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Premessa
Nel presente lavoro si inquadra il fenomeno del trust nella prospettiva
delle procedure concorsuali: in considerazione di alcune, il riferimento è al
fallimento, al concordato preventivo ed agli accordi stragiudiziali in funzione
della gestione della crisi dell’impresa.
Preliminarmente alla disamina delle applicazioni in ambito
fallimentare, si ritiene opportuno chiarire cosa è esattamente il trust, strumento
forse per alcuni sconosciuto, e quali sono le sue caratteristiche, stante
l’inesistenza di una normativa nazionale o comunitaria che ne preveda una
specifica disciplina e che ne abbia diffuso la conoscenza presso gli operatori
del diritto.
Il trust è un istituto, originario del diritto anglosassone ed introdotto
indirettamente nel nostro ordinamento mediante la ratifica della Convenzione
de L’Aja del 1985, che permette di realizzare una segregazione di un
patrimonio con una flessibilità che non ha eguali se raffrontata con altri istituti
che potrebbero consentire di perseguire le medesime finalità nel sistema
italiano. Più propriamente, permette una composizione degli interessi dei
soggetti che vi prendono parte che non potrebbe venire in considerazione
utilizzando una delle (poche) alternative proposte dal legislatore italiano
qualora si voglia derogare al principio generale previsto dall’art. 2740 c.c.,
comma 1, secondo il quale «il debitore risponde dell’adempimento delle
obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri».
A testimonianza, si noti come, non appena realizzatasi l’“importazione”
dell’istituto nell’ordinamento italiano, molti operatori economici e giuridici,
colti dall’entusiasmo di fronte ad uno strumento così innovativo, vi abbiano
fatto ricorso e proposto il suo utilizzo in differenti ambiti.
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Dall’altra parte, data la sua sostanziale estraneità al nostro sistema
giuridico (derivando dall’ordinamento inglese, un regime che, come noto, è
riconducibile al common law e contrariamente a quanto avviene nei sistemi
continentali non si basa pertanto sulla tradizione romana) si può rilevare come
il trust abbia tuttavia alimentato non pochi dubbi di compatibilità generale
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con i principi cardine della legislazione italiana e, subordinatamente,
fallimentare.
È proprio questo il punto di partenza della presente indagine.
Difatti, di fronte ad un utilizzo piuttosto intenso del trust in ambito
fallimentare, si può ravvisare, analogamente a quanto avviene in altri rami del
diritto, il perdurare dell’esistenza, a distanza di anni dalla prima applicazione,
di taluni profili problematici che coinvolgono l’istituto (alcuni poi già
affrontati in giurisprudenza, altri ancora in attesa di una pronuncia definitiva
da parte degli organi giudiziali) e di cui si deve necessariamente tener di conto
ogni qualvolta si ipotizza un perfezionamento dello stesso in sede concorsuale.
Nel prosieguo, pertanto, procederemo dapprima ad un inquadramento
generale del trust, per poi passare ad una disamina delle applicazioni emerse
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Si noti come in un primo momento la giurisprudenza non si pronunciasse in modo unanime
neppure con riferimento al riconoscimento dell’istituto nel nostro ordinamento: alcuni
giudici infatti ritenevano pienamente ammissibile il trust in Italia, altri al contrario lo
ripugnavano. In proposito v. ex multis: Tribunale di Milano, 27 dicembre 1996 (omologa di
un prestito obbligazionario garantito da un trust), Tribunale di Lucca, 23 settembre 1997
(riconoscimento di un trust in sede testamentaria), Tribunale di Pisa, 22 dicembre 2001 (trust
istituito a favore di un soggetto disabile), Tribunale di S. Maria Capua Vetere, 14 luglio 1999
(rifiuto di iscrizione nel Registro delle Imprese di un conferimento in trust di quote sociali) e
Tribunale di Belluno, 25 settembre 2002 (disconoscimento del trust interno e della sua
trascrivibilità). In dottrina una delle prime opere in materia in cui si affronta il problema
dell’applicabilità dell’istituto in differenti contesti è M. LUPOI, Introduzione ai trust, Milano,
1994
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nella prassi fallimentare, con contestuale discussione dei profili critici su cui è
stata chiamata ad esprimersi la giurisprudenza.
Il lavoro, di cui riassumiamo i contenuti, si articola in questo senso
nelle seguenti due Parti.
La Parte I è dedicata all’inquadramento generale dell’istituto.
