Introduzione
2
con l’approvazione della legge 675/96, ha portato l’attenzione di dottrina e
giurisprudenza sul rapporto tra riservatezza e diritto d’accesso e sul problema
dei limiti reciproci. Inoltre è maturata sempre più forte la consapevolezza che
stiamo vivendo nella società dell’informazione, in cui la quantità e la qualità
delle conoscenze acquisite diventano elementi strategici per la vita delle
associazioni: lo scambio di dati consente ad esempio il reperimento delle
risorse e favorisce il cambiamento secondo le tendenze espresse dalla società
1
;
per quel che concerne la Pubblica Amministrazione, la trasparenza fra le
amministrazioni e verso i cittadini consente di svolgere un’azione più
democratica e partecipata e nello stesso tempo più produttiva e rispondente ai
bisogni dei cittadini. Infine l’innovazione tecnologica, e soprattutto
l’informatizzazione delle amministrazioni, ha dato il via alla sperimentazione
e alla realizzazione di strumenti che hanno permesso di rivedere in chiave
innovativa e non tradizionale i contenuti della legge 241/90 – si è parlato ad
esempio di “accesso informatico” – quindi favorendo il perseguimento degli
obiettivi iniziali della riforma
2
.
1
Una parte della dottrina ha fondato costituzionalmente il principio della trasparenza come
parte del più generale diritto di informazione dell’art. 21 Cost.: cfr. V. CONTESSA, Profili
particolari del diritto di accesso con riferimento agli atti degli Enti Locali, in Nuova
Rass., 1992, V, 1982 ss.; F. FIGORILLI, Alcune osservazioni sui profili sostanziali e
processuali del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Dir. Proc. Amm., 1994,
223 ss.; F. PORTOGHESE, Principio di partecipazione e diritto di accesso alla luce delle
leggi 8 giugno 1990, n. 142 e 7 agosto 1990, n. 241, in Foro Amm., 1993, II, 1190 ss. Dal
punto di vista sociologico il valore della trasparenza nella dinamica società/Pubblica
Amministrazione è stato analizzato fra gli altri da: I. FRANCO, La legge n. 241
nell’attuale contesto ordinamentale, in TAR, 1991, II, 233 ss.; A. LIPPI, La
sburocratizzazione amministrativa come ristrutturazione simbolica: gli Uffici per le
relazioni con il pubblico, in Riv. Trim. Scienza Amm.ne, 1995, I, 133 ss.; A. FREGOLI, La
circolazione delle informazioni e delle conoscenze all’interno dell’Ente Locale ai fini del
processo decisionale, in Nuova Rass., 1994, II, 1393 ss. E inoltre: F. CERASE, Pubblica
Amministrazione - un’analisi sociologica, Roma, 2002; R. BETTINI, Sociologia del diritto
amministrativo, Milano, 2000; G. SIAS, Società dell’informazione e conoscenza, Milano,
2002.
2
G. CORASANITI, L’accesso all’informazione delle pubbliche amministrazioni, in Dir.
Inform. e inform., 1992, I, 15 ss.; E. ZAFFARONI, L’informatizzazione della pubblica
amministrazione, in Foro Amm., 1996, II, 2516 ss.
Introduzione
3
Di fatto, parlare di trasparenza amministrativa significa considerare il
processo di radicale trasformazione cui è stata sottoposta l’amministrazione
pubblica da un decennio a questa parte; significa più precisamente,
evidenziare le molteplici linee evolutive lungo cui si è compiuto questo
cambiamento, distinguendole fra loro benché esse possano tutte considerarsi
aspetti dello stesso fenomeno: quello della democratizzazione
dell’amministrazione pubblica.
