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masta sostanzialmente ferma agli anni Sessanta di questo secolo;
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e
contribuire, più in generale, alla illustrazione di un fenomeno regiona-
le particolarmente significativo nell’ambito pedagogico.
Il valore educativo può essere rintracciato nella storia della lettera-
tura della Sardegna
2
in generale e nella produzione poetica in partico-
lare.
Come si è potuto rilevare nell’ambito degli studi della poesia
popolare e della storia della poesia sarda, quella improvvisata si
conferma la più interessante e tra le più seguite nelle manifestazioni
culturali isolane: in tutte le latitudini, nei vari idiomi, emerge come un
comune sentire la passione poetica che affonda le sue radici nelle
viscere più profonde della Sardegna.
Salvatore Tola così riporta nella sua opera La poesia dei poveri,
l’affermazione di Paolo Pillonca, uno dei maggiori cultori viventi del-
la poesia estemporanea sarda, “in nessuna parte del mondo, la poesia orale
estemporanea ha avuto l’evoluzione complessa e morfologicamente notevole ca-
1. A.M.Cirese, Poesia sarda e poesia popolare nella storia degli studi, Ed. 3T,
Cagliari, 1977, p.150.
2. F.Alziator, Storia della letteratura di Sardegna, Ed. 3T, Cagliari, 1982,
pp.333-352; pp.452-519.
3
ratteristica della sua facies sarda.”.
3
Non si può comparare tale fenomeno
con ciò che si verifica nel Lazio e nella Maremma toscana, in cui i
poeti svolgono temi affini a quelli trattati nell’Isola, ma sovente le lo-
ro ottave improvvisate esprimono vicende narrate nei poemi classici e
cavallereschi, ripetendo versi o parti di essi con la finalità di farli ac-
quisire nella memoria del’ascoltatore. Del tutto diversa è
l’improvvisazione sarda, in quanto non soltanto vi è una continua va-
rietà di argomenti, temi a sorpresa e di struttura poetica imposta dai
comitati che organizzano le gare, ma anche la necessità che i poeti
hanno di interessare il pubblico e di contrastare la tesi
dell’antagonista, in virtù del clima teatrale che si determina nello
svolgersi dell’agone poetico. Non si possono fare, dunque, paragoni
con altri contesti culturali, anche perché diversi sono i poeti, la musi-
calità, le forme e la sostanza della poesia, diversi il popolo, le sue vir-
tù e l’ascoltatore, perciò come si è espresso Paolo Pillonca, “ogni popo-
lo merita di essere posto in distinta considerazione e certe parentele che alla prima
occhiata ci sembrano di poterle assomigliare, sono parentele mezzo truffaldine”.
4
I poeti improvvisatori sardi si distinguono per quella peculiarità che è
3. S.Tola, La poesia dei poveri, La letteratura in Lingua Sarda, AMD Edizioni,
Cagliari, 1997, p.55.
4
loro propria: il senso dell’identità, anzi l’autoidentificazione, l’intima
coscienza di appartenenza ad una terra, una storia, una stirpe che pro-
viene ai Sardi dall’uso dei loro idiomi locali.
L’aspetto più evidente e particolare dei poeti sardi, è la frequentis-
sima trasmissione poetica da generazione in generazione. Essa si ma-
nifesta per prima nell’ambito familiare, ottenendo una certa attitudine
a improvvisare così come improvvisavano i loro genitori, e
quell’abilità poetica si acquisisce con sicuri esercizi di rima, di metro
e di senso poetico fin dalla tenera età. Il genitore, per gioco e per spi-
rito poetico, stimola il figlio a cantare, ossia a provare la composizio-
ne poetica, prima di un verso, poi di un distico fino alle strofe che nel
Nord della Sardegna (Logudoro) si identifica nella ottava, struttura
poetica prevalente, mentre nel Sud (Campidano) prevale il mottetto.
