliari: egli ha diritto di conoscere i propri
genitori e ad essere allevato da essi, di non essere separato dagli stessi contro la
loro volontà, salvo che tale separazione non sia giustificata dal preminente
interesse del fanciullo. La disciplina dei trasferimenti e dei rientri del minore non
poteva che conformarsi all’esigenza di mantenere un regolare rapporto con i
genitori, per questa ragione gli artt. 11 e 12 stabiliscono il dovere, per gli Stati
parti, di adottare le misure appropriate per lottare contro i trasferimenti illeciti
all'estero di fanciulli ed il loro mancato rientro.
Inoltre viene sancito il diritto del fanciullo, separato da entrambi i genitori o da
uno di essi, ad intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti, salvo
che ciò non sia contrario al suo preminente interesse.
Il minore, come sancito anche dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1989,
ha diritto a godere di un’educazione che contribuisca alla sua cultura e gli
consenta, in una situazione di eguaglianza e di possibilità, di sviluppare le sue
facoltà, il giudizio personale e il senso di responsabilità morale e sociale, di
divenire un membro utile alla Società.
Il fanciullo deve avere tutte le possibilità di dedicarsi a giochi ed attività ricreative
che devono essere orientate a fini educativi; la Società e i poteri pubblici devono
fare ogni sforzo per favorire la realizzazione di tale diritto.
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2.2. I diritti del minore nel processo
Negli anni successivi sono stati emanati strumenti convenzionali che hanno
attribuito ai minori prerogative, facoltà, diritti.
Il possesso della capacità di discernimento è un presupposto necessario per
l’esercizio dei diritti processuali del fanciullo.
La capacità di discernimento consiste nella capacità di comprendere e
rappresentare il proprio vissuto, nonché i propri bisogni affettivi ed emotivi.
Rappresentare questa capacità risulta alquanto complesso, in quanto è difficile
costringere in categorie giuridiche ciò che, per sua natura, non ha confini
prestabiliti. In via generale, la capacità di discernimento si considera acquisita
dopo il compimento dei dodici anni di età, ma non è certo escluso che minori di
età inferiore possano rappresentare validamente la propria idea rispetto al loro
mondo affettivo.
Nel 1996 la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori prevede il
diritto del minore ad essere rappresentato, informato ed ascoltato.
1) Il Diritto di essere rappresentato
La Convenzione, all’art. 4, prevede il diritto del minore di richiedere,
personalmente o tramite terzi o organi, la designazione di un rappresentante
speciale all’interno dei processi che lo riguardano.
La previsione di questo diritto ha generato diverse problematiche per gli Stati in
sede di ratifica, quali ad esempio l’individuazione dei giudizi riguardanti il minore
e l’individuazione del soggetto abilitato a rappresentare il fanciullo; la Dottrina da
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lungo tempo ne discute tuttavia si tratta di un’importante disputa di cui non
intendo fornire approfondimenti.
2) La possibilità di adire il giudice
La Convenzione europea del 1996 attribuisce al fanciullo un’importante
possibilità: adire il giudice, direttamente o per il tramite di organismi di protezione
a ciò preposti. Si tratta di una manifestazione evidente di come la tutela del
minore e dei suoi diritti sia sempre obiettivo che a livello convenzionale gli Stati
parti si prefiggono e perseguono
3) Il Diritto di essere informato, consultato e di espressione
Ai sensi degli articoli 3 – 6 il minore, capace di discernimento, ha diritto di
ricevere ogni informazione riguardo le conseguenze delle opinioni espresse e i
procedimenti che lo riguardano, di essere consultato e di esprimere la sua
opinione.
L’attribuzione di questi diritti rinviene dalla più recente Convenzione dell’anno
2003 relativa ai rapporti tra figli e genitori (art. 6), ma soprattutto dalla
Convenzione de l’Aja del 1980 sulla sottrazione internazionale di minori, ai sensi
della quale, è possibile, per l’Autorità giudiziaria competente, rifiutare di disporre
il rientro del minore, laddove quest’ultimo vi si opponesse, in presenza del
raggiungimento dell’età e della maturità necessarie.