Le prime trasformazioni da rilevare, in quanto presupposti della stessa
riforma istituzionale, sono avvenute in campo dottrinale; la loro portata si
comprende se si considera che sono state frutto di un sostanziale cambiamento
di prospettiva rispetto a convinzioni profondamente consolidate nella prassi e
nella dottrina tradizionale. Esse hanno investito in primo luogo la natura del
rapporto tra amministrazione pubblica e cittadini, segnando il consapevole ed
esplicito passaggio dalla concezione soggettivo-istituzionale ad una
concezione di tipo oggettivo-funzionale. Nella nuova visione
l’amministrazione, in quanto distinta dall’attività politica di governo, ha come
fine non il soddisfacimento di interessi soggettivamente individuati dalle
istituzioni, bensì l’assetto degli interessi privati, in vista della tutela di interessi
che si qualificano come pubblici in quanto rilevanti per la collettività
1
. Ciò ha
implicitamente comportato un’ulteriore evoluzione, vale a dire il passaggio
dall’impostazione autoritativa del rapporto fra pubblica amministrazione e
cittadini a quella paritaria: il cittadino non è più suddito, mero destinatario e
oggetto delle decisioni dell’amministrazione, bensì può partecipare
all’esercizio della funzione amministrativa sullo stesso piano
dell’amministrazione stessa
2
.
1
G. PASTORI, Interesse pubblico e interessi privati fra procedimento, accordo e
autoamministrazione, in Scritti in onore di P.Virga, II, Milano, 1994, 1304 ss.; G. BERTI,
L’amministrazione oggettivata: un nuovo modello, in Riv. Trim. Scienza Amm.ne, 1978,
6.
2
F. BENVENUTI, Disegno dell’Amministrazione Italiana, Padova, 1996, 233-234.
Introduzione
4
La seconda affermazione rivoluzionaria dal punto di vista culturale è
scaturita dalla nuova consapevolezza che la trasparenza è (o dovrebbe essere)
un modo di essere e di agire dell’amministrazione pubblica
1
: acquisizione che
ha invertito il rapporto tradizionale segreto/trasparenza, ridimensionando la
priorità data al segreto quale principio a cui informare i rapporti tra cittadini e
amministrazioni in tema di conoscenza degli atti amministrativi. Nella
concezione che è venuta affermandosi, il segreto diventa l’eccezione rispetto
alla regola della trasparenza e, prima ancora, della pubblicità, che della
trasparenza rappresenta il presupposto imprescindibile; esso non scompare,
essendo comunque uno strumento essenziale per la tutela di interessi pubblici
e privati, ma, coerentemente con il principio democratico, trova la sua
legittimazione nell’ambito di espresse norme di legge
2
.
Dal punto di vista pratico, queste nuove chiavi interpretative della realtà
amministrativa hanno condotto alla creazione di istituti non ancora presenti nel
nostro ordinamento, e all’elaborazione di una disciplina moderna e finalmente
organica per altri già regolamentati in maniera sommaria. Fra questi innanzi
tutto il diritto di accesso, esteso a tutti i documenti (individuati secondo la
definizione del comma 2, art. 22 L. 7 agosto 1990, n.241) e a tutti i cittadini
che abbiano un interesse alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante,
fatti salvi i casi in cui ancora permanga la copertura del segreto di stato, e gli
altri casi di esclusione legislativamente previsti. E poi, soprattutto, tutti gli
istituti della partecipazione procedimentale, non solo con funzioni di tutela
1
La dottrina è concorde nell’affermare che la trasparenza non è un istituto ben definito, ma
piuttosto un «risultato cui deve tendere l’azione amministrativa, un’aspirazione, un modo
di essere al quale concorrono strumenti diversi» (F. PORTOGHESE, Principio di
partecipazione e diritto di accesso, cit., 1189). Cfr. anche R. VILLATA, La trasparenza
dell’azione amministrativa, relazione al XXXII convegno dal titolo «La disciplina
generale del procedimento amministrativo: contributi alle iniziative legislative in corso»
organizzato dal Centro di Studi Amministrativi della Provincia di Como, Varenna – Villa
Monastero, 1986, in Dir. Proc. Amm., 1987, 529 e S. AGRIFOGLIO, La trasparenza
dell’azione amministrativa ed il principio del contraddittorio tra procedimento e
processo in Scritti in memoria di Mario Nigro, Milano, 1991, 19 ss. che qualificano la
trasparenza come l’auspicio che l’amministrazione sia una «casa di vetro».
2
M. BASSANI, Accesso ai documenti e tutela della privacy, cit.; M. CLARICH, Diritto
d’accesso e tutela della riservatezza, cit.
Introduzione
5
della posizione giuridica coinvolta nell’azione amministrativa, ma anche di
controllo democratico sulla legittimità degli atti, e di contributo conoscitivo a
favore di efficacia, efficienza e buon andamento della pubblica
amministrazione
1
.
