Introduzione
Il presente elaborato ha come tema centrale la psicologia del turismo e tratta, in particolare, uno
specifico ambito del fenomeno turistico, quello esperienziale, nel quale si può far rientrare il
cosiddetto turismo sportivo.
Lo scopo principale del presente lavoro è quello di approfondire il legame che intercorre tra la
pratica sportiva e l’esperienza turistica. Dopo un’iniziale esposizione dei contenuti teorici
riguardanti il turismo in generale e lo studio che la psicologia ha fatto di tale fenomeno, saranno
presentati i risultati relativi all’indagine empirica che è stata condotta.
Nel primo capitolo verrà descritta l’evoluzione che nel corso degli anni ha interessato il concetto di
tempo libero, in modo da comprendere meglio quale sia il legame che lo unisce al fenomeno
turistico; inoltre, verranno fornite alcune definizioni riguardanti il turismo e il suo principale attore,
ossia il turista. In seguito, l’attenzione si concentrerà sulla classificazione di alcune forme
particolari di turismo, nello specifico si andrà ad analizzare il turismo esperienziale, il turismo
sportivo e quello sostenibile.
Nel secondo capitolo, invece, verrà presentato il contributo che la psicologia ha dato allo studio del
fenomeno turistico. Nella fattispecie, saranno approfondite le tematiche inerenti al turismo visto
come agire di consumo, alla motivazione turistica, alla scelta turistica e alle possibili tipologie di
turista. Partendo dalle origini della disciplina, saranno esposti i contributi teorici più importanti, che
hanno in qualche modo segnato questo specifico ambito di studio.
Infine la terza, e ultima, parte sarà dedicata all’esposizione nel dettaglio dell’indagine empirica,
condotta al fine di comprendere il legame esistente fra pratica sportiva ed esperienza turistica.
Verranno descritte passo dopo passo le diverse fasi della ricerca: dall’iniziale riflessione teorica,
all’analisi dei dati, passando per la costruzione e la somministrazione dello strumento di indagine, il
questionario.
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FENOMENO TURISTICO
1. Tempo libero e tempo lavorativo
Nella raccolta di saggi intitolata “Elogio dell’ozio”, il filosofo e matematico Bertrand Russell esalta
in maniera arguta il valore che il tempo libero assume nelle vite delle persone: “Bisogna ammettere
che il saggio uso dell’ozio è un prodotto della civiltà e dell’educazione. Un uomo che ha lavorato
per molte ore al giorno tutta la sua vita si annoia se all’improvviso non ha più nulla da fare. Ma, se
non può disporre di una certa quantità di tempo libero, quello stesso uomo rimane tagliato fuori da
molte delle cose migliori” (Russell, 2012). Secondo il filosofo britannico l’ozio andrebbe riscoperto
e coltivato come spazio vitale nella quotidianità di tutti i giorni. Infatti, per l’autore, solamente gli
“oziosi” sono capaci di generare nuovi orizzonti per la scienza e la cultura; a differenza dei
“salariati” che, seppure in possesso del “sapere pratico”, si trovano ad essere privi di tempo libero.
Questa valenza positiva del tempo libero è possibile riscontrarla anche nell’antichità. Per i Greci, ad
esempio, l’ozio rappresentava un privilegio, ossia l’avere a disposizione del tempo da dedicare ad
attività disinteressate, come lo studio, la contemplazione, l’attività fisica o politica, ed era concesso
solo alle classi aristocratiche. In maniera del tutto simile, per i Romani l’otium rappresentava il
tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici, cioè dai negotia, che poteva
essere dedicato alle cure della casa, del podere, oppure agli studi (Treccani, 2019).
Tuttavia questo concetto non ha sempre goduto della stessa considerazione. Infatti, con l’arrivo del
Cristianesimo subì una forte svalutazione, fino ad assumere tratti di negatività con l’avvento della
Riforma Protestante, momento in cui, nella società occidentale, si diffusero valori e idee
enfatizzanti il lavoro come attività nobile e sacra. Di conseguenza, in un sistema di valori così
composto, ogni altro tipo di attività, comprese quelle ricreative ed edonistiche, persero tutta la loro
valenza positiva.
Poco dopo, all’alba del XIX° secolo, la Rivoluzione Industriale segna in maniera indelebile il
significato di tempo: da un tempo relativamente lento, flessibile, malleabile, occupato da attività
spesso imprecisate si passa ad un tempo calcolato, previsto, ordinato, affrettato, dell’efficienza e
della produttività, strettamente misurato, che può essere perso, sprecato, recuperato e guadagnato
(Corbin, 1996). La riorganizzazione dei ritmi di lavoro e lo sviluppo del sistema di produzione
capitalistico portano alla creazione della dicotomia tra tempo di lavoro e tempo extra-lavorativo,
dove quest’ultimo rappresenta una forma di tempo eccedente gli obblighi professionali.
