3
Nonostante le apparenze, l'insediamento delle potenze coloniali è causa di
malessere e di squilibrio in seno alla comunità ebraica. Gli ebrei provano una forte
ammirazione per l’Occidente e tendono a imitare gli europei, i quali, dal canto loro,
cercano di imporsi come modello ai colonizzati, perché questo contribuisce a favorire la
loro politica nel Maghreb. Non permettono comunque che avvenga un'identificazione
totale, perché l’assimilazione del colonizzato metterebbe in discussione i loro privilegi,
anche se illegittimi. Gli ebrei sono inoltre costretti a fare i conti con l'antisemitismo
secolare dei colonizzatori, che trovano in loro un capro espiatorio ideale cui far pagare
eventuali ondate di rivendicazioni messe in atto dai popoli sottomessi
3
. Memmi
racconta in La Statue de sel (1953) come, durante i primi giorni dell'occupazione
tedesca, la Francia abbandonò la comunità ebraica tunisina nelle mani delle truppe
naziste.
L'entusiasmo e l'ammirazione dimostrati dagli ebrei nei confronti dei valori e dei
modi di vita dell'Occidente e la loro quasi ingenua volontà di assimilazione
contribuiscono ulteriormente ad allontanarli dai loro compatrioti arabi.
Si può affermare che gli ebrei, considerati con disprezzo dagli europei
colonizzatori e antisemiti, e rifiutati dagli altri popoli colonizzati, siano stati le vittime
maggiori dell'avventura coloniale nel Maghreb.
All'inizio del XXº secolo si sviluppa in Maghreb una letteratura ebraica
d'espressione francese, che in principio non ha altre ambizioni se non quella di
rappresentare il folclore e le tradizioni del ghetto (Mellah in Marocco e in Algeria e
Hara in Tunisia) e di descriverne la vita e le miserie
4
. Durante tutto il periodo coloniale,
nell’Africa del Nord la minoranza ebrea ha giocato un ruolo importante. L'adozione,
generalmente entusiastica, della lingua, dei valori e dei modi di vita francesi e
soprattutto il processo di acculturazione occidentale l'hanno interessata in modo molto
più profondo e intenso rispetto alla maggioranza arabo-musulmana. Gli ebrei
maghrebini sono sempre stati attratti dalla cultura e dalla civiltà occidentale, che riesce
3
Cfr. op. cit., p. 12.
4
Cfr. op. cit., p. 8.
4
a imporsi persino all’interno della Mellah, diventando il simbolo della modernità; non
hanno mai nascosto la loro ammirazione per i valori della Rivoluzione Francese, la
quale aveva promesso ai loro correligionari francesi il beneficio di godere di tutti i
diritti civili. A questo si aggiunge il desiderio di sottrarsi alla tutela islamica spesso mal
sopportata.
Ma a partire dagli anni Cinquanta in Maghreb si diffonde tra gli intellettuali
l'esigenza di una presa di coscienza politica, parallelamente all'azione svolta dai partiti
nazionalisti. Da qui deriva una letteratura dei colonizzati, che vogliono dimostrare di
essere diversi dal colonizzatore e si rifiutano di imitarlo; si tratta di scrittori che hanno
frequentato la scuola laica francese, i quali cercano di rivalutare il passato dei loro
popoli alla ricerca di un’identità nazionale. Questa iniziativa stimola rapidamente lo
sviluppo di una letteratura di protesta e di lotta, soprattutto in Algeria.
Dopo l’indipendenza ottenuta nel '56 da Tunisia e Marocco e nel ‘62
dall’Algeria, rinascono le letterature di lingua araba, ma le opere pubblicate in lingua
francese sono già conosciute a livello mondiale. Non si tratta più di una letteratura
nazionalista scritta dai colonizzati che lottano per l’indipendenza, quanto piuttosto di
una letteratura che parla del Maghreb servendosi di una lingua europea. La letteratura
francofona non è più il risultato dell’alienazione del colonizzato che deve esprimersi in
una lingua coloniale imposta, ma diventa una libera scelta degli scrittori e degli
intellettuali
5
.
