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La tradizione di eccellenza nella produzione manuale della carta e un sistema
economico arretrato rispetto ad altri Paesi europei comportò un ritardo di quasi un
secolo nell‟avvio della produzione meccanizzata, ad eccezione di una piccola zona del
Mezzogiorno, la Valle del Liri, che ha rappresentato l‟avanguardia italiana nell‟impiego
di macchine continue.
Il processo di meccanizzazione iniziò quindi solo sul finire del XIX secolo e
conobbe un importante e rapido sviluppo all‟inizio del secolo successivo, favorito da un
lato dalla generale prosperità economica, dall‟altro dall‟applicazione in campo
industriale dell‟elettricità, prodotta frequentemente anche da piccole centrali
idroelettriche di proprietà delle stesse cartiere, sostituendo gradualmente il carbone e
l‟energia idraulica prodotta dai tipici mulini, anticipando l‟analogo fenomeno avviatosi
recentemente negli anni Novanta con la realizzazione di impianti di cogenerazione
attraverso turbine a gas.
Se nel periodo tra le due guerre l‟industria cartaria conobbe uno sviluppo senza
precedenti raggiungendo la produzione di 500 mila tonnellate annue, è nel secondo
dopoguerra fino agli anni Settanta che si colloca il periodo chiave del suo sviluppo
definitivo e affermazione su scala internazionale. È pertanto su questa fase che la tesi
concentra la propria analisi, su tre differenti piani di osservazione:
a) La struttura del settore e i suoi elementi, quali numero, localizzazione e
proprietà delle imprese, condizioni di entrata nel settore, domanda e natura dei prodotti.
b) Il mercato, le politiche concorrenziali e le strategie di prezzo e distribuzione
delle imprese che in questo periodo, a seguito di numerose concentrazioni, acquisirono
un forma che può definirsi di “oligopolio imperfetto”.
c) Finanza e redditività, attraverso l‟analisi dei risultati economici del settore e
delle maggiori imprese evidenziati dalla lettura dei loro bilanci.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale l‟industria cartaria produceva appena
200 mila tonnellate che nel corso degli anni Cinquanta arrivarono a superare il milione,
anticipando così l‟enorme sviluppo dell‟industria nel decennio successivo. La crescente
domanda interna di prodotti cartari degli anni del boom economico - in termini
percentuali la più alta d‟Europa con un incremento di oltre il 450% tra il 1951 e il 1970
- incentivò l‟investimento di ingenti capitali per aumentare la capacità degli impianti.
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I nuovi stabilimenti e l‟aumento delle potenzialità delle macchine esistenti
portarono a manifestare alla metà degli anni Sessanta un eccesso di capacità produttiva
rispetto alla domanda, che le imprese cercarono di compensare attraverso un aumento
della quota di prodotto destinata alle esportazioni, riequilibrando tra l‟altro in parte il
saldo della bilancia commerciale, nel settore storicamente negativo.
Le crisi petrolifere che investirono l‟intera economia mondiale dal 1973 furono
causa di un cambiamento strategico verso investimenti diretti questa volta a migliorare
l‟efficienza del sistema produttivo, puntando verso una riduzione dei costi e un
contemporaneo miglioramento della qualità dei prodotti, elementi imprescindibili per
far fronte alla più accesa concorrenza internazionale. Tali ingenti investimenti resero
insufficiente l‟impiego esclusivo del capitale di rischio, tipico dei decenni precedenti,
rendendo necessario un maggiore ricorso all‟indebitamento. Molti impianti di piccole
dimensioni o poco efficienti vennero chiusi, e la dimensione aziendale delle imprese
cartarie italiane ne risultò significativamente mutata. Macchinari di maggiori larghezze
e velocità comportarono infatti un progressivo avvicinamento del processo e dei volumi
produttivi ai livelli delle maggiori industrie europee. La forma societaria tipica divenne
quella delle società per azioni, con una drastica riduzione delle ditte individuali e delle
società di persone. Sul mercato emersero grandi gruppi industriali che acquisirono nel
tempo maggiori quote di mercato a danno delle imprese più piccole, che a loro volta si
difesero concentrandosi su produzioni meno costose come quelle della carta da giornale
e da imballo. Gli anni Sessanta e Settanta furono dunque alla base di una significativa
trasformazione dell‟industria cartaria italiana, che venne traghettata dalla continua e
straordinaria crescita degli anni Cinquanta verso un più complesso scenario
competitivo.
Gli anni Ottanta si aprirono con un periodo di profonda depressione per le
cartiere italiane, causata dalla contrazione della domanda e la conseguente riduzione dei
volumi produttivi, accompagnata da un vertiginoso aumento dei costi. Il risultato fu
l‟avvio di un processo di concentrazione attraverso acquisizioni, fusioni e formazione di
nuovi gruppi industriali che si protrarrà fino al nuovo millennio, mutando
profondamente gli assetti proprietari delle imprese del settore, che rimase comunque
poco esposto all‟ingresso di capitali esteri. La crisi allentò la sua morsa dalla metà
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degli anni Ottanta, e tutto il settore venne percorso da un‟ondata di rinnovamento grazie
alla ripresa dei consumi e alle migliori condizioni economiche, con la creazione di
nuove unità produttive e il raggiungimento di intese finalizzate alla realizzazione di
sinergie e complementarietà a livello produttivo. Inoltre, nell‟ambito delle medie e
piccole imprese, si verificò un diffuso miglioramento delle dimensioni aziendali, a
scapito di impianti di dimensioni troppo ridotte o tecnologicamente obsoleti, costretti
numerosi alla chiusura.
