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INTRODUZIONE
L‘idea di partenza del presente lavoro è quella di proporre un‘analisi
comparatistica e traduttologica del tanto discusso e acclamato ultimo film di
Tim Burton, Alice in Wonderland (2010), esaminandolo nell‘ottica di traduzione
intersemiotica, delineando le principali dominanti che intercorrono nel
passaggio diamesico e confrontando i dialoghi originali con la traduzione
italiana e quella francese.
Se si pensa a quella che è considerata una delle opere più importanti della
letteratura inglese, Alice in Wonderland (1865) reinterpretato, a distanza di 145
anni, da uno dei più geniali registi contemporanei, Tim Burton, ineluttabilmente
ci si aspetterà un capolavoro da tale connubio che appare a priori destinato a
fortuna certa. In realtà, al di là delle aspettative e delle critiche più o meno
positive sul film, la nostra indagine verterà sul legame imprescindibile con il
romanzo, sia a livello di sinossi, sia della lingua, ma soprattutto si cercherà di
capire fino a che punto l‘ermeneutica può spingersi nell‘ambito del concetto di
riscrittura.
In generale il lavoro si suddivide in tre parti principali e ben distinte: le
prime due prettamente teoriche e introduttive, la terza invece più pratica, in cui
saranno analizzati i sottotitoli e le immagini del film e, infine l‘appendice,
contenente un‘intervista al traduttore del film, Valerio Piccolo.
In primo luogo, partendo dall‘opera letteraria, viene fornito un excursus
biografico sull‘autore, Lewis Carroll, illustrando il contesto storico-culturale
dell‘epoca vittoriana, analizzando il corpus
1
di Alice in Wonderland, in
particolare principali personaggi e tematiche e, soprattutto, gli storici problemi
traduttivi del romanzo.
1
Il corpus comprende anche una rassegna di tutte le rappresentazioni visive del romanzo, ma anche gli
adattamenti per il piccolo schermo, per i videogiochi, per i fumetti, per la musica e il teatro.
4
Benché l‘oggetto di questo lavoro sia un‘opera filmica, Alice in Wonderland
prima di essere un film esiste come opera letteraria. Questo costituisce un
motivo di continuità con il tema della traduzione e con tutte le teorie a esso
relative.
Umberto Eco in Dire Quasi la Stessa Cosa (2003), dedica un intero capitolo
alla trasposizione cinematografica suggerendo un‘associazione tra quest‘ultima
e quella che egli definisce ―traduzione propriamente detta‖, ossia la traduzione
interlinguistica.
Alla luce di ciò, è sembrato opportuno fornire alcuni lineamenti teorici della
traduzione e della traduttologia.
Si passano in rassegna le varie modalità, teorie e tecniche traduttive che si
sono susseguite nel corso della storia, per evidenziare in che modo l‘approccio
alla traduzione cambi da epoca a epoca e, soprattutto, per dimostrare che la
teoria della traduzione è una scienza che può essere applicata in qualsiasi ambito
traduttologico e, nondimeno, in diamesia
2
.
Esaminando a fondo tale tematica, si passa alle definizioni di ―traduzione‖
date dai vari studiosi nel tempo; che sia intesa come ―processo decisionale‖
(Levy), ―spazio intertestuale‖ (Torop), ―polisistema‖ (Lotman), ―invisibile‖
(Venuti), ―target, source o self oriented‖ (Salmon, Eco), la traduzione resta una
disciplina multi codice che quindi implica anche fattori extralinguistici e questo
vale, a fortiori per un tipo di traduzione multimodale, come quella filmica.
Direttamente collegato a questo, viene analizzato anche il ruolo del
traduttore, che deve sia essere mediatore e quindi ‗ponte‘ tra lingue, culture e
mondi differenti
3
, sia re-inventore e ri-costruttore di senso (Lefevere, 1990).