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Dal punto di vista sociologico, il tempo è un’istituzione sociale, un coordinatore dell’attività umana
(Belloni, 1986). Ed ogni società tende a costruire i propri quadri temporali in base a particolari
regole, modi di produzione, valori e bisogni. La Rivoluzione Industriale, con il suo prepotente
impatto sulla società, comincia ad imporre una nuova distribuzione dei tempi sociali. I lavoratori
dell’epoca sfruttano il proprio tempo libero come fase di pausa, di riposo, di ricarica delle energie
per un efficiente ritorno a lavoro. Ma con l’evolversi dell’industria, lo sviluppo della tecnologia ed
il passaggio dall’era industriale a quella post-industriale, l’organizzazione più elastica del lavoro
spinge le persone verso un nuovo modo di vivere il tempo libero. Ora quello che i francesi
chiamano loisir rappresenta un’occasione per realizzare ed esprimere sé stessi, per soddisfare
bisogni e desideri, per socializzare e cambiare ruolo, per spezzare le catene della routine, per
ricercare autenticità oppure per trovare una precisa appartenenza sociale attraverso l’acquisizione di
status symbol o il rispetto di determinate norme comportamentali.
Per alcuni studiosi, lavoro e tempo libero formano un unico insieme, dove ogni cambiamento del
singolo ha ripercussioni sull’intero sistema. I due momenti vengono posti in relazione di alternanza
fra loro e la comprensione dell’uno è resa possibile solo se considerato in contrapposizione all’altro
(approccio strutturale). Inizialmente, l’interesse scientifico per il tempo libero rappresenta
l’espressione del tentativo di colmare o di compensare le deficienze del lavoro: segmentalisti vs
olisti (Parker, 1971). Per i primi non esiste alcun tipo di dipendenza tra tempo libero e tempo
lavorativo, pertanto propongono modelli di leisure basati su attività creative che compensano
l’alienazione dovuta al lavoro. Gli olisti, invece, che sottolineano la dipendenza reciproca dei due
momenti, propongono una ristrutturazione delle situazioni lavorative e la promozione di svaghi di
qualità migliore. Tuttavia, entrambe le posizioni vengono superate a metà anni ’60, poiché incapaci
di fornire una spiegazione valida del fenomeno.
Nella società odierna il tempo libero sta acquisendo uno spazio ed un ruolo particolare, una propria
ragione d’essere che oltrepassa la classica contrapposizione con il tempo occupato dal lavoro, dando
vita a valori nuovi che non possono essere semplicisticamente ridotti a modelli compensatori
(Maeran, Novello, 1991). Sempre meno spazio viene dedicato al mero riposo, anzi, il tempo extra-
lavorativo diventa per molti un momento di conquista personale, utile per svolgere attività con un
alto significato personale. Il tempo libero, oggi, è un fenomeno che investe le società nella loro
totalità e che riguarda per lo più aspirazioni, desideri e attese delle persone; al punto che si sta
andando verso la direzione di una società non più fondata sul lavoro, ma sulle attività del tempo
libero (De Masi, 2000).
In conclusione, secondo quanto esposto finora, è possibile attribuire al tempo libero quattro
specifiche caratteristiche: è liberato dagli obblighi istituzionali (professionali, familiari, sociali,
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politici), quindi è disponibile per sé; è disinteressato, cioè non è legato ad alcun fine utilitaristico o
strumentale; è edonistico, ossia orientato alla ricerca di uno stato di piacere; è personale, cioè inteso
come risposta a bisogni individuali. Quattro caratteristiche che si possono facilmente riscontrare
anche nella particolare forma di ricreazione che, fra tutte, caratterizza in maniera più significativa
l’esistenza dell’uomo post-moderno: il viaggiare.
2. Viaggio e Turismo
Il turismo non è sempre esistito. Se il viaggiare è un’attività assai antica, il fare turismo è un
fenomeno così recente da essere ancora in attesa di una definizione soddisfacente (Villamira, 2001).
Il termine viaggio rimanda all’idea di un cammino lungo una via (da cui deriva in latino viaticum e
viaticus), di uno spostamento lungo una direttrice, una sorta di avanzamento indefinito, che trascura
l’idea del ritorno. Ad esso si associano le immagini del rischio, del pericolo, della sofferenza e
dell’eroismo del viaggiatore. Il viaggio è considerato come una sorta di paradigma dell’esperienza
autentica poiché è collegato a un evento che perfeziona il carattere di chi lo intraprende e rende la
persona più esperta e saggia (Maeran, 2004). Basti pensare al corrispettivo inglese di viaggio,
travel, che deriva dal francese travail, ossia travaglio in italiano; termini che sottolineano la
dimensione del patimento, della tribolazione, della pena dell’essere viaggiatore. In epoche passate,
infatti, chi si metteva in viaggio lo faceva o per cercare condizioni di vita migliori o per motivi
religiosi, come forma di pellegrinaggio.
