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Introduzione
In questa trattazione ci si prefigge di osservare le modalità con cui viene
trasposto interlinguisticamente l’umorismo veicolato sia da fattori linguistici che
culturali nell’adattamento per il doppiaggio di una serie televisiva di genere comedy.
A questo scopo è stata scelta come case study la sit-com statunitense Seinfeld, il cui
particolare umorismo, basato sia sull’uso di riferimenti culturali che di fantasiose
manipolazioni linguistiche, ha fatto sì che questa serie si creasse una solida fan base
al momento della prima messa in onda negli anni Novanta del secolo scorso, ma
soprattutto con il tempo assurgesse in patria a vero e proprio fenomeno mediatico.
Un successo che però ha stentato a replicarsi al di fuori degli Stati Uniti, dove è per
lo più caduta presto nel dimenticatoio. Tra gli intenti di questa trattazione rientra
dunque anche quello di gettare uno sguardo più approfondito ai motivi di questo
insuccesso.
Prima di inoltrarsi nella disquisizione, è necessario precisare che il materiale
indagato non comprende tutte e nove le stagioni di cui si compone originariamente
Seinfeld: data la notevole quantità di materiale da indagare, per circoscrivere il
campo d’indagine si è deciso di limitarsi a prendere in considerazione le prime sei,
ritenendo che permettessero di raccogliere una quantità di dati più che sufficiente per
offrire il quadro dei maggiori elementi di interesse traduttologico dei dialoghi
originali e per individuare le tendenze prevalenti nelle scelte degli adattatori. Gli
episodi, sia in lingua originale che in versione doppiata, sono stati reperiti e visionati
attraverso la piattaforma streaming Amazon Prime Video
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ed è a quelle versioni che
faranno riferimento i minutaggi indicati in concomitanza con gli estratti riportati.
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Disponibile online all’URL
https://www.primevideo.com/detail/0TVLMR2QYSI7PGPEVQW3KOO4TR/ref=atv_dp
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Strutturalmente, la trattazione si articola in tre capitoli. Il primo provvede a
offrire una panoramica teorica sulle peculiarità della traduzione audiovisiva,
osservando nello specifico il processo di traduzione per il doppiaggio, selezionata per
questa indagine. Si esamineranno perciò i principali vincoli traduttivi che
differenziano tale processo dalle altre modalità di traduzione, e che rivestono un
ruolo di primaria importanza in fase di adattamento dei prodotti audiovisivi,
utilizzando come riferimento i contributi di alcuni studiosi che si sono
estensivamente dedicati allo studio di questa particolare branca della traduzione. Si
definiranno inoltre le caratteristiche salienti del genere sit-com che devono essere
tenute in considerazione in fase di adattamento, con particolare attenzione alla
priorità che la funzione umoristica riveste all’interno di questa tipologia di prodotto
audiovisivo. Il capitolo si concluderà con un paragrafo dedicato a Seinfeld, in cui si
presenterà brevemente la sit-com e ci si soffermerà in particolare sulle modalità con
cui il suo umorismo viene veicolato. Il secondo capitolo è invece dedicato alla
gestione di riferimenti e allusioni culturali, di cui la serie fa ampio utilizzo: verrà
dapprima offerta una panoramica teorica sulla natura e le difficoltà di trasposizione
interlinguistica degli elementi culturospecifici con particolare riferimento al contesto
multisemiotico del prodotto audiovisivo, per poi passare in rassegna le strategie di
traduzione effettivamente riscontrate nel materiale indagato, vagliandole alla luce
della tassonomia proposta dallo studioso svedese Jan Pedersen. Nell’ultimo capitolo
si prenderà infine in esame l’umorismo veicolato tramite le parole, osservando in
particolare come gli adattatori si sono comportati per gestire la frequente creazione di
neologismi a scopo umoristico e poi più in generale il verbally expressed humor,
ossia battute, arguzie e giochi di parole che spesso e volentieri rappresentano un
importante ostacolo in fase di adattamento.