Secondo Benjamin, infatti, il compito del traduttore risiede proprio nella
progressiva ricomposizione di una lingua pura, analoga a quella adamitica, una
2
La dimensione diamesica si riferisce alla scelta, da parte dell'emittente di un messaggio, del mezzo da utilizzare
per trasmettere un'informazione, il passaggio diamesico, dunque, implica il trasferimento verbale da un mezzo a
un altro. (Dusi, 2006)
3
Ricordiamo che sia Eco (2003), sia Osimo (2003) ricorrono spesso anche alla definizione di traduttore come
―terzo incomodo‖, ovvero di ―intruso‖ tra lettore, testo e autore.
5
lingua senza residui (Benjamin, 1971). Tuttavia, ci si soffermerà anche sui
meccanismi psicologici o inconsci che regolano l‘approccio traduttivo,
soprattutto quelli analizzati dal filosofo francese Berman (1999), il quale
asserisce che più che da fattori linguistici, il traduttore è influenzato da tutto il
mondo che lo circonda, anche dal suo vissuto, dalla sua personale disposizione
psicologica
4
.
Tenendo conto della celebre tripartizione di Jakobson (1987), si passa ad
analizzare alcuni aspetti teorici di una delle tipologie traduttive più complesse,
ovvero quella intersemiotica, che viene definita dallo studioso russo, uno dei
―modi di interpretazione di un segno linguistico per mezzo di sistemi di segni
non linguistici‖ (Jakobson, 1987).
Un esempio palese di passaggio intersemiotico è proprio la trasposizione o
adattamento cinematografico, infatti, afferma Dusi:
La traduzione intersemiotica si presenta come una ―forma d‘azione‖ complessa, non una
semplice transcodifica bensì un evento trans culturale, dinamico e funzionale, in
tensione tra un‘esigenza di fedeltà al testo di partenza e la necessità di trasformazione in
un testo che sia compreso e accettato nella cultura di arrivo.
(Dusi, 2006:7)
Nell‘ambito della traduzione intersemiotica è impossibile non fare riferimento al
concetto di riscrittura come manipolazione. Non a caso, Lefevere (1990)
dichiara che ―[…] tutte le traduzioni implicano un certo grado di manipolazione
del testo di partenza per un determinato scopo
5
‖ (Lefevere, 1990). Infatti,
l‘autore dimostra che oggi gran parte della letteratura canonica viene divulgata
attraverso le forme di riscrittura, ciò avviene sia per favorire una più facile
comprensione, sia per permettere ai testi originali, soprattutto quelli classici, di
4
In particolare, lo si vedrà in seguito, Berman si sofferma sui cosiddetti significats sous-jacents.
5
―From the point of view of the target literature, all translation implies a degree of manipulation of the source
text for a certain purpose‖ (Lefevere, 1990, trad.mia)
6
essere eternamente leggibili. La traduzione, dunque, è un modo per rendere
un‘opera più moderna, quindi più fruibile.
In seguito si passa ad analizzare particolari aspetti della traduzione
audiovisiva. Con questa espressione s‘intende ―tutte le modalità di trasferimento
linguistico che si propongono di tradurre i dialoghi originali di prodotti
audiovisivi, cioè […] che comunicano simultaneamente attraverso il canale
acustico e quello visivo‖ (Perego, 2005:7). Inoltre ci si soffermerà sulle più
importanti peculiarità di questa disciplina: la sua intrinseca eterogeneità, la
variazione linguistica
6
, l‘interdisciplinarità, la sua pluralità di codici.
Un‘attenzione particolare sarà riservata alle due forme dominanti in Europa di
trasferimento linguistico filmico, ossia il doppiaggio e la sottotitolazione,
evidenziandone le caratteristiche più importanti e la diffusione geografica.
Dopo la prima parte teorica, viene presentato e analizzato il case study di
riferimento, ovvero il film di Burton, alla luce delle teorie esposte in precedenza.
In un primo momento l‘analisi verterà sul passaggio dall‘opera letteraria al
film e quindi sui cambiamenti dovuti al trasferimento e al cambio di canale
comunicativo, in seguito sarà approfondito l‘aspetto più prettamente linguistico
e traduttologico.
