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IV CAPITOLO: TRATTAMENTO ABILITATIVO
4.1 Obiettivi abilitativi
Nei bambini e negli adolescenti, le condizioni di salute e le manifestazioni di
disabilità sono diverse nella loro natura, intensità e impatto, da quelle degli adulti.
Tutte le condizioni patologiche che disturbano il processo di sviluppo del bambino
determinano la mancata acquisizione di abilità o la perdita di quelle acquisite in
precedenza. Infatti, i primi due decenni di vita sono caratterizzati da una rapida
crescita e da cambiamenti significativi nello sviluppo fisico, psicologico e sociale
dei bambini e degli adolescenti. Questi cambiamenti si accompagnano a un
aumento delle competenze, della partecipazione sociale e dell’indipendenza
dell’individuo. Nel bambino, soprattutto in quello molto piccolo, si parla di
abilitazione perché queste capacità il bambino non le possiede ma le deve acquisire.
Si tratta di interventi volti a sviluppare una abilità non presente, perché la lesione ne
ritarda la comparsa o ne blocca l’evoluzione. A favore di ciò, il nostro cervello
possiede la capacità di cambiare in risposta ai fattori ambientali. Questa capacità è
nota con il termine di “plasticità cerebrale”, capacità che può essere influenzata da
esperienze sia fisiche che psicologiche. La plasticità è la proprietà del sistema
nervoso centrale di cambiare l’efficacia nella trasmissione dei circuiti in risposta a
vari stimoli ambientali, in risposta a malattie oppure anche in condizioni
fisiologiche quando si impara un qualsiasi compito sia motorio che cognitivo. Il
sistema nervoso ha la proprietà di adattarsi, cambiare, autoripararsi, imparare e
memorizzare. Per alcuni aspetti dello sviluppo cerebrale, il tempo di ricezione dei
dati è cruciale e le capacità significative possono essere perse o limitate se non
appare alcuna stimolazione al momento giusto. D’altro canto, i cambiamenti che si
verificano nel cervello possono anche essere causati dall'influenza di fattori
psicologici, biologici o ambientali. I fenomeni di plasticità possono essere a breve
termine o a lungo termine. Al livello di base, l'organizzazione delle cellule può
cambiare. Il cambiamento può avvenire in positivo o in negativo, in quest’ultimo
caso si verifica per deafferentazione (soppressione degli impulsi nervosi afferenti).
Manca la trasmissione degli impulsi propriocettivi al cervello e l’area corticale per
quei muscoli che sono bloccati, ovviamente sarà soggetta a un ridimensionamento.
Il fenomeno prende il nome di “Shrinking” (che vuol dire restringimento), cioè si
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avrà una riduzione delle mappe motorie, questo perché il nostro cervello punta
sempre al risparmio energetico. L’entità del cambiamento dipende da diversi fattori.
La plasticità è un fenomeno che è massimo nel bambino, rimane molto evidente in
epoca giovane-adulta, viene mantenuto in epoca adulta e poi piano piano declina
nel paziente anziano. Dunque, è un qualcosa che decresce progressivamente nel
corso della vita, anche se non scompare mai definitivamente. Infatti, l’anziano
riesce ad imparare qualcosa di nuovo anche se molto più lentamente rispetto ad un
bambino. Bisogna allenare periodicamente la plasticità e devono essere proposti
esercizi specifici per l’abilità da imparare o ripristinare. È importante che il
soggetto sia concentrato sull’esercizio proposto
(63)
. Altro fattore da tenere in
considerazione è la genetica. In particolar modo, la plasticità dipende dai
polimorfismi del BDNF, anche se ci sono altri geni interessati. Il BDNF (brain-
derived neurotrophic factor) è un fattore neurotrofico cerebrale secreto all’interno
del cervello, diverse sono le aree dove viene rilasciato. Ci sono dei polimorfismi
che sono molto espressi nella popolazione e, in questi polimorfismi, ci 3 genotipi
diversi. I soggetti Val/Val (valina/valina) hanno una plasticità migliore. Poi ci sono
i Val/Met (valina/metionina) con caratteristiche intermedie. Infine, abbiamo i
Met/Met (metionina/metionina) che sono quelli con plasticità più scarsa. I Val/Val
hanno dei fenomeni di plasticità più facili da ottenere, i soggetti Val/Met e Met/Met
con un maggiore numero di ripetizione possono raggiungere gli stessi risultati dei
Val/Val, dunque, sono semplicemente meno suscettibili ai fenomeni di plasticità e
devono lavorare un po’ di più per ottenerli
(64)
.