Tuttavia, nonostante gli intenti iniziali e il contributo di dottrina e
giurisprudenza, i risultati concreti della riforma tardano a manifestarsi. Il
processo di attuazione è stato avviato con ritardo ed è tuttora incompleto, e ciò
non solo per l’inerzia del legislatore nazionale, ma anche per colpa delle
singole amministrazioni, cui sono stati demandati compiti attuativi della legge
secondo i propri poteri e competenze
2
.
Probabilmente le amministrazioni hanno sentito il peso
dell’innovazione culturale che, come detto, è stata radicale ed ha soppiantato
una tradizione durata troppi anni. A fondare questa considerazione è la
constatazione che nella maggior parte dei casi le amministrazioni hanno dato
applicazione alla legge solo nei limiti in cui ciò fosse compatibile con
l’organizzazione esistente; ma ciò ha vanificato, di fatto, non solo il tentativo
di fare dell’amministrazione un meccanismo in sé ben funzionante, secondo i
principi dell’art. 97 della Costituzione, ma anche quello di avvicinare
l’amministrazione ai cittadini e viceversa, migliorando la percezione reciproca
che ogni soggetto ha del ruolo dell’altro: fatto tanto più deleterio, se si
considera che è proprio questo il presupposto che, favorendo la partecipazione,
può generare benefici effetti sulla qualità dell’azione amministrativa.
Ciò che si è verificato, con tutta probabilità, è stata una sostanziale
1
F. PATRONI GRIFFI, Un contributo alla trasparenza dell’azione amministrativa:
partecipazione procedimentale e accesso agli atti (legge 7 agosto 1990 n. 241), in Dir.
Proc. Amm., 1992, 59-60, in cui si evidenzia la capacità degli istituti della trasparenza di
dare visibilità all’interesse pubblico operando a favore dei cittadini (cui l’interesse da
perseguire non può essere imposto a prescindere dagli interessi particolari di cui sono
portatori) e della stessa Amministrazione Pubblica (che viene protetta da ingerenze e
pressioni indebite da parte di portatori di interessi forti e organizzati). Cfr. anche F.
BENVENUTI, Disegno dell’Amministrazione Italiana, cit. 243-244.
2
G. VESPERINI, L’attuazione della legge sul procedimento amministrativo, in Giorn. Dir.
Amm., 1995, I, 251 ss.
Introduzione
6
discrasia tra il valore giuridico che la trasparenza ha assunto nell’ordinamento
positivo, e il suo valore sociologico: in pratica il principio, dopo essere stato
posto come cardine del sistema, non ha manifestato la sua capacità di
influenzare nel concreto tutti i comportamenti istituzionali e individuali e di
modificarli per garantire, da parte dell’amministrazione, un’azione trasparente
nella sua essenza e, da parte dei cittadini, una partecipazione da esercitarsi non
più come mera facoltà, ma come vero e proprio dovere di co-amministrazione.
Sarebbe quindi riduttivo, anche rispetto allo sviluppo della ricerca,
limitare l’analisi ai soli aspetti giuridici della questione. Pertanto, dopo la
descrizione del percorso che ha condotto alla sanzione giuridica del principio
della trasparenza, nella seconda parte della tesi verrà preso in considerazione,
in una chiave più strettamente sociologica, il suo ruolo all’interno delle
dinamiche relazionali tra amministrazione e cittadini, così come esse sono
venute configurandosi in seguito all’adozione delle leggi di riforma
amministrativa. In particolare verranno prese in considerazione le
Amministrazioni Locali, per due motivi: anzitutto, perché per prime fra le
amministrazioni pubbliche hanno visto sanciti espressamente nel proprio
ordinamento i diritti di accesso, di informazione e di partecipazione con
l’adozione della legge 142/90 (fatto, questo, che ha generato non pochi
problemi di coordinamento con la legge generale del procedimento approvata
a breve distanza di tempo); poi, per il ruolo strategico che possono svolgere al
fine di avvicinare il cittadino ai pubblici poteri e di facilitare le comunicazioni
fra i due soggetti.