5
Nel nucleo familiare è conservata l’importanza che riveste
l’insegnamento ad educare la memoria e ad apprezzare i ricordi di un
passato poetico; si valuta la conservazione del rammentare degli avi
per trasmettere ai figli metodi e paradigmi di autoidentificazione nella
propria storia e origini, utili alla formazione e alla futura adultità, per-
4. P.Pillonca, Chent’Annos, cantadores a lughe ‘e luna, Ed. Soter, Villanova
Monteleone, Sassari, 1996, p.10.
5
ché attraverso la memoria si conserva in mente il passato, il presente e
anche il futuro, in quanto le storie raccontate e vissute da altri, siano
di personaggi celebri o sconosciuti, rappresentano una grande riserva
educativa di cui poco si perderà.
6
Questa strategia pedagogica non so-
lo è valsa all’educazione del bambino, ma ha trasmesso al bambino
diventato adulto il valore della conservazione delle tradizioni perso-
nali, familiari, locali e l’importanza della memoria a cui farà sempre
riferimento nel corso dell’esistenza per educarsi autobiograficamente
ed educare gli altri adulti.
7
Il genitore-poeta (uomo o donna) nel momento poetico educativo,
esprime emozioni, ricordi, immagini di sé e degli altri connessi a mo-
menti amorosi, luttuosi, professionali e ludici. In questo contesto pe-
dagogico e didattico, il poeta, percorrendo i suoi vissuti e attingendo
alla sua memoria, non solo fa azione educativa per l’infanzia e
dall’infanzia, ma educa anche se stesso, osservando nelle varie fasi
della sua esistenza e degli altri, i momenti cruciali del cambiamento,
constatando quello che era e quel che è diventato.
5. V. Angius, Su gli improvvisatori sardi, in “Biblioteca Sarda”, 1838-39,
p.191.
6. D. Demetrio, Pedagogia della memoria, per se stessi con gli altri, Ed. Mel-
temi srl, Roma, 1998, pp.40-42.
6
Vittorio Angius (1797-1862), noto compilatore delle voci sarde del
Dizionario del Casalis e studioso del popolo e dei luoghi sardi, osser-
vava una grande capacità dei Sardi nella improvvisazione poetica ed
una particolare abilità del poeta-genitore di trasmettere questa versati-
lità da padre in figlio.
8
L’amore del poeta-improvvisatore sardo si manifestava nel pre-
starsi al canto in modo gratuito (ora non più), considerando offesa per
la sua musa l’esser pagato. Egli cantava, ora per dar sfogo ai propri
affetti per la speranza della gioia che infondeva, ora per aderire ad un
desiderio di un amico e talora per obbedire ad una persona autorevole
o per onorare un ospite o anche per dimostrare il proprio valore poeti-
co. Per quanto i poeti sardi si possano lodare per le capacità sublimi
di improvvisazione poetica, oggi si può constatare che non viene più
onorata la dignità di tanta virtù spirituale, non esistendo quel disinte-
resse, quella gratuità di un tempo.
La stessa Passione non è limitata al sesso maschile (anche se la let-
teratura ha lasciato pochissimi esempi), in realtà, se non al pari
7. L.Formenti, I.Gamelli, Quella volta che ho imparato, Ed. Raffaello Cortina,
Milano, 1998, pp.29-38.
8. V.Angius, serie di articoli, Su gli improvvisatori sardi, in Biblioteca Sarda,
n°3, 1838, pp.115-120; n°4, 1839, pp.152-160; n°5, 1839, pp.191-200; n°8, 1839,
pp.311-320.
7
dell’uomo, la donna improvvisatrice esiste in modo diffuso nell’Isola
anche se le loro apparizioni non avvengono nella “piazza principale”,
esse spesso si esibiscono in liete e tristi circostanze della vita civile e
familiare: in occasione di nascite improvvisando ninnananna, parteci-
pando alle cerimonie nuziali a vere e proprie gare poetiche, distin-
guendosi spesso per le loro capacità di improvvisazione, di contenuto
poetico e di gentilezza di modi, talvolta superando l’uomo nella sua
forza espressiva, infiammando nella tenzone altri nell’emulazione. La
donna si distingue particolarmente come prefica non pagata per canta-
re in onore del defunto: la troviamo col suo canto non solo nelle case,
nelle occasioni liete o tristi, ma anche nelle campagne, nelle messi,
nelle vendemmie, nelle valli più silvestri ad allietare le giornate con-
tadine e a sfidare con gioia l’uomo a “singolar tenzone”.