L’intervento abilitativo deve rifarsi a una metodologia flessibile e programmata per
conseguire obiettivi definiti. Il terapista deve essere bravo a trovare la tecnica
adeguata al bambino che deve trattare. Le attività vanno proposte in modo
appropriato per permettere al bambino di scoprire l’uso piacevole della funzione
coinvolta. Soprattutto nei bambini, è importante suscitare l’interesse nella terapia al
fine di provare piacere nella scoperta di nuove abilità. Talvolta, si favorisce tale
apprendimento tramite l’uso di attività a scopo ludico. Nell’attività di gioco, il
bambino si diverte e impara qualcosa di nuovo allo stesso tempo. Le attività
proposte devono comunque far acquisire competenze che mirino ad un
miglioramento dell’indipendenza nella realtà quotidiana. Inoltre, devono essere alla
portata del bambino e nei limiti delle sue possibilità. Lo scopo dell’intervento
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abilitativo è il conseguimento di determinate funzioni e strategie pur con una
metodologia flessibile e personalizzata per ciascun paziente. Tale scopo richiede la
partecipazione di più figure professionali che devono valutare inizialmente le
potenzialità del soggetto e in base a queste definire gli obiettivi da raggiungere. Si
formula un progetto adeguato con le modalità più idonee per il raggiungimento
dell’outcome desiderato. I risultati devono essere monitorati e rivalutati nel tempo
e, in caso fosse necessario, si riformula il programma stabilito. Anche le diverse
comorbidità che il bambino presenta devono essere poste sotto l’attenzione del team
multidisciplinare. Ciascuna complicanza richiede un intervento specifico e può
essere causa di modificazioni nel trattamento abilitativo. I disturbi cognitivi e
sensoriali sono fattori prognostici negativi per l’efficacia dell’intervento abilitativo
e richiedono un’esigenza di trattamento a sé. Non va sottovalutato il disagio
emotivo che la disabilità del bambino può generare nel soggetto stesso e nelle
figure parentali
(65)
. La presa in carico si riferisce al progetto terapeutico considerato
nel suo complesso e prevede:
-L’insieme dei vari interventi abilitativi di ogni tipo.
-La programmazione e l’organizzazione delle esperienze del soggetto (scuola,
attività secondarie, tempo libero).
-Le indicazioni per le attività della vita quotidiana (come l’igiene posturale,
l’alimentazione, ecc.).
-Il sostegno necessario alla famiglia.
Il processo abilitativo si svolge in cicli che possono essere reiterati più volte e viene
completato quando non si possono porre o raggiungere più obiettivi. Ciò non toglie
che i pazienti continuano a migliorare anche anni dopo l’evento paralizzante, questo
implica che il paziente potrebbe essere seguito anche per diversi anni. Ad ogni ciclo
può darsi che gli obiettivi siano diversi. Quando il paziente raggiunge degli obiettivi
se ne possono porre dei nuovi oppure subentrano nuovi fattori che creano disabilità,
quindi l’obiettivo del nuovo ciclo abilitativo è quello di correggere questa disabilità.
4.2 Cura posturale
Alla nascita, il neonato pretermine ha scarsa capacità di opporsi alla forza di gravità
e ha un controllo posturale poco sviluppato. Il neonato pretermine si presenterà con
il capo ruotato prevalentemente su di un lato e con scarsissimi movimenti di
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lateralità. La marcata instabilità posturale si evidenzia perché il bambino ha bruschi
movimenti in estensione dei quattro arti, improvvisa apertura a ventaglio delle mani
e delle dita e congelamenti in flessione ed estensione dei quattro arti. Vi è anche una
limitata capacità di eseguire e controllare i movimenti del capo. La cura posturale è
uno degli strumenti più significativi per promuovere la stabilità posturale e per
ridurre lo stress del neonato. È un intervento abilitativo e preventivo rivolto ad un
organismo fragile e con limitate capacità di autoregolazione. La cura posturale ha lo
scopo di migliorare la coordinazione e i movimenti dei quattro arti verso la linea
mediana, riduce l’instabilità posturale e mantiene la funzione osteoarticolare e
neuromuscolare. Inoltre, la postura mantenuta ha il secondo fine di favorire la
respirazione e la digestione e riduce il reflusso gastroesofageo. Il bambino è guidato
ad orientarsi nello spazio perché bisogna facilitare la simmetria capo-tronco e arti-
tronco. Si viene a promuovere l’attività mano-bocca e le esperienze sensoriali, tattili
e propriocettive. Il bambino è portato a compiere le prime competenze posturali
antigravitarie, evitando il rafforzamento di schemi patologici o vizi di posizione.