Un‘attenzione particolare sarà riservata a un caso esclusivo di traduzione
intersemiotica, ossia quella delle immagini. Introducendo i concetti di Visual
Grammar, Visual Literacy e Visual semiotic (Reading Images, 2006), grazie agli
studi condotti da Kress e Lewen, si analizza l‘importante ruolo delle immagini,
il loro potere evocativo, simbolico e comunicativo, la loro intrinseca culturo-
specificità, ovvero l‘essere legate imprescindibilmente a elementi culturali
7
.
6
I cambiamenti in diafasia, diamesia, diastratia e diacronia.
7
In particolare Kress e Lewen parlano perfino di una Western Visual semiotic. Nella cultura occidentale esistono
delle immagini che ormai si sono classificate come standard, quasi come convenzioni, cariche di significato
simbolico, poiché fanno parte delle conoscenze di tutto il mondo occidentale e poiché sono, in qualche modo,
collegate ad avvenimenti storici famosi o fenomeni sociali ricorrenti o ancora semplicemente a personaggi
celebri, come star del cinema o della musica (Reading Images, 2006:3).
7
In particolare sarà eseguita un‘analisi comparatistica tra le illustrazioni di
Tenniel
8
e la personale traduzione di Burton, presentando le immagini a
confronto in tabella. L‘idea centrale di questo capitolo dedicato interamente
all‘aspetto visivo è di indagare sul nuovo rapporto tra spoken e visual language
in un‘opera multimodale, come, appunto, la pellicola cinematografica,
comprendendo se e in che misura la carica semantica delle immagini influenza
la scrittura dei sottotitoli.
Come sostiene Goethals (2001), infatti, quando in un romanzo immagini e
parole sono presentate assieme (come nel caso di Alice in Wonderland)
ineluttabilmente il loro potere simbolico si accompagna al testo scritto che guida
il lettore nella comprensione, generando una vera e propria forma d‘arte nuova
(Goethals, 2001:46). Usando le sue parole: ―Combinando il potere emotivo,
evocativo delle immagini con testi specifici ne risulta, nell‘evoluzione, una
forma d‘arte in cui parole e immagini sono divenute inestricabilmente legate in
un unico significato
9
‖ (Goethals, 2001: 47, trad. mia). Inevitabilmente la
polisemia delle immagini si adatta perfettamente a una modalità traduttiva
d‘ampio raggio, che implica tanti codici come quella multimodale. Tutto ciò è
valido a fortiori per un film come Alice in Wonderland che si avvale dello
strumento del 3D per rendere le immagini protagoniste assolute e al fine di
trasporre sullo schermo l‘idea postmodernista del caos assoluto che regna a
Wonderland come nella realtà.
In seguito viene introdotta l‘indagine traduttologica dei sottotitoli di scene
scelte in base a criteri specifici. In particolare si è operato nel seguente modo:
sono state estrapolate e introdotte nelle tabelle traduttive piccole scene e
dialoghi del film che fossero presenti, benché sottoforma diversa, anche nel
8
Si ricorda che John Tenniel fu designato illustratore ufficiale del romanzo di Carroll, quando il romanzo era in
realtà già stato ultimato dall‘autore, che aveva provveduto anche ai disegni i quali, tuttavia, ebbero scarso
successo rispetto alla versione di Tenniel.
9
―Combining the emotive, evocative power of images with specific texts resulted in the evolution of an art form
in which word and image have become inextricably woven into a total gestalt of meaning‖. (Gothals, 2001: 47).
8
romanzo
10
, in modo da poter effettuare un‘analisi comparatistica delle strategie
applicate nei due diversi media, sia nel passaggio inglese - italiano sia in quello
inglese - francese e così da poter realizzare un‘analisi comparativa autentica su
forma e contenuto.
In questa sede inoltre vengono esplicate le strategie traduttive
11
applicate,
con tutte le analogie e differenze riscontrate nelle tre lingue prese in
considerazione, inglese, italiano e francese, il tutto affrontato, quindi, in
un‘ottica comparatista.
