II
Nel terzo capitolo si cercherà di individuare che cosa vuol dire economia di mercato
in libera concorrenza nel “particolare” settore del TPL, e considerando la “funzione
sociale” del TPL, cercare di verificare se “il mercato” possa rivelarsi una minaccia
alla funzione sociale del TPL ovvero strumento di tutela di questa, ponendola al
riparo dagli “sprechi ed inefficienze del passato”.
Senza necessariamente effettuare uno studio comparato sul trasporto pubblico locale
nei vari stati membri dell'UE, che comporterebbe evidentemente una produzione di
dati e relative analisi eccessivamente voluminosa, nel quarto capitolo si accennerà ai
vari modelli di trasporto pubblico locale nei principali paesi e “capitali europee”, al
fine di evidenziare gli effetti concreti della politica europea in generale e della
concorrenza in particolare in questa materia.
Nell'analizzare dunque il “fenomeno romano” del trasporto pubblico locale, si
appronterà un excursus storico di tutto il 900, (quinto e sesto capitolo), proprio al fine
di soddisfare la seconda esigenza conoscitiva sopra detta, mettendo cioè a confronto
il trasporto pubblico urbano di Roma prima della nascita delle istituzioni comunitarie,
con il TPL “romano” dopo la nascita di queste ultime ma, soprattutto dopo
Maastricht. Lo scopo dunque è quello di verificare se, al di là dei mutamenti culturali,
di costume, sociali ed economici del c.d. “cittadino-utente”, la politica e il diritto
della concorrenza europeo in generale, abbiano portato o stiano per portare una reale
economia di mercato aperta e in libera concorrenza anche nel TPL delle principali
capitali europee ed in particolare a Roma.
Oggi invero, sia in Italia che in Europa, dopo evidenti “risultati positivi” ottenuti,
soprattutto sul piano dei costi per la collettività nonché sul piano dell’efficienza,
sembra riproporsi di nuovo (forse proprio al momento del salto decisivo nella
concorrenza) un dibattito dal sapore ideologico, pro o contro l’apertura alla
concorrenza in questo settore; questo soprattutto perché l’impianto normativo ai vari
livelli (europeo, nazionale ed enti locali) presenta ancora aspetti indefiniti che hanno
alimentato un clima di incertezza, relativo soprattutto allo sbocco da intraprendere.
Da un lato si è visto che le “aziende pubbliche” del TPL (europee in generale) hanno
recepito egregiamente principi e normative europee e nazionali trasformandosi in
III
tempi stretti in “imprese” del TPL con acquisizione di processi gestionali ispirati ai
principi di maggior efficienza e produttività e con vocazione concorrenziale.
Dall’altro si sono visti fenomeni in ambito comunitario, (seguiti quasi subito negli
ordinamenti interni), come la sentenza Teckal
2
, dalla quale è scaturita la teoria della
legittimità dell’affidamento senza gara ( in house providing) ad una società di diritto
privato, reggendosi sul principio della delegazione interorganica, vale a dire la
società, al di là della sua veste giuridica, rappresenta un’articolazione diretta della
pubblica amministrazione.
Infatti il c.d. “modello romano”, con l’adozione della corporate governance
3
e della
c.d. concorrenza per il mercato (assegnazione di parti di servizio tramite gara), ha
rappresentato per Roma un percorso del tutto nuovo, nella produzione e gestione del
TPL. E tuttavia la stessa città è stata una delle prime grandi città europee ad adottare
il sistema dell’ in house providing, con le conseguenti ricadute di valutazione sulla
distorsione della concorrenza e della natura “eccezionale” e “derogatoria”
dell’affidamento diretto, sulla quale per altro la Corte è ritornata più volte
4
, rispetto
alle regole generali del diritto comunitario primario e derivato. Tuttavia, in seguito
all’esperienza concorrenziale maturata seppur per un breve periodo, il modello
dell’affidamento senza gara, a Roma (in house providing), ha potuto dare
dimostrazione di raggiungere risultati più efficaci e più efficienti, rispetto al passato,
proprio in forza di atteggiamenti concorrenziali precedentemente assimilati.
2
Corte di Giustizia europea, Sentenza Teckal del 18 novembre 1999, causa C-107/98.
