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I IN NT TR RO OD DU UZ ZI IO ON NE E
La presente dissertazione nasce in seguito al mio periodo di studio negli Stati
Uniti d’America durato quattro mesi. Ero già a conoscenza del grande numero di
italiani che avevano deciso, all’inizio del XX secolo di emigrare, ma mai avevo
avuto modo di approfondire l’argomento, le cause, gli effetti, il destino della lingua
e della cultura che portavano con sé una volta arrivati e stabilitisi nel Nuovo
Continente. Avendo, però, vissuto nella parte meridionale dell’America del Nord,
dove gli italiani raramente erano arrivati (in effetti, solo una cameriera in uno dei
tipici bar americani mi aveva riferito che suo marito aveva origini napoletane), è
stato a New York che ho realizzato quanto l’anima italiana sia così presente,
soprattutto in quei quartieri, come la Little Italy, dove gli italiani si ammucchiavano
e riproducevano l’atmosfera e la vita dei loro paesini o villaggi di provenienza.
È stato, in particolare, un avvenimento che mi ha notevolmente stupita: ero
nelle vicinanze del retro di una nota pasticceria a New Jersey, e sento un uomo
esprimersi nel mio dialetto: mi avvicino incuriosita e scopro che proveniva
esattamente dal mio paese, una cittadina nel barese; inutile precisare come la sua
lingua oscillasse da un americano maccheronico a un dialetto quasi arcaico. E come
lui, quasi tutti coloro che adesso gestiscono ristoranti o attività in generale nella
Little Italy, ma di cui padri e nonni probabilmente erano lustrascarpe o minatori
analfabeti.
Così, essendo una specializzanda di lingue, ho deciso di dedicare la mia tesi
di laurea a questo argomento: la promozione della cultura italiana negli Stati Uniti
d’America durante il grande esodo, la quale passava, inevitabilmente, dall’azione
tutelare dello Stato italiano.
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La mia ricerca si è, quindi, svolta principalmente tra gli archivi storici del
Ministero degli Affari esteri e della Società Dante Alighieri, la quale tuttora si
occupa precisamente della promozione della lingua e della cultura italiana nel
mondo, e dove ho avuto accesso alle corrispondenze dei vari Comitati sparsi nel
mondo, indirizzate alla sede centrale a Roma. La ricerca, da sola, è stata fonte, per
me, di una infinità di informazioni che mai avrei immaginato, e l’elemento che mi
ha colpita maggiormente e che ho voluto rendere nel mio lavoro, è l’attualità di
determinate dinamiche, sia riguardanti il fenomeno migratorio in senso lato, sia
tutto ciò che concerne gli aspetti culturali, scolastici e non, che hanno caratterizzato
quell’epoca e per i quali le istituzioni italiane tanto si sono (apparentemente)
prodigate per incrementarli.
In effetti, ciò che è emerso è stata una incapacità dello Stato italiano
nell’affrontare la situazione, incapacità che, all’inizio, si è presentata quasi come
indifferenza di fronte al fenomeno che si mostrava così massiccio, e che ha poi dato
vita a una conseguente serie di contraddizioni nelle misure adottate. Nel primo
capitolo, infatti, nel quale viene presentato il fenomeno dell’emigrazione italiana in
linee generali, con numeri, cause, effetti e modalità, già emerge la scarsa tutela che
l’Italia assicura ai suoi emigranti, attraverso sole due leggi in tema di emigrazione, e
una mancanza di accordi bilaterali con gli Stati Uniti d’America, su accoglienza,
trattamento e tutela dei nuovi arrivati. Questi, dall’altra parte, se all’inizio mostrano
un atteggiamento positivo o, ad ogni modo, di tolleranza nei confronti dei nostri
emigranti, passano poi a un sentimento di anti-italianità dal momento in cui Ellis
Island viene invasa, ogni giorno e ad ogni ora, da migliaia e migliaia di emigranti
italiani, sporchi e analfabeti, che potranno solo essere unskilled laborer, lavoratori
non specializzati, destinati quindi alle mansioni più misere e dure, che li porteranno
anche ad essere accusati di crumiraggio. Di qui, i frequenti avvenimenti di
linciaggio nei loro confronti, incentivati dai luoghi comuni che tutti gli italiani sono
delinquenti e mafiosi; tra i più noti, quello avvenuto a New Orleans nel 1891.
