1
1 DEL CONTRATTO DI ACQUISIZIONE IN GENERALE
1.1 La natura del contratto di acquisizione
Nelle s.p.a. chiuse il trasferimento di azioni viene realizzato attraverso la
contrattazione individuale, adoperando il cd. “contratto di acquisizione”. Questo contratto
si è diffuso proprio per la mancanza di una regolamentazione legislativa del fenomeno
della circolazione delle azioni, che ha lasciato ampio spazio alla contrattazione privata.
Al contrario, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 2325
bis c.c.) abbiamo una disciplina speciale delle offerte pubbliche di acquisto (artt. 102 ss.
tuf), che risponde a esigenze di trasparenza e correttezza, in cui abbiamo un offerente che
si dice disponibile ad acquistare un certo numero di azioni a un prezzo fisso. Non essendo
oggetto della tesi, ci limitiamo a dire che gli azionisti possono decidere di accettare o
rifiutare l’offerta. Non c’è quindi una contrattazione delle parti, ma una proposta
unilaterale
1
.
Questo tipo di contratto, chiamato nel mondo giuridico anglosassone Sale and
Purchase Agreement (SP A)
2
, è uno strumento nato dalla prassi nelle società anglo-
americane. Nonostante la sua origine straniera a partire dalla prassi e l’uso della lingua
inglese per la sua redazione (soprattutto laddove questa sia indispensabile, come nel caso
di contrattazione internazionale), questo strumento è stato accolto nel nostro ordinamento,
anche grazie all’azione degli arbitri e dei nostri giuristi. La sua diffusione va di pari passo
con il moltiplicarsi, verso la fine degli anni Ottanta, di operazioni di Mergers and
Aquisitions funzionali ad ampliamenti dell’attività d’impresa. Esso è propriamente un
1
Sarebbe, inoltre, difficile pensare di utilizzare il contratto di acquisizione nel caso di società
quotate quando si voglia acquistare il controllo o, comunque, una quota rilevante. Le società quotate hanno
un azionariato diffuso e le operazioni di cessione di azioni sono molto rapide e hanno una certa frequenza.
Questo non è pensabile nel contratto di acquisizione, che viene concluso dopo una lunga trattativa e che
solitamente prevede una distinzione tra il momento della conclusione del contratto e quello del
trasferimento formale delle azioni.
2
G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2011.
2
contratto alieno
3
, che trova la sua disciplina generale nelle norme sulla compravendita,
sebbene le parti tendano ad essere esaustive nel predisporre il contratto
4
.
La denominazione inglese SP A sembra chiaramente esprimere la sua natura,
ovvero quella di un accordo (quindi un contratto) con il quale si “acquista” e si “vende”
(a seconda della prospettiva che si adoperi) qualcosa, quindi propriamente un contratto di
compravendita (art. 1470 c.c.)
5
avente un oggetto particolare, le partecipazioni sociali.
Per la verità, ci sono autori che ritengono che le particolarità di questo contratto non
permettano di identificarlo completamente nel tipo della vendita, essendo invece solo
“assimilato” a questa
6
. L’elemento che ci suggerisce che non si tratti di una mera vendita,
come quella contenuta nel Codice civile, è l’oggetto (oltre, ovviamente, alla particolare
struttura di formazione del contratto, di cui parleremo avanti). Questo elemento, ovvero
l’oggetto, merita di essere approfondito.
Le azioni sono definite come “beni di secondo grado” da Ascarelli per la prima
volta. Egli ha scritto, infatti, che «le azioni sono alla fine rappresentative di diritti relativi
a beni che pur sempre economicamente appartengono, attraverso la collettività di cui è
3
G. DE NOVA, Dal tipo contrattuale al contratto alieno: i contratti di impresa, in AA.VV. I
contratti per l’impresa, il Mulino, Bologna 2012, p. 24, definisce il contratto alieno come un contratto
«scritto sulla base di un modello diverso dal diritto italiano […] ma che indica come legge applicabile il
diritto italiano». Si veda anche la monografia G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit.
4
C. CONFORTINI, Il governo dei rischi nella vendita di partecipazioni, Milano, 2020, p. 4,
sottolinea come i modelli contrattuali alieni seguono uno schema di contrattazione di common law diverso
a quello cui siamo abituati, dove il contratto ha un contenuto analitico ed esaustivo e non è destinato a
essere completato da norme generali e supplettive. Dobbiamo però anche prendere in considerazione la
possibilità che le parti non siano state così esaustive nel disciplinare i loro rapporti e le conseguenze che
potrebbero incidere sul contratto. È per questo che alcuni autori hanno tentato di ricostruire una disciplina
supplettiva applicabile quando le parti non abbiano provveduto nel contratto. Ricordiamo l’esempio, di
autori come M. SPERANZIN, Compravendita “non convenzionalmente garantita” di partecipazioni sociali
di “controllo”, in Giur. comm., 2019, I, p. 468; M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione di “controllo”
e garanzie contrattuali, Milano, 2006; A. TINA, L’esonero da responsabilità degli amministratori di s.p.a.,
Milano, 2008, p. 163 ss.