Dopo una definizione ed una descrizione delle caratteristiche, si
approfondirà dapprima l’evoluzione giuridica che ha caratterizzato il trust,
proprio perché risultante indispensabile ad assicurarne una successiva piena
comprensione, per poi passare ai riflessi che l’istituto ha avuto in Italia al
momento della sua importazione, soprattutto con riferimento alla controversia
dottrinale tra chi riteneva il trust ammissibile senza riserve (i c.d.
comparatisti) e chi invece si preoccupava di superare le varie incertezze di
compatibilità (i c.d. civilisti). In particolare, la discussione su quest’ultimo
punto si articolerà con riferimento alla possibile riconducibilità dell’istituto ad
uno dei casi espressi di deroga conoscibili dal legislatore italiano all’art. 2740,
comma 2, c.c.
Successivamente si proporrà un confronto tra trust e alternative
tecniche di segregazione patrimoniale previste nel nostro ordinamento,
andando ad evidenziare analogie, differenze, vantaggi e svantaggi in un’ottica
comparativa, per poi infine esprimere un breve giudizio di opportunità. La
parte in oggetto si concluderà infine facendosi alcuni cenni di carattere
tributario.
La Parte II è dedicata al rapporto tra trust e procedure concorsuali, tema
centrale del nostro lavoro. Risulta divisa in tre sezioni, ciascuna dedicata ad
una tipologia di procedura, rispettivamente fallimento, concordato preventivo
e soluzioni stragiudiziali, ivi comprendendosi l’accordo di ristrutturazione dei
debiti ex art. 182-bis l.fall. e la c.d. «soluzione della crisi da
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sovraindebitamento del debitore non fallibile», “procedura” introdotta
recentemente nell’ordinamento con la legge 27 gennaio 2012, n. 3.
In relazione al fallimento, si approfondiranno i profili relativi
all’utilizzo del trust sia in pendenza di procedura concorsuale sia in caso di
sua costituzione in data anteriore al momento in cui il debitore viene
dichiarato fallito. Per i trusts costituiti successivamente alla dichiarazione di
fallimento si illustrerà come nella prassi siano venute in considerazione
applicazioni che hanno riservato all’istituto un’esclusiva funzione di tipo
liquidatorio, cioè siano state configurate modalità operative idonee ad
accelerare ed a lavorare sinergicamente con gli organi fallimentari per
giungere nel modo più rapido ed efficiente possibile ad una chiusura di una
onerosa procedura.
Con riferimento ai trusts costituiti prima della dichiarazione di
fallimento si approfondiranno invece i problemi che si pongono a fronte di
un’eventuale apertura di procedura successiva, in particolare andando ad
individuare quale criterio discriminante per la loro validità la preesistenza
dello stato di decozione in capo al debitore.
Successivamente, maggiore attenzione verrà dedicata al ruolo del trust
nel concordato preventivo. Le ragioni di tale interesse si rinvengono
nell’incremento delle possibilità riconosciute al ricorrente per risolvere la crisi
d’impresa mediante soluzione concordataria a seguito della riforma delle
procedure concorsuali: è in questa sede che i trusts possono trovare
applicazione nelle varianti più numerose.
Si analizzeranno al riguardo i trusts costituiti come alternativa
all’ammissione al concordato, ponendo in evidenza non solo i rischi che tale
tipo di operazione potrebbe comportare ma anche le possibilità riconosciute
dall’ordinamento di fronte ad un’efficace azione di risoluzione della crisi così
perfezionata, i trusts (invero la fattispecie più comune) costituiti per funzioni
di garanzia su patrimoni di terzi garanti della proposta di concordato ed infine
i trusts liquidatori, che, seppur ammissibili secondo parte della dottrina e della
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giurisprudenza, risultano piuttosto rari nella prassi e privi di molte
caratteristiche interessanti.
La sezione proseguirà con una breve disamina delle possibili
applicazioni del trust negli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis
l.fall., proponendo un confronto tra la disciplina precedente l’intervento
correttivo (d.lgs. 7 settembre 2007, n. 169), dove l’istituto forse risultava più
utile a causa della mancata previsione del blocco delle azioni esecutive
individuali sui beni del debitore, e la disciplina attuale che, al contrario, lascia
spazio ad una nuova applicazione con riferimento alla possibilità di cessione
d’impresa ad un soggetto di fiducia dei creditori per permettere l’esecuzione
dell’accordo.
Da ultimo, in relazione alla recentemente introdotta disciplina per la
regolazione della crisi da sovraindebitamento del debitore non fallibile, a
prescindere dai profili che la vedono prossima ad essere già oggetto di
rivisitazione profonda da parte del legislatore e seppur ancora parzialmente
sconosciuta ai giuristi, si svilupperanno alcune considerazioni alla luce del
tenore letterale delle norme contenute nella legge 3/2012 relativamente alle
possibilità di segregare ed affidare il patrimonio del soggetto in crisi ad un
terzo.