3
Com’è noto la corporate governace indica l'insieme di regole e strutture organizzative che
presiedono ad un corretto ed efficiente governo societario, inteso come sistema di compensazione
fra interessi potenzialmente divergenti. Nel caso di A.T.A.C. S.p.A. (agenzia per la mobilità del
Comune di Roma), il Comune di Roma ha definito gli indirizzi per il modello di Corporate
Governance per le società “in house” A.T.A.C. S.p.A., al fine di “organizzare la struttura interna
delle società appartenenti al Gruppo Comune di Roma secondo un sistema articolato ed omogeneo
di regole in grado di assicurare l’affidabilità del management e l’equo bilanciamento tra il suo
potere e gli interessi degli azionisti”. L’agenzia ha poi adottato ufficialmente tale modello, con
l’approvazione, da parte del Consiglio di Amministrazione il 26 settembre 2005, del Codice di
Corporate Governance. Al punto 4.4 il Codice dichiara che: “Le società controllate o partecipate
si devono dotare, con la dovuta progressione, dello stesso modello di Corporate Governance,
ovvero delle stesse regole di condotta, della società capogruppo. A tal fine adotteranno il Codice di
Governance, il Codice etico-comportamentale ed i vari Regolamenti (per gare, acquisti e
approvvigionamenti, per il funzionamento del CdA, ecc)”.
4
Corte di Giustizia europea, Sentenza Stadt Halle 11 gennaio 2005, C-26/03(pag.48) e Sentenza
Parking Brixen 13 ottobre 2005, C-458/03(pag.62).
IV
Inoltre è doveroso sottolineare, nel parlare di concorrenza del TPL, che in generale i
servizi pubblici locali, sono stati considerati per molto tempo, per così dire, al di sotto
della soglia di rilevanza comunitaria, nel senso che la loro attività non inciderebbe
sugli scambi tra gli stati membri. Inoltre la dimensione locale e la finalità sociale
possono rilevare un collegamento con la politica di coesione economico sociale
5
, con
la conseguenza di limitare ulteriormente il campo di applicazione delle regole di
concorrenza e di consentire aiuti pubblici per la remunerazione di obblighi di servizio
pubblico. E’ convinzione diffusa che i servizi di trasporto collettivo di passeggeri,
con oneri di servizio pubblico non possano ancora essere gestiti secondo una “logica
commerciale”, ma che comunque occorra estendere almeno la trasparenza negli
affidamenti, per promuovere l’apertura al mercato ed alla concorrenza.
In conclusione è possibile registrare in Europa un differente grado di apertura del
TPL al mercato, dove infatti alcuni paesi (Inghilterra e alcuni paesi scandinavi) hanno
realizzato prima degli altri, il generale orientamento della CE e dell’UE, per
l’apertura del servizio del TPL al mercato, mentre altri ( Francia, Germania, Austria e
in parte l’Italia) rimangono ancora fedeli al tradizionale assetto di stretto controllo e
gestione pubblica del TPL (come anche di altri servizi pubblici locali), tramite
monopoli legali ovvero, concessione di diritti di esclusiva all’impresa gestore del
TPL.
Capitolo primo
5
Artt.130A,130B,130D del trattato di Maastricht.
V
La nascita del trasporto pubblico locale in Europa.
1.1 Presentazione. La nozione di servizio pubblico.
La tematica dei servizi pubblici locali ha costituito da sempre oggetto di impegnati
dibattiti dottrinali in quanto su tale terreno si incrociano, spesso “scontrandosi”,
interessi eterogenei contrapposti: esigenze di governo pubblico del mercato e di
sviluppo dell’iniziativa privata, istanze sociali ed economicità della gestione. In tale
contesto la stessa definizione di servizio pubblico appare evidentemente complicata o
quanto meno complessa, nel senso che rappresenta una variabile socio-economica più
che un assioma indiscusso.
