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al., 2003; Evans et al., 2003; Reitano e Soldà, 2004). La ricerca
sull’efficacia nella pratica (Barkham e Mellor-Clark, 2000) è un
importante complemento della ricerca sperimentale soprattutto per
quanto riguarda la trasposizione dei risultati sul piano concreto. Gli
utenti ed il management sanitario si aspettano risposte dalla comunità
scientifica e professionale degli psicoterapeuti in merito ai modelli
organizzativi più performanti ed in grado di fare fronte alla aumentata
complessità della domanda di aiuto psicologico.
Oggi vengono usati molti strumenti diversi rendendo la comparabilità
estremamente difficile.
La pratica clinica richiede sempre di più strumenti che valutino sia la
parte sintomatologica che di funzionamento: utili in questo senso anche
per confrontare diverse psicoterapie. Molte scale hanno pochi dati riferiti
alla validazione, in particolare quelle che vengono tradotte da altre
lingue. Spesso non hanno dati riferiti all’accettabilità per diversi gruppi
etnici o rispetto a lingue diverse, rischiando così di determinare grossi
bias nella misurazione. Lo strumento ideale dovrebbe essere
relativamente breve, adatto a somministrazioni ripetute, accettabile da
tipologie di pazienti e di setting diversi. Dovrebbe inoltre non essere
troppo lungo e sostanzialmente accettabile sia dai ricercatori che dai
clinici. Un tale strumento può trovare utilità sia a livello individuale, per
valutare i cambiamenti del paziente nel corso del trattamento, sia a
livello di Servizio per delinearne il profilo, il tipo di utenza, per
confrontarlo con altri Servizi e quindi monitorarne la qualità.
Il CORE-OM (Evans et al., 2000) è uno strumento che risponde a questi
requisiti. La mancanza in Italia di strumenti di outcome di uso routinario
e la necessità sempre maggiore di riuscire a valutare l’efficacia degli
interventi psicoterapici soprattutto nel servizio pubblico (Reitano, 2005)
ci ha suggerito l’idea di importare dall’Inghilterra il sistema CORE.
8
L’incontro con Chris Evans, uno degli autori del questionario, in
occasione della riunione annuale della Società di Ricerca in Psicoterapia-
Sezione britannica tenutosi a Ravenscar nel 2003, ha dato il via a questo
progetto di traduzione e validazione del sistema CORE, parallelamente a
progetti analoghi in altre nazioni europee ed extraeuropee (lo strumento
è stato già tradotto in Norvegese, Slovacco, Francese, Tedesco, Greco
etc.).
Il lavoro di traduzione in Italiano e validazione dello strumento ha
coinvolto, oltre all’autore dello strumento (Dr. Chris Evans
dell’Università di Nottingham), diversi colleghi dell’Università di
Modena e Reggio Emilia (gruppo del Prof. Marco Rigatelli),
dell’Università di Milano (gruppo del Prof. Salvatore Freni),
dell’Università di Ferrara (gruppo del Prof. Luigi Grassi) e della Società
Italiana di Psicologia Ospedaliera e Territoriale (SIPSOT). Si è trattato di
un lavoro di collaborazione e confronto tra tanti clinici e ricercatori
accomunati dall’entusiasmo e l’interesse per questo progetto.
9
INTRODUZIONE
Il significato di esito nella ricerca sull’efficacia della psicoterapia
Nella storia della salute mentale e della psicoterapia, i termini
valutazione ed esito clinico sono stati usati con riferimento a concetti e
paradigmi di ricerca diversificati ma in qualche modo correlati, come
emerge nella analisi che segue.
Esito come risultato del processo terapeutico La ricerca sul processo in
psicoterapia si occupa di valutare alcune delle principali variabili del
setting clinico allo scopo di individuarne il peso relativo nella
determinazione dellʼesito (Reitano, 2005).
Queste variabili usualmente comprendono le caratteristiche dellʼutente,
quelle del terapeuta e della relazione terapeutica (Bordin, 1994;
Luborsky, 1994) e le tecniche terapeutiche utilizzate.
Orlinski, Grawe e Parks (1994) hanno identificato 5 processi di base che
influenzano gli esiti terapeutici:
1. la qualità della relazione terapeutica;
2. le competenze del terapeuta;
3. il livello di cooperazione del cliente;
4. il livello di disponibilità al cambiamento del cliente;
5. la durata del trattamento.
Lambert e Barley (2002) hanno «pesato» lʼimpatto differenziale dei più
importanti fattori (da loro definiti come tecniche, aspettative, fattori
comuni e fattori extraterapeutici) sullʼesito dei trattamenti. Tra i fattori
comuni che riguardano la relazione tra paziente e terapeuta, hanno un
peso rilevante nella determinazione degli esiti di un trattamento: lo stile
interpersonale del terapeuta e le sue caratteristiche personali, le
caratteristiche facilitanti la relazione (empatia, intensità emozionale e
10
congruenza) e lʼalleanza terapeutica, che include nella sua definizione
anche i contributi del paziente alla relazione terapeutica quali, ad
esempio, la condivisione di strumenti, degli obiettivi terapeutici della
costruzione del legame di attaccamento (Bordin, 1976; 1994).
