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nelle sue parti concernenti questioni di meccanica teorica o applicata, come nel caso
della leva o di problemi nei quali occorre conoscere quel tanto di matematica che
consenta di com-prendere l’oggetto del discorso.
La formulazione albertiana del problema della leva propone, in modo palese, un
passaggio chiave della dimostrazione archimedea che sembra essere sfuggito
all’attenzione degli studiosi. Seguendo la descrizione albertiana, la condizione di
equilibrio viene espressa dall’eguaglianza dei due numeri che esprimono il peso e la
distanza ai due lati del fulcro: dalla somma e non dal prodotto. Si giunge cioè alla ben
più semplice conclusione che l’equilibrio interviene quando il numero esprimente la
lunghezza del braccio a sinistra eguaglia il numero esprimente il peso a destra, e
viceversa; da cui, come afferma Alberti, l’eguaglianza delle somme dei numeri che
esprimono le quantità in gioco a sinistra e a destra del fulcro.
Lo studio della leva nella trattazione albertiana non ha sollecitato l’attenzione che
avrebbe meritato; si tace la regola che egli intuisce (mala singolarità di ciò che è scritto
non ne spiega i motivi), oppure vi si legge un errore palese poiché si convinti, e nessuno
potrebbe negarlo che la leva sia regolata dal prodotto e non dalla somma di forza per
braccio. Si citerà sia per l’autorevolezza dei traduttori e curatori critici, sia perché è
l’ultima edizione, quella inglese del 1988 nella quale, a commento complessivo del
passo citato, si legge nientemeno che si tratterebbe di “una prima formulazione del
momento flettente che avrebbe impegnato sia Leonardo che Galileo”, ed ancora che
“ovviamente è il prodotto, non la somma di distanza e peso che deve essere eguale da
entrambi i lati perché lo strumento sia in equilibrio”
1
. Ciò è dovuto, probabilmente al
fatto che nessuno ha pensato che nel testo albertiano potesse trovarsi qualcosa avente
1
I. RIKWERT, N. LEACH, R. TAVERNOR, On the art of Building in ten books. Cambridge 1988.
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attinenza con le scienze matematiche, salvo la splendida analisi fatta da Wittkower, del
problema delle proporzioni. Eppure la regola che egli espone, essendo corretta fa
sorgere subito il quesito sulla sua provenienza e sulla identità degli specialisti della
disciplina che lo hanno edotto sull’uso di una formula di cui si sono evidentemente
perse le tracce: il tutto sullo scenario che appare sempre più chiaro della disputa sorta
intorno ai primi anni del Novecento, tra Ernest Mach da un lato, e Giovanni Vailati
dall’altro, avente per oggetto il De Aequiponderantibus di Archimede.
Si avverte perciò la necessità di rivedere la storia del principio della leva, mettendo per
un attimo da parte quanto letto attraverso i trattatisti medievali, rinascimentali e moderni
di Statica e di Meccanica, assumendo come punto di partenza il Trattato di Archimede,
tentando una rilettura, alla luce delle suggestioni offerte da L. B. Alberti, per capire cosa
egli abbia effettivamente detto e non cosa gli è stato fatto dire per poi sostenere la
scorrettezza del procedimento.
In queste considerazioni si mantiene come punto fisso il fatto che Archimede
conoscesse ed accettasse come veri, per universali e quotidiane pratiche di vita i risultati
che fornivano bilance e stadere; e che egli abbia posto come premessa fondamentale alla
sua dimostrazione il principio di simmetria palese nelle bilance, e che abbia ricondotto a
anche la stadera a questo principio.
In termini moderni, si potrebbe affermare che egli ci offre la teoria completa della
particolare classe di vettori applicati paralleli ( simulanti le forze peso), la cui teoria può
essere sviluppata senza la definizione di “momento di un vettore” se si accetta un
principio di simmetria certamente di portata più limitata ma sufficiente per gli scopi da
raggiungere.