5
Cfr. V. SANGIOVANNI, Due diligence, trattative e fattispecie di responsabilità civile, in Danno e
responsabilità, 2011, p. 801.
6
G. ALPA, A. SACCOMANI, Procedure negoziali, due diligence e memorandum informativi, in I
contratti, 2007, p. 267, dicono che è solo “assimilato” al contratto di vendita, viste le particolarità di questo
contratto. A conferma di questo, la sua disciplina deve essere ricostruita a partire dalle disposizioni generali
sul contratto, disponibili dalle parti in molti casi. Il contratto non appartiene a una categoria autonoma, non
è tipico, ma la sua disciplina dipende dalle circostanze concrete. V. anche C. CONFORTINI, Il governo dei
rischi, cit., p. 49, per il quale il contratto potrebbe essere come «un (sotto)tipo di vendita o come una
variante atipica di vendita». Mette quindi in discussione che possa ancora essere considerato vendita quando
abbiamo il differimento del trasferimento della proprietà a un momento successivo alla conclusione del
contratto.
3
parte, al titolare delle azioni stesse»
7
. È importante non lasciarsi fuorviare dal verbo
appartenere. I beni sociali e i diritti che fanno parte del patrimonio sociale non sono di
proprietà degli azionisti. Il patrimonio sociale è, per legge, sottratto al controllo diretto
dei soci ed è di proprietà esclusiva della società. Ogni atto di disposizione del patrimonio
sociale è un atto di gestione e, come tale, nelle s.p.a. è di competenza esclusiva
dell’organo amministrativo (art. 2380 bis). Non è possibile per i singoli soci superare
questo ostacolo e disporne direttamente. Le azioni vengono emesse a seguito di un
conferimento e rappresentano una percentuale del patrimonio sociale. In questo senso
diciamo che le azioni sono un bene dinamico, rappresentano una frazione della società, e
il loro valore dipende da quello sottostante del patrimonio sociale stesso (che varia).
Questo non significa, tuttavia, che l’azionista abbia la titolarità di quella quota di
patrimonio. Le azioni conferiscono al loro titolare dei diritti e degli obblighi, ma non
contengono anche un diritto di proprietà sul patrimonio sociale. Se è vero che gli azionisti
non possono esercitare alcuna pretesa sui beni sociali, è altrettanto vero che, attraverso
l’esercizio dei diritti e delle prerogative conferite dalla titolarità delle azioni, possono
influenzare la vita societaria con una forza proporzionale al loro peso nell’assemblea degli
azionisti. Le decisioni che vengono prese in assemblea possono avere un impatto minore
o maggiore sulla società a seconda se l’assemblea sia ordinaria (art. 2364 c.c.) o
straordinaria (art. 2365 c.c.) e possono andare a incidere sul patrimonio sociale. Una delle
competenze dell’assemblea dei soci, nel sistema di riferimento ovvero quello tradizionale,
è la nomina degli amministratori di società (art. 2383 c.c.). Un socio che ha il controllo
in assemblea (art. 2359 c.c., I comma c.c.) può esercitare la maggioranza dei voti e
nominare amministratori di sua fiducia, che verosimilmente condurranno una gestione
allineata con i suoi interessi. Riusciamo, così, a vedere il nesso che c’è tra l’esercizio dei
diritti che costituiscono lo status socii e la gestione della società e, di conseguenza, le
vicende che riguardano il patrimonio sociale.
Per comprendere, quindi, cosa intendesse Ascarelli si deve sottolineare che questa
“appartenenza” è solo “economica”, come esprime l’autore stesso. È importante una
distinzione preliminare: da una parte consideriamo il mondo giuridico-formale, dall’altra
quello economico-sostanziale. Abbiamo visto come «sul versante giuridico-formale […]
7
V. ASCARELLI, Riflessioni in tema di titoli azionari e società tra società, in Saggi di diritto
commerciale, Milano, 1995, p. 219.