Il francese, considerato esclusivamente come la lingua della tecnica e come
mezzo di comunicazione con il mondo occidentale, si è stabilmente impiantato nel
Mediterraneo orientale a partire dal XIXº secolo. La scelta del francese come lingua di
diffusione della letteratura è stata spesso dolorosa. Nel Portrait du colonisé (1957)
Albert Memmi analizza il «drame linguistique» dello scrittore colonizzato, costretto tra
due lingue che a livello internazionale hanno un riconoscimento diverso e che sceglie la
5
Cfr. Guy Dugas, La littérature judéo-maghrébine d’expression française entre Djéha et Cagayous,
Paris, L’Harmattan, 1990, p. 15.
5
lingua del colonizzatore in luogo di quella lingua materna, nella quale gli verrebbe
spontaneo esprimere i suoi sentimenti, le sue passioni e i suoi sogni:
Le bilinguisme colonial n’est ni une diglossie, où coexistent un idiome populaire et une langue
de puriste, appartenant tous les deux au même univers affectif, ni une simple richesse polyglotte, c’est un
drame linguistique
6
.
Se il francese appare talvolta come la lingua dell'alienazione, resta comunque
anche il mezzo espressivo della lotta per l'identità e, in un certo senso, permette al
colonizzato di analizzare se stesso in maniera critica e costruttiva, proprio perché si
tratta di una lingua che non è quella del suo ambiente affettivo. Esprimendosi in una
lingua straniera, egli può misurarsi con le sue capacità e prendere coscienza di sé.
Benché la lingua francese fosse stata scelta per alcuni programmi scolastici
ancora prima della colonizzazione, in Tunisia la letteratura d’espressione francese si è
sviluppata soltanto all'inizio del XXº secolo. Questa letteratura, che si esprimeva nella
lingua considerata più importante nell'insegnamento, divenne spontaneamente quella
delle comunità minori (degli ebrei, dei maltesi e degli italiani) che convivevano, nella
capitale tunisina, con la comunità maggioritaria d'origine arabo-berbera, di cultura araba
e di religione islamica. Tutte queste comunità avevano come lingua materna o come
lingua di comunicazione corrente l'arabo tunisino, lingua della comunità araba, ma non
conoscevano l'arabo classico
7
.
Tuttavia, con l’eccezione di Albert Memmi, la letteratura francofona della
Tunisia, contrariamente a quella del Marocco e dell'Algeria, non ha prodotto scrittori di
grande importanza prima dell'indipendenza del paese. Paradossalmente ha conosciuto
una grande espansione dagli anni Settanta in poi.
È in questo contesto storico e sociale, a partire dalla Hara di Tunisi sino
all'università francese, che s'inserisce l'itinerario di Albert Memmi. Grazie alle novità
tematiche che introduce, tra cui l'espressione di una problematica specificatamente
6
Albert Memmi, Portrait du colonisé, Paris, Payot, 1973, p. 136.
7
Cfr. A.A.V.V., Littératures francophones du monde arabe, anthologie, Paris, Nathan, 1994, p. 126.
6
ebrea in un paese maghrebino, nel quadro della problematica del Colonizzato, e anche
grazie alla sua capacità di analisi e di scrittura, che gli permette di conquistare un ampio
pubblico al di là dei confini della Tunisia, quella di Memmi è la prima opera ebraico-
maghrebina ad avere una rilevanza mondiale.
Con il suo primo romanzo, La Statue de sel del 1953, scritto in Tunisia e
pubblicato in Francia, Memmi s’impone nel genere del racconto, che prima di lui era
rappresentato soltanto da alcune opere etnografiche e storiche di mediocre levatura, e
regala alla Tunisia il suo primo grande romanzo francofono.
Nella Statue de sel, il cui contenuto è largamente autobiografico, Memmi tratta
le tematiche tradizionali dell'identità individuale e della difficoltà dei rapporti all'interno
e tra le comunità. Il protagonista, Alexandre Mordekhaï Benillouche, ebreo tunisino di
famiglia povera, affronta queste problematiche passando attraverso le tappe tipiche del
romanzo a scopo educativo: scoperta della scuola, della sessualità, della solitudine e
della solidarietà. Sottoposto alla scuola razionale dell'Occidente, rigetta l'Oriente
superstizioso e ingenuo. Poi, disgustato dai calcoli subdoli e dai compromessi
dell'Occidente, non potendo partecipare, in quanto appartenente a una minoranza, al
divenire della nazione alla quale si sente comunque legato, resta imprigionato nelle
proprie contraddizioni, come la statua di sale della Bibbia.