Per coronare quest‘indagine, è parso opportuno fornire un quadro sinottico
dei dati ottenuti proponendo dei grafici valutativi che potessero indicare
l‘incidenza di alcune strategie piuttosto che di altre e, soprattutto, chiarire le
tendenze specifiche di ogni lingua e dei traduttori a fornire prodotti più source o
target oriented.
In ultima istanza è stata introdotta in appendice un‘intervista fatta al
traduttore e adattatore dei dialoghi del film, Valerio Piccolo, che ha fornito
importanti dettagli non solo sulle varie fasi di realizzazione di traduzione, ma
anche sulle nuove tendenze di questa disciplina che oggi permette al pubblico
italiano di risalire sempre più spesso all‘opera originale. Questa libertà di
accesso è molto importante in un‘epoca come la nostra che vive una
globalizzazione culturale e linguistica, soprattutto per il pubblico più giovane
che, ormai sempre più spesso, predilige i film in lingua originale sottotitolati,
rinunciando al tanto amato e apprezzato doppiaggio italiano (Valerio Piccolo,
intervista).
10
Si tenga presente che la traduzione, cui hanno fatto riferimento anche i traduttori del film, è quella di Milli
Graffi, del 2010, edita dalla Garzanti.
11
Si ricorda che le strategie traduttive prese in considerazione sono cinque: tre per il passaggio inglese - italiano
(Gottlieb, Lomheim, Pedersen) e due per quello inglese - francese (Podeur, Berman).
9
CAPITOLO 1
Alice: il corpus
1.1 Lewis Carroll: autore, creatore, inventore.
Figura 1 Charles Lutwidge Dodgson
Lewis Carroll è oggi considerato uno dei più grandi
scrittori, fotografi e matematici dell‘Inghilterra
vittoriana che ha fortemente influito sull‘apparato
epistemologico moderno, sulla letteratura, sulla
psicologia e su tutta la cultura del XIX secolo.
Charles Lutwidge Dodgson, questo il suo vero
nome, scelse come nom de plume Lewis Carroll,
derivante dall‘anglicizzazione dei corrispettivi latini di Lutwidge e Charles,
ossia Ludovicus (Lewis) e Carolus (Carroll).
Carroll nacque a Daresbury, in Inghilterra il 23 gennaio del 1832 e morì a
Guildford il 14 gennaio del 1898. Sin da giovane si accostò alla scrittura, alla
matematica, alla fotografia e alla logica.
Quando aveva solo undici anni, tutta la famiglia si trasferì a Nord, nello
Yorkshire, dove rimase per venticinque anni e dove il capofamiglia cominciò
una modesta carriera nella Chiesa, divenendo arcidiacono.
Nei primi anni della sua vita, Carroll studiò a casa, con un precettore. Il
registro delle sue letture, conservato dalla famiglia, testimonia quanto lo
scrittore fosse sin da giovane attratto dalle letture impegnative; all'età di soli
sette anni lesse il romanzo allegorico religioso The Pilgrim's Progress, di John
Bunyan.
10
Forse proprio il tipo di vita che conduceva, sempre isolato dalla collettività,
lo indusse a soffrire di balbuzie, problema che, a più riprese, ebbe effetti
negativi sulla sua vita sociale. Esiste una teoria secondo cui egli balbettava alla
presenza di adulti, mentre con i bambini si sentiva libero e parlava fluentemente,
dimenticandosi della sua malattia.
A dodici anni Charles fu mandato a studiare presso una scuola privata a
Richmond, per poi passare alla Rugby School, nel 1845, dove, però, il soggiorno
fu tutt‘altro che piacevole:
―Nessuna considerazione potrebbe indurmi a ripetere i miei tre anni ... Posso dire
onestamente che se fossi stato risparmiato dai disturbi notturni, sopportare la durezza
della vita diurna sarebbe stato, in confronto, un nonnulla‖
12
.
