ottenere un posto e un’importanza nella società americana solo verso gli anni
1960-1970 come minoranza etnica internamente colonizzata.
Quando la generazione degli attivisti asiatici americani degli anni 1960
prestò la loro attenzione alla letteratura, si registrò una crescita della tradizione
culturale asiatica americana parallelamente alla sfida contro il predominio della
“razza bianca” su tutte le minoranze “etniche”: per conquistare un posto adeguato
nella società.
The Woman Warrior: Memoirs of a Girlhood among Ghosts fu pubblicato
nel 1976. Il romanzo è subito considerato, per molti versi, un testo chiave
nell’ambito della narrativa cinese americana. Sia che Hong Kingston intendesse o
meno presentare The Woman Warrior come la storia di formazione di una
cinoamericana che, emergendo dal mondo dominato dalle superstizioni degli
immigranti cinesi, entra nel mondo americano, di cui i riflettori illuminano gli
angoli bui, i lettori non possono non notare un certo passaggio progressivo dalla
“brutalità” alla civiltà.
L’impatto critico che The Woman Warrior suscitò, fin dall’inizio, poneva
dubbi circa la definizione tradizionale di autobiografia dando vita ad una
discussione più ampia sui generi letterari di riferimento, autobiografia o
romanzo, a cui l’opera apparteneva, nonché sull’utilizzo di miti e leggende della
cultura cinese classica cui Hong Kingston, americana di origine cinese,
dimostrava di attingere.
La popolarità del romanzo, più estesa tra i lettori di origine europea che tra
i cinesi nati in America, pone problemi relativi ad un’errata interpretazione ed
appropriazione delle tradizioni culturali cinesi. Avendo deliberatamente alterato
alcuni aspetti della tradizione, come la stessa autrice confessa, per adattarli ai
suoi scopi nel descrivere le posizioni critiche dei cinesi nati in America, il
romanzo è stato letto sia come testo Orientalista che come testo neo-Orientalista.
The Woman Warrior rivolge il suo interesse sulle storie di cinque donne:
la zia senza nome morta suicida di Hong Kingston, “No Name Woman”; la
leggendaria guerriera Fa Mu Lan, “White Tigers”, la madre di Hong Kingston,
Brave Orchid, “Shaman”; la zia della scrittrice, Moon Orchid, “At The Western
Palace”; e, per ultima, Hong Kingston stessa “A Song For A Barbarian Reed
Pipe”. Ad ogni singola figura femminile è dedicato un racconto autonomo.
Il romanzo, strutturato in cinque racconti, può essere considerato un
percorso evolutivo: la scrittrice inizia con la presa di coscienza dell’essere in
qualche modo “diversa” rispetto al mondo americano, svolge poi un’analisi e un
confronto di sé attraverso il racconto di storie di donne della sua famiglia, tutte
figure femminili in antitesi tra loro, per poi arrivare alla finale “rinascita” di un
nuovo “Io” e alla consapevolezza del posto occupato nella società.
Grazie al sapiente uso dello stile, del linguaggio e delle espressioni
combinate di entrambe le culture, e alla citazione di miti cinesi e storie familiari,
Hong Kingston si definisce, orgogliosamente, una donna cinese americana.
Nel presente lavoro il percorso sarà preceduto da una breve nota
biografica di Hong Kingston al fine di evidenziare il legame spesso complesso
tra la cultura cinese e quella americana. Dallo scontro di questi due mondi,
all’apparenza inconciliabili, si articolano i nodi tematici più importanti
dell’opera. E’ parso utile, a questo punto, fornire una disamina circa la situazione
sociale, politica e storica della comunità cinese immigrata in America, seguita
dalla descrizione della dottrina del Confucianesimo, importante per comprendere
la condizione femminile, e dalla definizione sullo “status” dei cinesi americani.
Segue, nel secondo capitolo, l’analisi della numerosa critica, sorta quasi
contemporaneamente alla pubblicazione, con un particolare approfondimento
riguardante sia la valorizzazione di una cultura “subalterna”, sia la definizione di
genere letterario.
Benché classificata come “non-fiction”, è difficile categorizzare l’opera di
Hong Kingston seguendo parametri convenzionali. Una delle qualità che seguono
la sua eccellenza è, infatti, l’abilità dell’autrice nel tessere memorie oniriche,
leggende e racconti della tradizione orale intrecciandole con la progressione
lineare di eventi reali. Hong Kingston riesce a conferire validità e veridicità ad
entrambi gli aspetti della sua narrazione, alternando con grande impegno i ricordi
della sua vita universitaria a Berkeley durante la guerra del Viet-Nam a sogni o
episodi sospesi nell’ambito della fantasia. Questa efficace combinazione di
passato e presente, con interruzioni spesso a metà della frase, non può che
esercitare sul lettore un forte impatto emotivo. Se a questa tecnica particolare si
aggiunge l’abilità con cui la scrittrice affronta e dipana i nodi legati
all’appartenenza a due ambiti culturali antitetici si capisce perché il suo
“romanzo” sia diventato un inevitabile caposaldo della letteratura americana
contemporanea.
Nel terzo capitolo, infine, sono stati presi in esame i cinque racconti che
compongono il libro, focalizzandone l’aspetto centrale e cioè la smaniosa ricerca,
da parte dell’autrice, di un’individualità libera dai clichè di una tradizione rigida
e soffocante, dalla quale, nonostante tutto, Hong Kingston sembra non potersi e
non volersi sottrarre.
