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Ogni civiltà storicamente ha sentito il bisogno di concentrare la propria attenzione, più o meno
intensamente a seconda dell’epoca, su alcune tematiche ancora prive di risposta: domande esi-
stenzialiste, che ponevano come oggetto dell’analisi l’uomo e il suo rapporto con il divino e la
natura. Nascevano così uomini che dedicavano l’intera vita alla ricerca di queste risposte. Suc-
cessivamente si svilupparono altre necessità, come stabilire un ordine civile che regolasse la vita
tra uomini della stessa società, o impostare dei canoni estetici che rappresentassero pienamente
l’idea di Bellezza e Verità.
In Europa ad esempio, molte erano le figure di studiosi considerati saggi. Nella Grecia antica,
gli uomini inclini allo studio del logos
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, grazie alla loro ampia conoscenza, erano incaricati di
divenire precettori di giovani, ed era loro primario compito istruire quest’ultimi nei diversi cam-
pi culturali. Non solo, spesso venivano interpellati dai vertici politici come consiglieri ufficiali.
Secondo la tradizione cristiana invece, i monaci, dedicando la propria vita allo studio di sacre
scritture e testi antichi, avevano il compito di diffondere queste conoscenze e condurre i fedeli
verso la purificazione della propria anima. In Giudea infine il rabbì, (lett. “mio maestro”) era
colui che aveva il compito di trasmettere la conoscenza, di studiare e interpretare le scritture
antiche.
Quindi, in ogni civiltà, uomini di lettere, d’arte e dottrina venivano individuati come maestri,
precettori, affinché potessero diffondere la propria conoscenza a tutti gli individui che lo desi-
derassero.
In Asia, invece, non si possono suddividere in categorie precise le proprie competenze cognitive.
In altre parole, ogni corrente di pensiero influenza e viene influenzata dalle altre: l’arte trova
ispirazione e al contempo si relaziona al pensiero etico-civile e religioso, a principi estetici che
formano e regolano la vita quotidiana. Maestro spirituale quindi significa anche maestro di vita,
di conoscenza di sé.
Come si avrà modo di vedere nel primo capitolo, verranno analizzate due figure asiatiche di
maestri che riassumono le caratteristiche del saggio in Giappone: il guru in India e il saggio
confuciano in Cina.
Il compito principale del guru, secondo la cultura indiana, è di aiutare i giovani a sviluppare un
1. Con il termine logos, in Grecia si intende sia le leggi universali che regolano l’ordine del cosmo, come la ragione, la conoscenza
umana stessa.
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sentimento religioso e spirituale, ma anche di formarli a livello individuale e caratteriale.
Ciò che accomuna principalmente il guru con il maestro in Giappone è proprio il fatto che
entrambi, attraverso l’insegnamento della disciplina conosciuta, devono saper plasmare anche il
carattere del proprio allievo. Innanzitutto perché in entrambe le culture è forte la convinzione
che, per far entrare dentro di sé la conoscenza, sia indispensabile aprire la propria mente, sgom-
brarla da ogni considerazione o pregiudizio personale e saper accettare insegnamenti, critiche,
ordini da chi ha già raggiunto un certo livello di conoscenza.
Ma in particolar modo, bisogna che negli allievi sia forte il senso di umiltà: riconoscere la pro-
pria ignoranza, ed essere pronti ad ogni sacrificio che viene chiesto loro di compiere. Il proprio
ego deve essere cancellato completamente.
Questo atteggiamento è fortemente ripreso nella tradizione artistica giapponese. I giovani al-
lievi devono innanzitutto saper annullare le proprie esigenze e i pareri personali, per ubbidire al
proprio maestro senza esitazione. Su questo principio, ad esempio, per secoli, si è basato il meto-
do di trasmissione di conoscenza all’interno della scuola Kanō. Non solo, anche negli ambienti
teatrali come kyōgen 狂言, nō 能, nihon buyō 日本舞踊 - o comunque in generale nelle scuole
d’arte che hanno sviluppato degli stili unici nel loro genere - per assimilare profondamente le
tecniche d’esecuzione, è fondamentale che l’allievo si annulli di fronte alle regole e alle spiega-
zioni impartite dal maestro.
Come si sosterrà nella seconda parte del primo capitolo, secondo il pensiero confuciano cinese,
la trasmissione di conoscenza diventa addirittura un obbligo morale. La cultura deve fare in
modo di migliorare la vita stessa degli uomini, e rendere questi più rispettosi delle regole civili.
