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INTRODUZIONE
Il presente elaborato nasce da un’esperienza clinica e si propone di annodare quest’ultima alla teoria
psicoanalitica, partendo dagli albori della clinica freudiana per arrivare all’ultimo insegnamento di
Lacan. Durante lo svolgimento del mio tirocinio, ho avuto la possibilità di incontrare un soggetto
con diagnosi di disturbo post-traumatico da stress che ha fin da subito generato in me numerose
domande riguardo la direzione della cura in relazione alla clinica del trauma. La signora S. è giunta
al Centro di Salute Mentale a causa dei sintomi comparsi a seguito di un episodio di aggressione
subìto: questi, di primo acchito, soddisfavano i criteri indicati nei manuali diagnostici – ad esempio,
ritorno del ricordo dell’evento traumatico, difficoltà del sonno, reazioni dissociative, sogni
ricorrenti, sviluppo di convinzioni negative rispetto a se stessa e agli altri. Tuttavia, la signora ha
incontrato qualcuno orientato dalla psicoanalisi: poiché sapevo che questi sintomi erano prima di
tutto fenomeni e che non ne esiste un trattamento standard, i miei interventi sono stati fin da subito
diretti a fare in modo che si potesse produrre del soggetto. Infatti, mi è immediatamente sembrato
opportuno creare uno spazio di ascolto di quanto di singolare la signora potesse articolare attorno a
quei sintomi. Dinnanzi all’angoscia e alla sofferenza portata da S. di volta in volta, il mio
orientamento è stato quello di trovare un modo che consentisse al soggetto di sostenere la
particolare modalità in cui affrontava quel reale insopportabile. Perciò mi sono domandata cosa
possa dare dignità al soggetto, al di là del discorso universale che necessariamente un’istituzione
impone.
Il percorso proposto in questo elaborato intende, dunque, innanzitutto approfondire il concetto
di trauma per poi elaborare il caso clinico al fine di riflettere su alcune questioni importanti: che
cosa permette di affermare che c’è stato un trauma? È possibile stare nel dispositivo analitico pur
rimanendo all’interno di un’istituzione?
Nel primo capitolo, così, affronto i testi di Freud per cercare di cogliere i diversi modi in cui
intende il trauma, a partire dal periodo pre-analitico per giungere agli studi degli anni Venti e
Trenta. Come vedremo, il punto di partenza riguarda le analogie tra le nevrosi traumatiche e quelle
isteriche: alla base di entrambi i casi, infatti, Freud rileva un evento esterno effettivamente
accaduto. Tuttavia, in questo primo tempo, viene colta anche una questione di fondamentale
importanza, ovvero l’azione retroattiva del trauma (Nachträglichkeit): un evento nell’attualità può
agire da trauma solo se ce n’è stato un altro accaduto nel passato e quest’ultimo assume portata
traumatica solo in seguito a quello avvenuto successivamente. In questo tempo, la scena traumatica
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“originaria” è sempre una seduzione capitata realmente nell’infanzia ed è alla base della
costituzione della nevrosi.
Il passaggio alla psicoanalisi coincide per Freud con una prima rettifica riguardo al trauma:
quest’ultimo non viene più considerato in termini fattuali, bensì in termini psichici. A seguito della
Prima Guerra Mondiale, viene attuata una revisione dell’intero apparato psichico, ora governato non
più soltanto dal principio di piacere, ma anche dalla pulsione di morte. A questo punto, è possibile
un’ulteriore rettifica: Freud riconsidera così la funzione di processi come la ripetizione, l’angoscia e
la resistenza del sintomo, ridefinendo il trauma come esperienza originaria, nucleo non
rappresentabile e non interpretabile.
Nel secondo capitolo, provo innanzitutto a riprendere le ultime questioni su cui ha lavorato
Freud per articolarle ai primi tempi dell’insegnamento di Lacan: quel nucleo originario scoperto da
Freud è il buco attorno a cui si produce l’assoggettamento al linguaggio. È infatti a partire da questo
che si può strutturare l’inconscio come un linguaggio. Vi è dunque un tempo nella clinica lacaniana
in cui è cruciale reperire i momenti di costituzione del soggetto, dell’Altro e del desiderio, nonché
riprendere i concetti di angoscia e ripetizione in rapporto a quell’inassimilabile nella struttura che
Freud ha scoperto e che Lacan ha poi ulteriormente sviluppato.
Nella seconda parte di questo capitolo, intendo invece soffermarmi sull’ultimo insegnamento di
Lacan al fine di proseguire la mia ricerca sul trauma provando a coglierlo anche in una clinica
orientata principalmente dal godimento. Angoscia e ripetizione vengono ripresi da Lacan alla luce
di un’operazione di rovesciamento che fa perdere il primato alla dimensione simbolica per far
emergere quella reale: la struttura di linguaggio è ora secondaria rispetto al funzionamento della
lalingua. Trauma diviene allora trouma: le tracce di godimento depositate nell’inconscio
rappresentano l’incontro traumatico con la lalingua e permettono al soggetto di intessere il legame
con l’Altro.
Nel terzo capitolo, infine, espongo il caso clinico di S. con l’intento di fornire una costruzione a
partire dagli elementi emersi nell’arco della cura e un’elaborazione dei momenti cruciali che hanno
prodotto effetti soggettivi. Proprio per certe sue specificità, questo caso è a mio avviso
paradigmatico tanto per la clinica del trauma quanto per la clinica in istituzione: i principi
fondamentali della psicoanalisi, infatti, possono costituire un possibile orientamento anche laddove
il discorso vigente non è quello analitico. Sostengo, anzi, che anche in istituzione il curante può
operare nella posizione di non-sapere e consentire così l’emergere di un dire e di un altro sapere
appartenenti a una dimensione soggettiva.