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Storia del principio della leva
Sulla Teoria della leva esistono abbondantissime tracce a partire da Aristotele attraverso
tutta la medievale Scienza dei pesi; mai però nella forma enunciata dall’Alberti. E’ noto
che gli storici della Meccanica, distinguono l’approccio aristotelico da quello
archimedeo attribuendo al primo carattere dinamico,statico al secondo; si tratta in realtà
di un particolare modo di intendere il particolare problema della leva che essendo
sistema a vincoli incompleti, si presta ad essere indagato contemporaneamente sotto
l’aspetto statico e cinematico: di qua, giustamente è stato rilevato una sorta di Principio
delle velocità virtuali in nuce.
Il problema della leva occupa molto spazio nelle opere medievali dedicate alla Scienza
dei pesi, con indubbia prevalenza dell’approccio aristotelico, di rado si riconosce in essi
e non senza forzature l’approccio archimedeo. Aristotele, o chi si cela dietro lo pseudo-
Aristotele nei Problemi Meccanici
2
, ne fornisce una prima trattazione fatta di domande
cui seguono risposte qualitativamente corrette ma inutilizzabili sul piano pratico;
l’atteggiamento di Archimede è completamente diverso perché egli sa bene che il non
equilibrio produce moto, ma riesce ad esprimere le condizioni che devono essere
verificate affinché ciò non avvenga sempre come condizioni di simmetria. Inoltre il
confronto tra la formulazione archimedea e le affermazioni albertiane getta nuova luce
su tutta la questione. Grazie alle suggestioni che scaturiscono dalla lettura del testo
albertiano, si può concludere che Archimede non sta proponendo la teoria generale
dell’equilibrio del corpo rigido, bensì, e più semplicemente, il teorema che stabilisce il
comportamento della leva quando le forze che gravano sono solo e soltanto pesi.
2
ARISTOTELE, Mechanical Problems, minor works, Oxford 1963. Vd. Bibliografia generale
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La formula “statica” di Archimede rappresenta il punto di arrivo di una teoria nata per
dare contenuti di certezza razionale ad operazioni che da secoli governano i rapporti
sociali ed economici; ma rappresenta anche lo strumento del quale il matematico
Archimede si serve per risolvere problemi di tutt’altra natura come la quadratura della
parabola ottenuta con una pesata.
Archimede tratta un problema chiaramente enunciato e, tutto considerato, estremamente
circoscritto: deve dimostrare la correttezza della proporzione che lega in condizioni di
equilibrio pesi e distanze dal fulcro. Data la dimostrazione il problema è risolto e nulla
rimane da aggiungere, se non tentare la riformulazione in un riferimento più ampio
all’interno del quale trovargli nuova collocazione. Questo è un motivo che può spiegare
perché nelle ricerche medievali di Meccanica la trattazione archimedea del problema
della leva risulta praticamente assente rispetto all’enorme sviluppo dato alla
formulazione “dinamica” aristotelica. “E non esito neppure ad affermare che se ad un
certo stadio di quelle ricerche si giunge quasi alla formulazione del Principio delle
velocità virtuali, ciò è dovuto al fatto che la dimostrazione archimedea consentiva di
partire da un dato certo da raggiungere per via completamente diversa”
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Tra le strutture la leva è certamente la più semplice ad essa possono essere ricondotte le
travi con due appoggi. Inevitabilmente se si guarda alla storia della Statica, la leva è
destinata a suscitare l’idea dell’esistenza di un “Principio” regolatore mediante il quale
dare risposte a problemi più complessi rispetto a quello risolto da Archimede, ma la
dimostrazione Archimedea consentiva di raggiungere un dato certo per vie
completamente diverse. Nei Problemi Meccanici quel principio è appena adombrato,
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Salvatore Di Pasquale: “Tracce di statica archimedea in L. B. Alberti”, pubblicato sulla rivista Palladio
N° 9, Gennaio - Giugno 1999
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probabilmente vi leggiamo più di quanto vi sia realmente scritto perché, conoscendo il
punto di arrivo siamo portati a leggerne l’avvio anche nei più deboli indizi.