La nozione di servizio pubblico è sempre stata legata alla natura del bisogno che
l’attività produttiva tende a soddisfare. Da questo punto di vista si possono
considerare pubbliche tutte le attività finalizzate al soddisfacimento di bisogni
pubblici. Un servizio pubblico si distingue per le caratteristiche di socialità ed equità
che esso manifesta, in virtù della possibilità che di tale prestazione possano
beneficiare tutti i componenti della collettività. Il servizio può essere definito
pubblico quando si estrinseca in un’attività economica che ha ad oggetto la
produzione di beni e di servizi diretti a soddisfare le esigenze della collettività. Lo
stesso può essere apprestato sia da aziende pubbliche che da aziende private purché
siano orientate in via prioritaria alla tutela dell’interesse generale. Il carattere di
servizio pubblico non dipende quindi dalla veste giuridica (privata o pubblica)
assunta dall’azienda, ma dal fatto che soddisfa bisogni collettivi
6
. All’interno della
complessa categoria dell’ideale binomio bisogno/servizi si possono distinguere, in
prima approssimazione i bisogni/servizi individuali dai bisogni/servizi collettivi. I
6
Luca Anselmi. “L’evoluzione normativa del servizio pubblico locale: uno studio”, pag. 4.
L.Anselmi è Professore Ordinario di Economia Aziendale nell'Università di Pisa (Facoltà di
Economia), è titolare degli insegnamenti di Economia delle Amministrazioni e delle Aziende
Pubbliche e di Economia delle Imprese Pubbliche; Attualmente è docente stabile della Scuola
Superiore della Pubblica Amministrazione. Responsabile dell'Area didattica “Economico
Aziendale”.
VI
bisogni/servizi collettivi (pubblici) si caratterizzano principalmente per l’ampiezza
della loro diffusione non solo tra le singole persone, ma anche tra gli agenti
economici appartenenti ai vari sottosistemi della società, e questi ultimi rivestono da
sempre una funzione primaria nel processo di sviluppo economico e di crescita
sociale. In questa prospettiva sono sempre emersi, generalmente, due approcci: un
primo approccio considera servizi pubblici i servizi che rivestono un’utilità ed un
interesse ritenuti collettivi, in maniera indipendente dalle forme di gestione adottate e
dalla natura del soggetto economico, pubblico o privato. Il secondo approccio colloca
nella categoria dei servizi pubblici i servizi la cui responsabilità funzionale sia
attribuita allo Stato o ad altri enti pubblici, indipendentemente dalle concrete
modalità attraverso le quali i servizi stessi vengono gestiti (forma pubblica o
privata)
7
.
Ritornando indietro nel tempo, nella prima fase dell’elaborazione della teoria del
servizio pubblico, grande attenzione era stata posta sulla natura pubblica del soggetto
erogatore. In base a questa impostazione, gli elementi che permettevano di
individuare il servizio pubblico erano: l’imputabilità diretta (o indiretta tramite
concessionari) dell’attività allo stato o ad altro ente pubblico (elemento soggettivo) e
la destinazione a favore di cittadini amministrati (elemento teleologico). Tutte le
figure di servizi pubblici venivano così ricondotte nella sfera dell’attività sociale
dell’amministrazione. L’unico tratto che caratterizzava il pubblico servizio era
l’assunzione che ne faceva il pubblico potere. Per tale visione aveva decisivo rilievo
la pertinenza della prestazione erogata all’attività svolta dalla Pubblica
Amministrazione, la quale si faceva carico di fornire un’utilità, valutata in sede
legislativa, o anche amministrativa, come necessaria per la collettività.
Ancora, le prime teorie del diritto amministrativo distinguevano tra “funzione” e
“servizio” di un pubblico potere, intendendosi per “funzione” l’attività giuridica
autoritativa posta in essere nell’esercizio di una potestà giuridica, e per “servizio” il
risultato dell’ingerenza dello Stato in settori a prevalente carattere economico e
7
Luca Anselmi, op. cit. pag. 5.
VII
produttivo, senza estrinsecazione di un potere sovrano
8
. E dunque oggi, alla luce di
queste considerazioni, ricercare l’essenza del pubblico servizio significa porre un
problema di carattere storico ed istituzionale
9
oltre che giuridico. Infatti, la questione
investe, da un lato le motivazioni dell’intervento pubblico nell’economia e, dall’altro,
le trasformazioni dello Stato, degli Enti locali e dell’amministrazione nei rapporti con
la società civile.