È l’alto tasso di analfabetismo, quindi, uno dei problemi alla base della
precaria condizione dell’italiano all’estero e su questo si incentrano i capitoli
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secondo e terzo della mia dissertazione. Nel secondo capitolo, in particolare, prendo
in considerazione l’azione dello Stato italiano per le scuole, sia sul territorio
nazionale che all’estero.
La situazione dell’istituzione scolastica tra la fine del XIX e l’inizio del XX
secolo è estremamente grave. Molti dei figli degli italiani non hanno accesso alla
scuola perché lontana dai loro villaggi e mal collegata a causa delle precarie vie di
comunicazione. Anche l’attitudine delle famiglie italiane fa molto pensare: molti
bambini e adolescenti vengono mandati a lavorare nei campi, piuttosto che a scuola,
e questo atteggiamento di indifferenza verso la scuola continua a persistere anche in
territorio straniero. Questa situazione si protrarrà per tutto il XX secolo e, a questo
riguardo, sorge spontanea la domanda se non sia stato lo Stato italiano in grado di
istituire e organizzare la scuola con maestri validi e preparati, che riuscissero ad
attirare i ragazzi e a incuriosirli. In molti casi, tra l’altro, il governo attraverso il
Ministero della Pubblica Istruzione ha ostacolato l’iniziativa di alcuni maestri che
volevano adottare metodi alternativi di insegnamento per combattere questo alto
tasso di analfabetismo che colpiva l’Italia. Emblematico è il caso del maestro
Alberto Manzi che, nel secondo dopoguerra, finisce per insegnare a leggere e a
scrivere a milioni di italiani grazie alla televisione, selezionato e ingaggiato dalla
Rai tra migliaia di aspiranti ‘maestri televisivi’, in un programma intitolato “Non è
mai troppo tardi”: grazie a lui, alla fine degli anni ’60 del Novecento, un milione e
mezzo di italiani analfabeti sono riusciti a conseguire la licenza elementare.
Nonostante la sua grande opera, Manzi viene richiamato e convocato numerose
volte davanti al Ministero della Pubblica Istruzione, perché controcorrente con i
rigidi programmi scolastici stabiliti. Probabilmente anche un cinquantennio prima
bastava poco per smorzare l’elevato tasso di analfabetismo, al di là dei grandi ideali
e dei buoni propositi sbandierati soprattutto in determinate circostanze, come i
Congressi degli italiani all’estero.
Tornando quindi ai provvedimenti adottati dallo Stato italiano, per ciò che
riguarda gli adulti analfabeti, vengono istituite scuole serali e festive e cattedre per
l’emigrazione, tese a fornirgli quelle conoscenze di base utili per la futura vita ‘fuori
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casa’. Ma basteranno? In realtà, con il senno di poi, si prende coscienza del fatto
che gli italiani “dobbiamo farli in Italia”, e che, quindi, bisogna che sviluppino
innanzitutto una coscienza italiana, che li renda consapevoli della loro identità,
tramite la lingua, primo emblema dell’indole di ogni popolo, e la cultura. E così, si
fa voti, al II Congresso degli italiani all’estero, perché venga issata la bandiera
italiana in tutte le classi di ogni scuola e venga cantato un inno nazionale
appositamente scritto: anche qui, lo Stato ha centrato il bersaglio? Sembra quasi che
si rimanga sempre in superficie e non si voglia, o non si sia in grado di andare alle
radici del problema.
La situazione delle scuole italiane in territorio statunitense è altrettanto
difficile, in quanto scuole coloniali: esse ricevono un sussidio dallo Stato italiano,
che preferisce invece finanziare totalmente le scuole governative nel Mediterraneo,
nel quale arriva ormai una minima parte degli italiani. Ecco che la testardaggine
dello Stato italiano emerge anche qui: il volersi ostinare a dedicarsi solo a quelle
terre dove gli interessi sono maggiori, ignorando un problema di una tale portata
dall’altra parte del mondo. Gli italiani in America si sono dovuti difendere da soli,
ecco qual è stato il problema. E se si sono lanciati a capofitto nel guadagnarsi il
pane, piuttosto che a frequentare una scuola, è anche comprensibile. C’è anche da
dire che alcuni, grazie proprio alla loro indole italiana, ‘si sono rifatti’, si sono fatti
conoscere e apprezzare dagli americani, anche se dopo qualche decade, e l’infinità
di italo-americani anche di una certa fama ne è la prova.