Nell’opera pseudo-aristotelica
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lo stagirita espone in questa opera un serie di quesiti
meccanici cui premette una sorta di dichiarazione di principio secondo la quale avendo
di mira problemi di movimento o comunque originati da movimenti, il successo delle
operazioni è nella “figura circolare poiché la natura del circolo è prodotta insieme da
cose contrarie”.
Nell’approccio aristotelico è evidente l’impostazione cinematica, alla definizione
dell’equilibrio si giunge considerando gli spostamenti dei bracci della bilancia e
l’equilibrio è inteso come assenza di moto; in Archimede l’equilibrio è definito sulla
base dell’esistenza del baricentro.
Il problema della leva è così formulato da Aristotele: Perché un piccolo peso può
sollevare un peso più grande cui si aggiunge anche il peso della leva? La risposta è la
seguente: (…) poiché la leva richiede tre elementi, cioè il fulcro – corrispondente alla
corda di sospensione della bilancia e coincidente con i suo centro - e due pesi, uno
esercitato dalla persona che usa la leva l’altro è il grave che deve essere sollevato; così
il peso che deve essere mosso sta al peso movente come inversamente stanno il braccio
che sopporta il peso col braccio su cui agisce la potenza . Più lontana è questa dal
fulcro più agevolmente si soleva il peso; la ragione sta in ciò che è stato già stabilito,
vale a dire che un braccio più lungo descrive un cerchio più grande.
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Sebbene non vi sia accordo nel ritenere i Problemi Meccanici opera di Aristotele, vi è tuttavia maggior
consenso nel ritenerla frutto della sua scuola e nel collocarla temporalmente verso la fine del IV secolo a.
C., vale a dire circa un secolo prima del periodo in cui visse Archimede.
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La leva è lo strumento fondamentale mediante il quale si possono muovere grandi pesi
“malgrado l’aggiunta del peso della leva stessa”. (…) La ragione fondamentale di ciò
sta nel fatto che la parte del braccio più lontana dal centro si sposta più velocemente
della parte che è più vicina sebbene siano mosse dalla stessa forza.
L’espressione più veloce è usata in due significati: se un oggetto attraversa eguali
distanze in tempi minori noi diciamo che è più veloce e anche se, nella stesso tempo
attraversa distanze maggiori : (…) Ora il braccio più lungo descrive un cerchio più
grande nello stesso tempo perciò la circonferenza descritta dal punto estremo è più
grande di quella descritta da un punto interno.
Il fatto che a parità di peso corrisponda a braccio maggiore spostamento maggiore,
dunque più facilmente percettibile per l’occhio, giustifica l’osservazione; da questa
Aristotele prende le mosse per dare risposta alle altre questioni che pone nelle quali si
tratta semplicemente di scoprire la “leva nascosta”.
Aristotele ha dunque enunciata la legge della leva, ma non ne ha dato una
dimostrazione; l’aver affermato che deve esistere tra pesi e distanze una proporzione
inversa non è altro che l’enunciazione del principio comunemente e tacitamente
accettato perché fondamento di tutti gli strumenti di pesatura utilizzati negli scambi
commerciali.
Figura 1 Il problema della leva nella formulazione di
Aristotele
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Tuttavia, gli ingredienti del Principio delle velocità virtuali ci sono tutti, come si vede,
non è ancora una formulazione cosciente ma solo la intuizione di qualcosa che deve
essere. In questa direzione si muove la ricerca all’inizio del secondo millennio quando,
attraverso le elaborazioni culturali arabe, i testi greci giunti alle scuole di pensiero
europee verranno tradotti in latino e pubblicati così da costituire il nucleo centrale degli
sviluppi futuri.