4
sia impropria la qualifica delle azioni come beni di secondo grado»
8
. La definizione
mantiene, tuttavia, rilevanza su un piano descrittivo, per far emergere gli interessi
economici dell’azionista: osserviamo, ad esempio, che la titolarità di azioni dà diritto alla
distribuzione di utili (art. 2350 c.c.). Un acquirente ha interesse a ricevere gli utili prodotti
dalla società una volta diventato socio, ma la loro distribuzione non è certa, deve essere
deliberata dall’assemblea, che può anche decidere di non distribuire dividendi, e, prima
di tutto, ci devono essere utili distribuibili. La disponibilità di utili dipende dalla
situazione economica della società, quindi dallo sfruttamento positivo di beni e diritti
sociali. È chiaro che l’acquirente ha interesse a conoscere lo stato patrimoniale, reddituale
della società in modo da comprendere se ci sono ricavi e, quindi, utili da distribuire. C’è
un legame economico tra la titolarità delle azioni e il patrimonio sociale, siccome la
produzione di un surplus distribuibile dipende da come viene gestito il patrimonio, ma il
socio non ha alcuna pretesa sulla gestione stessa, che è, ricordiamolo, di competenza
esclusiva degli amministratori. Nello specifico, l’azionista non ha alcuna tutela anche
quando la gestione non produca utili: il socio si assume il rischio di impresa nei limiti del
conferimento, quindi il rischio che non siano prodotti gli utili sperati. Quindi, tra le azioni
e il patrimonio sociale sottostante c’è un legame fattuale, economico, ma non un legame
giuridico.
Abbiamo in precedenza ricordato che il contratto di acquisizione è un contratto
alieno e che si applica in via supplettiva la disciplina generale della compravendita.
Tuttavia, quando andiamo a analizzare la disciplina della compravendita (artt. 1490 ss.
c.c.), vediamo che gli strumenti a tutela delle parti, principalmente l’acquirente, ruotano
attorno all’oggetto del contratto, mentre nel caso di cessione di azioni ci sono interessi
che ricadono sul patrimonio sociale, estraneo all’oggetto. È però inopportuno, per questo
motivo soltanto, andare ad espandere l’oggetto del contratto o a equiparare le azioni e i
beni sociali (sia andrebbe a confondere il piano del diritto e del fatto). Si concorda ormai
che l’oggetto del contratto di acquisizione siano solo le azioni e non il patrimonio sociale
9
,
8
Cfr. C. D’ALESSANDRO, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, 2003,
Milano, pp. 29, 30. V. anche A. TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano,
2007, p. 174, che conferma che «dal punto di vista giuridico-formale (le azioni) non rappresentano i beni
sociali che costituiscono il patrimonio […] ma solo i diritti e gli obblighi facenti capo a ciascun socio».
9
Merita di aggiungere che si può trasferire la proprietà solo di beni su cui si ha un diritto di
proprietà, quindi un contratto di acquisizione che prevedesse il trasferimento, anche solo pro quota, dei beni
sociali, avrebbe un oggetto impossibile, v. A. TINA, Il contratto, cit., p. 186 e p. 173.
5
ma non possiamo nemmeno dire che quest’ultimo sia indifferente. Anche se i beni sociali
non sono oggetto del contratto, alcuni autori si sono chiesti se non costituiscano delle
qualità proprie delle azioni rilevanti ai sensi degli artt. 1490 ss.
10
. Tuttavia, queste qualità
riguardano il contenuto delle azioni, cioè i diritti e doveri che conferiscono, e non i beni
sociali. Questi ultimi sono necessari, ovviamente, per realizzare lo scopo sociale e
produrre utili, ma eventuali vizi o difformità dei beni sociali non sarebbero in grado di
intaccare le prerogative date dalle azioni, al massimo potrebbero ostacolare lo scopo
sociale stesso, cioè, realizzare e distribuire gli utili. Abbiamo visto sopra che c’è un diritto
a ricevere utili, ma non significa che il legislatore garantisce che in ogni esercizio il socio
riceverà dividendi. Allo stesso modo, il valore delle azioni non è una qualità di queste. Il
loro valore dipende da quello della società, da circostanze esterne al contenuto delle
azioni; in particolare, non dipende solo dal patrimonio sociale, ma da vari fattori, tra cui
anche la valutazione personale che l’acquirente fa della società e delle prospettive future
di questa. Il valore delle azioni è soggettivo, non una qualità oggettiva (l’oggettività della
qualità è richiesta per applicare le tutele ex. artt. 1490 ss.).
