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RESUMEN
Desde hace algunos años, los estudios sobre la traducción audiovisual se
han multiplicado, se trata de una modalidad de traducción absolutamente
necesaria para poder exportar los productos audiovisuales al resto del mundo.
Al mismo tiempo se trata de una modalidad de traducción muy compleja, por
un lado, debido a la inmensa variedad de géneros que engloba, de hecho, para
su estudio es necesario recurrir a la teoría de la traducción; por otro lado,
tratándose de un producto audio-visual, deben considerarse las restricciones a
las que tiene que adaptarse el traductor en el proceso de adaptación, puesto que
se trata de un tipo de traducción subordinada, ya que las imagenes están
vinculadas a los diálogos.
El objetivo principal de este trabajo es el de ofrecer un estudio de investigación
sobre el mundo de la traducción audiovisual. Dicho estudio se ocupará de
distintos aspectos tales como el desarollo de la disciplina, la investigación de
las principales modalidades de traducción audiovisual y, especialmente, se
analizarán cuestiones profesionales desde una perspectiva económica y
judicial, con respecto a la profesión tanto del traductor, como del guionista, es
decir el traductor expresamente encargado de la adaptación del guión original
en la cultura de destino, para demostrar si los traductores tienen derecho de
autor. En conclusión, a partir de la evidencia del doblaje como método de
transferencia lingüística audiovisual, se detectarán los rasgos característicos del
lenguaje del doblaje, a través de un análisis contrastivo entre los guiones
originales de la serie para televisión “CSI: Crime Scene Investigation” y los
adaptados por el guionista Gian Pietro Tomasini, al fin de identificar los
problemas de traducción más comunes y las estrategias utilizadas para
superarlos.
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INTRODUZIONE
Il presente lavoro nasce da un interesse personale per la traduzione, in
particolar modo per la traduzione delle sceneggiature cinematografiche, e si
propone principalmente di dimostrare ai principali denigratori della traduzione
che si tratta di un’attività necessaria in ogni ambito delle attività umane, senza
la quale sarebbe impossibile permettere la circolazione di idee ed opere
d’ingegno. Tale analisi muove dalla consapevolezza che la comunicazione
umana è continuamente sottoposta a vincoli e barriere linguistico-culturali, che
è stato possibile sormontare grazie a traduttori scrupolosi e zelanti, i quali
hanno reso possibile i contatti tra culture diverse.
L’avvento delle nuove tecnologie ed il proliferare dei mass media hanno
favorito il moltiplicarsi di nuove figure di traduttori professionisti e
specializzati, nello specifico, sarà presa in esame la figura del dialoghista,
ovvero colui che ‘traspone’ i dialoghi dei prodotti audiovisivi in un’altra
cultura. Si tratta di una figura del tutto peculiare, sconosciuta a molti, e diffusa
principalmente nelle cosiddette dubbing countries (paesi doppiatori). È
necessario precisare qui che il lavoro del dialoghista è solo il primo e
fondamentale anello di una lunga catena di montaggio che porterà alla
versione doppiata di un prodotto audiovisivo.
Il doppiaggio nasce in realtà per esigenze e necessità commerciali, al fine di
favorire la circolazione di opere cinematografiche al di fuori dei confini della
lingua in cui sono stati prodotti, dando vita ad una prassi che si è affermata
come veicolo della diffusione cinematografica globale, non solo, è uno dei
maggiori veicoli di cultura ed è stato un potente strumento che ha permesso il
mutamento e l’unificazione linguistica nazionale. Si tratta di una questione
estremamente complessa, che racchiude in sé una moltitudine di variabili.
L’intento principale non è tanto quello di descrivere il doppiaggio dal punto di
vista della performance dei doppiatori e delle loro abilità recitative,
ineccepibili sotto ogni punto di vista, quanto quello di analizzarlo da un punto
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di vista traduttologico, al fine di mettere in luce quali differenze emergono
nelle traduzioni delle sceneggiature, che solamente in un secondo momento
verranno recitate dagli attori-doppiatori.
La presente ricerca si propone essenzialmente di mostrare non solo ciò di cui
si occupa il dialoghista ed il modus operandi seguito nell’adattamento delle
sceneggiature, ma anche e soprattutto di rilevare quali sono le regolarità ed i
tratti tipici dell’italiano doppiato. A tal proposito, sarà necessario fornire un
quadro di riferimento riguardante sia la traduzione che il doppiaggio,
all’interno del quale saranno entrambi inquadrati sia in prospettiva diacronica,
che sincronica.
Nel primo capitolo saranno presi in esame fattori storici, ed attraverso uno
scrupoloso studio diacronico sarà analizzato il campo dei Translation Studies,
per quanto concerne l’ambito della traduzione in generale, ed in particolare,
sarà fornito il background storico-politico in cui è nato e si è sviluppato il
doppiaggio, al fine di poter comprendere perché si sia affermato proprio in
Italia e in che modo si sia evoluto.