Nella storia poetica sarda non si può non rilevare il gioco/sfida
come un altro aspetto che differenzia la poetessa dal poeta: alla genti-
lezza, bravura e modestia della donna nelle diverse manifestazioni
poetiche, non si può comparare l’atteggiamento dell’uomo-poeta, in
quanto, nelle medesime circostanze qui accennate, egli si comporta in
gara con forte piglio agonistico e, a volte, col suo spirito guerriero di
8
abbattere l’avversario col suo canto ironico e sarcastico nei confronti
del suo omologo.
Un altro aspetto che si vorrebbe mettere in rilievo sugli improvvi-
satori sardi, è la concezione popolare di come valutare il lavoro poeti-
co. Sulla base di questo concetto, il poeta era ed è ancora cosciente
che il giudizio popolare gli renderà giustizia, lodi e meriti solo se egli
sarà capace di prevalere poeticamente, nel produrre le strofe del can-
to, nel contenuto fantastico ed immaginativo sempre nuovo con temi
non comuni, nell’abilità a variare il canto in rime e metri diversi. Si
tratta di poeti nel vero senso teatrale in grado di mantenere la cosid-
detta vena poetica sul palco per molte ore, improvvisando ottave di
grande contenuto artistico e un forte vigore agonistico degno dei più
grandi poeti del passato. Essi erano capaci, e lo sono ancora i poeti
legati alla tradizione, di svolgere temi, i più vari, nell’ambito conosci-
tivo: dalle scienze umane e naturali a quelle matematiche, da quelle
pittoriche a quelle musicali. Queste performance che vengono partico-
larmente apprezzate dall’uditorio, danno motivo di vivaci argomenta-
zioni degli appassionati, poiché vi è chi parteggia per un poeta piutto-
sto che per un altro, e così la fama dei protagonisti passa e cresce da
paese in paese, determinando nella gente sarda condizioni ideali per
9
raccontare, dialogare, relazionare con fatti esistenziali, poetici e cultu-
rali; e come un felice connubio si rinnova la passione e nascono nuovi
poeti.
Nella stessa tradizione e trasmissione si accordano poesia e musi-
ca, perché ogni canto ha le sue origini nell’età infantile, quando il
bambino apprende il suono della parola, diventando musicalità inde-
lebile nella sua memoria e, al tempo stesso, lingua e armonia. Il bam-
bino viene accolto col canto materno per augurargli un grande destino
e anche per fargli sentire espressioni gentili e amorose come volerlo
difendere dalle parole e dagli sguardi che non siano quelli dell’affetto.
Nel trascorrere della vita, il bambino-poeta esprime il canto che si
manifesta come esaltazione di gioia, malinconia, ironia, tristezza. Le
parole sono divenute versi disposti nella struttura tradizionale della
quartina e acquistano il rinforzo del ritmo e della rima.
In Sardegna il più arcaico e originale canto è il canto “a Tenore”
che meglio rappresenta l’identità musicale sarda. Questo canto, mito
dell’Isola tutta, resta pur sempre subordinato alla poesia estemporane-
a, non avendo un suo spazio autonomo, ossia rimane un accompagna-
tore musicale. Intorno a questo mito, Andrea Deplano ha scritto un in-
10
tero libro.
9
L’esperienza del canto come ascolto, come voce di forti
sentimenti ed immaginazioni, fa parte di una formazione musicale
tradizionale che non è scomparsa neppure nell’era post-industriale in
cui viviamo. Così, l’analisi del Tenore si estende fino a comprendere
poesia e tradizioni popolari, lingua e stile, tecnica del canto e comuni-
cazione sociale.