Le norme che tutelano l’acquirente in tema di vendita possono risultare utili solo
in relazione a circostanze interne alle azioni; cioè, le azioni devono garantire «il diritto di
partecipare all’organizzazione indicata nel titolo e che l’organizzazione sia esistente nella
sua forma normale»
11
. È importante notare come rilevano, ai fini della individuazione dei
diritti delle azioni le vicende giuridiche della società (scioglimento, liquidazione
giudiziale, modifica del capitale sociale), non le vicende patrimoniali. Anche in queste
ipotesi eccezionali, in cui le vicende giuridiche della società rilevano ai fini della
individuazione dei diritti e dei doveri delle azioni, più che di vizi del contratto, per Tina
si tratta di ipotesi di inadempimento
12
. Se è stato disposto lo scioglimento della società,
per esempio, è difficile pensare di poter esercitare i diritti sociali come avviene nel caso
di una società che opera normalmente. È allora evidente che le azioni non possono essere
usate per lo scopo per cui sono state acquisite, per cui non si tratta di meri vizi di una un
bene corrispondente a quello pattuito, ma di un bene totalmente diverso. Si tratta di aliud
pro alio, un’ipotesi di inadempimento. Sono però ipotesi eccezionali e rare, quello che
10
V. A. TINA, Il contratto, cit., p. 205 s. che spiega in modo più analitico perché questo non è
possibile.
11
A. TINA, Il contratto, cit., p. 219.
12
A. TINA, Il contratto, cit., p. 220.
6
interessa è capire come regolare i rapporti delle parti quando ci sono differenze tra
l’affidamento dell’acquirente circa la consistenza patrimoniale, finanziaria, reddituale
della società e la situazione reale. Queste differenze possono anche non essere così grandi,
ma è comunque necessario risolvere queste questioni.
Non è allora utile per l’acquirente che il contratto di acquisizione abbia come
unica fonte di tutela le norme generali in tema di compravendita, essendo queste
insensibili alle caratteristiche peculiari delle azioni legate alla dinamicità, variabilità
elevata del patrimonio da esse rappresentato, e non tenendo conto degli interessi
economici sottostanti. Tutti gli strumenti che si applicano alla vendita non sono in grado
di tutelare l’acquirente, se non in casi limite in cui sia deliberato lo scioglimento, la
liquidazione giudiziale o sia cambiato l’oggetto sociale. È, allora, onere dell’acquirente,
in sede di trattative, richiedere alla controparte delle garanzie sull’effettiva consistenza
patrimoniale della società. Gli autori sono ormai d’accordo sul fatto che questo sia uno
dei pochi strumenti che permettono di dare rilevanza ai beni sociali nel contratto di
acquisizione. È necessaria una disciplina pattizia che faccia chiaramente emergere gli
interessi dell’acquirente relativamente alla situazione patrimoniale della società.
Di fatti, una forma di tutela legale percorribile soprattutto nel caso di vendita non
convenzionalmente garantita esiste e riguarda il caso di dolo del venditore che induce
l’altra parte in errore con un comportamento omissivo o commissivo
13
. Richiedere
l’azione di annullamento del contratto per dolo non è, però, una pratica diffusa,
considerato anche lo scarso riconoscimento da parte della giurisprudenza della capacità
del comportamento doloso di determinare la volontà dell’altra parte. Sembra essere legato
alla difficoltà dell’attore di fornire la prova dell’intenzione fraudolenta, soprattutto
quando il danno si manifesti dopo la conclusione del contratto, perché in tal caso è
necessario che il venditore fosse a conoscenza (al momento della conclusione del
contratto) del fatto che la situazione esistente in quel momento avrebbe determinato
un’alterazione del patrimonio della società. A questo si aggiungano anche le difficoltà di
prova nel caso specifico dell’omissione. Si pongono, qui, problemi legati alla posizione
delle parti (posizione di vicinanza rispetto all’informazione, capacità di informarsi, costi
13
Per un’analisi del vizio del dolo nel caso specifico della vendita di azioni v. A. TINA, Il contratto,
cit., p. 232 ss.
7
per l’acquisizione di informazioni) e, in particolare, bisogna capire quali informazioni il
venditore deve dare all’acquirente e quali può tacere. La rilevanza dell’omissione, in
fondo, dipende dall’esistenza di un dovere di dire, per cui bisogna chiedersi se c’è tale
dovere e quali sono i suoi confini. Tutto ciò, poi, deve essere letto non solo in chiave
contrattuale (di rapporto tra le parti), ma soprattutto in chiave societaria, dato che
l’operazione riguarda, anche solo indirettamente, dei beni che non sono nella titolarità del
venditore. Si può tentare di ricostruire un dovere di informazione del venditore ex art.