La terza parte della tesi trova giustificazione proprio nel tentativo di
valutare se i “nuovi” strumenti informatici al servizio dell’Amministrazione
possano dare un valido contributo alla causa della trasparenza e della
partecipazione, dando attuazione in modo non “tradizionale” agli intenti della
legge 241/90. Saranno quindi analizzati il processo di informatizzazione
dell’amministrazione, in particolare di quella locale, lo stadio a cui esso è
Introduzione
7
giunto e gli strumenti progettati e in alcuni casi già implementati: la
realizzazione di sistemi elettronici di protocollazione e gestione delle pratiche,
che rendono l’attività amministrativa più rapida, efficiente e imparziale;
l’integrazione dei processi automatizzati gestiti da amministrazioni diverse,
con risparmio di tempo e benefici in termini di certezza delle informazioni
condivise; l’erogazione di servizi a distanza; e soprattutto l’atto
amministrativo elettronico che, predisposto con l’ausilio di sistemi informatici
e conservato su supporti inalterabili nel tempo, dovrebbe garantire un più
rapido, flessibile e completo accesso alle informazioni, oltre che ingenerare
nel cittadino maggior fiducia nei confronti dell’attività amministrativa.
Dato il carattere sperimentale di queste innovazioni, l’analisi dovrà
necessariamente aprirsi, anche con il riferimento a casi e dati, alla
considerazione di questioni di più ampio respiro che costituiscono in molti
casi problemi irrisolti: dalla formazione del personale, agli orientamenti dei
cittadini nei confronti dell’innovazione tecnologica nell’amministrazione
pubblica, alle questioni inerenti l’effettiva fruibilità di questi strumenti rispetto
ai problemi del divario tecnologico e dell’accessibilità anche per le categorie
svantaggiate.
La valutazione finale riguarderà le prospettive reali per la nascita di una
“democrazia amministrativa” virtuale in cui sia resa vera, non difficoltosa e
immediata la partecipazione al processo decisionale amministrativo e politico.
PARTE PRIMA
LA TRASPARENZA
COME PRINCIPIO GIURIDICO
9
CAPITOLO 1
IL VALORE DELLA TRASPARENZA NELL’ORDINAMENTO
PRIMA DELLA LEGGE 7 AGOSTO 1990, N° 241
§ 1 Lo stato di attuazione del principio: la legislazione vigente sino alla
fine degli anni ‘80
Fino all’adozione della legge 7 agosto 1990, n. 241 («Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi»), il principio della trasparenza non aveva ancora ricevuto il
riconoscimento giuridico che lo avrebbe qualificato come uno dei valori
cardine dell’organizzazione e dell’attività amministrativa. Questo fatto non ha
rappresentato tuttavia un aspetto di particolare arretratezza: fino a pochi anni
prima, la situazione era comune a tutti i Paesi europei, fatte salve poche
eccezioni, in cui, al contrario, la tradizione della trasparenza era già radicata
da tempo (il riferimento è all’esperienza scandinava e dei paesi anglosassoni)
1
.
Prima che si diffondesse la nuova sensibilità, infatti, la cultura amministrativa
dominante in Europa informava tutta l’attività dell’amministrazione al
principio della segretezza: l’area coperta dal segreto amministrativo
discrezionale era praticamente indefinita e si estendeva a tutti i casi non
diversamente regolati con norme espresse
2
. Il segreto era visto,
1
I.F. CARAMAZZA, Dal principio di segretezza al principio di trasparenza. Profili generali
di una riforma, in Riv. Trim. Dir. Pub., 1995, II, 945-946. L’Autore evidenzia come il
diritto di accesso indifferenziato (cioè non correlato con un processo o un procedimento)
un tempo fosse subordinato ad un potere generale di segretazione discrezionale addirittura
in tutti i paesi del mondo. Al punto che l’eccezione rappresentata dalla Svezia, che
riconosce tale diritto fino dal 1766, è poco significativa ed ogni comparazione con essa
scarsamente producente. Quanto all’esperienza statunitense, l’affermazione del diritto di
accesso, ricavata dal «right to know» del primo emendamento della Costituzione, non ha
avuto alcuna portata effettiva, al punto da essere definita dall’A. uno «slogan
giornalistico». La prima vera regolamentazione del principio negli USA avverrà solo con
la legge generale di procedura del 1946.