Nella tradizione isolana è ancora viva nella popolazione la passio-
ne per la musica e la danza locali. La musica sarda è quella che ha
conservato, fino ai tempi nostri, i caratteri arcaici tra cui il misterioso
suono della launeddas, strumento a tre o due canne di diversa lun-
ghezza (tumbu, a tono basso; mancosa, canna di sinistra; destrina,
canna piccola a destra) usato particolarmente nella danza: il ballo
tondo.
10
Con l’avvento della scrittura, si è ristrutturato il pensiero umano,
11
per cui il passaggio dall’oralità alla scrittura non è avvenuto
d’improvviso e con le stesse modalità ovunque nel mondo, ma si è po-
9. A. Deplano, Tenores, Ed. AM&D, Cagliari, 1994, pp.45-49.
10. A.Vargiu, Aspetti della cultura sarda-campidanese, Ed. Arnaldo Forni, Sa-
la Bolognese, 1974, pp.15-16.
11. W. J. Ong, Oralità e scrittura, le tecnologie della parola, Ed. Il Mulino,
Bologna, 1986, p.119.
11
tuto realizzare nelle diverse aree geografiche secondo le differenti
condizioni ambientali, sociali, culturali.
In Sardegna la penetrazione della scrittura è avvenuta in situazioni
anomale, poiché esisteva una duplicità territoriale in cui una fascia
costiera era aperta alla diffusione della civiltà e quindi
all’accettazione di scambi, mentre all’interno dell’Isola le popolazioni
indigene respingevano ogni contatto con lo straniero.
Per trovare i primi segni di contatto con la scrittura, si è dovuto at-
tendere il periodo dei Giudicati (VI secolo d.C.), durante il quale fu-
rono compilati registri e documenti legislativi.
Ad eccezione di quel periodo in cui prevalse una scrittura del sardo
volgare, la lingua locale, in seguito alla dominazione aragonese-
spagnola, fu esclusa dall’uso ufficiale e letterario, perciò non venne
più utilizzata nella scrittura per secoli, rimanendo sostanzialmente una
lingua orale contrapposta a quella scritta del dominatore.
12
L’interesse per la lingua e la letteratura locale ebbe una grande cre-
scita nell’Ottocento per quell’aspetto duplice di desiderio di integra-
zione e di ricerca di maggiore autonomia e per la convinzione che
12 . M. Pira, La rivolta dell’oggetto, antropologia della Sardegna, Ed.Giuffrè,
Milano, 1978, p.148.
12
fosse attuabile il costituirsi nella nazione italiana di una nazione sar-
da.
Con la sensibilità e la valorizzazione che gli studiosi religiosi e
laici svilupparono e diffusero sin dal XVI secolo, seguì nel corso dei
secoli XIX e XX una particolare attenzione per la lingua sarda e le
varie forme scritte, che corrispose da una parte alla fase di alfabetiz-
zazione delle masse popolari, e dall’altra all’utilizzazione della lingua
da parte degli autori colti nelle loro opere letterarie.
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Da un’analisi attenta di ciò che si muove verso la riconferma
dell’identità, della valorizzazione della lingua e della cultura sarda, si
può trovare ancora una volta l’esigenza di continuità nella poesia co-
me forma di apprendimento e cambiamento e nei poeti lo strumento
per raggiungere tale finalità.