1337 c.c. (che, se violato, potrebbe portare all’annullamento del contratto per dolo
omissivo), ma bisogna sempre chiedersi come inserire nell’equazione il ruolo della
società, che, ricordiamolo, è terza rispetto alle parti, ma pur sempre in stretto
collegamento con l’operazione
14
. Altra considerazione è che l’acquirente difficilmente
vuole ottenere l’annullamento del contratto, tenuto conto dei costi sostenuti per la sua
conclusione, per cui sarà più propenso a chiedere solo il risarcimento del danno. D’altra
parte, una volta che sia divenuto socio di controllo, potrebbe solamente chiedere un
risarcimento ex art. 2395 c.c. direttamente agli amministratori, quando questi abbiamo
trasmesso documenti inesatti o falsi, ma anche in questo caso Tina dubita della capacità
patrimoniale degli amministratori nel soddisfare le richieste dell’acquirente
15
. Rimane la
possibilità di chiedere il risarcimento in caso di dolo incidente ex art. 1440 c.c., che è
un’ipotesi di dolo meno grave, dove è necessario solo riallineare gli interessi delle parti e
non si discute sulla validità del contratto. È uno strumento più coerente con gli interessi
dell’acquirente e permette di avere una tutela risarcitoria quando non ci sono specifiche
garanzie o quando i termini per farle valere sia scaduti. Anche qui, però, ritornano i
problemi di onere della prova e questo segna la distinzione più evidente con le clausole
di garanzia, cioè il fatto che queste ultime prevedono un indennizzo al semplice verificarsi
dei requisiti previsti nel contratto, senza provare alcun elemento soggettivo, soprattutto,
alcuna intenzione fraudolenta. Nemmeno il dolo sembra essere uno strumento utilmente
percorribile per l’acquirente, non nel senso che è impraticabile in assoluto, ma nel senso
che non è in grado di soddisfare adeguatamente i suoi interessi, non al pari di una
previsione contrattuale espressa, e nel senso che in ogni caso è difficile che sia fornita la
prova della sua esistenza.
14
La questione sarà oggetto di esame nel cap. 2.
15
A. TINA, Il contratto, cit., pp. 241-242.
8
Dopo aver compreso che la disciplina codicistica non sia in grado di adattarsi al
meglio alle caratteristiche particolari di questo contratto e aver chiarito che la disciplina
della compravendita, nello specifico, non costituisca una tutela adeguata, se non in casi
limite in cui le vicende giuridiche societarie vanno a mettere in discussione il contenuto
delle azioni, la loro natura, lo stato di normalità dell’attività d’impresa, andiamo ora ad
aggiungere altre particolarità a questo contratto che ci allontanano sempre più da una
normale compravendita, per avvicinarci alla affermazione dell’esistenza di un contratto
atipico.
Già nel Codice civile abbiamo varie sottospecie di vendita, variabili in base
all’oggetto, alla qualifica delle parti contrattuali, alle modalità di contrattazione.
L’affermarsi di una ricca varietà di sottospecie si deve anche all’influenza del diritto
comunitario ed internazionale. La disciplina nazionale non risponde più alle esigenze del
mercato, che si sposta su piani più ampi per regolare i propri rapporti. Inoltre ci sono
anche vuoti normativi lasciati dal legislatore nazionale in molti settori economici, anche
per la difficoltà di ancorare a un solo ordinamento una disciplina che si è sviluppata a
livello internazionale. Per questo anche gli operatori nazionali usano strumenti derivati
da altri ordinamenti o dalla prassi internazionale. Abbiamo già detto che il SP A deriva
dalla prassi anglo-americana. Qui vogliamo sottolineare le profonde differenze con ogni
tipo contrattuale ricorrente nel nostro ordinamento. Abbiamo considerato finora il doppio
piano giuridico-fattuale che lo caratterizza, vedremo successivamente il suo sviluppo
temporale bifasico, dove alla conclusione del contratto succede, solo successivamente, il
trasferimento della titolarità delle azioni. Sono tutte caratteristiche legate alla
problematica riguardante gli interessi dell’acquirente a conoscere lo stato del patrimonio
sociale e altre informazioni rilevanti che riguardano la società. A tal fine, lo strumento
che fa emergere il piano fattuale e che permette di inserire nel contratto gli interessi
sottostanti dell’acquirente è quello delle dichiarazioni e delle garanzie (Representations
& Warranties).
Alcuni autori hanno sostenuto che la presenza di clausole di garanzia e di relative
clausole di indennizzo nel contratto contribuisce a definirlo come un contratto atipico
16
.
16
R. CALDARONE, E. FERRERO, Il contratto di acquisizione è un contratto atipico?, in Giur. comm.,
1998, II, p. 182.
9
La teoria richiama l’idea, espressa dalla dottrina di quei tempi, che le clausole di garanzia
patrimoniali sarebbero una prestazione e che, quindi, la loro violazione costituirebbe un
inadempimento
17
. Allora, la prestazione principale, la vendita di azioni contro il
pagamento del prezzo, sarebbe accompagnata anche da un’altra prestazione, di garanzia.
