2
L’approccio della Manipulation School (Hermans,
Lambert, Toury) alla traduzione è basato sul concetto di
Polisistema (Polysystem), sviluppato da Itamar Even-
Zohar
2
:
“Literature in a given society is a collection of
various systems (polysystem) in which diverse genres,
schools, tendencies are constantly jockeying for
position, competing with each other for readership, but
also for prestige and power.”
Ciò significa che il processo di traduzione deve
tenere conto non solo della situazione extra culturale
del testo di partenza (source text), ma anche di quella
della lingua di arrivo (target text). Affinché un testo
tradotto venga accettato è necessario che si inserisca nel
polisistema d’arrivo.
Ma che differenza c’è tra la traduzione di un libro e
la traduzione di un film? Facciamo un esempio pratico.
Prendiamo il famoso romanzo di Nathaniel Hawthorne,
The Scarlet Letter, e confrontiamolo con la
corrispondente versione in italiano, La lettera scarlatta:
2
EVEN-ZOHAR, I. citato da SNELL-HORNBY, M. (1990). Translation Studies. An
Integrated Approach. Amsterdam: Benjamins. Pag. 24.
3
solo il nome dell’autore è rimasto invariato dopo il
processo di traduzione, mentre tutti gli altri elementi
sono cambiati: il testo, le note esplicative, ecc. Come in
molti altri casi, da questo libro è stato tratto un film,
originariamente in inglese, che è stato poi doppiato in
italiano. Dal confronto di queste due versioni, notiamo
che il nome del regista, i produttori, le immagini, le
musiche, ecc. sono rimasti uguali. Ciò che è cambiato è
il testo parlato, cioè i dialoghi. Volendo chiarire che
tipo di testo sia il testo filmico, diremo che esso è un
insieme complesso di segni verbali acustici (i dialoghi) e
visivi (testi scritti come lettere, giornali, ecc.), e di segni
non-verbali acustici (musica, rumori, ecc.) e visivi (il
linguaggio del corpo degli attori, l’ambientazione del
film, ecc.)
3
. Alcune volte l’intervento dell’adattatore può
interessare anche i segni verbali visivi, come il testo di
una lettera: può capitare, infatti, di vedere apparire sullo
schermo dei sottotitoli che ne traducono il testo. Ma di
solito l’adattatore interviene solo sui dialoghi.
3
DELABASTITA, D. (1989). “Translation and Mass-Communication: Film and TV
Translation as Evidence of Cultural Dynamics” in Babel 35, 4: pag. 196-202.
4
Il linguaggio è il veicolo di comunicazione attraverso
il quale vengono scambiati i segni verbali, cioè i
messaggi, i significati. Il modo in cui il messaggio è
usato per raggiungere lo scopo della comunicazione è
chiamato retorica del discorso (rhetoric of discourse)
4
.
Abbiamo detto che l’adattatore interviene solo sui
dialoghi. Questi ultimi, quindi, devono essere tradotti
nella lingua d’arrivo. Vediamo come.
4
LEECH, G.N. and SHORT, M.H. (1981). Style in Fiction. London: Longman. Pag. 257.
5
I.2. Le forme di traduzione filmica
Il cinema e la televisione usano tre forme di
traduzione
5
:
doppiaggio: la colonna dialoghi originale viene
sostituita dai dialoghi tradotti e sincronizzati con il film;
voce fuori campo: la colonna dialoghi è in
sottofondo ed una traduzione vi parla sopra;
sottotitoli: vengono scritte due o tre righe in
fondo allo schermo con lo scopo di tradurre ciò che si
ascolta. In realtà il risultato è un riassunto del testo
originale.
Prenderemo in considerazione i due metodi più
usati: il doppiaggio ed i sottotitoli.
Il doppiaggio
6
. Le sue due strutture portanti sono la
traduzione e l’adattamento dei dialoghi. Da qui emerge
la figura più importante di tutta la lavorazione:
l’adattatore o dialoghista.