A partire dalla seconda metà del Novecento, gli appassionati e stu-
diosi di letteratura e poesia sarda hanno sentito il bisogno di riprende-
re una nuova stagione di attività poetica, non solo raccogliendo il la-
voro degli estemporanei, ma anche accogliendo la crescente opera de-
gli autori cosiddetti “a tavolino” e istituendo diversi concorsi di poe-
sia e letteratura sarda. Tali concorsi proposero nuove forme espressi-
13. S.Tola, La poesia dei poveri, Ed. AM&D, Cagliari, 1997, p.97-99.
13
ve: la poesia in lingua italiana, in catalano e in altre varianti linguisti-
che isolane, privilegiando il verso sciolto, le attenzioni alla storia, alla
cronaca, alla trasformazione della società sarda, operando lavoro di
affinamento per ottenere il meglio nella forma, ma senza abbandonare
completamente la tradizione. Nel corso di pochi anni, grazie
all’impulso dato dagli innovatori dei premi letterari e alla capacità di
rinnovamento che si manifestò negli autori, si fece strada un filone o-
riginale che lasciava presagire una nuova fioritura della poesia scritta
sarda svincolata da quella orale. Nello stesso periodo, la poesia orale
non fu scavalcata da quella scritta, bensì rimase sempre viva, poiché
gli stessi concorsi che furono i maggiori sostenitori della innovazione,
aprirono sezioni per opere concepite secondo i canoni tradizionali.
L’innovazione della poesia scritta e il mantenimento della tradizione,
migliorandone l’espressione orale, sembra il miglior risultato possibi-
le per la poesia sarda, perché è andata costituendosi una nuova conce-
zione secondo la quale la poesia diventa ancora protagonista della
cultura sarda per indicare il modo di riottenere quella stabilità tra pas-
sato e presente e, in particolare, tra l’esigenza di integrazione col
mondo esterno e la salvaguardia della propria identità. La conferma di
questa nuova fusione di tradizione e innovazione è data non solo dai
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premi di poesia (“Ozieri”, “Francesco Alziator”, “Premio letterario
Campidano”, “Premio letterario G. Dessì”, “Concorso internazionale
di poesia e prosa sarda” ed altri), ma anche dalle varie riviste di poe-
sia come S’Ischiglia, il Messaggero Sardo, mensile regionale per gli
emigrati, con la rubrica Parlando in poesia curata da Salvatore Tola.
Tutte queste iniziative culturali e mezzi di comunicazione di massa
contribuiscono in modo permanente a mantenere il legame tra culture
diverse e l’attaccamento alla propria terra d’origine. In particolare il
Messaggero Sardo è lo strumento attraverso il quale l’emigrato trova
lo spazio, nei circoli culturali sardi esistenti a centinaia nel mondo,
per restare radicato nella propria identità culturale mediante la corri-
spondenza non solo poetica che permette il collegamento tra corre-
gionali e questi con la madrepatria, mantenendo quella continuità cul-
turale-educativa che si riferisce ad aspetti di vita ed attività antropo-
logicamente connesse con la soggettività delle comunità sarde in Ita-
lia e all’estero attinenti allo sviluppo e alla vivacità delle espressioni
culturali tradizionali emergenti della Sardegna.
L’aspetto educativo si manifesta attraverso la pratica poetica che
coinvolge la massa popolare dal Nord al Sud dell’Isola; soprattutto la
corrispondenza poetica tra padre e figlio/a e amici-poeti, si potrebbe
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definire come una metafora di vita, perché il poeta constata, mediante
la relazione col mondo, la propria origine e i motivi della sua esisten-
za.
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La poesia si porrebbe come luogo di incontro e terreno di intesa tra
il popolo sardo ed altri popoli, in quanto manifesta una forte volontà
di raccontare, col proprio linguaggio, di sé, della propria origine miti-
ca, della propria evoluzione e di trasmettere modi di pensare e valori
dell’individuo e della società, contribuendo ad educare coloro che la
scrivono o che la leggono, perché nella poesia possono identificarsi,
rivivendone la cultura. La poesia vuole essere anche espressione di
un’apertura all’apprendimento e alla conoscenza di nuovi e più ampi
orizzonti di vita come speranza di cambiamento basata sulla volontà
dell’uomo-adulto di rinnovare la propria sfera vitale, spirituale, mate-
riale, costruendo per se stesso con gli altri, spazi di libertà e di
benessere.
14 . P. Ricoeur, La Metafora viva, Direzione editoriale Jaca Book, Milano,
1981, p.325.