Nel secondo capitolo sarà affrontata la questione della traduzione audiovisiva,
fornendo una serie di definizioni e di prove esemplificative volte a mostrare la
complessità del fenomeno preso in esame ed i motivi di tali difficoltà. Sarà
presentato il doppiaggio in contrapposizione ad altre modalità di linguistic
transfer, in particolar modo in confronto alla sottotitolazione, una pratica
altrettanto diffusa e nota. Inoltre, saranno prese in esame le peculiarità
dell’italiano doppiato, attraverso la presentazione di dati che metteranno in
luce quali sono i tratti specifici e le regolarità che caratterizzano gli
adattamenti italiani.
Nel terzo capitolo verrà mostrata la pratica dell’adattamento vera e propria,
attraverso l’analisi contrastiva degli script originali e degli adattamenti italiani,
al fine di evidenziare le modalità di traduzione e di adattamento seguite. Nella
fattispecie saranno prese in esame le sceneggiature originali di tre episodi
della serie TV “CSI: Crime Scene Investigation”, ed i copioni adattati dal
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dialoghista italiano Gian Pietro Tomasini, al fine di poter rilevare quali
difficoltà sorgono nell’adattamento, mostrare a quali vincoli sono sottoposti i
dialoghisti ed individuare, se esistono, delle strategie valide ed utili ai fini
dell’adattamento.
Infine, nel quarto capitolo, la traduzione ed il doppiaggio saranno analizzati in
prospettiva sincronica, attraverso lo studio di fattori economico-giuridici
riguardanti il diritto d’autore italiano, al fine di offrire un quadro esaustivo
inerente la professione del dialoghista e dimostrare se questo ultimo, ed i
traduttori in generale, siano titolari di diritti d’autore.
In conclusione, il presente lavoro si propone un duplice scopo, da una parte,
attraverso la testimonianza di Gian Pietro Tomasini ed attraverso una
dettagliata analisi della pratica dell’adattamento, mostrare quali siano le
difficoltà ed i vincoli principali a cui i dialoghisti devono far fronte. Intende
altresì rilevare il grado di fedeltà degli adattamenti rispetto alle versioni
originali, dato che il dialoghista è talvolta costretto a sacrificare elementi
caratterizzanti della sceneggiatura originale, al fine di rendere il prodotto
audiovisivo comprensibile e fruibile all’audience italiano. Dall’altra parte,
attraverso l’ausilio della giurisprudenza e dei recenti provvedimenti in materia
di diritto d’autore, si propone di dimostrare se i traduttori possono a pieno
titolo essere considerati autori delle loro traduzioni.
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CAPITOLO 1
LA TRADUZIONE E IL DOPPIAGGIO
Translation is formally and pragmatically implicit in
every act of communication
(George Steiner, After Babel, xii)
1.1. Il secolo della traduzione
Il XX secolo è stato denominato the age of translation (Newmark 1981:
4) per una serie di fattori legati non solo ad un esponenziale sviluppo
tecnologico che ha contribuito ad abbattere le barriere internazionali e le
distanze fisiche, ma anche e soprattutto per la nascita di un campo di studi
specifico denominato Translation Studies, di cui parleremo a breve. Non solo,
la traduzione è stata notevolmente coinvolta in tutte le manifestazioni
dell’intelletto umano dimostrando di possedere straordinarie potenzialità che
continuano ad emergere, con l’intento di diffondere e trasmettere cultura e
informazioni. La traduzione corre di pari passo con l’innovazione, con la
tecnologia, e anche nel campo cinematografico, la traduzione ha permesso,
ancora una volta, di abbattere le barriere linguistiche e garantire, in qualche
modo, la possibilità della comprensione universale dei prodotti
cinematografici. Infatti, la necessità di creare prodotti che possano raggiungere
il maggior numero di persone ha spinto verso la ricerca di soluzioni adeguate
che possano soddisfare al meglio l’audience. Ebbene, ci occuperemo dello
studio di queste strategie traduttive, nello specifico, prenderemo in esame il
caso del doppiaggio in ambito italiano inquadrato esclusivamente dal punto di
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vista della traduzione, o meglio, dal punto di vista dell’adattamento delle
sceneggiature originali in un’altra lingua e in un’altra cultura.
Prima di addentrarci nello studio della traduzione audiovisiva
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è necessario
fornire un quadro di riferimento riguardo a ‘cosa’ sia la traduzione e ‘chi’ sia
il traduttore, per cercare di comprendere quali siano le maggiori problematiche
coinvolte in questo processo e, se esistono, quali sono le strategie utili a
superarle. Inoltre, attraverso un excursus storico, forniremo le coordinate
necessarie per l’analisi di una pratica, relativamente recente, ad essa correlata
e, il doppiaggio, grazie al quale il pubblico straniero ha la possibilità di
usufruire di un prodotto tradotto ad hoc nella propria lingua madre. L’intento
principale è quello di dimostrare in cosa consiste la professione del traduttore
che, come vedremo, è una delle più antiche del mondo e di seguirne
l’evoluzione per mostrare come questa pratica si adatti e si adegui a qualsiasi
forma d’espressione, nello specifico, come si sia adattata al doppiaggio.