Il mito di Loth è visto dall'autore come la contemplazione di un passato
scomparso, come l'evocazione della realtà e delle figure del ghetto, che egli vuole far
rivivere agli occhi della comunità dispersa.
Gi elementi biografici presenti nella Statue de sel sono riconducibili alla vita
dell'autore: l'infanzia trascorsa nell'Impasse Tarfoune, nella Tunisia coloniale, l'origine
ebraico-berbera, l'adolescenza e gli studi al Liceo Carnot di Tunisi, l'influenza del
professore di francese, Marrou, berbero cristiano nel cui ritratto si può riconoscere lo
scrittore Jean Amrouche. Tuttavia c'è il tentativo da parte dell'autore di mantenere una
certa distanza tra la sua vita e l'opera, attraverso l'inserimento nel romanzo di un
protagonista che vive le sue stesse esperienze.
7
Tahar Bekri ritiene che tale distanza apparente sia utilizzata dall'autore per riuscire
meglio a guardare se stesso, che sia un mezzo per dire delle «vérités insupportables»,
per parlare del mondo e della sua violenza, dei suoi antagonismi, delle sue oppressioni e
dei suoi razzismi
8
.
Il distacco creato attraverso l’inserimento del protagonista risponde anche alla
volontà dell'autore di dimostrare che la realtà riportata in un'opera non è soltanto quella
dell'esperienza diretta, ma è anche il risultato di un lavoro di elaborazione e di stile.
Anche il protagonista è uno scrittore, ed è la letteratura stessa che gli permette di
sopportare l'insostenibile realtà dell'universo a cui appartiene e allo stesso tempo di
sentirsi sollevato dal peso del mondo. L'atto della scrittura è la felicità provata dal
giovane liceale, che scopre una «extraordinaire jouissance de maîtriser toute existence
en la recréant»
9
. Ma è proprio attraverso la scrittura e scoprendo questa felicità che egli
si allontana dalla vita:
Certes ce pouvoir me fut aussi funeste que sauveur: à décrire les êtres, ils me devenaient
extérieurs, à contempler le monde je n’en faisais plus partie. Et comme on ne vit pas au spectacle, je ne
vivais plus, j’écrivais
10
.
Il dramma interiore del protagonista è già contenuto nel nome, Alexandre
Mordekhaï Benillouche, che raccoglie in sé la sua triplice identità, così come quella
dell'autore. Alexandre rappresenta la dimensione occidentale, Mordekhaï indica
l'appartenenza alla cultura ebraica, mentre Benillouche, "figlio dell'agnello" in patois,
manifesta l'origine arabo-berbera. Egli è prigioniero del suo nome, punto di
congiunzione di queste tre culture che si escludono a vicenda. Sente di non appartenere
completamente a nessuno dei tre mondi, che lo rifiutano proprio perché egli li rifiuta: è
africano, ma di cultura francese; è tunisino, ma ebreo e quindi escluso dalla vita politica
e sociale; parla il dialetto del suo paese, ma con un accento particolare, diverso da
8
Cfr.Tahar Bekri, «Une lecture de La Statue de sel», in Jeanyves Guérin, Albert Memmi écrivain et
sociologue, Paris, L’Harmattan, 1990, pp. 25-30.
9
Albert Memmi, La Statue de sel, Paris, Gallimard «Folio», 1966, p. 123.
10
Op. cit., p. 123.
8
quello dei musulmani; è ebreo, ma si è allontanato dalla tradizione ebraica e dal ghetto
per scegliere una formazione occidentale; è attratto dall'Occidente, a tal punto che
finisce per disprezzare i suoi per la loro ingenuità e la loro barbarie, ma sente di
appartenere a quell'universo:
Toujours je me retrouverai Alexandre Mordekhaï Benillouche, indigène dans un pays de
colonisation, juif dans un univers antisémite, Africain dans un monde où triomphe l’Europe
11
.