Bisogna ringraziare, ad ogni modo, l’iniziativa di privati e di associazioni
religiose negli Stati Uniti d’America se si è riusciti a innalzare, anche se di poco, il
livello culturale dei nostri emigrati. Si parla, per esempio, della Società Dante
Alighieri, che dalla fine del XIX secolo, si prodiga per diffondere la lingua e la
cultura italiana all’estero. Anch’essa presenta sicuramente delle contraddizioni al
suo interno, dettate da interessi politici, come è normale che sia, ma che, ad ogni
modo, ha fatto dell’istruzione e della cultura italiana la sua missione primaria. Ad
essa è dedicata parte del terzo capitolo, nel quale sono state inserite le
corrispondenze da me trovate nell’archivio della Società stessa, prova tangibile di
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ciò che succedeva nei diversi Comitati statunitensi. Altro aspetto sorprendente che
qui emerge è l’interesse degli americani nei confronti della nostra lingua e cultura:
molti Comitati sono maggiormente frequentati e, quindi, sostentati, da signore
americane altolocate con una conoscenza approfondita anche della letteratura
italiana. E gli italiani? La reazione di questi di fronte a queste possibilità di
innalzamento del livello della propria cultura, seppur disparate, sono maggiormente
di indifferenza, e questo porterà alcuni Comitati a chiudere i battenti.
È una situazione estremamente complessa e sfaccettata quella che si viene a
creare sul territorio statunitense: anche se le scuole o i Comitati della Dante
Alighieri sono scarsamente frequentati da italiani, questi sentono il bisogno di dover
imparare a leggere, dal nome delle vie, agli orari dei treni, alle notizie sui giornali.
Si rendono altresì conto di come un libro possa aiutarli a ridurre quel sentimento di
inferiorità che tanto li attanaglia, messi di fronte ai borghesi americani. Ed è proprio
ai libri e ai giornali che ho dedicato l’ultima parte del terzo capitolo: grazie ai
Congressi degli italiani all’estero, i cui atti sono alla base di tutto il mio lavoro,
sono state adottate varie misure per incrementare, per esempio, l’esportazione del
libro e del giornale italiano, riducendo le tariffe postali. Dall’altra parte, alcuni
italiani, intellettuali e non, hanno preso l’iniziativa, fondando giornali italiani o
italo-americani direttamente in loco, per mantenere vivo quel legame tra gli
emigrati e la madrepatria.
Vorrei qui concludere richiamando l’attenzione del lettore per riflettere su
quella che è la situazione del Bel Paese ai giorni nostri. L’Italia, come ben si sa, da
paese d’emigrazione è diventato paese d’immigrazione. Ora, al di là, di tutte le
questioni giuridiche e/o burocratiche del caso, ciò che si percepisce, da Nord a Sud,
è, molte volte, un sentimento di allontanamento da questi uomini, di diffidenza, di
razzismo nei loro confronti. Con il mio lavoro, ho scoperto che gli italiani hanno
patito trattamenti ignobili, sono stati trattati come individui infimi, hanno sofferto
gravi situazioni di razzismo. La mia domanda è: chi siamo noi, ora, per poter
infliggere ad altri quello che i nostri avi hanno subito a loro volta? Non dovrebbe
essere proprio questo, a portarci a tollerare, ad accogliere questi immigrati, che
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arrivano altrettanto disperati sulle nostre coste, come arrivavamo noi a cavallo tra
Ottocento e Novecento? Almeno assumere un atteggiamento di rispetto della loro
dignità in quanto uomini, a prescindere dalla loro provenienza, dalla loro povertà,
dalla loro condizione disagiata, dalla loro incapacità di parlare la nostra lingua,
appena arrivati. Il libro di Gian Antonio Stella, il cui titolo è eloquente, L’orda.
Quando gli albanesi eravamo noi, fa molto riflettere: egli ripercorre tutte le storie
infelici degli italiani emigrati, dal 1800 agli anni ’60 del 1900, dall’America,
all’Australia, dalla Svizzera alla Francia, nel tentativo di far giungere tutti i lettori
alla stessa conclusione: noi eravamo ciò che gli immigrati di ora sono nel nostro
Paese. Ciò basterebbe a frenare questo sentimento di razzismo che a volte
serpeggia, a volte nascosto a volte manifesto.