(Morton, 1995:120, trad.mia)
La natura dei "disturbi notturni" cui Carroll allude non è nota, tuttavia si è
ipotizzato che si trattasse di molestie sessuali. Da un punto di vista scolastico,
tuttavia, egli primeggiava senza alcuna difficoltà, soprattutto in matematica.
Il suo precario equilibrio nella vita sociale venne compromesso quando a
Oxford gli fu diagnosticata una forma di epilessia, problema che all'epoca era un
notevole fardello poiché considerato ancora un male misterioso e mistico, quasi
come una diavoleria. Molti sostengono,
in realtà, che questa sintomatologia
possa aver ispirato il carattere onirico e fantasioso delle sue opere.
Nel 1856, Carroll iniziò a interessarsi alla fotografia che si rivelò uno
strumento ideale per esprimere la sua filosofia e il suo pensiero personale.
Attraverso le fotografie, lo scrittore riusciva a dare forma e vita alla Bellezza
che egli concepita quasi come un‘idea platonica di perfezione, che permetteva di
raggiungere uno stato di grazia, di completezza morale, estetica e fisica.
12
I cannot say that any earthly considerations would induce me to go through my three years again ... I can
honestly say that if I could have been secure from annoyance at night, the hardships of the daily life would have
been comparative trifles to bear (trad.mia).
11
Carroll trovava la Bellezza nel teatro, nella poesia, nelle formule matematiche
e soprattutto nell‘uomo. In seguito, giunse a identificare questa idea di bellezza
con l‘immagine della fanciullezza e, di fatti, il suo obiettivo divenne il recupero
dell‘Eden infantile.
Secondo il suo biografo Morton Cohen: ―Rifiutava il principio calvinista del
peccato originale, sostituendolo con il concetto opposto di divinità innata‖
13
(Morton, 1995:123).
In un‘ottica tutt‘altro che vittoriana ma dettata da ragioni profonde e
personali, Carroll ‗sceglie‘ il bambino come categoria sociale protagonista della
sua produzione fotografica e romanzesca in quanto figura quasi sacra ai suoi
occhi. Non ancora rovinati dal progresso, dalla meschinità della società, i
bambini sono sexless, non hanno ancora avuto a che fare con la sessualità e
perciò sono puri, privi di peccato. È una concezione, questa, di derivazione
puritana che fa pensare ad Alice in Wonderland quasi come a un poema
pastorale. Carroll è attratto dal mondo visto attraverso gli occhi di una bambina,
dal microcosmo fanciullesco privo dei riprovevoli costumi vittoriani, che per lo
scrittore suonavano come il male di vivere (Empson, 1986:260-263).
La concezione filosofica di Carroll domina il suo approccio alla fotografia.
Dal saggio Lewis Carroll, Photographer (2002) di Roger Taylor, che contiene
tutte le foto di Dodgson ancora disponibili, risulta che oltre la metà dei suoi
lavori erano ritratti di bambine, anche in costume da bagno e persino nude. La
maggior parte delle ragazze ritratte scriveva il proprio nome in un angolo della
stampa, per cui i loro nomi sono quasi tutti noti.
Uno degli obiettivi della fotografia di Carroll è di liberarsi del pesante fardello
della simbologia vittoriana, ritraendo le sue giovani modelle semplicemente
come loro stesse, perfette nella loro giovane e pura età, libere e autentiche e non
come beneducate damigelle dell‘aristocrazia inglese.
13
―He rejected outright the Calvinist principle of original sin and replaced it with the notion of inborn divinity‖
(Morton, 1995:123, trad.mia)
12
Nel 1880 Carroll smise improvvisamente di fotografare, dopo ventiquattro
anni di attività e oltre tremila foto. Meno di un terzo di queste immagini sono
sopravvissute; alcune di queste, soprattutto i nudi, sono state deliberatamente
distrutte dallo stesso autore oppure cedute alle famiglie delle giovani modelle.
La fine dell‘attività fotografia, tuttavia, non fece placare curiosità e creatività.