Non saremmo in presenza di un mero trasferimento di azioni, ma di un trasferimento
“garantito”, che ha determinate caratteristiche stabilite dalle parti. Da questo gli autori
concludono che vi è una nuova causa, atipica, derivante dalla «compenetrazione della
causa traslativa […] con quella di garanzia del patrimonio»
18
. Dovrebbe potersi anche
ricavare che non abbiamo due contratti collegati, come alcuni autori avevano sostenuto,
ma un unico contratto, con causa atipica. È, però, necessario sottolineare alcune questioni
che sembrano suggerire un’altra soluzione
19
. Le clausole di garanzia servono per
trasferire un rischio da una parte all’altra, rischio che è indipendente dalla volontà o
dall’azione delle parti. Per esempio, il venditore garantisce che non vi saranno
sopravvenienze negative, che la società avrà una determinata redditività, che non
sorgeranno controversie. La garanzia prescinde da una prestazione, da un fare, di una
parte, quindi, nel momento in cui si attivano le tutele non rileva l’impegno usato dal
garante per realizzare o impedire l’evento. È irrilevante l’imputabilità ex art. 1218 c.c.
Anche la conoscenza del garante si articola diversamente rispetto al caso di una
prestazione da adempiere: nel caso di una garanzia, si risponde anche della propria
17
Dall’altra parte la giurisprudenza richiamava invece l’art. 1497 e, in particolare, sosteneva che
le garanzie patrimoniali rilasciate in occasione della vendita di azioni rappresentassero delle «promesse di
specifiche qualità inerenti alle partecipazioni medesime», v. R. CALDARONE, E. FERRERO, Il contratto, cit.,
p. 187. La dottrina, all’opposto, argomentava la sua posizione dicendo che il patrimonio sociale non era
una caratteristica intrinseca delle azioni. Inoltre, anche volendo considerare l’aspetto economico
dell’operazione, dando rilevanza agli interessi sul patrimonio sociale, l’art. 1497 non sarebbe in grado di
adattarsi alle caratteristiche del contratto di acquisizione. L’ultimo comma, infatti, richiama l’art. 1495 in
tema termini di decadenza e prescrizione. I tempi dati all’acquirente per attivare le garanzie sono molto
brevi. In particolare, il termine di prescrizione richiede la possibilità di individuare velocemente eventuali
vizi o difformità, ma questo sembra pretestuoso quando l’oggetto del contratto è un bene particolare,
dinamico e immateriale. Ricordiamo la sentenza della Cass. Civ., sez. II, 24 luglio 2014, n. 16963 con nota
di G. IORIO, Vendita di partecipazioni sociali: garanzie contrattuali e termine di prescrizione, in Giur. it.,
2014, p. 2406, che esclude l’applicazione del termine annuale, perché incompatibile con le esigenze
dell’operazione economica.
18
R. CALDARONE, E. FERRERO, Il contratto, cit., p. 190.
19
M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione, cit., p. 110 s. muove una lunga critica a questa
teoria.
10
ignoranza di circostanze passate della società
20
. È allora improprio parlare di
adempimento quando non è richiesto un comportamento di una parte.
Come ci ricorda Speranzin, «le clausole di garanzia non hanno causa di
garanzia»
21
, di fatto non hanno una causa propria, ma si collegano al rapporto contrattuale
cui accedono. L’A., ancora, ci dice che siamo in presenza di un unico contratto, quindi le
clausole in questione non rappresentano un contratto collegato. In particolare, sostiene
che le clausole in questione sono delle garanzie accessorie atipiche a cui non sembra
potersi applicare la disciplina generale in materia di vendita (per i motivi evidenziati)
22
,
se non nel caso in cui non vi sia una disciplina espressa delle parti, comunque con dei
limiti e con una forma di tutela inferiore rispetto a quello che l’acquirente potrebbe
richiedere personalmente con la predisposizione di clausole. Potremmo dire che la
mancanza di una disciplina “sostitutiva” adatta quando le parti non abbiano provveduto
sia indice di una natura atipica rispetto al contratto di compravendita: nessuna delle tutele
che quest’ultimo predispone rispecchia la natura dell’oggetto del contratto di
acquisizione, che richiede una doppia tutela, immediata, sulle azioni, mediata, sul
patrimonio sociale (non solo su questo, poi, siccome gli interessi dell’acquirente sono
spesso molto più ampi rispetto al mero patrimonio sociale). «Perché si abbia
compravendita è necessario che l’assetto di interessi programmato si esaurisca in siffatto
scambio (aggiungiamo, tra alienazione del bene e prezzo), mentre nei casi in cui esso si
inserisca in un’operazione più articolata si tratterà di una figura tipologica differente»
23
,
è quanto possiamo rilevare nel nostro caso. Gli interessi dell’acquirente, soprattutto
quando si acquisti una quota di controllo o rilevante, non sono limitati meramente
all’oggetto e l’operazione economica coinvolge, su un piano sottostante, la società stessa.