Durante la guerra è deluso dalla Francia, poiché, quando si offre di combattere come
volontario per questa nazione, gli viene imposto di modificare il suo nome perché
tradisce la sua origine ebraica.
La Statue de sel è servita a Memmi per fare un primo bilancio della sua vita e
nello stesso tempo per interrogarsi sulla sua identità.
Il secondo romanzo, Agar, del 1955, tratta del matrimonio misto, e può essere
considerato come una continuazione de La Statue de sel, intesa come il tentativo di
rimediare allo struggimento interiore per mezzo del matrimonio con una persona
appartenente a un'altra cultura. Ma se l’unione mista può essere vista come il simbolo
del superamento delle barriere culturali, è anche vero che essa rappresenta e riassume in
sé il conflitto. Nella vita quotidiana infatti lo scontro è inevitabile, come lo dimostrano i
due protagonisti del romanzo; perché il matrimonio riesca, occorre essere abbastanza
forti per superare gli ostacoli legati alle differenze che si presentano in ogni momento.
Marie e il marito non sono evidentemente abbastanza forti, o forse non sono abbastanza
aperti e generosi da venirsi incontro e tendono addirittura ad attribuire la loro incapacità
di amarsi al fatto di appartenere a due culture diverse. Ma per Memmi il fallimento non
è inevitabile, perché ha fiducia nella coppia; la storia di Agar fa capire come non
andrebbe affrontato il matrimonio misto e dimostra quante siano le difficoltà da
superare per poter riuscire.
11
Op. cit., p. 109.
9
È un romanzo di grande attualità, che sembra essere più moderno ai giorni nostri
rispetto all’epoca in cui fu pubblicato, e fornisce un esempio dei problemi che
comunemente le coppie miste devono affrontare.
Del 1969 è Le Scorpion ou la confession imaginaire, dove lo scorpione, del
quale si dice che si suicidi quando si sente in pericolo, è il simbolo dell'ebreo che,
secondo Memmi, ha per natura la tendenza ad autodistruggersi: «La nature diabolique
du Juif, comme celle du scorpion, le ferait agir contre lui-même»
12
. Ma l'animale
simbolizza anche la rinascita, l'autorigenerazione e la lotta contro i sistemi rigidi e
opprimenti.
La voce dominante nel romanzo è Marcel, un oftalmologo, che si vede conferire
l'incarico di mettere in ordine il cassetto in cui il fratello Emilio, scrittore, ha gettato alla
rinfusa una quantità indefinita di fogli scritti. Marcel riordina i racconti e li riporta così
come li ha scritti il fratello e poi scrive il proprio commento. Il testo che ne risulta è
frammentario, e ogni momento della sequenza narrativa è intercambiabile con tutti gli
altri. Il risultato è una struttura in continuo movimento, che può cominciare e finire in
qualsiasi pagina.
Nel testo esistono varie strutture, individuabili attraverso i diversi caratteri
tipografici, che sono legati al progetto della scrittura colorata che l'autore non ha potuto
realizzare pienamente per ragioni tecniche ed editoriali. La scrittura tradizionale non
permette sempre di esprimere una realtà dinamica e multiforme. Secondo Memmi la
verità non è una sola, per questo propone di usare diversi colori a seconda del tipo di
realtà che si vuole esprimere; così alla descrizione della realtà associa il nero, alla
fantasia il blu, al desiderio il verde, ecc. Il lettore non può certamente restare passivo:
sollecitato continuamente dalla scelta del colore della scrittura e dalle differenze
tipografiche, egli prova la strana sensazione di partecipare alla composizione pittorica
di un libro in cui il linguaggio, invece di offrire il consueto piacere dell'evasione,
diviene il luogo dell'interrogazione costruttiva.
12
Albert Memmi, Portrait d’un Juif, Paris, Gallimard, 1979, p. 249.
10
I disegni e le illustrazioni hanno lo scopo di stabilire, alla stessa stregua di
metafore o immagini poetiche, delle corrispondenze e dei rapporti sottili, oppure di
suggerire stati d'animo interiori.