2
I.F. CARAMAZZA, Dal principio di segretezza al principio di trasparenza, cit., 947.
La trasparenza prima della legge 241/90
10
secondo una dottrina pragmatica modellata sull’esempio francese, come
garanzia di «tranquillità del funzionario» e di efficacia dell’azione
amministrativa
1
, ma anche come tutela contro la permeabilità
dell’amministrazione pubblica alle pressioni dei gruppi e strumento di difesa
del «sapere di servizio» su cui si fonda il «potere del funzionario»
2
. Nella
prassi instauratasi nel nostro ordinamento, la funzione del segreto si era poi
ulteriormente ampliata, fino a configurare il segreto come «cardine
fondamentale dell’organizzazione»
3
: esso doveva svolgere una vera e propria
«funzione di separazione», per garantire che l’autorità agente non interferisse,
né subisse interferenze
4
.
L’estensione che la dottrina e poi la prassi avevano dato al segreto
amministrativo era tale da configurare una vera e propria lesione di diritti e
principi costituzionalmente sanciti (come si vedrà meglio in seguito – par. 1.3
– quando verrà analizzato il dibattito che ruotò intorno ai referenti
costituzionali della trasparenza). Tuttavia si può dire che questa concezione
risentiva di un’impostazione culturale e istituzionale che si era venuta
formando nel corso dei secoli, e soprattutto per effetto di una lunga tradizione,
prima assolutista e poi liberale
5
.
La segretezza, infatti, risulta funzionalmente giustificata
nell’amministrazione di tipo autoritario propria sia dello stato assoluto che di
quello liberale: nel primo, l’amministrazione è “istituzionalmente” segreta, e
1
M.J.C. BOULARD, Rapporto nazionale sulla Francia, in Le Secret Administratif dans les
Pays dévelóppés, Paris, 1977: «Il diritto comune è il segreto, l’accesso l’eccezione»;
«L’autorità si afferma nella misura della distanza in cui è tenuto l’interessato», citato in
I.F. CARAMAZZA, Dal principio di segretezza al principio di trasparenza, cit.
2
M. WEBER, Wirtschaft und Gesellshaft, Tubingen, 1922.
3
R. VILLATA, La trasparenza dell’azione amministrativa, relazione al XXXII convegno
dal titolo «La disciplina generale del procedimento amministrativo: contributi alle
iniziative legislative in corso» organizzato dal Centro di Studi Amministrativi della
Provincia di Como, Varenna - Villa Monastero, 1986, in Dir. Proc. Amm., 1987, 538-539.
4
G. ARENA, Il segreto amministrativo, vol. II, Padova, 1984, 120 ss. Secondo l’Autore, il
rispetto rigoroso del segreto amministrativo all’interno dell’amministrazione e nei
confronti dei cittadini costituiva un elemento indispensabile per garantire il «normale
funzionamento» dei pubblici poteri.
5
I.F. CARAMAZZA, Dal principio di segretezza al principio di trasparenza, cit., 946.
La trasparenza prima della legge 241/90
11
ciò per prerogativa reale; nel secondo, l’amministrazione è limitata a settori
così rilevanti per l’esistenza stessa dello stato, che il segreto diviene una vera e
propria esigenza. Il problema è che il segreto è rimasto in vita anche dopo il
passaggio allo stato sociale, in cui non ha più alcuna giustificazione né
coerenza, solo perché, «in virtù di tradizioni e di isteresi burocratica»
1
, si è
prolungato il modello autoritario, incentrato, da una parte, sull’imperatività del
provvedimento amministrativo, dall’altra, sull’elemento organizzatorio
fortemente gerarchizzato
2
. Il segreto si lega all’imperatività dell’atto
amministrativo, perché è lo strumento idoneo a preservarla: esso infatti
impone la riduzione di qualunque interferenza esterna tale da ostacolare la
speditezza e l’unilateralità dell’azione amministrativa (l’imperatività va intesa
come la capacità dell’atto di produrre effetti nella sfera giuridica del
destinatario, esclusivamente nell’interesse dell’amministrazione e senza la
possibilità per il cittadino di partecipare alla definizione del suo contenuto).