Carroll era un uomo molto fantasioso, proprio per questo si dilettava a inventare
oggetti curiosi, architettando sempre qualcosa di nuovo, dando libero sfogo alla
sua indole esuberante. In questo periodo egli creò una memoria technica di tutti i
numeri primi inferiori a cento, il croquet aritmetico, un gioco di logica, il
―Nictografo‖, un apparecchio che gli permetteva di scrivere durante la notte,
nell‘oscurità, un sistema di rappresentazione proporzionale, un gioco con carta e
matita chiamato Word Ladder o metagramma, e molti altri aggeggi che, in
qualche modo, anche nel loro primordio, hanno contribuito alla scienza
moderna.
La situazione familiare di Carroll, la sua educazione, i suoi rapporti con la
collettività sicuramente hanno influito non poco sulla formazione del suo
carattere e della sua personalità. Egli era il maggiore di otto fratelli, soprattutto
era figlio di un pastore, un uomo di Chiesa, quindi abituato alla socialità. In
famiglia, sin da piccolo, assunse un po‘ il ruolo del mediatore familiare, ma
anche dell‘intrattenitore. Inoltre di certo non era timido né temeva performances
pubbliche: sin da giovanissimo, infatti, Carroll iniziò a collaborare con una
rivista per famiglie, quindi, si abituò in fretta a scrivere direttamente per un
pubblico, al quale si accostava intimamente senza timore.
Da buona creatura sociale, Carroll si divertiva a raccontare storie ed esibirsi
dinanzi a un pubblico non lo spaventava. Era anche ambizioso e voleva a tutti i
costi fare qualcosa per cui essere ricordato, inizialmente come scrittore poi
anche come fotografo e pittore. La pittura, infatti, era un altro dei tanti campi in
cui Carroll mostrò interesse e talento. Mosse i primi passi nel circolo dei
Preraffaelliti, anche grazie all‘aiuto dell‘amico Dante Gabriel Rossetti, celebre
13
pittore, iniziatore del movimento artistico. Tuttavia, ben presto abbandonò il suo
temerario progetto di diventare pittore, per darsi alle lettere.
Nonostante non discriminasse la dimensione sociale, Carroll coltivava una
ricca vita spirituale, che emerge solo sporadicamente anche nei suoi scritti.
Dopo la pubblicazione di Alice (1865) in realtà il suo desiderio di fama si
placò, tanto da arrivare a sfiorare quasi la misantropia: odiava la pubblicità che
si faceva al suo romanzo, detestava vedere apparire la sua faccia ovunque,
spesso faceva persino tornare al mittente le innumerevoli lettere a lui destinate,
cominciò, insomma, a chiudersi in una profonda solitudine.
Fra il 1854 e il 1856, Carroll iniziò a pubblicare poesie e racconti su riviste a
tiratura nazionale come The Comic Times e The Train, e su giornali locali come
la Whitby Gazette o lo Oxford Critic. In genere, si trattava di lavori comici,
talvolta satirici.
Nel 1856 pubblicò per la prima volta con lo pseudonimo "Lewis Carroll"
una poesia romantica non particolarmente originale dal titolo Solitude,
pubblicata su The Train. Nello stesso anno giunse alla Christ Church un nuovo
rettore, Henry Liddell. Lo stesso Carroll scriveva sul suo diario:
Atkinson ha potato da me alcuni amici suoi, Mrs e Miss Peters, a cui io ho scattato delle
foto e che in seguito e sono rimasti a pranzo per ammirare il mio album. I due poi si
sono recati al museo e a Dckeworth ed io invece ho fatto una spedizione su per il fiume
Godstow con le tre Liddell: lì abbiamo preso il tè sulla riva e non abbiamo raggiunto la
Chiesa prima delle otto e un quarto, quando le abbiamo portate su nella mia stanza per
ammirare la mia collezione di micro fotografie.
(Auden, 1973:283-293)
Le tre Liddell citate sono le figlie del nuovo reverendo, Lorina Charlotte, Alice e
Matilda. Alice ha appena dieci anni.