5
MASON, Ian (1994). “Dubbing and Subtitles, Film and Television” in The Encyclopedia of
Language and Linguistics. Vol. 8. R.E. Asher, ed. Oxford: Pergamon. Pag. 1068-1069.
6
JACQUIER, S. (1995). “Prima era il silenzio. Traduzione e adattamento nel doppiaggio
cinematografico e televisivo”, in La traduzione: saggi e documenti II, Ministero per i Beni Culturali e
Ambientali, Divisione Editoria, supplemento al numero 535-538 (settembre-dicembre 1994) di
Libri e Riviste d’Italia: 258-264.
6
A quest’ultimo vengono consegnati la copia del film
e la lista dei dialoghi in lingua originale (il termine
inglese corrispondente è script), che non è la
sceneggiatura, ma un rilevamento delle battute eseguito
in moviola, a film ultimato. Dopo aver letto la lista
l’adattatore ne studia i significati e i problemi di
linguaggio, specie quando l’azione è legata a epoche,
ambienti, costumi o personaggi particolari. Infatti,
procedendo all’analisi del testo di partenza,
un’attenzione particolare dovrà essere rivolta sia alla
presenza di particolari varietà di linguaggio, sia locali
(dialetto) sia sociali (registro, gerghi), oppure personali
(idiosincrasie, difetti di pronuncia) che al trattamento di
tipi particolari di messaggi verbali: flash-backs, lettere
(lette oppure semplicemente mostrate), testi musicali,
conversazioni di sottofondo
7
.
Il dialoghista, poi, va in sala di proiezione ed annota
se le battute sono dette in C.L. (campo lungo), in P.A.
(piano americano), in F.C. (fuori campo), in D.S. (di
spalle) in P.P. (primo piano) o in P.P.P. (primissimo
7
DELABASTITA, D. (1990). “Translation and the Mass Media” in BASSNETT, LEFEVERE
(1990). Translation, History, and Culture.. London: Pinter. Pag. 97-109.
7
piano). Tali annotazioni daranno il grado di visibilità
delle labbra ai fini dell’adattamento in fase di prima
stesura. Questa avviene a tavolino dove, accanto al
copione originale, il dialoghista avrà il registratore, che,
nel corso del film, egli ha usato per incidere la colonna
sonora. Le tre operazioni importanti sono:
tradurre: nel fare questo il dialoghista deve tenere
conto dello stile (comico, drammatico,…) e della
caratterizzazione dei personaggi. Un barman non può
parlare come il professore a cui sta servendo un whisky;
muoversi dentro le lunghezze: sono imposte dalle
pause che il personaggio fa dicendo le battute e che
graficamente si rappresentano con una sbarra;
seguire il ritmo: è la musicalità, la cadenza della
battuta (“It had to be you”, “Dovevi essere tu”).
Terminata la stesura dei dialoghi italiani, per la
stesura definitiva il dialoghista ripete, davanti allo
schermo, tutte le battute che ha scritto,
contemporaneamente ai personaggi del film, per
controllare testo, lunghezze, ritmo e, nuovo problema,
l’adeguamento labiale. Occorre far coincidere i
8
movimenti delle labbra con le parole, soprattutto nei
primissimi piani, tanto da avere l’illusione che le battute
siano originariamente in italiano.
Il copione italiano viene consegnato al direttore del
doppiaggio che decide quali voci italiane dare ai
personaggi. In questa decisione terrà conto della
costituzione dei personaggi, da cui dipende il timbro
della voce. In sala d’incisione il direttore dà consigli agli
attori e suggerisce le intonazioni. Dopo alcune prove
sull’originale, gli altoparlanti tacciono e gli attori-
doppiatori provano sul muto. Al direttore spetta l’ultima
parola riguardo l’esattezza delle battute: egli può, se lo
ritiene necessario, modificare il lavoro dell’adattatore.
Infine si ha la registrazione. Avremo una nuova colonna
dialoghi che prenderà il posto di quella originale. Con il
mixage le musiche e gli effetti (M/E track – colonna
sonora internazionale) vengono integrati alla nuova
colonna dialoghi. Così termina l’operazione doppiaggio.