Sotto il secondo profilo, il segreto si giustifica nell’ambito di una struttura
fortemente gerarchizzata perché il principio di separazione degli uffici tipico
del rapporto di gerarchia determina l’impermeabilità dell’apparato burocratico
alla diffusione e allo scambio di informazioni, non solo con l’esterno, ma
addirittura fra le stesse amministrazioni
3
.
1
I.F. CARAMAZZA, ibidem, 946 ss.
2
F. FIGORILLI, Alcune osservazioni sui profili sostanziali e processuali del diritto
d’accesso ai documenti amministrativi, in Dir. Proc. Amm., 1994, 207 ss.
3
Una parte della dottrina non concorda con questa visione. Cfr. F. PATRONI GRIFFI, Un
contributo alla trasparenza dell’azione amministrativa: partecipazione procedimentale e
accesso agli atti, in Dir. Proc. Amm., 1992, 57, il quale afferma la necessità di sfatare «il
mito dell’amministrazione autoritaria e irresponsabile che stringe nelle sue maglie come
in una morsa i diritti dei cittadini». Ne conseguirebbe un ridimensionamento della portata
innovativa della L. 7 agosto 1990, n. 241: essa non viene accolta come «la più importante
riforma amministrativa dell’ordinamento repubblicano» (LABRIOLA), ma come uno
statuto che cerca di coniugare le molteplici esigenze di un’amministrazione moderna: da
un lato, l’esigenza di celerità ed efficienza, dall’altro la necessità della duplice garanzia
del cittadino e dell’amministrazione stessa, che resta comunque l’ente esponenziale degli
interessi della collettività. Tanto più che, secondo l’A., la legge non ha fatto altro che
formalizzare principi a cui la dottrina e, soprattutto, la giurisprudenza erano già
pervenute.
La trasparenza prima della legge 241/90
12
In questo contesto istituzionale e culturale, risultano evidenti i motivi
per cui il legislatore si sia occupato solo saltuariamente e in termini poco
chiari, se non addirittura in modo contraddittorio, della problematica
dell’accesso
1
, producendo una normativa che rifletteva ampiamente la
concezione allora dominante della pubblica amministrazione e dei principi che
ne regolavano l’azione.
E’ significativo che la prima norma repubblicana rilevante ai fini di
questa analisi non disciplini ancora direttamente l’accesso agli atti, ma
l’istituto opposto, il segreto d’ufficio. Si tratta del Testo Unico n. 3, 10
gennaio 1957, recante norme in tema di Statuto degli impiegati civili dello
stato. Esso all’art. 15 così disponeva
2
: «L’impiegato deve mantenere il segreto
d’ufficio e non può dare a chi non ne abbia diritto, anche se non si tratti di atti
segreti, informazioni o comunicazioni relative a provvedimenti od operazioni
amministrative di qualsiasi natura ed a notizie delle quali sia venuto a
conoscenza a causa del suo ufficio, quando possa derivarne danno per
l’Amministrazione o per i terzi. Nell’ambito delle proprie attribuzioni,
l’impiegato preposto ad un ufficio rilascia, a chi ne abbia interesse, copie ed
estratti di atti e documenti d’ufficio nei casi non vietati dalle leggi, dai
regolamenti o dal capo di servizio».
I commentatori più favorevoli hanno ritenuto di poter individuare
all’interno di questa norma un generico embrione di disciplina della pubblicità
degli atti amministrativi; essa avrebbe poi trovato conferma, pur con
significative eccezioni, nelle interpretazioni della dottrina e della
giurisprudenza, tendenti ad armonizzarla con il principio di pubblicità
1
F. FIGORILLI, Diritto di accesso ai documenti, cit., 212.
2
Si tratta del testo nella sua formulazione originaria. Esso verrà innovato dall’art. 28 della
L. 241/90, in linea con la nuova disciplina del diritto di accesso ai documenti
amministrativi in questi termini: «L’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio. Non
può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od
operazioni amministrative, in corso o concluse, ovvero notizie di cui sia venuto a
conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste
dalle norme sul diritto d’accesso. Nell’ambito delle proprie attribuzioni, l’impiegato
preposto ad un ufficio rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non
vietati dall’ordinamento».
La trasparenza prima della legge 241/90
13
dell’azione dei pubblici poteri che, almeno tendenzialmente, si riteneva
vigente nel nostro ordinamento
1
.