I. CAPITOLO
I. 1 CENNI STORICI
La presenza di immigrati cinesi in America si attesta sin dalla fine degli
anni ‘40, 1849 per la precisione, prevalentemente a San Francisco dopo la
scoperta dell’oro.
1
In seguito alla conclusione della guerra civile americana
2
con
la vittoria dei nordisti, che erano a favore di una politica industriale protezionista
e contrari alla schiavitù, su cui al contrario si incentivava l’economia degli stati
del sud, l’espansione industriale aveva dato il via libera alla richiesta di molta
manodopera e aveva reso ben accetto chiunque si presentasse per lavorare. Dalla
lontana Cina, i contadini, i mercanti ed i piccoli artigiani, spinti dalla miseria,
carestie e disordini politici, stavano incominciando a lasciare i loro piccoli
villaggi, particolarmente dalla provincia di Guangdong, Canton e regioni
limitrofe, in cerca di fortuna, per poter mantenere la famiglia, e furono subito ben
accolti, specialmente perché erano ottimi lavoratori che si accontentavano di un
scarso salario e non avanzavano pretese sullo stato di lavoro. Essi trovarono
principalmente lavoro nella costruzione della prima linea ferroviaria
intercontinentale della costa orientale, come lavoratori agricoli e minatori mentre
altri divennero dei “tuttofare”, commessi, lavandai, pescatori e domestici, figure
1
J. Needham, La Cina e la sua storia: dialogo tra oriente e occidente, Feltrinelli Editore, Milano, 1975.
2
1861-1865. W. A. Williams, Storia degli Stati Uniti, 1964, Bari, La Terza.
in quei settori che la società di frontiera considerava “femminili” e che ben
volentieri lasciava svolgere agli immigrati.
3
Nel 1867 il governo cinese fece una richiesta straordinaria al ministro
americano in Cina, quella di dirigere una missione diplomatica con gli Stati uniti
e le nazioni Europee e nel 1868 fu stipulato il trattato di Burlingame.
4
In esso
entrambi le nazioni dovevano riconoscere “il diritto inalienabile dell’uomo di
cambiare casa ed alleanza”
5
e “il reciproco vantaggio della libera espansione e
l’immigrazione dei loro cittadini, rispettivamente per motivi di curiosità,
commercio o come residenti permanenti”;
6
un’altra clausola garantiva agli
immigranti cinesi gli stessi diritti, privilegi ed immunità dei residenti e li
proteggeva da probabili atti di sfruttamento, discriminazione e violenza.
L’immigrazione dei cinesi era così tutelata e legalizzata in considerazione dei
bisogni sempre più crescenti del mercato americano che, per affrontare le sue
crisi di calo dei profitti, ricercava fattori di produzione più economici,la
manodopera in particolare.
7
A niente era valsa la resistenza dell’opinione media, abilmente costruita da
intellettuali e da politici razzisti, a mettere in guardia di fronte al “pericolo
giallo”, né le proteste dei lavoratori della California che si sentivano minacciati
dai cinesi. Intellettuali e politici erano ricorsi al tema della presunta inferiorità
3
Maffi, Mario Nel mosaico della città. Differenze etniche e nuove culture in un quartiere di New York ,
1° ed. in “Campi del Sapere “, 1992, Feltrinelli Editore, Milano.
4
J. Needham, La Cina e la sua storia: dialogo tra oriente e occidente, 1975, Feltrinelli Editore, Milano.
5
ibid.
6
ibid.
7
L.Lowe, “L’internazionale nel nazionale: gli studi americani e la critica asiatico americana” in P. Boi, ,
I volti dell’altro, 2003, ed AV, Cagliari, pp. 77-95.
asiatica, e il diffondersi del darwinismo
8
sociale, con la pretesa dell’esistenza di
popoli inferiori e superiori, aveva rinforzato la convinzione dell’inferiorità
razziale asiatica, e soprattutto dei cinesi come particolarmente subdoli e corrotti.
9
Questa idea si era affacciata già da tempo negli Stati Uniti e, nel 1846,
Thomas Hart Bentos,
10
senatore democratico repubblicano, aveva infatti
proclamato: “sembrerebbe che soltanto alla razza bianca sia stato rivolto il
comandamento divino di sottomettere e popolare la terra.”
11
Inoltre il senatore
del Mississippi aveva apertamente dichiarato di ritenere che gli “inoperosi e
sonnolenti asiatici” avrebbero ricavato vantaggi dalla vicinanza, appena oltre il
Pacifico nell’estremo ovest americano, di una razza bianca caucasica superiore a
loro quale che fosse lo splendore del loro passato, moralmente ed
intellettualmente.
12
C’era anche chi aveva cercato nell’antropologia del tempo giustificazioni
razziali per spiegare “l’inferiorità cinese”, e l’economista politico Henry
George
13
espresse la sua opinione asserendo che “il cinese era capace di imparare
fino ad un certo momento dell’adolescenza ma, a differenza dei caucasici, egli
aveva un punto limitato di sviluppo al di là del quale non poteva spingersi.”
14
8
Per maggiori informazioni si veda E. Mayr, Un lungo ragionamento: genesi e sviluppo del pensiero
darwiniano, 1994, Torino Bollati Bordighieri.
9
J. Needham, La Cina e la sua storia:- dialogo tra oriente e occidente, 1975, Feltrinelli Editore, Milano.
10
1782-1858, ibid.
11
ibid.
12
ibid.
13
1839-1897, promotore dell’imposta unica.
14
ibid.