Colui che ha modo di imparare e ricevere un’istruzione, deve essere capace di estendere le pro-
prie conoscenze al prossimo.
La cultura non è un privilegio da tenere nelle mani di pochi, ma un diritto di tutti e una ga-
ranzia di ordine sociale per chi governa. Il saggio erudito permette il perpetuarsi di dottrine e
di norme etiche utili e nobili; fondamenti indispensabili per la creazione di un governo stabile
e per poter identificare con precisione le diverse correnti artistiche, culturali. I maestri sono
uomini virtuosi e loro stessi incarnano il modello al quale l’allievo deve fare riferimento per
l’acquisizione di conoscenza in qualsiasi sfera culturale.
Sia il guru che il saggio confuciano trovano quindi delle affinità con la figura del maestro in
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Giappone perché, per tradizione, nessuno tende alla personalizzazione dell’insegnamento. Di-
ventano unicamente portatori di una conoscenza antica inalterata nel tempo, mantenuta tale
grazie alla ripetizione continua di precisi metodi di insegnamento.
Il maestro, secondo una visione orientale, non è colui che ostenta il suo sapere o le sue parti-
colari doti, nè colui che viene circondato da una fama che celebra il suo nome. Come sostiene
Gusty Herrigel:
In Giappone un filosofo non fa uso di ornamenti esteriori; egli è il più modesto degli uomini, il più distac-
cato dalle cose e da se stesso. La sua vita ha un significato interiore che si riflette in tutto il suo comporta-
mento.
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Se ci si sofferma un attimo a riflettere sull’immagine del saggio orientale che la cultura occi-
dentale ha prodotto, subito si forma il ritratto stereotipato di un essere silenzioso, in contem-
plazione. Certo è un cliché che non si può prendere tout court nel momento in cui ci si addentra
nel mondo dell’arte dell’Estremo Oriente.
Non si può ad ogni modo negare come nell’immaginario collettivo il saggio sia una persona
isolata dal mondo e dalle sue velleità, non curante delle tentazioni dei sensi, ma attento solo a
soddisfare il bisogno di rappresentare i suoi pensieri e il suo credo.
Si pensi alla controparte Occidentale: i maestri sono personaggi illustri, conosciuti per i loro
discorsi, per la loro ars oratoria.
2. Gusty herrigel, Lo Zen e l’arte di disporre i fiori, Milano, Piccola Enciclopedia SE, 1986, p. 47
Fig.1 La scuola di Atene, Raffaello, 1508-1511
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Immaginario reso perfettamente dall’opera di Raffaello “La scuola di Atene”, nella quale sono
ritratti Platone e Aristotele nell’atto di disquisire, confrontarsi, circondati da giovani aspiranti
allievi. Non isolati, fuori da un contesto urbano, ma collocati nel cuore della civiltà dell’epoca:
Atene. Saggio è colui che è istruito, che conosce gli antichi, grazie a studi approfonditi.
Questa rappresentazione è pienamente antitetica a quelle riscontrabili in alcune tele giapponesi.
Si prenda come esempio, la stampa “Li Bai” dalla serie Specchio dei poeti giapponesi e cinesi del
celebre Katsushika Hokusai.
Il poeta cinese, in estasi contemplativa, forma un unicum con la
natura circostante, che lo ammalia e lo cattura, attirandolo a sé;
come se l’autore volesse chiudere quell’abbraccio compositivo
tra il pino, che pende verso il basso, e Li Bai pericolosamente
proteso verso di esso.
È proprio qui che si nota la differenza di interpretazione tra
la cultura orientale e quella occidentale riguardo la figura del
maestro: il saggio de “La scuola di Atene” dà sfoggio di sé e
della propria sapienza; Li Bai invece ha un’unica preoccupa-
zione, ovvero stabilire un contatto con quanto lo circonda e
trarre ispirazione da esso. Un modo d’agire che non ha pretesa
di essere esempio per nessuno, ma vivere come la propria in-
dole consiglia, in stretto contatto con la natura.
Questo è quanto emergerà nel capitolo secondo: l’approccio
dei maestri nei confronti dell’arte, il loro ruolo nell’iniziare
Fig.2 Li Bai, Shiika shashinkyō. Li
Bai. Serie Specchio dei poeti
giapponesi e cinesi. Katsushika
Hokusai, 1833-1834
l’allievo alla disciplina artistica. L’incapacità della parola di comunicare significati precisi, e
quindi il bisogno di affidarsi a messaggi scritti, a simboli che identificano precisi stati d’animo.