Per la verità ci sono state tesi che hanno sostenuto una posizione diversa riguardo
alla natura delle clausole di garanzia
24
. Non si può negare che ci sono delle clausole di
garanzie che dipendono da un comportamento di una parte: è il caso delle clausole di
20
Altra questione è invece l’ignoranza dell’acquirente. Si veda a tal proposito l’art. 1491, da cui
si può presumere che le garanzie non siano dovute nel caso di conoscenza dei vizi o se questi erano
facilmente conoscibili. La questione però non è così lineare, motivo per cui verrà trattata di seguito.
21
M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione, cit., p. 111, nt. 280.
22
Cass. Civ., sez. II, 24 luglio 2014, n. 16963, cit., ha sottolineato l’autonomia di queste clausole
dalla disciplina legale dei vizi nell’ambito della compravendita.
23
A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2015, p. 13.
24
Cass. civ., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11748; in dottrina si veda la posizione di G. DE NOVA, Il
Sale and Purchase Agreement, cit., p. 183 s.
11
amministrazione, attraverso cui si promette, ad esempio, che la società non distribuirà
utili fino al trasferimento delle azioni. Il socio, se ha una quota rilevante in assemblea, si
impegna a votare in un certo modo. Si potrebbe, allora, dire che in questo caso siamo in
presenza di una prestazione del contratto, un adempimento.
De Nova ritiene che le garanzie inserite nel contratto siano una promessa che
qualcosa si verificherà o meno (nel senso che la promessa comprende l’impegno del
venditore a realizzare il fatto promesso) e l’indemnity che le parti prevedono nel contratto
è un risarcimento per l’inadempimento. L’A. spiega perché le clausole in questione non
possono consistere in un patto di tipo assicurativo: principalmente perché entrambe le
parti, assicuratore e assicurato, non devono avere un controllo sugli eventi oggetto di
assicurazione (cosa che abbiamo detto non sempre vera, come nel caso delle clausole di
amministrazione); inoltre se l’assicurato, cioè l’acquirente, è a conoscenza dello
scostamento tra quanto dichiarato e la situazione reale significa che si approfitta dell’altra
parte quando richiede la garanzia, quindi è necessaria la sua ignoranza circa la
difformità
25
. Alla posizione dell’A. possiamo replicare che certamente le clausole di
garanzia in questione non siano coincidenti con la fattispecie di assicurazione, anche
tenendo presente che l’assicuratore, nel contratto di assicurazione, è un soggetto specifico
che ha determinati requisiti e che è sottoposto alla vigilanza dell’IVASS. Si tratta perciò
di un’attività riservata. Non significa, però, che le clausole non abbiano una funzione
assicurativa, nonostante molte delle norme degli artt. 1882 ss. sono specifiche del
contratto di assicurazione e non si possono applicare alla nostra fattispecie.
Abbiamo detto che queste clausole di garanzia patrimoniale sono atipiche, che si
può tentare solamente di individuare una disciplina “simile” cui ricondurre la soluzione
di eventuali conseguenze non previste dalle parti. Si possono quindi individuare degli
elementi di similitudine con fattispecie tipiche del codice. Consideriamo la caratteristica
essenziale del contratto di assicurazione: l’aleatorietà. Speranzin ritiene che le garanzie
di garanzia (nel caso di specie sono le material adverse change clause che garantiscono
contro sopravvenienze negative) comportano «un’estensione dell’alea normale del
25
L’elemento della conoscenza dell’acquirente di determinati vizi o difformità può escludere
l’applicazione dei rimedi delle garanzie, ma non tutti gli autori sono d’accordo. Nel contratto di
assicurazione, la conoscenza delle parti non è ammessa. Eppure vedremo che non sempre la conoscenza
esclude le garanzie ex art. 1491 c.c.
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contratto a carico dell’alienante che assume il rischio, e una correlativa diminuzione
dell’alea normale per l’acquirente»
26
. Dice espressamente che non si può considerare un
contratto aleatorio a causa della presenza di clausole di garanzie poiché il venditore «è in
grado di valutare il rischio»
27
. Confermato che nel caso di compravendita non
convenzionalmente garantita le sopravvenienze relative al patrimonio sociale non
riguardano l’oggetto del contratto e non permettono senza dubbio di definirlo aleatorio,
rimane un problema nel caso della previsione di clausole di garanzia patrimoniale. Si
dubita qui della capacità del venditore di avere un qualunque ruolo nella realizzazione
dell’evento garantito, dato che solitamente dipende da altri organi sociali, ma anche la
valutazione del rischio da parte del venditore non sembra possibile senza avere accesso
alle informazioni societarie più rilevanti. Se ipotizziamo che una clausola prevede che
non sorgeranno questioni giudiziarie nel futuro, servono informazioni approfondite per
poter valutare questo rischio. Spesso però si tratta di informazioni riservate della società
che sul piano giuridico-formale non sono a disposizione dei soci, nemmeno di controllo.