Nonostante la norma sia oscura sotto molti aspetti, data la genericità
che spesso caratterizza i Testi Unici, le interpretazioni più incisive sono invece
concordi nel mettere in rilievo, non tanto l’apertura verso ipotesi di pubblicità,
quanto l’estensione pressoché illimitata del segreto d’ufficio che se ne ricava
2
.
ARENA in particolare individua, attraverso l’analisi del comma 1 dell’art. 15,
due nozioni contrapposte di segreto, una soggettiva e l’altra oggettiva. La
prima, riferita all’inizio dell’articolo: «l’impiegato deve mantenere il segreto
d’ufficio», postula un divieto assoluto di accesso agli atti, che prescinde
dall’esistenza di un possibile danno, e si giustifica con la «qualità» del
possessore delle informazioni: questi è tenuto al segreto per il solo fatto di
essere un impiegato dell’amministrazione. La seconda si riferisce invece alla
natura delle informazioni protette: la richiesta della valutazione del danno
mostra che il ricorso al segreto è subordinato alla protezione di determinati
interessi, che potrebbero essere lesi dalla circolazione delle informazioni; la
previsione di un’ipotesi di valutazione caso per caso è ciò che consentiva di
allargare a dismisura l’estensione oggettiva del segreto. L’Autore rileva infine
il fatto che, dalla lettura della norma, l’ambito di applicazione del segreto
risulta essere comprensivo di «tutti i possibili momenti dell’attività
amministrativa, da quelli corrispondenti ad un’attività già conclusa (i
provvedimenti), a quelli relativi ad un’attività ancora in corso (le operazioni);
l’aggiunta dell’inciso “di qualsiasi natura” serve poi ad evitare che qualche
settore possa sfuggire alla protezione offerta dal segreto d’ufficio»
3
. In
definitiva l’art. 15, pur rappresentando un indubbio passo avanti rispetto
1
V. SAPONARA, Commento all’art. 28 della legge 241/90 in ITALIA - BASSANI,
Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti (legge 7 agosto 1990, n.
241), Milano, 1991, 454.
2
V. PALEOLOGO, Segreto e pubblicità nella Pubblica Amministrazione, in I.A.P.A., 1978,
59; G. ARENA, Il segreto amministrativo, cit., 287 ss.; S. GIRELLA, Il segreto d’ufficio
nell’evoluzione normativa, in TAR, 1991, II, 243 ss.
3
G. ARENA, Il segreto amministrativo., cit., 303.
La trasparenza prima della legge 241/90
14
all’indeterminatezza che aveva caratterizzato la materia del segreto d’ufficio
nei precedenti decenni
1
, lasciava all’amministrazione una discrezionalità
troppo ampia in ordine alla conoscibilità degli atti amministrativi. Al punto
tale da indurre GIANNINI a qualificare questa disposizione come una «norma
incomprensibile per la quale tutto e nulla può essere segreto»
2
.
Più incisivo appare invece il tentativo perseguito, nella seconda metà
degli anni ’80, con la legge su «Aspettative, permessi, indennità degli
amministratori locali» (L. 27 dicembre 1985, n. 816). Pur disciplinando una
materia del tutto diversa, la legge, agli art. 24 e 25, reca norme in tema di
diritto di visione degli atti emanati dalle amministrazioni locali in genere,
comprese quelle sanitarie. L’analisi dettagliata della normativa verrà svolta
approfonditamente nel capitolo dedicato alla trasparenza nelle
Amministrazioni Locali (cap. 3.2); ciò che qui conta mettere in rilievo è il
deciso passo in avanti che essa ha rappresentato rispetto a precedenti
enunciazioni di natura prevalentemente programmatica
3
. Proprio la
collocazione delle norme sull’accesso in una sedes materiae così inadeguata
sta quasi a testimoniare la volontà del legislatore di introdurre
nell’ordinamento un principio tanto rilevante come quello della trasparenza,
vista l’impossibilità, almeno in quegli anni, di pervenire ad una disciplina
1
F. FIGORILLI, Diritto di accesso ai documenti, cit., 213.
2
M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1970, II, 902.