È evidente dunque che si è resa necessaria tale riflessione sulla trasformazione del
significato di servizio pubblico, non solo in Italia ma in tutta Europa, e il nuovo
rapporto tra i pubblici servizi e l’Ente locale: sul piano strettamente giuridico la
necessità di una riflessione sulla tematica si è imposta sia per l’incertezza intrinseca
che pesa sulla nozione
10
, sia per i riflessi che il diritto comunitario e il principio di
sussidiarietà producono sui concetti tradizionali. Negli ultimi tempi infatti, è emersa
l’esigenza di orientare la gestione degli Enti locali verso logiche manageriali
maggiormente rivolte alla soddisfazione delle esigenze del cittadino/utente, mediante
l’apprestamento di servizi pubblici qualitativamente migliori, con il contemporaneo
raggiungimento e mantenimento nel tempo delle condizioni di economicità
complessiva. Ecco allora il passaggio dal concetto tradizionale di servizio pubblico
delle legislazioni nazionali a quello di servizio di interesse generale e di servizio
universale del diritto comunitario.
La categoria dei servizi di interesse generale comprende servizi sia di interesse
economico che non economico; questa distinzione deriva dalla definizione di “servizi
di interesse economico generale” usata nel Trattato dell’Unione Europea; riguarda
8
“Il servizio pubblico locale: evoluzione e prospettive tra principio di sussidiarietà e regime di
concorrenza”. Su Diritto & Diritti – rivista giuridica on line - Laura Cesarini. Pag.1. Università di
Perugia.
9
Si può dire che l'invenzione del concetto di “trasporto pubblico” si ha nel 1662 quando il filosofo
francese Blaise Pascal ottiene da Luigi XVI la concessione delle prime vetture pubbliche (trainate
da cavalli) che entrano in servizio a Parigi, il 18 marzo, per la prima volta al mondo. Questa data
non va sottovalutata perché rappresenta il riconoscimento ufficiale dell'aspirazione dell'uomo a
muoversi, ed alla quale provvede per l'appunto lo Stato.
10
Quantomeno il legislatore italiano non ha mai fornito una nozione precisa di servizio pubblico
capace di resistere al mutare delle condizioni storico-sociali, economiche ed istituzionali e,
conseguentemente la dottrina non ha avuto a disposizione precisi e univoci termini di riferimento su
cui fondare le proprie ricostruzioni teoriche.
VIII
servizi di mercato e non (di mercato) che le Autorità pubbliche considerano di
interesse generale e assoggettano ad obblighi di servizio pubblico
11
.
Il servizio pubblico è un concetto più ampio rispetto a quello di servizio di interesse
generale: il servizio pubblico, in alcuni casi, si riferisce al fatto che è un servizio
offerto alla collettività; in altri, che ha finalità di interesse pubblico; in altri ancora, si
riferisce alla proprietà pubblica o allo status giuridico dell’ente
12
.
Sul servizio di interesse generale la normativa comunitaria include un insieme di
elementi comuni che riguardano vari obblighi: l’universalità e la continuità
comportano che il soggetto erogatore è obbligato a garantire la fornitura del servizio a
tutti e senza interruzioni; la qualità del servizio è diventato un requisito fondamentale
nella regolamentazione dei servizi di interesse generale; l’accessibilità impone che
un servizio di interesse economico generale sia offerto ad un prezzo sostenibile in
modo che sia fruibile da tutti; la tutela degli utenti include la buona qualità del
servizio, la sicurezza fisica e la protezione sanitaria, la trasparenza, la libertà di scelta
del servizio e del fornitore, la possibilità di ricorso, la scelta delle modalità di
pagamento, la partecipazione attiva di rappresentanti di utenti alla valutazione del
servizio.
Il concetto di servizio universale
13
ha requisiti e modalità di erogazione ben definite:
deve essere messo a disposizione di tutti gli utenti, ovunque sul territorio essi
risiedano, al livello qualitativo prestabilito e a un prezzo accessibile. Il servizio
universale è una sottospecie di servizio pubblico, che risponde alle medesime
11
L’espressione “servizi di interesse generale” non è presente nel Trattato di Maastricht, ma è
derivata nella prassi comunitaria dall’espressione “servizi di interesse economico generale” che
invece è utilizzata nel Trattato agli articoli 16 e 86, paragrafo 2. Non vi è data però nessuna
definizione né nel Trattato, né nella normativa derivata. Vedi anche “Libro Verde” COM(2003) 270
definitivo, pag.7, punti 16 e 17.
12
Luca Anselmi, op. cit. pagg. 7-8.