L’etimologia del termine turismo, invece, ci porta in tempi molto più recenti, esattamente durante la
Rivoluzione Industriale. La parola tourist, dal francese tour (giro), compare nella lingua inglese agli
inizi del XIX° secolo, per designare chi viaggiava per divertimento o per istruzione e non più per
necessità. Il termine, quindi, a differenza del viaggio, implica un movimento di tipo circolare, in cui
è prevista una fase di ritorno.
Il turismo è, quindi, un fenomeno tipico dell’era moderna, che si sviluppa in una società che sta già
compiendo i primi passi nel passaggio dal bisogno al desiderio. Appartiene alla società del tempo
libero, ossia a quella società nella quale la variabile del loisir prevale sulla variabile del lavoro
strumentale (Morra,1988). Infatti, nasce come pratica di un’aristocrazia interessata ad arricchire la
propria cultura visitando paesi stranieri. Questo primo modello di turismo, di tipo elitario, chiamato
Grand Tour, rispecchia una visione del viaggio completamente nuova rispetto al passato: i giovani
inglesi si recano all’estero per migliorare il loro livello culturale, ma anche per divertirsi e
sperimentare, lontani da vincoli e divieti familiari, realtà nuove e sconosciute (Maeran, 2004). Il
viaggio di formazione, dunque, contempla sempre un ritorno in patria e diventa espressione di
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libertà, di evasione dalla necessità e dagli obblighi, un piacere e un mezzo di cambiamento.
Inizialmente tale forma di turismo era preclusa sia alle categorie improduttive, per ragioni
economiche, sia alla borghesia commerciale e industriale, mediante una barriera culturale, che
inizia a cedere soltanto alla fine del XIX° secolo.
L’evoluzione del turismo riflette soprattutto lo sviluppo dei mezzi di trasporto. Nel secolo scorso le
scoperte scientifiche trasformano radicalmente le modalità e le possibilità di spostamento. Quello
che nell’antichità dipendeva direttamente dalla forza dell’uomo o della natura (energia animale,
correnti fluviali, forza e direzione dei venti) ora è legato al potere della tecnologia. Il rapido
sviluppo del sistema ferroviario e la sua accessibilità alle classi meno agiate contribuiscono alla
diffusione della vacanza. Lentamente il fenomeno inizia a coinvolgere un numero sempre maggiore
di persone, finché nel XX° secolo cambia forma e passa da essere un turismo d’élite ad essere un
turismo di massa. Tuttavia, tale passaggio non sarebbe stato possibile senza alcune particolari
condizioni socio-economiche, caratterizzanti quel preciso periodo storico. Oltre al rapido sviluppo
tecnico-scientifico dei trasporti, vanno considerati anche aspetti quali l’aumento del grado di
istruzione della popolazione, un miglioramento generale delle condizioni di vita, un aumento del
reddito delle famiglie, l’accorciamento della settimana lavorativa ed il riconoscimento del diritto ad
avere alcune settimane di vacanza all’anno (Maeran, Novello, 1991). La famiglia nucleare di ceto
medio (genitori e due figli) diviene così il soggetto sociale protagonista della società dei consumi e
del turismo ricreativo di massa degli anni ’60 (Maeran, 2004).
Ben presto però, a partire dagli anni ’70, la motivazione tradizionale che vede la vacanza come un
periodo di riposo dallo stress quotidiano viene gradualmente sostituita da un concetto di vacanza
come periodo attivo in cui conoscere e sperimentare situazioni e luoghi nuovi e interessanti e
comunicare con persone di altri paesi (Vanhove, 1989). Superata la fase del turismo di massa,
l’esperienza turistica inizia ad assumere nuove forme. I modelli di vita e di consumo si evolvono e
cominciano a farsi spazio nella vita delle persone nuovi bisogni, centrati sul sé. L’individualità
diventa un valore da inseguire. Nella società post-industriale non è importante confondersi nella
massa, piuttosto, è fondamentale riappropriarsi del proprio tempo libero.
Dopo il processo di massificazione degli anni ’60-’70, si assiste ora ad una sempre maggiore
globalizzazione ed internazionalizzazione della domanda turistica, cui si associa una progressiva
diversificazione del mercato, che risente dell’influenza della diffusione di nuovi valori sociali; in
particolare del crescente interesse per l’ambiente e del diverso modo in cui viene percepito il
rapporto tra lavoro e tempo libero: “si lavora per potersi permettere il divertimento” (Costa, Rispoli,
1992).
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