Le Scorpion è un testo plurale, poiché è formato da una varietà di micro-racconti
che s'intrecciano e si compenetrano, rompendo così la linearità e l'omogeneità tipiche di
qualsiasi racconto tradizionale.
Le Désert, del 1977, è un romanzo storico ambientato nel XIVº secolo nel
deserto nordafricano. Narra la vita e le avventure di Joubaïr Ouali El-Mammi, un
antenato dell'autore. La storia sembra basarsi sull'autenticità dei fatti narrati, come
dimostrano l'introduzione e la conclusione, in cui sono riportate le notizie fornite dagli
storici sul personaggio e sugli avvenimenti dell'epoca. L'autore inserisce all'inizio del
libro una cartina dettagliata della regione in cui si muove il protagonista, particolare che
contribuisce ad ancorare maggiormente il testo alla realtà.
Nel romanzo si assiste al racconto della nascita, della decadenza e della
successiva rinascita di vari regni arabo-berberi. Questi regni si ripetono continuamente,
le loro storie sono simili, per il fatto che al loro interno il potere politico resta immutato
nel tempo; un regno subisce l'invasione di un altro, che a sua volta verrà sconfitto da un
terzo. Nessuno dei regni si rinnova, perché la situazione si ripete continuamente. La
ripetizione concerne non soltanto i regni e le avventure, ma anche le identità dei popoli
e degli individui che occupano questi spazi desertici, nonostante essi siano ossessionati
dalla differenza:
C’est ainsi que les Castillans se croyaient de purs Castillans, alors qu’ils descendaient des
envahisseurs maures. Les assassins de Bologuine se crurent de farouches Tunisiens alors qu’ils étaient
des conquérants bougiotes, longtemps implacables ennemis de Tunis. Et, sans doute, les uns étaient-ils
devenus des Castillans et les autres des Tunisiens, et non des Maures et des Bougiotes, puisqu’ils se
croyaient tels. Mais juste Dieu, faut-il se réclamer si fort d’une nation, d’un ciel et d’une religion et, en
leurs noms, s’égorger les uns les autres, alors que personne n’est sûr des ses ancêtres? Et que parmi les
égorgés, se trouvent peut-être des frères et des cousins?
13
13
Albert Memmi, Le Désert, Paris, Gallimard «Folio», 1977, p. 178.
11
Si può dedurre che la storia dell'antenato di Memmi sia una storia qualunque, e
la storia dei regni potrebbe essere quella di qualsiasi regno del Maghreb. Allora sembra
inutile che l’autore cerchi di dimostrare la reale esistenza dell'antenato, poiché il passato
dei Memmi coincide con il passato di qualsiasi altra tribù maghrebina, soprattutto se si
tiene conto delle mescolanze e dell'interpenetrazione storica tra i vari gruppi. Qual è lo
scopo di questa ricerca della verità in uno spazio così ampio come il deserto, in cui tutto
si confonde e si ripete? La vera ricerca è quella dell'"io", ma non di un "io" individuale,
quanto piuttosto di un'identità comune a tutti i gruppi vittime di una volontà di
annientamento, come l'autore dimostrerà nei saggi su razzismo e dipendenza.
Le tematiche dell'introspezione e della retrospezione ritornano nell'ultimo
romanzo, Le Pharaon, del 1988, dove ancora una volta il problema dell'identità
individuale posto da La Statue de sel viene trasferito sul piano della Storia: qui si
racconta il raggiungimento dell'indipendenza da parte della Tunisia, che è in cerca di
un'identità nazionale. Nell'ultimo romanzo ritroviamo anche Alexandre Mordekhaï
Benillouche, che si ritrova ad essere «le seul écrivain convenable du pays»
14
ed è
divenuto sionista.
Un elemento presente in tutti i romanzi è il deserto, che sembra coincidere con
lo spazio della narrazione, spesso legato ai riferimenti biblici: nella Statue de sel c'è
un’allusione all'episodio biblico di Sodoma e Gomorra e alla trasformazione della
moglie di Loth in statua di sale; in Agar c'è il richiamo al personaggio biblico, la
schiava che fu esiliata col figlio nel deserto. Lo scorpione, nell'omonimo romanzo, è
una tipica creatura del deserto, e Le Désert è addirittura il titolo di un’opera. Il racconto,
come il deserto, resta inesauribile e si ripete all’infinito.