13
Per la prima volta la nozione di servizio universale è emersa nel rapporto del 1992 della
Commissione europea sul settore delle telecomunicazioni con riferimento alle attività gestite in rete,
e comprendeva in sé la garanzia di un livello minimo di servizio da assicurare a tutti i potenziali
utenti. In seguito tale concetto appare nella dottrina comunitaria; nel 1993 per la ristrutturazione
dell’industria europea delle telecomunicazioni e nel 1997 per il processo di ristrutturazione dei
servizi postali. La Direttiva 97/33/CE art.2 lettera g) del 30 giugno del 1997, definisce il servizio
universale come “un insieme minimo definito di servizi di determinata qualità disponibile a tutti gli
utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni specifiche
nazionali, ad un prezzo accessibile a tutti”.
IX
esigenze sociali di uguaglianza, di continuità e di accessibilità; questa nozione è stata
riferita ai servizi gestiti in rete, ma è estendibile a tutti. Il concetto di servizio
universale è dunque un concetto dinamico nel tempo in relazione all’evoluzione delle
esigenze collettive; è flessibile perché si adatta alle differenti circostanze nazionali e
regionali e alle diverse strutture di mercato; è coerente con il principio della
sussidiarietà.
Quindi l’individuazione dei confini del pubblico servizio costituisce un problema di
indubbio interesse ed attualità soprattutto per gli Enti locali, che sono chiamati a
svolgere un ruolo di primo piano proprio nell’individuazione e nell’assunzione del
servizio pubblico.
Queste brevi notazioni, lungi dal ripercorrere le teorie che si sono succedute nel
tempo in relazione al significato da attribuire all’espressione servizio pubblico, si
propongono di fornire una base conoscitiva utile allo svolgimento dei compiti delle
funzioni che spettano agli Enti locali in questa materia, anche in considerazione del
fatto che proprio a questi ultimi compete la concreta individuazione delle attività che
costituiscono pubblico servizio. Quest’aspetto risulta confermato proprio al momento
della nascita dei servizi di pubblica utilità in Europa, e oggi, come detto in
precedenza, ancor di più alla luce del principio di sussidiarietà e del diritto
comunitario che impongono di rivedere le concezioni tradizionali.
1.2 L’urbanizzazione in Europa e la nascita del trasporto pubblico locale.
Lo sviluppo delle città europee nel corso dell’800 si spinge decisamente oltre i
limiti urbani di ancien regime, e travalica gli stessi limiti amministrativi,
determinando la ridefinizione dei confini comunali; la c.d. periferia urbana va,
dunque, sotto l’influenza economica ed amministrativa della città
14
. Inoltre la
popolazione della periferia cittadina si sposta quotidianamente verso la città, e sono
proprio le nuove vie di comunicazione, il nuovo sistema di trasporto urbano, che,
accorciando le distanze, rendono zone che sino a prima erano campagna, parte
14
“La crescita delle periferie urbane in età industriale: un panorama europeo”. Giovanni Favero
(Università Ca’Foscari di Venezia). Intervento al convegno dell’European Association of Urban
History, Atene, 27-29 ottobre 2004. Pag.2.
X
integrante della città stessa. Il fenomeno dell’urbanizzazione delle città europee , che
nella maggior parte dei casi significa anche espansione fisica, è dovuto all’espansione
dei servizi a rete, i quali da un lato migliorano le condizioni di vita della popolazione
cittadina e dall’altro, contribuiscono ad attirare popolazione dalla campagna. Il
motore dell’espansione urbana è proprio la costruzione di reti di trasporto
15
, cui si
accompagnano altre reti, idrauliche, fognarie, elettriche, del gas, le quali insieme
definiscono le direttrici di espansione della città. Ad esempio, la città scozzese di
Glasgow conosce nell’800 lo sviluppo di quartieri operai sovraffollati, proprio perché
ad una precoce crescita industriale non si accompagnò la creazione di trasporti urbani
adeguati.
La prima fase dell’urbanizzazione si ebbe all’inizio dell’800 con la prima rivoluzione
industriale, caratterizzata dall’utilizzo del vapore per la trazione meccanica il che, è
stato fondamentale nell’800. La macchina a vapore ha dominato nei trasporti per terra
e per acqua, come pure nella grande industria (industrie tessili ed industrie
meccaniche). E siccome i motori a vapore richiedevano il trasporto e
l’immagazzinamento del carbone, le industrie, per avere disponibilità di energia, si
concentrarono in prossimità degli impianti ferroviari delle grandi città e dei porti. In
sostanza il vapore ha stimolato la crescita delle città già grandi, che in molti casi
erano le città capitali. Queste città industriali e portuali della prima metà dell’800
crebbero riempiendo tutti gli spazi vuoti disponibili in prossimità del centro urbano.