I fattori extraterapeutici riguardano invece il funzionamento psicologico
e
relazionale dellʼutente, le caratteristiche del suo ambiente di supporto e
le
modificazioni in termini di realtà che avvengono nel tempo e che
impatta-
no sulla natura dei problemi del paziente ( Lambert e Barley, 2002).
Esito come risultato dellʼefficacia teorica (efficacy) Nellʼambito della
ricerca, il termine efficacy può essere tradotto come efficacia teorica o
ideale di un modello o di una tecnica psicoterapeutica. Utilizzando infatti
il metodo sperimentale randomizzato e controllato (Randomized
Controlled Trial) che rappresenta il «gold standard», è possibile
comparare uno specifico trattamento con un gruppo di controllo, un
placebo o un altro tipo di trattamento, allo scopo di determinarne
lʼefficacia assoluta (nei confronti del gruppo di controllo o placebo) o
differenziale (nei confronti del trattamento alternativo) in condizioni
altamente controllate. Storicamente, le conclusioni critiche nei confronti
degli esiti delle terapie psicodinamiche del classico studio di Eysenck
(1952), anche se metodologicamente e statisticamente di sicuro non
appropriato, ebbero il merito di stimolare il dibattito scientifico e,
soprattutto, di far divenire consapevole il mondo scientifico della
necessità di affinare gli strumenti e la metodologia di analisi di
valutazione dellʼefficacia dei trattamenti psicologici. Dopo Eysenck, la
spinta a dimostrare lʼefficacia delle psicoterapie enfatizzò la
focalizzazione della ricerca su studi meglio controllati, come nei lavori
11
di Meltzoff e Kornreich (1970), Bergin (1971), Bergin e Lambert (1978),
Luborsky et al. (1975).
Lʼavvento dellʼapproccio metanalitico, caratterizzato dallʼuso della
valutazione della dimensione dellʼeffetto (effect size) del cambiamento
ottenuto dagli interventi psicoterapeutici (Smith e Glass; 1977), dimostrò
ampiamente lʼefficacia dei trattamenti psicoterapeutici, ma non produsse
evidenze importanti circa lʼinterrogativo sullʼefficacia differenziale tra i
principali modelli di trattamento. Colui che per primo si occupò di
sottolineare lʼimportanza e valutare lʼimpatto sullʼesito clinico dei
cosiddetti fattori comuni ai vari modelli di trattamento psicologico è
stato Saul Rosenzweig in un lavoro edito nel lontano 1936, intitolato
Some implicit common factors in diverse methods of psychotherapy. Egli
in quellʼarticolo sostenne lʼidea che i fattori comuni fossero da
considerarsi come i principali responsabili dellʼefficacia della
psicoterapia e usò come metafora per illustrare lʼequivalenza degli esiti il
cosiddetto verdetto dellʼuccello Dodo, tratto dal libro di L. Carrol Alice
nel paese delle meraviglie (Carrol, 1962). Il personaggio Dodo, alla fine
di una breve e originale corsa di cui era giudice, così sentenziò:
«Everybody has won, and all must have prizes» («Tutti hanno vinto e
quindi tutti devono essere premiati»). Alle stesse conclusioni giunsero
successivamente Luborsky e Singer (1975), Luborsky (1994, 1995) e
Luborsky et al. (2003). La congettura dellʼuccello Dodo è diventata, con
lʼandare del tempo e con lo svilupparsi dei servizi di salute mentale,
piuttosto insoddisfacente di fronte alle pressioni a livello politico e
sociale volte a fornire elenchi di tecniche terapeutiche più efficaci nel
trattamento di specifiche categorie diagnostiche. In risposta a queste
pressioni, lʼAPA (American Psychological Association) ha compilato
una lista di trattamenti empiricamente supportati denominati
ESTs/Empirical Supported Therapies (Chambless et al., 1998; Beutler,
12
1998).
La ricerca sulla valutazione dellʼefficacy differenziale tra tecniche e
modelli terapeutici sta alla base del paradigma scientifico degli interventi
psicologici evidence-based. Al contrario, come vedremo in seguito, il
paradigma della psicologia che fa riferimento alla practice-based
evidence trova il suo contenitore metodologico nella ricerca sui servizi
clinici.
Esito come risultato dellʼefficacia sul campo o nella pratica
(effectiveness) Il termine effectiveness, nellʼambito della ricerca, si può
tradurre come efficacia nella pratica. Riguarda la ricerca sugli esiti dei
trattamenti psicologici erogati nei setting clinici reali.
La distinzione tra efficacy ed effectiveness è stata introdotta da A.L.
Cochrane (1972; 1979). Lʼefficacy, come abbiamo visto, non è altro che
la valutazione degli esiti di un trattamento allʼinterno di un setting di
laboratorio, altamente controllato, in cui sono presenti condizioni
ottimali per la dimostrazione dei risultati. Con effectiveness si intende,
invece, il risultato della valutazione degli esiti dei trattamenti nella realtà
della pratica clinica quotidiana, in cui i setting operativi, gli utenti e i
professionisti sono ovviamente più variabili e non controllabili a priori.