A questo riguardo, merita un cenno l’attività che la Società Dante Alighieri,
la quale conta ad oggi 87 Comitati sul territorio nazionale e 423 Comitati all’estero,
di cui 10 negli Stati Uniti d’America, svolge per questi migranti: dal 2004, il
Ministero del Lavoro, della Salute e della Politiche Sociali le hanno affidato la
formazione linguistica dei lavoratori prima della loro partenza, dal momento che
la legge sull’immigrazione attribuisce un diritto di preferenza, nella selezione dei
candidati intenzionati a partire per l’Italia, agli stranieri che abbiano usufruito nel
loro paese d’origine di attività di istruzione e formazione professionale. Tra 2004 e
2009 sono stati, quindi, organizzati in loco corsi di lingua italiana per cittadini
provenienti dalla Tunisia, dallo Sri Lanka, dalla Moldavia, dall’Ucraina,
dall’Argentina e dalla Bulgaria.
Si può ben riconoscere la portata dell’operato della Dante che, seppur con
numerosi sforzi, ha aiutato anche i nostri nonni e bisnonni a meglio adattarsi a una
realtà completamente nuova, nella quale la lingua è diversa, e se l’idioma è
differente, allora saranno altrettanto diversi gli usi, i costumi, la gestualità, i valori,
la mentalità, tutto. La sua missione quindi, viene condotta tuttora con la stessa
forza, volontà e unione di intenti.
Si dice che la storia insegna a non ripetere gli stessi errori: ammessa la nostra
natura fallace di uomini, impegniamoci a imparare la lezione.
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I I C CA AP PI IT TO OL LO O: :
’ ’M ME ER RI IC CA A, , ‘ ‘M ME ER RI IC CA A: :
I IL L F FE EN NO OM ME EN NO O D DE EL LL L’ ’E EM MI IG GR RA AZ ZI IO ON NE E I IT TA AL LI IA AN NA A
«Mezzo chilo ‘e spaghett’ e un fazzolett’ al collo,
lo stilett’ e calzoni ‘e fustagno,
metti l’aglio che inghiott’ a boccate bestiali
e un talent’ a lustrare stivali.»
(Life, 1911, Historical Pictures Service, Chicago)
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G.A. STELLA, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Milano, BUR Rizzoli, 2010.
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1.1 Alla vigilia del grande esodo: condizioni economiche, politiche e
sociali in Italia e negli Stati Uniti d’America
Prima di analizzare il fenomeno dell’emigrazione italiana, è necessaria una
contestualizzazione storica sia riguardante l’Italia che gli Stati Uniti d’America per
meglio capire le dinamiche che le hanno rese rispettivamente paese d’emigrazione e
di immigrazione.
Partendo dalla situazione italiana, nel periodo successivo all’unificazione,
l’Italia attua, ai fini di una normalizzazione dello status quo raggiunto, una politica
estera liberale per trovare un posto tra le potenze europee, basato principalmente sul
consolidamento dei rapporti con le potenze amiche, tra le quali ci sono gli Stati
Uniti; questi stanno sperimentando lo stesso processo di consolidamento nazionale,
in seguito alla guerra civile, e cominciano così a guardare al di là della frontiera.
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Delle ultime decadi è il governo di Crispi (1887-1891) con i relativi capisaldi
della sua politica, ovvero la libertà, l'unità statale della nazione italiana unita alla
sua grandezza nell'Europa e nel mondo. Crispi è, inoltre, il primo Capo del governo
che proviene dal Meridione. Una volta assunto l'incarico, attua una profonda
riforma dell'organizzazione centrale e periferica dello Stato “in un ricercato
rapporto diretto col paese, nella salda convinzione della subordinazione degli
interessi individuali alla sovranità dello Stato.”
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La già citata politica estera liberale
viene affiancata ad una scelta protezionistica, entrambe tese all'affermazione
dell'Italia tra le potenze europee.
In questo periodo, l’emigrazione viene vista di buon occhio dalla nuova
classe dirigente che considera la libera circolazione di persone e di merci come il
mezzo più adatto per rompere con la tradizione paternalistica ed assistenziale del
vecchio Stato; tuttavia alla fine degli anni ’60 dell’Ottocento si era sviluppata
anche una corrente anti-emigrazione che vedeva nel numero degli individui un
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D. FIORENTINO, Gli Stati Uniti e l’Italia dal Risorgimento all’immigrazione, in D. FIORENTINO (a
cura di), Gli Stati Uniti e l’Italia alla fine del XIX secolo, Roma, Gangemi Editore, 2010, p. 27.
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F. BARBAGALLO, Da Crispi a Giolitti. Lo stato, la politica, i conflitti sociali, in G. SABBATUCCI,
V. VIDOTTO (a cura di), Liberalismo e democrazia, 1887-1914, in Storia d'Italia, Vol. III, Bari,
Laterza, 2007, p. 12.