Ma l’urbanizzazione si accentua in modo deciso con l’avvio della seconda
rivoluzione industriale, non più legata al tessile e al carbone, ma alle reti ferroviarie
nonché alle nuove tecnologie come l’elettricità. L’abbattimento dei costi di trasporto
rese la presenza di manodopera un fattore determinante di localizzazione
dell’industria, per la generale necessità di situare gli impianti nei pressi degli snodi
urbani, attraverso i quali passavano i flussi di persone, informazioni, merci e
denaro
16
.
15
Giovanni Favero, op. cit. pag. 4.
16
Giovanni Favero, op. cit. pag.7.
XI
In questa fase, lo sviluppo industriale e la crescita urbana in buona parte coincidono
perché il primo si appoggia, appunto, ad una rete di centri preesistenti rafforzata da
un sistema di collegamenti ferroviari. La stazione ferroviaria assume il ruolo di zona
di interscambio, e quindi la rete viaria è costruita per connettere i terminali ferroviari
agli snodi centrali delle funzioni cittadine. Su questa rete insistono altre infrastrutture,
dal trasporto pubblico con omnibus a cavalli
17
, alle prime linee tranviarie, è proprio
l’estensione di questa rete ad allargare di fatto la città, dapprima per congiungerla alla
ferrovia e poi per andare oltre, determinando quindi un effettivo allargamento dei
confini amministrativi urbani, che finiscono per ricomprendere al loro interno i
quartieri operai e dunque anche la periferia.
Le grandi città europee appaiono dunque come punti di accumulazione in grado di
attirare funzioni, risorse finanziarie, popolazione, in un circolo che si autoalimenta. I
nodi ferroviari, industriali, portuali, crescono lungo direttrici create proprio per
raccordare fra loro le nuove funzioni, e il fenomeno è evidente in Italia settentrionale
nella seconda metà dell’800, quando lo sviluppo delle ferrovie favorisce le città
situate lungo i corridoi che collegano Torino e Milano a Venezia, da una parte, e a
Bologna dall’altro. Altre città come Atene o Budapest organizzano il sistema urbano
nazionale in una rete centrata sulla capitale, che svolge anche funzioni di
collegamento internazionale.
Accanto all’aspetto industriale ed economico come cause di urbanizzazione delle
grandi città europee appare importante anche il ruolo giocato in questo senso dal
regime fiscale, che come vedremo risulta essere strettamente legato allo sviluppo dei
servizi pubblici locali. Infatti la necessità di regolare l’espansione spontanea
dell’aggregato urbano, ormai divenuto sede di numerosi servizi cittadini essenziali,
dalla ferrovia al gasometro, si accompagna al graduale emergere di una nuova
concezione dell’egemonia della città sul territorio, non più basata, come accadeva
nell’antico regime economico, sull’immunità e il privilegio, ma sulla concentrazione
delle forze produttive e sulla trasformazione dei privilegi in diritti di cittadinanza; si
17
Carrozze a trazione animale (cavalli), esercenti i primi “trasporti pubblici cittadini” (omnibus=per
tutti), con panche laterali e con capacità di trasportare 15-18 persone.
XII
assiste dunque, ad una graduale “democratizzazione” dei servizi pubblici locali,
ovvero un’estensione dei benefici, determinati dal progresso, agli strati inferiori della
società. Le forme di finanziamento dei servizi municipali cambiano nel senso che
parte degli introiti generati con le tasse a livello nazionale (generalmente tasse sul
reddito) viene assegnata ai comuni, anche perché i grandi municipi lentamente
prendono coscienza del nuovo ruolo economico assegnato alle città nella realtà
industriale e, lo rivendicano di fronte allo Stato
18
.