Questo è la caratteristica su cui si basa lo shodō ad esempio. I grandi maestri calligrafi, come
Hakuin Eikaku 白隠慧鶴 (1686-1769) o Tōrei Enji 東嶺円慈 (1721-1792), attraverso la loro
essenzialità, riescono a rendersi messaggeri di un’intera corrente di pensiero.
Come si esplicherà nello specifico nel terzo capitolo, il principale metodo di trasmissione di
conoscenza si fonda sulla copiatura precisa di un modello fornito dall’insegnante. La capacità
dell’allievo di saper osservare e riprodurre fedelmente l’esempio originale è il requisito unico
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per poter progredire lungo il percorso di perfezionamento della tecnica esecutiva. Annullare il
proprio ego per seguire umilmente le tracce segnate appositamente per lui, per arrivare a com-
prendere che quanto proferito dal maestro è l’unica verità.
La remissività quindi è la condizione sine qua non per poter aprire la mente all’arte e imparare
realmente. Se non si educa il comportamento e il carattere personali, è impossibile riuscire a
inoltrarsi nella rigorosa pratica artistica.
L’allievo deve sempre cogliere i suggerimenti forniti dal proprio maestro e da coloro che hanno
preceduto quest’ultimo: egli non deve mai smettere di ricercare nuovi modelli di riferimento in
un processo di conoscenza e miglioramento che nelle arti tradizionali giapponesi non ha mai
fine. Un processo che non stringe relazioni solo con le tecniche e i metodi d’esecuzione, ma
anche con l’approccio alla disciplina e con i valori insiti nel fare arte.
In Giappone esistono dei gruppi famigliari molto antichi che si fanno portatori di tali cono-
scenze e tradizioni: gli iemoto. Mantenendo una gerarchia stabile e fondata sulla ereditarietà
della carica, essi trovano la loro ragione d’essere proprio nel tramandarsi segretamente le tec-
niche esclusive delle discipline artistiche. Coloro che ne vengono a conoscenza hanno l’obbligo
morale e d’onore di mantenere a loro volta il segreto e di attenersi alle tecniche esecutive apprese.
Alcuni maestri, inoltre, nel timore che il tempo potesse alterare l’originalità della tecnica di
esecuzione, decisero di mettere per iscritto non solo tali metodi pratici, ma anche accorgimenti
particolari, suggerimenti, regole comportamentali per non sminuire il nome, e l’onore, della
famiglia stessa.
Si pensi quindi agli innumerevoli edehon 絵手本 e ai Manga 漫画 scritti e disegnati da Hoku-
sai, o al manuale Gadō Yōketsu 画道要訣 “Segreti chiave per la via della pittura” di Kanō Ya-
sunobu 狩野安信 del 1680, nel quale si spiega con precisione quali debbano essere i metodi di
insegnamento per formare impeccabili pittori di stile Kanō.
Le particolari tecniche per instillare la conoscenza analizzate nel terzo capitolo sono dimostra-
zione di questo atteggiamento severo nei confronti della trasmissione della tradizione artistica.
Ma in questo processo di passaggio generazionale del sapere, qual è il ruolo dell’allievo?
Egli verrà accolto dal maestro in modo molto graduale: una volta accettato come discepolo, non
inizierà subito a far praticantato, anzi, passerà i primi anni a svolgere le mansioni più umili e
faticose. Apprendere un’arte significa entrare a contatto con una tradizione antica, ed è quindi
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indispensabile formare mente e corpo secondo un iter preciso e severo. Se l’allievo avrà occhi
per vedere e orecchie per sentire, potrà osservare il maestro all’opera e indirettamente iniziare a
comprendere i metodi per creare arte.
In particolare, nello shodō e nella pittura Kanō, riuscire a riprodurre fedelmente delle opere
dei grandi maestri, significa per l’allievo ritrovare nelle proprie opere le emozioni originali, gli
uguali principi che hanno stimolato, in passato, la realizzazione delle stesse. Egli riesce così a
comprendere quali sono i valori del fare arte e, una volta interiorizzati tali stato d’animo, sarà
pronto a sua volta a farsi messaggero di questi, trasmettendoli secondo valori culturalmente
condivisi.
Nel chadō e in alcuni generi teatrali, l’allievo comprenderà che è il corpo ad avere il potere di
comunicare a sua volta precisi ideali di bellezza attraverso le sue movenze, proprio quegli stessi
ideali che in ugual modo caratterizzano le altre discipline artistiche.