Durante la giornata si alterneranno diversi tipi di postura. Vi è una posizione
prioritaria che il bambino deve mantenere per
più tempo nell’arco delle 24h e una posizione
secondaria che viene alternata alla precedente
durante l’arco della giornata. La posizione
prona (fig.13) promuove il sonno riducendo i
risvegli, porta a un significativo miglioramento
sia della funzione respiratoria che di quella digestiva,
riducendo i rigurgiti e il reflusso gastro-esofageo. La
posizione supina o di semifianco (fig.14) permette di
sorvegliare più facilmente i parametri fisiologici
(colorito, patterns respiratori, ecc...). Facilita la
messa in pratica di manovre assistenziali da parte
degli operatori. Viene consigliata come postura
prioritaria nei casi di neonati che hanno subito un
intervento chirurgico e come postura alternativa
alla posizione prona o sul fianco in caso di
drenaggi. La posizione di fianco (fig.15) è utile
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per favorire la flessione fisiologica e l’autoesplorazione, riduce l’instabilità
posturale, facilita la simmetrizzazione del capo sul tronco e l’allineamento degli arti
verso la linea mediana, facilita il contatto mano-mano e mano-bocca. Quando
bisogna favorire lo sviluppo psicomotorio è considerata come posizione prioritaria.
Non va assolutamente usata nei casi di neonati con insufficienza respiratoria acuta.
Il bambino pretermine ha bisogno di confini ben definiti come lo erano le pareti
uterine. Per fare in modo che possa rivivere la situazione intrauterina, attraverso la
postura ed il contatto, si deve delimitare lo spazio a lui circostante
(66)
.
Il “nido” o “contenimento posturale” è una concavità che si realizza creando una
sagoma di materiale soffice e avvolgente in cui il piccolo paziente viene accolto. Si
cerca di assicurare la stabilità della postura e la promozione del movimento verso la
linea mediana, evitando movimenti bruschi e contrazioni. Il nido, nella posizione
supina, prona o sul fianco deve stare a contatto con il corpo del bambino
avvolgendolo dalla testa ai piedi, permettendo i movimenti in flessione ed
estensione degli arti. Deve essere un po’ più alto alle spalle del neonato
(67)
. Un’altra
modalità di contenimento del bambino è chiamata col termine “holding”. Il
contenimento è offerto dalle mani e dal corpo della persona curante. Durante
l’holding, il neonato si accoccola sotto la mano che lo sostiene. I parametri vitali
tendono a normalizzarsi e viene favorito il recupero del proprio equilibrio interno.
Lo sguardo continuo dell’operatore orientato sul bambino e le sue mani che lo
contengono come una culla facilitano la relazione. Nei genitori il linguaggio delle
mani rafforza la comunicazione con il figlio
(68)
.
4.3 Kangaroo Mother Care (KMC)
La Kangaroo Mother Care (KMC) è la cura del neonato che si realizza attraverso il
contatto pelle a pelle con la madre. È un metodo proposto per il trattamento dei
neonati prematuri a seguito della scarsa disponibilità di incubatrici in alcuni paesi in
condizioni di povertà
(69)
.
Visti i successi ottenuti, la Kangaroo Mother Care è stata
introdotta nei paesi industrializzati: oggi l'82% delle Unità di Terapia Intensiva
Neonatali degli Stati Uniti utilizzano questa tecnica. Negli ultimi anni, sono stati
messi in evidenza dalla letteratura scientifica gli innumerevoli benefici prodotti da
questo approccio. Come dimostrato da numerosi studi, il pretermine sottoposto a
Kangaroo Mother Care ha una notevole riduzione dei periodi di agitazione e di
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motricità non controllata. Altri benefici correlati sono una migliore stabilità dei
parametri cardiorespiratori e l’aumento dei periodi di tranquillità e di sonno
quieto
(70)
. La terapia viene normalmente effettuata su neonati prematuri stabilizzati,
alcuni reparti di terapia intensiva permettono di effettuarla anche su neonati che
hanno ancora necessità di ossigenoterapia o alimentazione tramite sondino. Per i
primi giorni è meglio che sia la mamma a effettuare tale intervento.