Un'altra caratteristica comune ai romanzi è data dagli elementi biografici, che
non fanno però delle opere di Memmi delle vere e proprie autobiografie, poiché, come
Memmi stesso afferma, nei romanzi ci sono sempre componenti non reali,
l’immaginazione è fondamentale nelle opere di narrativa
15
.
14
Albert Memmi, Le Pharaon, Paris, Julliard, 1988, pp. 57-58.
15
Cfr. Jeanyves Guérin, Albert Memmi écrivain et sociologue, Paris, L’Harmattan, 1990, p. 163.
12
Nonostante abbia ottenuto la popolarità con i romanzi, Albert Memmi si è
interessato sin dall'inizio alle problematiche sociali che l'hanno riguardato in prima
persona, quali la colonizzazione, la dipendenza e il razzismo. Dai suoi studi, dalle sue
analisi, sono nati altrettanti saggi che sono oggi di notevole interesse sociologico.
Questi saggi interessano in linea generale un tipo di pubblico diverso rispetto a quello
dei romanzi, senza tuttavia rientrare strettamente nel genere della letteratura
specialistica. Il loro carattere dialettico, la chiarezza e la precisione con cui sono
espressi i concetti, li hanno resi accessibili anche a un pubblico popolare.
Il Portrait du colonisé précédé du Portrait du colonisateur forma, con il saggio
di Frantz Fanon Peau noire, masques blancs e con il famoso Discours sur le
colonialisme di Aimé Césaire, l'insieme delle opere di riferimento della gioventù
studentesca d'oltre-mare, assetata di libertà e di crescita.
A differenza degli altri due scrittori, che incitano i giovani intellettuali ad
affrontare con un atteggiamento di lotta il problema coloniale, Memmi propone loro
un'altra strategia: la lotta nasce silenziosamente dai fatti stessi, senza bisogno di
sprecare inutilmente energia per farsi sentire. Anch’egli è una vittima dello stesso
sistema, ma non grida la sua ribellione, affronta anzi la situazione con serenità. Più che
di serenità, si tratta veramente di oggettività, che gli permette di osservare meglio la
realtà. In questo modo Memmi descrive senza mezzi termini il male che affligge la
società coloniale, male che sta innanzitutto nei due elementi che la compongono, il
colonizzatore e il colonizzato. Il primo, che si ritiene un apostolo del progresso e della
civiltà, nei comportamenti quotidiani cerca di mantenere il colonizzato nell'ignoranza e
nella povertà, per poter continuare a godere dei suoi privilegi, privandolo anche dei
diritti fondamentali. Il secondo, che si sforza d'imitare il colonizzatore, il quale gli
s'impone come modello, finisce per disprezzare se stesso e i suoi, e per sentirsi
spontaneamente inferiore e non meritevole di una migliore posizione sociale.
13
Il sistema coloniale è a circolo chiuso: è negativo per le vittime, ma anche per gli stessi
colonizzatori, che nella pratica fanno ciò che in teoria condannano, e sono consapevoli
che i loro privilegi non sono legittimi; per giustificare la loro presunta superiorità,
cercano di dimostrare che i colonizzati sono destinati per natura a non godere dei loro
stessi diritti.
Memmi è convinto, e la storia delle colonie nell'Africa del Nord gli ha dato
ragione, che questo sistema sia destinato a crollare e porti necessariamente alla
ribellione dei popoli sottomessi e all'indipendenza delle loro nazioni.
È superfluo sottolineare che questo saggio, per la tematica trattata con una
lingua semplice ma precisa, e quindi accessibile a tutti, ha riscosso un grande successo,
e durante la guerra d'Algeria è divenuto il simbolo della rivolta nazionalista.
Nel Portrait d'un Juif, del 1962, Memmi introduce il concetto di "differenza".