Dare tempo al tempo, non avere fretta di migliorarsi, ma acquisire familiarità con gesti e mo-
vimenti, e poi comprenderne i significati di fondo. Arrivare infine a riproporre il tutto alla per-
fezione, per poter liberare la mente da ogni gesto razionale e consapevole, ed entrare così nella
vera essenza dell’arte, “Spogliandosi intenzionalmente di ogni intenzione”.
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Questi i pensieri cardini del fare arte in Giappone.
3. Eugen herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco, Milano, Piccola Biblioteca Adelphi, 1979, p. 51
Capitolo 1
Ideali asiatici come punto di partenza per la costruzione del concetto di maestro
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Introduzione
Prima di inoltrarsi nell’analisi della figura del maestro in Giappone e del ruolo che egli riveste
all’interno dell’organizzazione sociale, ma non solo, è fondamentale soffermarsi a considerare lo
sviluppo del concetto di saggio o erudito nell’ambito della tradizione più antica.
Il Giappone ha avuto la sempre viva caratteristica di saper individuare e adottare elementi a sé
congeniali dalle tradizioni di altri popoli, applicando alcune varianti, per rispondere meglio ai
bisogni di una sensibilità autoctona.
Riverberi di cambiamenti e novità sviluppati nel continente inevitabilmente giunsero sulle co-
ste del Giappone. Qui trovarono un terreno fertile per svilupparsi ed inserirsi pienamente nel
nuovo contesto. Basti pensate alle tradizioni religiose-filosofiche, alle forme d’arte tradizionali,
alla scrittura stessa. Giunte in Giappone già con un’identità forte, ben sviluppata e con un
ampio bagaglio culturale, sono riuscite comunque a soddisfare le necessità e le esigenze della
popolazione, pur mantenendo la loro autonomia. Processo che si ripresentò in epoca moderna
con l’apertura delle proprie frontiere al termine dell’epoca Tokugawa 徳川 (1868ca), momento
storico in cui si registrò un aumento sorprendente di conoscenze di ogni campo introdotte nel
paese. Tutto a causa di un desiderio molto forte di rinnovamento, finalizzato a eliminare l’anti-
quata etichetta di nazione arretrata, applicata un tempo dai paesi occidentali.
Questo per sottolineare che attingere alle fonti delle tradizioni e dei pensieri altrui sia quasi
un atto istintivo per il Giappone, necessario per creare a propria volta una tradizione in buona
parte originale.
Scopo di questa sezione sarà riprendere determinate correnti di pensiero di India e Cina e, esa-
minandole, capire quanto e come abbiano avuto eco in Giappone.
Dalla cultura indiana, infatti, si adottò un’indole metafisica, mentre dal mondo cinese venne
copiato un atteggiamento nettamente pragmatico. Sebbene l’apparente contraddizione, è diffi-
cile per la cultura asiatica riuscire a scindere i concetti tra astratti e concreti. Ad esempio idee
come vuoto (s. śūnyatā), essenza (s. tathatā) o limite della realtà (s. bhūtakoti), non sono concetti
esclusivamente astratti, ma carichi di una valenza vitale, reale che danno spessore concreto alle
azioni compiute.
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1. Daisetz T . suzuki, Zen and Japanese Culture, Bollingen Series LXIV, Princeton, Princeton UP , 1959, cap. 11 “Love of Nature” , p. 347
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Situazioni reali, dirette, in quanto pilastri della condizione umana vera. Secondo la cultura
asiatica, l’uomo è costantemente calato in una situazione di realtà, dalla quale è impossibile tra-
scendere. Essa diventa quindi comprensibile per il pensiero umano, solo se quest’ultimo diventa
in grado di ricreare una condizione di sintonia con la natura.
They [the Japanese] strove to melt them [Indian and Chinese thought] into the humdrum of their worka-
day life, thereby transforming this into something enjoyable on a higher artistic plane. […] It seems to me
that the Japanese are great in changing philosophy into art, abstract reasoning into life, transcendentalism
into empirical immanentism.
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Per questo motivo si noterà come verranno presi in esame solo pensieri specifici e attinenti
a completare il quadro generale del lavoro in atto. L’attenzione deve focalizzarsi sul ruolo di
fondamentale importanza del saggio come guida non solo spirituale o artistica, ma anche di
conoscenza di vita.
Il rapporto maestro-allievo fa parte dei legami fondamentali della vita e investe perciò il maestro di una
grande responsabilità, che va molto al di là dei limiti della sua materia.
3
2. Ibidem, p. 347
3. Eugene herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco, Milano, Piccola Biblioteca Adelphi, 1989, p. 58