3
Anche la legge quadro sul pubblico impiego n. 93 del 29 marzo 1983, aveva espresso
l’esigenza di inserire nell’ordinamento uno strumento in grado di garantire la tutela dei
cittadini nei confronti dei pubblici dipendenti, nonché il «diritto di accesso e di
partecipazione alla formazione degli atti della pubblica amministrazione». La norma ha
avuto un ruolo importante nella evidenziazione della problematica del diritto d’accesso e
dell’urgenza della sua disciplina (SELLERI, Il diritto di accesso ai documenti
amministrativi, Napoli, 1984, 108, secondo cui le tematiche dell’accesso e della
partecipazione possono trovare un nuovo slancio e rinnovata attenzione, proprio per
essere state inserite in un testo organico, che non solo disciplina un sistema di relazioni
sindacali, ma tenta anche di predisporre un codice di innovazioni nell’organizzazione
complessiva del pubblico impiego). Tuttavia non ha individuato alcuna soluzione
concreta, ma si è limitata ad esprimere un auspicio, rinviando a futuri provvedimenti
normativi e regolamentari. Cfr. F. FIGORILLI, Diritto di accesso ai documenti, cit., 216.
La trasparenza prima della legge 241/90
15
organica del procedimento amministrativo
1
.
Infine, nell’ambito del panorama normativo, va ricordata la L. 8 giugno
1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente, che, in termini di
anticipazione delle successive leggi di riforma, è tra tutte la più significativa:
essa, infatti, individua soluzioni concrete al problema dell’informazione dei
cittadini in materia ambientale e, se la sua rilevanza è stata contenuta, ciò si
deve esclusivamente ai limiti imposti dalla legislazione allora vigente. In
particolare, è l’art. 14 che contiene le disposizioni di maggiore interesse. Esso
prevede, a carico degli uffici amministrativi che detengono materiale inerente
allo stato dell’ambiente, l’obbligo di porre in essere tutte le attività idonee ad
assicurare la più ampia divulgazione delle informazioni, anche provenienti da
organi tecnici; è da notare che la prescrizione prevede l’estensione del regime
di pubblicità a tutte le fasi procedimentali che precedono l’emanazione degli
atti di fonte governativa o amministrativa
2
. Soprattutto però all’art. 14 il
legislatore ha voluto riconoscere ad ogni cittadino un diritto di accesso alle
informazioni sullo stato dell’ambiente, di cui ha dettato una disciplina
abbastanza completa, benché poi il suo esercizio sia stato costretto entro i
limiti della legislazione vigente
3
.
1
SELLERI, Profili operativi del diritto di accesso, in Foro Amm., 1987, I, 2358-2359. In
realtà non tutta la dottrina è concorde nella valutazione positiva delle norme della L.
816/85 in tema di diritto d’accesso. Alcuni (G. VIRGA, Il diritto di accesso dei cittadini
agli atti della pubblica amministrazione e la sua tutela giurisdizionale, in Foro Amm.,
1989, 661) muovono una critica sotto il profilo della politica legislativa, rilevando come
ancora una volta il problema del diritto d’accesso ai documenti amministrativi sia stato
disciplinato in maniera «episodica e maldestra», con il rischio di ritardare ulteriormente
una regolamentazione più organica.
2
LABRIOLA, Diritto di accesso alle informazioni del cittadino e doveri della pubblica
amministrazione nella legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente, in Scritti in onore di
Massimo Severo Giannini, Milano, 1988, II, 268.
3
Punto 3 dell’art. 14 della L. n. 349/86. L’inciso «in conformità delle leggi vigenti» ha
indotto alcune perplessità in ordine alla rilevanza da attribuire alle novità introdotte dalla
legge: cfr. R. VILLATA, La trasparenza dell’azione amministrativa, cit., 539, secondo il
quale il diritto di accesso anche in materia ambientale sarebbe comunque da esercitare
nell’ambito di un sistema pur sempre improntato alla tendenziale segretezza. Tuttavia
bisogna evidenziare il fatto che i provvedimenti adottati per l’attuazione della legge
349/86 sono andati nella direzione opposta, riflettendo l’orientamento, che si stava ormai
affermando, all’abbandono della riservatezza che aveva caratterizzato in passato
l’amministrazione (LABRIOLA, Diritto di accesso alle informazioni, cit., 261 ss.).