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PRIMO CAPITOLO
IL TRAUMA NELL’INSEGNAMENTO DI FREUD
“La psicoanalisi è una combinazione insolita”
Sigmund Freud
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1. Introduzione alle teorie freudiane sul trauma.
In ambito medico, il termine trauma (dal greco τραῦμα lett. “ferita”) è sempre stato utilizzato per
designare un danno in grado di compromettere la funzionalità di un processo organico. A partire
dalle sue prime esperienze cliniche, Freud si accorge che certe sintomatologie nevrotiche, in
particolare quelle isteriche, possono occorrere anche a seguito di un trauma subito nel corpo: ad
esempio, constata che una lesione organica non guarisce in tutti i soggetti allo stesso modo, ma per
qualcuno i sintomi che coinvolgono la zona del corpo colpita possono perdurare o anche peggiorare.
Già nell’ultimo decennio dell’Ottocento, non senza il contributo di Jean-Martin Charcot e
Joseph Breuer, Freud prende a riferimento le nevrosi traumatiche dovute a eventi eclatanti come gli
incidenti ferroviari per metterle in tensione con le nevrosi isteriche e cogliere le analogie tra le due:
in entrambi i casi, infatti, è sempre un fatto esterno avvenuto nel presente a scatenare i sintomi che
si manifestano come ritorno del ricordo dell’evento traumatico. Tuttavia, la scena nell’attualità non
è sufficiente di per sé a produrre una nevrosi: Freud, infatti, scopre che nel racconto di questi
soggetti è possibile rinvenire eventi nel passato che finiscono per assumere una portata traumatica
solo quando questa è innescata da un evento successivo – l’azione differita del trauma. In questo
primo tempo, per Freud la scena traumatica effettiva riguarda sempre una seduzione avvenuta
realmente nell’infanzia e rappresenta la base costitutiva della nevrosi.
Sebbene già nel 1897 Freud smentisca la teoria traumatica, bisogna attendere il 1905 per
assistere a una sua revisione ufficiale: il punto cruciale messo in discussione riguarda le scene di
seduzione infantile che risultano più che altro fantasticate e non necessariamente accadute
realmente. Questa importante rettifica è, a mio parere, risultato delle nuove scoperte sulla sessualità
infantile e del passaggio dal metodo catartico alla psicoanalisi, due aspetti che hanno permesso a
Freud di occuparsi in modo sempre più specifico del trauma cosiddetto psichico: qui si coglie,
infatti, una sempre più precisa indicazione della realtà in quanto prima di tutto psichica e relativa a
1
S. Freud, Sulla psicoanalisi (1911), in Opere. Vol. 6, Bollati Boringhieri, Torino 1974, p. 493.
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dinamiche inconsce, al di là della realtà fattuale e storica che di per sé risulta già ben poco
conoscibile.
Fino al primo conflitto mondiale Freud non si occupa più direttamente del concetto di trauma,
tuttavia, dinnanzi agli effetti individuali e collettivi prodotti dalla guerra, ritorna a trattare le nevrosi
traumatiche approdando a una grande scoperta: l’apparato psichico non è più governato soltanto dal
principio di piacere e da quello di realtà, bensì esistono due forze contrarie che lavorano l’una
contro l’altra – pulsione di vita e pulsione di morte. L’evento traumatico della guerra, preso in senso
paradigmatico, aiuta a cogliere nuovamente l’azione differita del trauma e, quindi, anche a
occuparsi maggiormente delle dinamiche in gioco fin dalla primissima infanzia, come mancanza,
perdita, ripetizione, angoscia e impotenza. Inoltre, l’introduzione della seconda topica consente a
Freud e alla psicoanalisi di virare in direzione di una teoria del trauma psichico in quanto
condizione assolutamente interiore e originaria che ha luogo sempre in rapporto con il sociale, cioè
come risposta soggettiva alle impressioni ricevute dall’esterno. In quale modo tenere in
considerazione le nuove scoperte nel trattamento analitico?
2. Teoria del trauma sessuale precoce.
Nel testo Isteria
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del 1888, Freud fornisce per la prima volta una definizione di trauma giacché
esso costituisce una possibile causa dell’affezione isterica. In questo testo, esso è considerato un
evento esterno e contingente che colpisce il corpo di un soggetto e che, in seguito alla sua violenza
e allo spavento che può provocare, può in effetti risvegliare una predisposizione isterica oppure
localizzare l’isteria nella parte somatica interessata dal trauma. In particolare, Freud fa riferimento a
grandi traumi, come quelli conseguenti a incidenti ferroviari, i quali sarebbero in grado di
determinare in certi soggetti una manifestazione di sintomi isterici, accompagnata anche da una
grande malinconia: queste situazioni, chiamate railway-spine e railway-brain, sono state connesse
all’isteria per la prima volta da Charcot. Freud, tuttavia, tiene a sottolineare che in nessun caso
l’isteria può essere considerata un pericolo per la vita né motivo di compromissione delle capacità
intellettive, ma, anzi, è caratterizzata da una certa lucidità mentale. Questi casi di isteria traumatica
sono stati rilevati da Charcot in particolar modo negli uomini, ma Freud, in Abbozzi per la
“comunicazione preliminare”
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, sostiene che il comportamento di questi soggetti non differisce
affatto dall’isteria femminile: nel primo caso, infatti, il contenuto dell’attacco isterico consiste nella
riproduzione allucinatoria dell’evento accaduto connesso allo spavento per il pericolo mortale,
2
S. Freud, Isteria (1888), in Opere. Vol. 1, Bollati Boringhieri, Torino 1989.
3
S. Freud, Abbozzi per la “comunicazione preliminare” (1892), in Opere. Vol. 1, op. cit.