Le differenze esistono e sono innegabili; esse possono anche essere costruttive, se
considerate come un fattore positivo che stimola ad interrogarsi e a mettersi in
discussione. L'apprendimento della differenza non può avvenire all'interno della propria
comunità o del proprio gruppo, ma soltanto attraverso il contatto con gli altri.
Anche per scrivere questo saggio, Memmi parte dalla sua esperienza personale,
proponendosi come esempio della condizione ebrea (poiché si tratta proprio di una
condizione, come quella del colonizzato, del negro e della donna). Giunge a offrire una
distinzione tra "judaïcité", "judaïsme" e "judéité". La "judaïcité" è l'insieme degli ebrei
che vivono nel mondo, oppure in un determinato spazio geografico; "judaïsme" è
l'insieme delle dottrine, delle credenze e delle istituzioni ebraiche, e la "judéité" indica il
fatto e la maniera di essere ebreo. Questa terminologia ha costituito un apporto
fondamentale allo studio della condizione ebrea contemporanea.
Gran parte del libro è consacrata a una riflessione sull'identità e sulla condizione
ebrea, mentre nella seconda parte vi è una netta presa di posizione a favore della
costituzione di uno stato d'Israele come unica via d'uscita per gli ebrei alla loro
14
condizione di oppressi, idea che viene sviluppata nel successivo saggio intitolato La
Libération du Juif, del 1966.
In questo saggio Memmi giunge alla conclusione che la condizione primaria
della liberazione dell'oppresso è che egli prenda coscienza della propria situazione e
sviluppi la volontà di prendere in mano il proprio destino. Nel caso specifico del popolo
ebreo, l'unico modo per ottenere definitivamente la libertà, di recuperare il passato e di
formare un unico popolo unito sarebbe quello di costituire una nazione ebraica:
Comme pour les colonisés, mais dans des conditions plus difficiles, car le colonisé vit sur sa
terre alors que le peuple juif est encore dispersé dans le monde, pour le Juif la libération de l’oppression
passe d’abord par la libération nationale. Israël est la seule issue authentique de la libération du Juif qui,
même s’il n’a pas rejoint l’État d’Israël, doit oeuvrer à la réussite de ce rêve devenu réalité
16
.
L'analisi della condizione degli oppressi prosegue nel saggio intitolato L'Homme
dominé, del 1968, in cui l'autore fa una sorta d'inventario (tutt'altro che sintetico) delle
categorie di uomini dominati: i negri, i colonizzati, gli ebrei, i proletari, le donne, i
domestici.
Tutte le forme di dominio hanno in comune alcuni elementi e alcuni
meccanismi; una caratteristica fondamentale di tutti i fenomeni di oppressione è
l'esistenza di una coppia, «le duo», ossia il dominatore e il dominato. Essi sono legati
l'uno all'altro da rapporti estremamente ambigui; l'oppresso odia il suo oppressore, ma
prova anche il desiderio di essere simile a lui; il dominatore disprezza il dominato, dal
quale però dipende l'esistenza dei suoi privilegi. Una volta individuati gli elementi
comuni a tutti i sistemi di oppressione, occorre analizzare le caratteristiche specifiche di
ogni singola situazione per poterne individuare la soluzione.
Nel 1974 Memmi pubblica, con il titolo di Juifs et Arabes, alcuni studi relativi ai
rapporti tra arabi ed ebrei e all'esistenza dello stato d'Israele.
16
Albert Memmi, La Libération du Juif, Paris, Gallimard, 1966, p. 243.
15
Durante un soggiorno in Israele nel '63 l'autore aveva avuto modo di studiare a fondo la
comunità sefardita
17
, che conviveva in netta minoranza con quella araba.
Nel 1979 esce il saggio La Dépendance, nel quale Memmi dimostra che la
specie umana in sé si definisce in termini di dipendenza. Qualsiasi tipo di dipendenza è
una costrizione, ma nella maggior parte dei casi essa è accettata dall'uomo, poiché il
dipendente trova di solito dei benefici nel subirla.