A partire dalla metà del XIX secolo l’industrializzazione e l’urbanizzazione fanno
esplodere la domanda dei servizi essenziali delle comunità locali: distribuzione
dell’acqua, del gas, dell’energia elettrica, il trasporto pubblico locale, l’illuminazione
pubblica, la raccolta dei rifiuti. Tuttavia la decisione dei comuni di fornire questi
servizi pubblici essenziali, dipende, oltre che dalle risorse finanziarie, spesse volte da
fattori sociali e politici, ovvero dal colore politico delle amministrazioni cittadine. Per
contro, il ruolo giocato dai trasporti urbani si rivela essenziale per consentire
l’allargamento fisico dell’area urbana; se le città di ancien regime avevano un
diametro massimo di 4 o 5 chilometri percorribili a piedi in un’ora circa, questo, dopo
l’avvenuta urbanizzazione, risulta essere ancora il tempo massimo tollerabile, in
media, per coprire la distanza casa-lavoro con i nuovi mezzi di trasporto pubblico
(omnibus a cavalli, tram a vapore, tram elettrici), che ovviamente in un’ora
percorrono molto più di 5 chilometri. I primi omnibus, introdotti nelle grandi città
europee come Parigi e Londra sul finire degli anni 20 del 1800, altro non erano che
carrozze pubbliche trainate da cavalli che coprivano un percorso regolare, con orari e
tariffe fisse. L’introduzione della rotaia poi negli anni 50 dell’800 costituì la prima di
una serie di innovazioni che dovevano trasformare profondamente il trasporto
pubblico collettivo: prima i tram a cavalli, poi negli anni settanta l’utilizzo del
vapore per sostituire la trazione animale, prontamente abbandonato in favore
dell’elettricità da quando nel 1881 il primo tram elettrico entra in funzione a
Francoforte, diffondendosi poi rapidamente in tutta Europa. È chiaro quindi che i
18
Giovanni Favero, op. cit. pag.12.
XIII
nuovi mezzi di trasporto urbani crearono di fatto nuove possibilità di movimento,
penetrando nella campagna circostante e favorendone potentemente l’urbanizzazione.
1.3 L’omnibus ed il tram a cavalli.
L’omnibus a cavalli, che sostanzialmente era una carrozza trainata da cavalli, fece
la sua apparizione in Francia nel 1820, e come vedremo in seguito, il suo nome
nacque in conseguenza di un fatto curioso. Generalmente gli omnibus erano suddivisi
in due tipi di veicoli: invernali ed estivi, i primi disponevano di due sedili (panche)
disposti longitudinalmente con spalliere imbottite e finestre fisse con vetri scorrevoli;
i secondi erano del tipo a “giardiniera”, ossia tutti aperti con tende di tela bianca,
accesso su due lati e riparati da una tettoia. Normalmente erano trainate da due cavalli
ma, nei percorsi più acclivi gli animali potevano diventare anche quattro. In alcune
città italiane, come a Roma ad esempio, il corretto impiego dei cavalli era addirittura
controllato da agenti di polizia e dalla protezione animali e in alcuni casi venivano
esposti cartelli con l’indicazione del numero massimo dei viaggiatori ammessi, onde
evitare il sovraccarico assolutamente proibito.
Gli omnibus però, come mezzo di trasporto pubblico nell’ambito delle medie e
lunghe distanze, non reggeranno al confronto del sistema su ferro, anche se
acquisteranno ruolo di notevole rilievo per il trasporto dei passeggeri nelle città.
L’omnibus era certamente un’invenzione molto comoda, ma le scosse e i sobbalzi
dovuti al selciato delle strade, che in quell’epoca erano per lo più in terra battuta,
fecero intuire che sarebbe stato meglio far viaggiare lo stesso omnibus su rotaie di
ferro da sistemare sulle strade delle diverse città in virtù del fatto che avrebbero
potuto muovere carrozzoni molto più capienti e confortevoli di quelli precedenti.