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Il diritto di informazione
Il diritto di informazione sorge per consentire al minore di formarsi un’opinione
consapevole.
Al minore cui vengono fornite le informazioni appropriate non recanti pregiudizio
al suo benessere, avuto riguardo all’età ed alla sua capacità di discernimento, è
consentito il pieno esercizio dei suoi diritti.
L’opinione del minore va tenuta in debita considerazione e la sua rilevanza
emerge, in particolare, laddove vige il dovere del giudice di motivare
adeguatamente la sua decisione se contrastante con quella espressa dal
fanciullo.
Il diritto di essere consultato e di esprimere la propria opinione
Inoltre è stato stabilito un generale dovere di consultazione del minore. Nei casi
che lo richiedono e laddove il diritto interno ritenga che il minore abbia una
capacità di discernimento sufficiente, l’Autorità giudiziaria, prima di giungere ad
una decisione, deve consultare il minore personalmente, con una forma
adeguata alla sua maturità, salvo che ciò non sia manifestamente contrario ai
suoi superiori interessi, nonché permettere allo stesso di esprimere la sua
opinione, tenendola in considerazione.
4) Il diritto di essere ascoltato
Il diritto di ascolto del minore sorge con le Convenzioni internazionali degli anni
’70 e ’80. In quegli anni è mutata la figura del minore: da minore protetto dagli
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adulti, considerato soltanto come appendice degli stessi, a minore avente una
posizione rilevante nel mondo giuridico.
La Convenzione di New York del 20 novembre 1989 e la Convenzione di
Strasburgo del 1996 hanno riconosciuto il diritto all’ascolto del minore, promosso
e reso attuabile la sua realizzazione nel processo, sulla base delle sue capacità
di discernimento.
La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, all’art. 12, sancisce quanto
segue:
“ Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di
esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le
opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo
conto della sua età e del suo grado di maturità.
A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere
ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia
direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera
compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale.”.
Dalla lettura dell’articolo può dedursi come il diritto all’ascolto rappresenti un
momento essenziale dell’attività giudiziaria nei processi riguardanti i minori, per il
perseguimento dei suoi interessi: consente al bambino di partecipare e
condividere il percorso intrapreso verso una decisione che lo riguarda.
L’importanza di questo diritto è stata consacrata con il Regolamento CE n.
2201/2003 che, all’art. 23, sancisce, tra i motivi di non riconoscimento delle
decisioni relative alla responsabilità genitoriale da parte di uno Stato membro, la
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circostanza che la decisione sia stata resa senza che il minore abbia avuto la
possibilità di essere ascoltato.
3. Il minore e l’Ordinamento italiano
3.1. Il superiore interesse del minore nel diritto di visita
Dopo aver analizzato come vengono disciplinati i diritti del minore in ambito
internazionale e comunitario, intendo concentrare la mia attenzione sulla
disciplina riservata dall’Ordinamento italiano.
L’art. 155 cod. civ. sancisce il diritto dei figli minori, in caso di separazione, a
mantenere un rapporto significativo e continuativo con ciascuno dei genitori e
con i parenti dei rispettivi rami genitoriali. L’interesse da valorizzare è il sostegno
morale e materiale al fanciullo e assicurargli un percorso educativo e formativo
sereno ed equilibrato. Ove questo interesse non possa essere garantito
attraverso l’affidamento ad entrambi i genitori, il Tribunale dispone per
l’affidamento esclusivo del minore, determinando tempi e modalità del soggiorno
presso ciascun coniuge, fissando misura e modalità del contributo di ognuno al
mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Qualsiasi
convenzione intervenuta tra i coniugi non può porsi in contrasto con l’interesse
dei minori.
Il T.U. n° 286/1998 stabilisce che in tutti i procedimenti, amministrativi e
giurisdizionali, finalizzati all’unità familiare e riguardanti i minori, deve essere
preso in considerazione, con carattere di priorità, il superiore interesse del
fanciullo, conformemente a quanto previsto dall’articolo 3
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della Convenzione sui