Nel corso della trattazione si evidenzierà come i vincoli dovuti alla natura del
testo audiovisivo da un lato e la distanza sia linguistica che culturale tra pubblico
originale e pubblico target possano influenzare anche profondamente le scelte
traduttive attuate dagli adattatori, i quali, come si avrà modo di osservare, si sono
trovati sovente di fronte a situazioni che richiedevano non solo perizia ma anche una
buona dose di creatività.
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Capitolo 1. La traduzione audiovisiva e la sit-com
1.1. L’AVT: definizione e tratti salienti
Secondo la definizione formulata da Elisa Perego, con traduzione audiovisiva
si fa riferimento a “tutte le modalità di trasferimento linguistico che si propongono di
tradurre i dialoghi originali di prodotti audiovisivi […] al fine di renderli accessibili a
un pubblico più ampio”.
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Per testi audiovisivi si intende, sempre citando Perego, prodotti che
“comunicano simultaneamente attraverso il canale acustico e quello visivo”
3
e che
vengono per questo anche chiamati dagli studiosi del campo testi polisemiotici in
quanto sfruttano più di un canale di comunicazione per la trasmissione dei loro
messaggi.
4
Essendo questi caratterizzati da multimodalità, la comunicazione verbale
interagisce con i suoni e con le immagini, e quindi un testo audiovisivo rappresenta
“una tipologia testuale a sé stante, la cui globalità è generata da diverse componenti
semiotiche”.
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Nella traduzione audiovisiva la componente linguistica è dunque solo
uno degli elementi da dover prendere in considerazione durante il processo traduttivo
(oltre che l’unico su cui effettivamente si interviene), poiché è la stretta interazione
tra le varie componenti semiotiche a trasmettere il messaggio globale.
Quella dell’AVT è una delle branche di più recente sviluppo dei cosiddetti
Translation Studies (TS), oggetto di un interesse che negli ultimi decenni ha visto
una crescita esponenziale da parte del mondo accademico e non solo, anche grazie
alla continua e rapidissima evoluzione dello sviluppo tecnologico. Data la subitaneità
di questo interesse si è registrata, soprattutto inizialmente, una certa instabilità nelle
etichette che designavano questa disciplina. Come ricostruisce Perego, nei primi
studi a riguardo si tendeva a riferirsi a questo tipo di traduzione utilizzando
2
E. Perego, La traduzione audiovisiva, Roma, Carocci, 2005, p. 7
3
Ibidem
4
H. Gottlieb, Texts, Translation and Subtitling - in Theory, and in Denmark, in H. Holmboe and S.
Isager (a cura di), Translators and Translations, Aarhus Universitetsforlag, Aarhus (Danimarca),
2001, p. 149
5
E. Perego, La traduzione audiovisiva, cit., p.8
4
l’etichetta di “traduzione filmica” (film translation) e “traduzione per lo schermo”
(screen translation). Il problema nell’utilizzo di questi termini, osserva la studiosa,
risiede nel fatto che entrambi pongono l’attenzione solo su uno degli aspetti di questa
complessa pratica traduttiva: parlare di “traduzione per lo schermo” significa infatti
evidenziare unicamente il mezzo di distribuzione del prodotto audiovisivo, mentre
con il termine “traduzione filmica” si enfatizza esclusivamente la natura del prodotto
che viene veicolato tramite la traduzione.
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In tempi più recenti è stato perciò
introdotto il termine, oggi largamente prevalente, “traduzione audiovisiva”
(audiovisual translation, spesso abbreviato con l’acronimo inglese AVT), che ha il
vantaggio di risultare esauriente e onnicomprensivo, in quanto, comportandosi da
termine “ombrello”, evidenzia la natura multisemiotica che contraddistingue questi
prodotti e allo stesso tempo include al suo interno sia il significato di “traduzione
multimodale” che quello di “traduzione per lo schermo”.