Le prime linee di tranvai a cavalli, con sede propria su rotaia, si ebbero in Francia, ma
rapidamente si diffusero in tutte le principali città europee. In Italia la prima tranvai a
cavalli venne attivata a Torino nel 1871, a Roma venne inaugurata la prima tranvai a
cavalli nel 1877, da Piazza del Popolo a Ponte Milvio lungo la via Flaminia. Il
massimo sviluppo della tramvia a cavalli si ebbe nei primi decenni del 900, ma il
trasporto pubblico urbano a trazione animale presentava non pochi inconvenienti che,
XIV
innanzitutto, si traducevano in precise diseconomie, sia per le imprese concessionarie
sia per la comunità cittadina, cosicché un incremento del percorso delle linee e del
relativo parco equino, avvicinava sempre più quel limite oltre il quale sarebbe cessata
la convenienza all’ampliamento del servizio, rendendo ormai improcrastinabile la
ricerca di un’alternativa valida. Per l’impresa ogni vettura in servizio richiedeva una
disponibilità di 5-7 cavalli, animali che avevano una vita lavorativa media di 4-5 anni
al massimo e che erano sottoposti a malattie o anche epidemie di dimensioni
catastrofiche, con la conseguenza che i costi attribuibili alla trazione in genere
superavano il 50% dei costi complessivi esercizio. Inoltre le deiezioni dei cavalli in
servizio causavano esalazioni maleodoranti e ponevano dunque seri problemi di
igiene pubblica; il nuovo mezzo di trasporto, andava bene nei tratti in pianura, dove
comunque già i cavalli facevano fatica a trainare i pesanti veicoli, ma le difficoltà
maggiori si presentavano nei tratti in salita
19
.
1.4 Il tram a vapore.
Nel corso degli anni 70’ dell’800 divennero inevitabili alcuni tentativi di
applicazione del vapore ai trasporti urbani attraverso la costruzione di locomotive, o
di speciali vetture tramviarie automotrici che, dotate di caldaie alimentate a carbone
(coke), eliminavano gli inconvenienti della trazione animale e consentivano di ridurre
considerevolmente l’emissione di fumi, e soprattutto di contenere l’emissione di
vapore dentro misure accettabili, quando lo sforzo richiesto fosse stato moderato.
Perciò dagli anni 70’ alla fine dell’800 furono prodotte parecchie centinaia di
locomotive, le quali equipaggiarono, c’è da dire in via sperimentale, molte linee in
Inghilterra, Francia e Germania ma, il risultato di quegli esperimenti fu quello di
determinare dopo breve tempo l’interruzione, o drastiche restrizioni, dell’impiego dei
tram a vapore, ripristinando la trazione animale. E dunque il campo di applicazione
del tram a vapore rimase appannaggio principalmente delle tratte suburbane dove,
con linee ferrate leggere di carattere locale, si poteva servire una popolazione sparsa
senza affrontare gli ingenti investimenti richiesti dalla costruzione di una linea
19
Bruno Principe.”Il trasporto pubblico urbano a Firenze tra le due guerre”. Pagg.253-257.
XV
ferroviaria ordinaria. Questo anche perché gli ostacoli alla diffusione cittadina del
tram a vapore furono rappresentati dalla normativa tendente all’eliminazione di fumi,
ceneri e rumori ad esso associati
20
.
Un altro mezzo di trasporto su rotaia che in quegli anni si affermò fu la ferrovia
funicolare. Le funicolari erano in genere ad un solo binario con un incrocio a metà
percorso, dato che le due carrozze erano legate l’una all’altra a mezzo di una fune
d’acciaio, avvolta intorno alla carrucola motrice che si trovava nella stazione più in
alto. Un motore, originariamente a vapore, serviva a dare vita al sistema ed a
mantenere il movimento, mentre, tenuto conto del peso delle due carrozze ed a
seconda dell’entità del carico dei passeggeri, ognuna faceva da contrappeso all’altra.
Questo sistema di trazione con motrice a vapore fissa, che ebbe grande sviluppo nelle
ferrovie minerarie dell’Inghilterra, sul finire del secolo trovò valida applicazione
soprattutto in Italia, per brevi tragitti di forte dislivello, specialmente in zone di città
che si sviluppavano su piani diversi, come Bergamo e Orvieto oppure città che si
espandevano sulle alture circostanti come Napoli e Genova. La funicolare più antica
in Europa è sicuramente quella del Vesuvio del 1883, seguita poi, nel 1890, da quella
di Belleville che permetteva di accedere al centro di Parigi da rue de Belleville a
Place de la Republique. La caratteristica fondamentale dei mezzi funicolari era quella
di non avere più un motore a bordo del veicolo, perché il movimento veniva
trasmesso da una macchina fissa posta a capo della linea, a mezzo di una fune alla
quale i veicoli venivano fissati
21
.
20
Bruno Principe, op. cit. pagg. 257-259.
21
Bruno Principe, ibidem, pagg. 263-264.