Sostanzialmente gli studi sullʼeffectiveness differiscono da quelli
sullʼefficacy per il fatto che lʼeffectiveness misura il cambiamento
dellʼutente in situazioni cliniche reali, fortemente dipendenti dai contesti
organizzativi e operativi. Alcuni autori hanno definito la distinzione tra
efficacy ed effectiveness come la differenza tra ricerca clinica e ricerca
sui servizi clinici (clinical services research) (Roth e Fonagy, 1996).
Seligman (1995) nel suo Consumer Report aveva già messo in evidenza
come le psicoterapie manualistiche degli RCT non assomigliassero
affatto ai trattamenti routinari erogati sul campo e come questa
rappresenti una notevole limitazione nella reale definizione dei
13
trattamenti empiricamente validati (Beutler, 1998). Lʼeffectiveness
research ha ricevuto in questi ultimi anni unʼattenzione sempre
maggiore.
A livello internazionale, il documento del National Advisory Mental
Health Councilʼs Clinical Treatment (1998) propone quarantanove
«racco-
mandazioni» finalizzate a migliorare lʼapplicazione pratica della ricerca
sulla valutazione di efficacia nei setting clinici. Lʼobiettivo strategico è
quello di proporre e sostenere la costruzione di un ponte tra la ricerca
universitaria e i servizi sanitari (tra cui quelli psicologici) negli USA,
riducendo il divario esistente tra università e servizi, per giungere a un
miglioramento generalizzato dellʼefficacia reale dei trattamenti
psicoterapeutici. Le principali raccomandazioni riguardano la
focalizzazione dellʼattenzione alla dimensione della generalizzabilità
degli effetti (validità esterna), al coinvolgimento del paziente e delle sue
risorse personali e ambientali nella definizione degli obiettivi terapeutici,
allʼindividuazione di misure di outcome che riguardino il miglioramento
clinico-sintomatologico oltre che la qualità delle cure.
Nel suo complesso, gli studi osservazionali di valutazione dellʼefficacia
nella pratica di prestazioni svolte su vasta scala comportano
lʼacquisizione di molteplici informazioni sulle caratteristiche del servizio
e degli utenti e consentono la verifica di precedenti ipotesi e la
produzione di nuove.
Anche se lʼeffectiveness research non è lʼunico modello di ricerca per
rispondere alla classica domanda su quale trattamento funzioni, per chi e
in quali contesti organizzativi di erogazione delle prestazioni (Kazi,
2003), questo modo di operare si è rivelato estremamente utile per i
professionisti
che sono interessati alla valutazione dellʼappropriatezza delle prestazioni
14
che vengono erogate in un particolare contesto organizzativo.
Il modello naturalistico osservazionale che sta alla base del paradigma
dellʼeffectiveness research fornisce dati riferiti al gruppo dei pazienti
trattati operando un confronto (prima-dopo) il trattamento, ma è carente
rispetto alla valutazione dellʼefficacia terapeutica a livello individuale.
Lo studio del percorso terapeutico a livello del singolo individuo
caratterizza lʼultima modalità di studio degli esiti, quello della
valutazione e del monitoraggio individuale dellʼesito (Elkin et al., 1989;
Chiesa e Fonagy, 1999).
4. Esito come valutazione del percorso individuale nel setting clinico
Dornelas et al. (1996) suggeriscono che, per misurare i cambiamenti che
si manifestano nel cliente lungo un determinato arco di tempo, le
misurazioni multiple costituiscono un punto essenziale e irrinunciabile e
che le procedure di raccolta dei dati sono importanti tanto quanto i dati
stessi.
Secondo questi autori, occorre passare da unʼ idea di misurazione degli
esiti come momento aggiuntivo della pratica clinica a unʼidea di
misurazione del cambiamento come parte di una routine di trattamento
che contribuisce alle cure prestate e ne è quindi parte integrante.
Howard et al. (1993; 1996) suggerirono, rispetto alla variabile durata del
trattamento, un modello a tre fasi degli esiti delle psicoterapie, che
propone un incremento progressivo dello stato di benessere individuale
(remoralization), riduzione dei sintomi (remedation) e, infine,
lʼintensificazione del funzionamento delle aree di vita sociale e
relazionale (rehabilitation).
In una revisione sistematica di studi clinici controllati e di studi
naturalisticii fu evidenziato come, mediamente, siano necessarie da 13 a
18 sedute di psicoterapia per ottenere il miglioramento sintomatologico
di almeno il 50% dei pazienti.
15
Il modello della risposta attesa al trattamento (expected treatment
response model; Lutz et al., 2005) consente non solo di formulare una
prognosi del trattamento psicologico, ma anche di rispondere alla
domanda se esso proceda secondo le attese e in modo efficace rispetto
alle stesse o se, invece, sia necessario apportare correzioni (Lambert e
Barley, 2002;).