Successivamente, è indifferente se sia la madre o il padre a farlo. Una volta
cominciata, la Kangaroo Mother Care andrebbe eseguita tutti i giorni, due volte al
giorno per un totale di almeno un’ora e mezza. Per garantire una maggior efficacia
della tecnica, bisogna posizionare il bambino in maniera adeguata sul petto della
mamma (fig16). Il bimbo deve tenere addosso solo il pannolino, un cappellino e le
calzine, in modo da tenere calde le estremità. Viene adagiato
in posizione eretta sul petto nudo della madre. La testa del
piccolo deve essere ruotata su un lato perché il suo orecchio
deve essere appoggiato sul petto della madre, così da sentire
il battito cardiaco. Le gambe e le braccia devono essere
adagiate per assumere una conformazione simile a quella di
una rana. La pancia del piccolo deve essere a contatto con il
petto della mamma. La mamma deve avere la possibilità di
sorreggere con una mano il sederino del piccolo. Sulle sue spalle sarà posta una
copertina che lo manterrà più riparato. La madre deve possedere una completa
libertà di movimento e deve stare nella posizione più comoda, anche quando si
trova in ortostatismo e mentre cammina, senza nessuna paura che il bimbo scivoli.
A questo proposito, si può utilizzare una fascia o una camicia-marsupio. Tale
tecnica può essere effettuata in ospedale o anche presso il proprio domicilio, in caso
sia necessario continuare la terapia una volta stabilizzate le condizioni cliniche o nel
caso in cui la situazione non richiede più il ricovero in ospedale. È stata dimostrata
l’efficacia della Kangaroo Mother Care per quanto concerne il controllo termico,
l’allattamento al seno e lo sviluppo del processo di attaccamento in tutti i neonati,
indipendentemente dalle caratteristiche del reparto di degenza, dal peso del
bambino, dall’età gestazionale e dalle condizioni cliniche
(71)
.
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4.4 Terapia manuale ed esercizio terapeutico
La terapia che viene effettuata in ambiente ospedaliero o ambulatoriale si basa
molto sulla terapia manuale e sull’esercizio terapeutico. Ogni categoria di bambino
con PCI necessita di trattamenti abilitativi che mirino a target diversi. Nel bambino
con tetraplegia gli interventi saranno mirati al contenimento posturale, alla corretta
modalità di alimentazione e alla prevenzione di contratture muscolari. Ci si basa
anche molto sulle competenze funzionali e posturali atte a raggiungere un metodo di
spostamento. Nel bambino con diplegia, inizialmente, si lavorerà molto sulle
reazioni di equilibrio statiche e dinamiche, sulle reazioni paracadute e sulle reazioni
d’appoggio. Man mano che il bambino cresce bisogna prevenire le retrazioni e le
deformità scheletriche e acquisire stabilità nella posizione seduta e nella
deambulazione. Nel bambino con emiplegia bisogna favorire l’integrazione
dell’emisoma paretico nelle attività funzionali per evitarne l’esclusione dagli
schemi di spostamento e dall’attività pratica. Vanno proposti l’apprendimento per
imitazione e degli sport che favoriscono un uso simmetrico degli emisomi (nuoto,
pallavolo, ippica)
(72)
. Nell'ultimo decennio sono stati sperimentati interventi
riabilitativi e abilitativi più sicuri e più efficaci per i bambini con paralisi cerebrale
infantile, come conseguenza di una crescita esponenziale nella ricerca per il
trattamento di questo complesso quadro clinico. Oggi esistono almeno 64 tipi di
interventi diversi per la paralisi cerebrale infantile. Però, la crescita dei dati a
disposizione ha reso difficile per i professionisti della salute mantenersi aggiornati
ed è difficile per le famiglie sapere come aiutare il loro bambino
(73)
.
Lo stretching passivo è ampiamente utilizzato nei pazienti con PCI, esso sarebbe
utile sia a contrastare le retrazioni che si formano come conseguenza all’immobilità
indotta dalla spasticità, che a migliorare la gamma di movimenti delle articolazioni.
Lo stretching può essere eseguito manualmente dal terapista o dal paziente o da altri
dispositivi esterni come stecche o ingessature. A tal proposito, i regimi di stretching
possono essere approssimativamente suddivisi in due categorie. La prima categoria
prevede allungamenti sostenuti tenendo l'articolazione al massimo del range tramite
l’aiuto di un qualunque oggetto fisso. La seconda categoria prevede lo stiramento
manuale dell'articolazione al massimo del range per un determinato periodo di
tempo. Lo stretching manuale di breve durata ha mostrato alcuni aumenti