L’addetto all’edizione avrà intanto fatto tradurre i titoli
di testa, di coda e gli inserti: scritte, cartelli,
lettere…L’edizione è finita.
9
Per la traduzione dei testi, il dialoghista richiede
talvolta l’aiuto di un traduttore. Vale la pena di
ricordare il nome di una persona di prestigio come
Sergio Jacquier: traduttore e dialoghista. Il suo è un caso
a parte, è il caso di un artigiano nel mondo del
doppiaggio. Ultimamente ci si lamenta, infatti, della
mancanza di un lavoro artigianale, che dimentichi per un
po’ le regole rigide e si lasci andare alla naturalezza della
creatività. È un po’ come le aziende a conduzione
familiare: se il lavoro è portato avanti solo dai membri
della famiglia, questi ne avranno moltissima cura perché
ne va del loro nome. Se invece a lavorare sono dei
dipendenti, il loro è un compito da realizzare e basta:
non lo sentono come proprio. Per Jacquier, invece, ogni
versione italiana affidatagli è una sua creatura: non
potrà quindi affidarsi ad altri che a se stesso.
I sottotitoli
8
. Sono molto meno costosi della
produzione di una versione doppiata. Il problema
principale per questa tecnica di traduzione è che i
dialoghi sono spesso molto veloci: è difficile che una
8
DELABASTITA, D. (1989), op. cit. pag. 203-205.
10
traduzione scritta sullo schermo possa andare di pari
passo con il loro ritmo. Di conseguenza il testo subisce
un’inevitabile riduzione. Convenzionalmente, si accetta
un massimo di 60/70 caratteri da distribuire su due righi
in fondo allo schermo.
Sempre in modo convenzionale, il tempo di presentazione
di ogni sottotitolo deve essere tale da permetterne la
lettura ad un pubblico di lettori non velocissimi. Si
presenta quindi la necessità di togliere alcune
informazioni dal testo originale che per tali motivi non
potranno essere tradotti. A causa di questa sua necessaria
brevità, la struttura lessicale, grammaticale e sintattica del
sottotitolo è molto più semplice di quella di tante battute
scritte per il doppiaggio. Peter Fawcett
9
ha calcolato, per
esempio, che in una scena tratta dalla soap opera francese
Châteauvallon, lo script originale presenta 578 parole, la
versione doppiata in inglese 528, mentre la versione
inglese con i sottotitoli contiene 402 parole.
9
FAWCETT, P. (1983). “Translating Film” in On Translating French Literature and Film.
Geoffrey T. Harris. Amsterdam: Rodopi. Pag. 77.
11
Dovrà, quindi, essere presa una prima decisione
10
:
cosa tradurre e cosa non tradurre, in quanto il messaggio
da comunicare deve essere il più sintetico possibile, e si
passa dal discorso parlato a quello scritto.
L’abilità di sintetizzare dipende dalla comprensione,
da parte del traduttore, del tipo e della natura del testo
originale, specialmente le sue componenti di discorso
parlato. Riprendendo le suddivisioni di Halliday
11
in
termini di language functions (ideational, (inter)personal e
textual), si può dimostrare che la ideational function è
quella che, durante il processo di sottotitolaggio viene
compromessa meno. Essa è, infatti, la funzione che
dipende più delle altre dal linguaggio: quella
(inter)personale è legata all’interazione non-verbale e
non-linguistica, mentre quella testuale risulta meno
importante in quanto la continuità e la coesione sono
fornite dalle immagini.
10
KOVAčIč, Irena, (1996). “Subtitling Strategies: A Flexible Hierarchy of Priorities” in
HEISS, BOLLETTIERI BOSINELLI (1996). Traduzioni multimediali per il cinema, la televisione e
la scena. Bologna: CLUEB. Pag. 298-299.
11
M.A.K. Halliday e Ruquaya Hasan, (1989). Language, Context and Text: Aspects of
Language in a Socio-Semiotic Perspective. Oxford: O.U.P. Pag. 10.