Come gli altri rapporti analizzati, anche quello di dipendenza presuppone
l'esistenza di un "duo", ossia dipendente e fornitore (che può essere reale o ideale,
oggettivamente presente oppure costruito dalla mente del dipendente), ma in questo
caso interviene anche un terzo elemento, l'oggetto del desiderio. Quindi, se il rapporto
di dominio era basato sulla nozione di privilegio, quello di dipendenza si basa invece
sui concetti di bisogno e piacere.
L'ultimo saggio, del 1982, s'intitola Le Racisme e può essere considerato il
coronamento dei saggi sul dominio. Qui l'autore preferisce proporre dapprima una
definizione globale, per commentarla in seguito facendo riferimento a esempi reali. La
definizione di razzismo che presenta nel libro è stata adottata dall'Encyclopaedia
Universalis:
Le racisme est la valorisation, généralisée et définitive, de différences, réelles ou imaginaires, au
profit de l’accusateur et au détriment de sa victime, afin de justifier ses privilèges ou son agression
18
.
Accanto al concetto di razzismo, che si basa soprattutto sulle differenze
biologiche, Memmi inserisce quello di eterofobia, considerata come la paura dell'altro,
del diverso. È a partire dall'eterofobia che si costruisce una teoria di esclusione
dell'altro, e quindi il razzismo vero e proprio.
Essendo l'aggressività insita nella natura dell'uomo (Memmi afferma: «l’homme
est un animal dangereux et agressif»), l’unica soluzione possibile al razzismo è
17
I sefarditi sono gli ebrei che vivono in Oriente, in opposizione agli ashkenaziti, originari dell’est
europeo.
18
Albert Memmi, Le Racisme, Paris, Gallimard «Folio», 1982, p. 158.
16
prenderne coscienza e condurre una lotta basata su una continua educazione dell’uomo,
dall’infanzia sino alla morte, agendo contemporaneamente sulla collettività.
Tra le interviste che Memmi ha concesso, quella pubblicata nel 1975 con il titolo
di La Terre intérieure è senz’altro la più rilevante, poiché l’autore mostra gli stretti
legami che corrono tra la sua vita e l’opera, esprimendo anche la sua concezione del
mestiere di scrittore e le sue idee sulla scrittura colorata.
Memmi è senz’altro il romanziere maghrebino più popolare oggi, ma
generalmente si ignora che sia anche un poeta. La sua poesia, molto personale e
raccolta, è sempre profondamente ispirata alla vita ebrea, al folclore, alle festività
ebraiche, alle amicizie perdute e ai ricordi d’infanzia. I suoi versi, raccolti sotto il titolo
di Le Mirliton du ciel, hanno ritmi svariati, e sono d’una profonda tristezza quando
alludono all’esilio del popolo ebreo, oppure sono gioiosi quando evocano tradizioni e
ricordi.
In un testo dell’antologia Le Rose del deserto, pubblicata in Italia, Memmi
afferma che un vero scrittore prima o poi si lascia tentare dalla poesia, poiché «l’acte
poétique est l’acte littéraire réduit à l’essentiel»
19
, quindi l’atto letterario per eccellenza.
Albert Memmi (Memmi in lingua berbera significa "piccolo uomo") è stato il primo
scrittore maghrebino ad essere conosciuto in tutto il mondo, e può essere considerato il
precursore della letteratura tunisina d'espressione francese. Nonostante alcuni critici, tra
cui Isaac Yétiv, considerino l'opera di Memmi come marginale rispetto alla letteratura
maghrebina a causa delle scelte di vita e ideologiche dell'autore
20
, essa in realtà
s'inserisce pienamente nella tradizione letteraria ebraico-tunisina. Memmi decide di
andare a vivere a Parigi, ma i soggetti e i temi che tratta nei romanzi e nei saggi restano
sempre legati al mondo ebraico, alla Comunità, e la sua attività di scrittore troverà
19
Albert Memmi, «L’acte poétique», in Le Rose del deserto, saggi e testimonianze di poesia maghrebina
contemporanea d’espressione francese, Padova, Patron Editore, 1978.
20
Cfr. Isaac Yétiv, Le thème de l’aliénation dans le roman maghrébin d’expression française (1952-
1956), Québec, Canada, Sherbrooke, CELEF, 1972, p. 148.