1.1.1. Il concetto di traduzione
Il dibattito sulla traduzione ha visto intellettuali, scrittori, filosofi,
linguisti, traduttori e non, impegnati, per secoli, a definire in primis ‘cosa’ sia
la traduzione e ‘come’ questo processo venga realizzato. La parola
‘traduzione’ ha in sé diversi significati: “to circulate, to transport, to
disseminate, to explain, to make (more) accessibile” (Sontag 2003), è un
termine ambiguo riferito sia alla disciplina, sia al prodotto, che al processo
traduttivo. A tal proposito, una brillante e sottile distinzione viene elaborata da
Roger T. Bell (1991) il quale chiarisce i termini in questione distinguendo tra:
Translating (tradurre), in quanto processo traduttivo, A Translation (una
traduzione) o prodotto della traduzione e Translation (traduzione) ovvero il
concetto astratto di traduzione che comprende sia il processo traduttivo, che il
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Rimandiamo al prossimo capitolo per un’esaustiva definizione della traduzione audiovisiva.
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prodotto della traduzione (Bell 1991: 13). In via preliminare, è necessario
definire cosa intendiamo per translation. Lo strutturalista Roman Jakobson nel
suo articolo On Linguistic Aspects of Translation, ne distingue tre tipi
(Bassnett-McGuire 1988: 14):
1. Traduzione intralinguistica o riformulazione (un’interpretazione di
segni verbali mediante altri segni appartenenti alla stessa lingua)
2. Traduzione interlinguistica o traduzione (un’interpretazione di segni
verbali di una lingua mediante segni di un’altra lingua)
3. Traduzione intersemiotica o transmutazione (un’interpretazione di segni
verbali mediante segni appartenenti al sistema non verbale).
Dei tre, il secondo tipo è considerata traduzione tout court, ed è interessante
notare come in ogni definizione Jakobson parli di interpretazione di segni
verbali, il che, come osserva Eco (2003: 226), “lasciava così vivere
un’ambiguità” poiché in questi termini si potrebbe “incorrere nella tentazione
di identificare la totalità della semiosi con una continua operazione di
traduzione, ovvero di identificare il concetto di traduzione con quello di
interpretazione”. In realtà Jakobson (Eco 2003: 229) utilizza il concetto di
interpretazione, sulla scorta del “principio di interpretanza” di Pierce, secondo
il quale “il significato, nella sua accezione primaria, è una traduzione di un
segno in un altro sistema di segni”, ciò non significa quindi che l’interpretare e
tradurre siano sempre la stessa cosa, poiché l’universo delle interpretazioni è
più vasto di quello delle traduzioni. Quest’idea che l’interpretazione sia da
ritenere traduzione è riconducibile alla tradizione ermeneutica, secondo la
quale “nessuna traduzione è dunque restituzione del senso oggettivo di un
testo, ma oggettivazione linguistica di una specifica comprensione di un testo,
storicamente e soggettivamente determinata” (Apel 1993: 43).
Da queste prime righe emerge la complessità di una delle più antiche attività
umane e nonostante siano stati condotti numerosi studi a riguardo, “nessun
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singolo approccio scientifico è riuscito ad aver ragione nella sua totalità” e a
fornire delle risposte, a causa delle diverse interpretazioni attribuite al concetto
stesso di traduzione, difatti, “non si può comunque proporre una definizione di
traduzione che sia [completamente] accettata…e che tenga conto di tutti i
fattori [che compongono] il processo traduttivo” (Apel 1993: 1). Osservando,
per esempio, i significati che Apel (1993: 19-20) attribuisce a questa attività:
traduzione come esegesi, traduzione come trascrizione o traslitterazione,
traduzione come passaggio a un altro mezzo o a un altro genere di
comunicazione, traduzione endolinguistica e traduzione interlinguistica, e
paragonandole con quanto proposto da Jakobson, si nota come ogni tentativo
di dare una definizione esauriente del concetto di traduzione sia riduttivo nei
confronti della complessità che quest’attività racchiude. Quindi, le definizioni
sulla traduzione non possono essere definitive e totalizzanti, dato che, come
abbiamo visto, accezioni nuove potrebbero andare a integrare quelle pre-
esistenti, alimentando ulteriormente un acceso dibattito che non accenna a
placarsi.
1.1.2. Breve storia della traduzione
Nonostante lo studio della traduzione come disciplina autonoma si sia
affermato solo di recente, la pratica della traduzione vanta una tradizione
millenaria e le prime testimonianze, attorno alle quali ruota uno dei dibattiti
fondamentali sulla traduzione, risalgono a Cicerone. Ciò che George Steiner
(1998) ha definito sterile debate tra free e faithful translation, che si protrae
sino agli inizi del XX secolo, fu affrontato dapprima dai Romani, i quali, per
Eric Jacobsen (Bassnet 1988: 43), furono gli inventori della traduzione, ed i
primi ad essere accusati di non essere stati in grado di produrre opere letterarie
creative ed originali, ma di aver attinto allo spirito della letteratura greca.
Cicerone si difese dalle accuse mosse contro di lui, affermando che la sua arte