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Oggi la traduzione audiovisiva ha guadagnato una certa autonomia, ed è
riconosciuta come branca dei TS al pari di tutte le altre forme di traduzione; ma il
cammino che ha portato a questo riconoscimento non è stato sicuramente privo di
ostacoli. L’esitazione da parte del mondo accademico nel riconoscere la traduzione
audiovisiva come meritevole della stessa dignità di tutte le altre pratiche traduttive
era principalmente dovuta al confronto con altre forme di traduzione, spesso ritenute
più prestigiose. Gli studiosi del campo sottolineano inoltre, come fin dai suoi esordi
la traduzione audiovisiva abbia riscontrato non poche difficoltà nel trovare un suo
posto all’interno della teoria della traduzione, a causa di un’impostazione che
Mariacristina Petillo definisce “a-teoretica”, e che ha a lungo caratterizzato molti
degli studi a riguardo.
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Le specifiche criticità che distinguono l’AVT dalle altre
forme di traduzione, per esempio la necessità di assicurare la sincronia tra ciò che si
vede e ciò che si sente, possono infatti influenzare a tal punto la traduzione del testo
originale che il passaggio dalla lingua di partenza a quella di arrivo può portare,
come si avrà modo di apprezzare nel prosieguo di questa trattazione, “a espedienti di
6
Ibidem
7
Ibidem
8
M. Petillo, La traduzione audiovisiva nel terzo millennio, Milano, FrancoAngeli, 2012, p. 9
5
adattamento e riscrittura testuale imprevedibili”, che possono dunque rendere
difficoltosa un’analisi scientifica del processo traduttivo.
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Come già detto, comunque, nonostante queste difficoltà di natura teorica, la
traduzione audiovisiva ha col tempo conquistato un suo posto stabile nei TS, e si può
dire a buon diritto: citando Perego, si può infatti affermare che “essa non si discosta
in modo netto da altri tipi più tradizionali di traduzione in quanto rappresenta un
processo di trasformazione di un testo in un altro testo”.
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Inoltre, la presenza dei
particolari vincoli traduttivi che differenziano l’AVT dalle altre forme di traduzione
non la rendono meno meritevole di essere inclusa nei TS, in quanto, come
sostengono diversi studiosi del campo, la caratteristica di essere una traduzione
vincolata (constrained translation) non è da attribuirsi esclusivamente a quella
audiovisiva, dato che ciò significherebbe ritenere che tutte le altre forme di
traduzione siano libere da qualsiasi vincolo. In merito dice lo studioso Patrick
Zabalbeascoa, facendo riferimento in particolar modo al doppiaggio, “dubbing is not
necessarily more constrained than any other form of translation. It is rather that
different forms of translation are constrained in different ways by different factors”.
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1.2. Il doppiaggio
Il doppiaggio rappresenta, insieme alla sottotitolazione, la modalità di
traduzione audiovisiva più utilizzata per l’adattamento dei dialoghi filmici. Essa
avviene sempre tramite il canale orale, ovvero eliminando il parlato e la colonna
sonora dell’originale per sostituirli con quelli della lingua d’arrivo.
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Per citare la
studiosa Rosa Maria Bollettieri Bosinelli, il doppiaggio può essere quindi definito
come una “traduzione totale”, in quanto, sostituendo la colonna originale con quella
9
E. Perego, La traduzione audiovisiva, cit., p. 12
10
Ibidem
11
P. Zabalbeascoa, Dubbing and the nonverbal dimension of translation, in F. Poyatos (a cura di),
Nonverbal communication and translation. New perspectives and challenges in literature,
interpretation and the media, Amsterdam/Philadelphia, John Benjamins Publishing, 1997, p. 330; “il
doppiaggio non è necessariamente più vincolato di altre forme di traduzione. Piuttosto, sono le diverse
forme di traduzione ad essere vincolate in modi diversi da diversi fattori.” [traduzione mia; da qui
innanzi, se non altrimenti specificato, le traduzioni offerte in nota saranno da intendersi come mie]
12
M. Petillo, La traduzione audiovisiva nel terzo millennio, cit., p. 53