14
Figura 2 Alice Liddell e le tre sorelline Liddell ritratte da Carroll, 1858.
Carroll divenne ottimo amico della famiglia Liddell e in particolare della signora
e delle bimbe con le quali era solito fare giri in barca e pic-nic.
Fu proprio durante una di queste gite, che, nel 1862, quasi per caso, Carroll
inventò le linee generali di una storia fantastica per divertire le tre bambine:
―Alice: ‗Dodgson, è una storia all‘impronta delle tue?‖ ed egli rispose: ‗si, la
invento man mano che avanziamo‘‖
14
(Auden, 1973:36).
Alice Liddell lo pregò di metterla per iscritto, lo convinse e, nel mese di
Novembre 1862, Carroll annunciò sul suo diario l‘inizio della scrittura del
romanzo: ―Ho cominciato a scrivere la fiaba per Alice, spero di concludere per
Natale‖
15
(ivi).
Ne nacque un manoscritto intitolato Alice's Adventures Under Ground, Le
avventure di Alice sottoterra, che si trova oggi nella British Library a Londra.
In seguito Carroll si decise a sottoporre il libro all'editore MacMillan;
l‘entusiasmo dimostrato dalle sue figlie per la storia lo convinse a pubblicare il
libro nel 1865, con il titolo di The Adventures of Alice in Wonderland. L‘opera
ebbe un successo immediato e travolgente, e Carroll divenne presto un
amatissimo e famosissimo personaggio pubblico.
14
Alice: ‗Dodgson, is this an extempore romance of yours?‖ and He replied: ―Yes, I‘m inventing as we go
along‖ (Auden, 1973, Trad.mia)
15
―Began writing the fairy-tale for Alice, I hope to finis hit by Christmas‖ (ivi. Trad.mia)
15
Ciononostante, egli continuò a insegnare matematica fino al 1881 e rimase
alla Christ Church fino alla fine, conducendo la sua solita vita e dedicandosi alla
sua attività di scrittura.
Nel 1872 pubblicò Through the Looking-Glass and what Alice Found There.
Nel 1876, invece, fu la volta di The Hunting of the Snark, una buffa poesia
nonsense che però nasconde possibilità d‘interpretazione simbolica che hanno
affascinato la critica moderna. Assai minore popolarità è invece toccata a Silvye
e Bruno del 1889, criticata da più parti per via del tono moraleggiante che vi
aleggia.
La passione di Carroll per i bambini (e in particolare l‘amicizia che lo legava
ad Alice Liddell), la sua collezione di foto di ragazzine e la scelta del celibato,
hanno portato alla nascita di teorie sulla sua presunta pedofilia, sebbene
pochissimi siano arrivati a asserire che Carroll abbia mai oltrepassato i confini
dell'amore platonico per le sue giovani amiche. Che Carroll fosse davvero un
pedofilo o meno non è mai stato confermato; tra l'altro, le fotografie di bambini
nudi non erano rare all'epoca.
Il dibattito controverso sulla presunta pedofilia di Carroll iniziò con alcune
affermazioni che si trovavano nel saggio The Life of Lewis Carroll scritto da
Langford Reed risalente al 1932. Senza alludere, in effetti, alla pedofilia, Reed
osservò che le amicizie di Carroll con le bambine terminavano quando queste
raggiungevano la pubertà. Questa nota fu raccolta da altri biografi che ne
trassero pesanti conseguenze. Eppure ciò che più ha contribuito ad accreditare
come vere le insinuazioni sulla sua ―colpevolezza‖ sono state le interpretazioni
psicologiche (in particolare le analisi freudiane) dei suoi lavori, che hanno
rivelato implicazioni sessuali inconsce non trascurabili.
Al tempo stesso, al "mito di Carroll" si aggiunse l'idea che lo scrittore non
avesse una reale vita da adulto e che si trovasse a suo agio solo in un mondo
infantile. Quest'ultimo elemento venne in seguito dato quasi per scontato e il
dibattito si concentrò sul fatto se l'ossessione di Carroll per le bambine fosse