Il lavoro si chiuderà con alcune considerazioni in ordine alla generale
applicabilità del trust nelle varie procedure concorsuali, individuando
soprattutto alcuni profili di opportunità rispetto a soluzioni che non presentano
quel carattere di “estraneità” che invece caratterizza l’istituto in questione.
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PARTE I
Inquadramento del trust
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Definizione 1.1
Il trust è un istituto originario del diritto anglosassone che può, secondo
una prima classificazione, collocarsi nella categoria degli strumenti giuridici
con finalità di gestione patrimoniale.
Consiste in un trasferimento da parte di un soggetto (detto settlor o
disponente) di un bene o di un insieme di beni ad un altro soggetto (detto
trustee o fiduciario), il quale ne acquista contemporaneamente la piena
proprietà e l’obbligo di amministrarlo a beneficio di un terzo soggetto (detto
beneficiary o beneficiario) o per una determinata finalità
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.
Viene, quindi, in considerazione un fenomeno di segregazione e
destinazione patrimoniale in forza del quale i beni oggetto del trust entrano nel
patrimonio del trustee, non confondendosi con gli altri beni del patrimonio del
medesimo, ma andando a costituire una massa patrimoniale autonoma e
separata.
Essi risulteranno sottratti all’aggressione dei creditori personali sia del
trustee sia del settlor, potendo essere aggrediti solo da coloro diventati
creditori del trust stesso a seguito di eventi gestori posti in essere dal trustee
sul patrimonio destinato. Importante chiarire, inoltre, come, in caso di
fallimento del trustee, i beni che fanno parte del trust ad esso affidato non
potranno in ogni modo essere ricompresi nell’eventuale massa attiva
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.
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Secondo la definizione dell’Oxford Dictionary of Law, 4
th
Edition, Oxford, 1997, il trust è:
“an arrangement in which a settlor transfers property to one or more trustees, who will hold
it for the benefit of one or more persons (the beneficiaries or cestius que trust, who may
include the trustee(s) or the settlor) who are entitled to enforce the trust, if necessary by
action in Court. The trust, recognized originally in Chancery, is based on confidence and
developed from the use; it has been described as the most important contribution of English
equity to jurisprudence. The beneficiary has rights against the trustee and may also have
rights over the property in the hands of others”.
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G. CHINÈ, A. ZOPPINI, Il trust, in Manuale di Diritto Civile, Roma, 2011, p. 592 ss.
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Evoluzione storica 1.2
Per poter comprendere pienamente l’istituto è necessario procedere
dapprima ad un inquadramento storico, chiarendo il contesto in cui il trust si è
sviluppato, nonché l’evoluzione che lo ha caratterizzato
4
.
Il trust, si diceva, deriva dal diritto inglese, un ordinamento che, a
differenza di quasi la totalità dei Paesi dell’Europa continentale, non si basa
sulla tradizione giuridica romanico – germanica, ma al contrario rivendica
autonome origini. È noto che, secondo la più comune classificazione proposta
dagli studiosi del diritto comparato, rientra nella famiglia dei regimi di
common law
5
.
4
V. A. GAMBARO, voce Trust in Digesto, Discipline Privatistiche – Sez. Civile, XIX, p. 450,
il quale sottolinea come «ai fini della comprensione dello schema basilare del trust è
probabilmente necessario riassumere la vicenda storica che ha condotto alla nascita ed allo
sviluppo del trust in Inghilterra».
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Per quanto qui interessi, pare opportuno evidenziare che il sistema di common law a cui
appartiene si fonda prevalentemente su pronunce giurisprudenziali dal valore vincolante,
caratterizzandosi per l’assenza di codificazioni e di leggi e per l’inesistenza della classe
notarile. I sistemi di derivazione romanico – giuridica che ad esso si contrappongono di civil
law, tra i quali si annovera anche l’ordinamento italiano, si basano invece esclusivamente
sulla codificazione legislativa e non prevedono l’attribuzione al giudice (di qualunque grado
e tipo) del potere legislativo. Numerosi sono gli elementi che differenziano i due sistemi:
oltre ad una diversa formazione della base legislativa, che costituisce indubbiamente uno dei
fattori più importanti, le radici storiche e la tradizione giuridica (da una parte autonoma,
dall’altra di derivazione romanico – germanica) sono elementi che assumono anch’essi
notevole rilievo. In definitiva, ciascuna dei due sistemi contempla capisaldi concettuali
sconosciuti all’altra e prevede differenti gradi di tutela degli “interessi”, temi oltremodo
complessi che esulano dalle finalità della presente trattazione. I Paesi più rilevanti che hanno
un regime giuridico di common law sono, oltre al Regno Unito (con l’esclusione della
Scozia), gli Stati Uniti (ad esclusione dello Stato della Louisiana), l’Australia, il Canada e
molti stati adesso autonomi ma ex – possedimenti coloniali dell’Inghilterra.