Il fondamento stesso della concessione della garanzie, poi, è che il rischio in questione
non è valutabile in modo adeguato. Se le parti avessero potuto mettersi d’accordo su
un’unica valutazione del rischio, avrebbero semplicemente ridotto il prezzo di vendita e
non avrebbero inserito la clausola nel contratto.
De Nova, ancora, dice che «il venditore è inadempiente al risultato dedotto in
contratto. […] Vi sarà dunque inadempimento, pur se non vi è un’obbligazione non
adempiuta»
28
. Sembra che si stia riferendo all’ipotesi in cui, per esempio, si vende un
immobile edificabile, ma questo poi si scopre non essere edificabile. Questa caratteristica,
cioè che l’oggetto sia X e non sia altro, è una patologia dell’oggetto così rilevante da
rendere l’oggetto inutilizzabile per l’acquirente. Si parla di inadempimento perché
l’oggetto è totalmente diverso, non semplicemente viziato. Se le garanzie fossero delle
caratteristiche dell’oggetto, la cui mancanza risulterebbe in inadempimento della
prestazione, l’unica ipotesi in cui questo potrebbe essere possibile è se la mancanza di
quella caratteristica integri l’aliud pro alio, cioè se l’oggetto fosse totalmente diverso e
inutilizzabile per l’acquirente. Abbiamo già detto che l’unica cosa che rileva circa le
26
M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione, cit., p. 133.
27
M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione, cit., p. 134.
28
G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., p. 191-192.
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azioni sono i loro diritti e gli obblighi (quindi eventualmente rileva che il venditore sia
titolare delle azioni, che non ci sono ostacoli alla loro circolazione, che siano di una
determinata categoria, che i diritti possano essere esercitati in assemblea, che possano
essere distribuiti utili). Allore le uniche caratteristiche della società che potrebbero
comportare inadempimento sono quelle che incidono sul contenuto intrinseco delle
azioni. Le garanzie date dal venditore sono solitamente patrimoniali e il patrimonio non
è equiparabile alle azioni, almeno non giuridicamente.
Consideriamo anche la questione per cui, se le garanzie non fossero adempimento
di una prestazione, non sarebbe possibile per l’acquirente accedere alle relative tutele
contrattuali (es. risoluzione). In ogni caso, è difficile che l’acquirente abbia interesse a
sciogliere il rapporto contrattuale, soprattutto quando ha fatto un notevole investimento
di tempo e di denaro nella fase delle trattative. Inoltre, nel momento in cui contratta la
concessione di garanzia, può prevedere al posto dell’indemnity un’ipotesi di recesso dal
contratto, se quelle condizioni erano per lui indispensabili.
Per di più, è vantaggioso per entrambe le parti prevedere delle clausole di garanzia
patrimoniale: anche se il venditore non può sottrarsi all’obbligo di versare l’indennizzo
quando non gli sia imputabile il verificarsi o meno del fatto garantito, la somma che paga
viene anticipata in parte dall’acquirente, in forma di un “premio” (cioè, un incremento
del prezzo) come contropartita della concessione della garanzia stessa. L’acquirente, poi,
ha interesse a chiedere garanzie solo su elementi che ignora per mancanza di informazioni
o su cui nutre dei dubbi e sulla cui valutazione non riesce a trovare un accordo con il
venditore per modificare il prezzo di vendita in senso riduttivo. Infatti, più rischi sono a
carico del venditore, maggiore sarà il prezzo di vendita: l’acquirente cercherà di limitare
l’inserimento di clausole di garanzia nel contratto. Si può sintetizzare dicendo che
l’acquirente sopporta il rischio di pagare un prezzo eccessivo, nel caso non venissero
rilevati i vizi o le difformità garantite, mentre il venditore ha la possibilità di ottenere un
prezzo di vendita più alto qualora abbia garantito un fatto corrispondente al vero. Quando
questo non sia corrispondente al vero, l’indennizzo che deve pagare può, almeno in parte,
essere “ammortizzato” dal prezzo di vendita maggiorato. Anche in relazione alle
conseguenze legali dell’inadempimento certamente si cerca di trovare un equilibrio tra
gli interessi delle parti, qui però sono le parti che determinano un equilibrio diverso e più
adiacente ai loro interessi.