12
La scelta da fare dipende dal tipo di programma e dal
pubblico d’arrivo. Ecco alcuni esempi:
- in un notiziario si prediligerà il contenuto
generale delle notizie;
- in una commedia si tenderà a riprodurre le
battute umoristiche, come i giochi di parole;
- in un programma per bambini si dovrà tenere
presente la minore velocità con la quale essi
riescono a leggere i sottotitoli, e la loro limitata
conoscenza della cultura di partenza (per
esempio, la famosa serie inglese Supergran, che
presentava molte caratteristiche della cultura e
della tradizione scozzesi: la prima scelta da fare
era se mantenere l’ambientazione scozzese,
rischiando di rendere difficile la comprensione
del programma, oppure ambientare la storia in
un luogo fantastico, senza alcun legame con
nessun paese in particolare);
- la resa in televisione di un’opera letteraria molto
famosa, avrà un pubblico di livello culturale
elevato; quindi i sottotitoli possono essere anche
13
più ricchi di parole, anche di espressioni
letterarie; d’altra parte devono raccontare non
solo la trama, ma anche il carattere dei
personaggi, nonché i loro rapporti reciproci. Se
l’opera segue fedelmente il testo originale (per
esempio, il libro), si deve decidere se tradurre
nuovamente il testo, o se adattare il testo
originale al formato dei sottotitoli.
Per queste ragioni, un film tradotto con i sottotitoli
risulta in parte “mutilato”: soprattutto quando i dialoghi
sono molto veloci, e quindi ci sono molte parole da
tradurre, il traduttore deve essere molto rigido nella
scelta delle parole che appariranno sullo schermo.
A questo proposito, vorrei citare il caso del
dialoghista della versione italiana de Il settimo sigillo, del
regista svedese Ingmar Bergman. Egli ha tradotto i
sottotitoli della versione inglese e li ha utilizzati nella
sua versione italiana. Per riempire le parti dei dialoghi
che erano rimaste vuote, egli ha inventato delle nuove
battute.
14
In sala di registrazione, i doppiatori hanno recitato
il nuovo copione nato dall’unione dei sottotitoli inglesi
tradotti in italiano e delle battute create dal dialoghista.
Come dice Mason
12
, i sottotitoli devono rendere solo
in parte il testo della lingua di partenza perché il
pubblico li integra con ciò che vede sullo schermo
(gesti, linguaggi del corpo…). Nel doppiaggio, invece, ci
si aspetta una completa rappresentazione del significato
del testo di partenza. Come dimostrano i seguenti
esempi, spesso non è il contenuto di una frase a
cambiare nel passaggio da una lingua ad un’altra, ma
piuttosto alcuni aspetti di significato pragmatico.
1. Caratteristiche formali. I messaggi che nella
lingua di partenza sono espressi con caratteristiche
formali possono costituire un enorme problema per
l’adattatore dei sottotitoli: per esempio, le lingue che
non hanno differenze tra i pronomi di seconda persona,
oppure i segnali di variazione dialettale e di
cambiamento del codice.
12
MASON, Ian, op. cit. pag. 1068-1069.
15
2. In questi casi, il problema dell’adattatore sta
nell’impossibilità di trovare delle caratteristiche formali
nella lingua d’arrivo che segnalino gli stessi valori, o
quasi.
Il sottotitolo che in inglese sostituisca il nostro
“Diamoci del tu” non potrà essere “Why don’t we
address each other by using the pronoun tu”, ma
piuttosto “Let’s be friends”.
3. Atti linguistici. Specialmente nei sottotitoli le
differenze tra gli atti del discorso possono presentarsi
quando il bisogno di tradurre frase per frase trasforma
un’espressione di rassegnazione (“ah…que voulez-
vous?”) in una richiesta o un’espressione di frustrazione
più positiva (“Cosa posso fare?”). La tendenza a
cambiare le domande in asserzioni può a volte
aumentare la forza percettiva dell’atto del discorso,
trasformando un rimprovero in una minaccia:
Tù me estàs buscando, ¿eh? [Inglese: You’re trying me
on, aren’t you? Italiano: Mi stai provocando, vero?]
Sottotitolo inglese: You’re looking for trouble.