Il caratteristico andamento ciclico del settore è evidente anche dal corso degli
anni Novanta i quali, ricalcando il decennio precedente, si aprirono con una nuova crisi
profonda che cedette poi nuovamente il passo a un periodo di espansione della domanda
globale di carta e cartone, che consentì all‟Italia di avviare una lunga fase di continui
record produttivi che si è prolungata, con l‟unica eccezione di una lieve flessione nel
2001, fino al 2007.
Oggi il settore sta attraversando un periodo di profonde difficoltà, a causa di una
domanda di carta e cartone portata ai minimi storici dagli effetti della crisi finanziaria
sull‟economia reale. Il conseguente crollo dei prezzi non è stato compensato da una
riduzione proporzionale dei costi, e molte imprese sono state costrette a ripetute
fermate degli impianti con conseguenti ripercussioni a livello finanziario e
occupazionale, con il crescente ricorso a strumenti di ammortizzazione sociale.
Nell‟orizzonte a breve, non sono previste alterazioni della struttura attuale dei
prezzi cartari, mentre le aspettative di ripresa sono collocate dai più qualificati
osservatori alla metà del 2010, quando si dovrebbe manifestare un recupero in termini
di ordini e produzione.
Una forte minaccia per l‟industria della carta italiana ed europea deriva
dall‟esponenziale aumento della produzione dell‟industria cinese (32 milioni di
tonnellate nel 2001, 65 milioni nel 2006), che ha iniziato un massiccio flusso di
esportazioni verso l‟Europa a prezzi estremamente competitivi, favorita da un costo
dell‟energia e del lavoro più basso e dal mancato adeguamento alle norme sull‟emission
trading. La produzione dei Paesi emergenti e la stagnazione economica sui mercati
occidentali rappresentano dunque le principali sfide per il settore cartario, che dovrà
affrontare con ogni probabilità una nuova fase di selezione e ristrutturazione, al termine
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della quale potrà confermarsi un player all‟altezza delle sue tradizioni se avrà colto le
opportunità di unire efficienza e capacità d‟innovazione ai valori di una lunga storia di
successo.
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CAPITOLO I
Le origini: l’innovazione italiana
I.1) L’origine della carta e la sua diffusione in Italia
L‟invenzione della carta si fa comunemente risalire a Ts‟ai Lun, consigliere
dell‟Imperatore cinese Ho-Ti, della dinastia Han, intorno al 105 dopo Cristo. Il segreto
di fabbricazione, gelosamente custodito, rimase in Cina fino al VIII secolo quando in
seguito alle sorti di una battaglia giunse nell‟Islam. Gli arabi, infatti, ne vennero a
conoscenza nel 637 entrando in Ctesifonte, capitale della dinastia sasanide, ma solo nel
751, dopo la battaglia del Talas, con la conquista di Samarcanda, riuscirono a carpire i
segreti della fabbricazione.
Nei secoli successivi gli Arabi diffusero la loro civiltà nel Medio Oriente e
svolsero un ruolo innovatore nel bacino del Mediterraneo, unendo, ai molti meriti nel
campo delle scienze e della tecnica, anche quello di avvicinare, con un‟opera di
mediazione e di integrazione, la cultura orientale a quella occidentale. I segni di tale
opera furono evidenti nella produzione e diffusione della carta che gli Arabi
perfezionano migliorando le tecniche di lavorazione apprese dai Cinesi, senza peraltro
toccare mai il livello qualitativo raggiunto con le innovazioni italiane che nel XIII
secolo segneranno il definitivo passaggio dal tipo di carta orientale a quello occidentale,
destinato a conquistare i mercati europei e a divenire, nella seconda metà del
Quattrocento, l‟unico supporto o materia scrittoria della sorgente arte tipografica.
Quasi contemporaneamente, fra la fine del IX e l‟inizio del X secolo, in tutte le
regioni mediterranee, e quindi anche nelle aree musulmane del continente europeo più
prossime all'Africa Settentrionale, iniziò la commercializzazione e l‟utilizzazione del
manufatto arabo, sostituendo il costoso papiro egiziano e creando un‟alternativa alla
pergamena.
Dopo la prima diffusione della carta, proveniente dai centri mediterranei
dell‟Africa, si passò alla sua fabbricazione nella parte della penisola iberica dominata
dai musulmani. Le prime cartiere o mulini per la lavorazione della carta a mano,
ricavata dagli stracci di canapa e lino, in Europa sorsero in Spagna probabilmente
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intorno alla fine dell'XI secolo a Toledo, Granada, Cadice e soprattutto a Jativa (S.
Felipe). Il periodo storico arabo-spagnolo, che va dal XII secolo agli anni Settanta del
Trecento, si conclude con la paralisi della diffusione della carta spagnola, soppiantata da
quella di fabbricazione italiana, già conosciuta nei principali centri della penisola
iberica a cominciare dalla metà del XIV secolo.
L‟inizio del periodo arabo-italico è posteriore, anche se di poco, al periodo
arabo-spagnolo, e fu un periodo denso di incertezze che non consentono ancora di
stabilire come, dove, quando e da chi è stata introdotta questa arte in Italia e tanto meno
di risolvere il dibattuto problema del primato che tuttora si contendono la Sicilia, la
Campania con Amalfi, la Liguria e le Marche con Fabriano. Nelle due penisole europee,
per un certo lasso di tempo, la carta si lavorò soltanto con le tecniche e i metodi arabi.
In Italia accadde qualcosa che non ebbe riscontro nella Spagna musulmana,
un‟evoluzione tecnologica, dovuta alle innovazioni dei cartai che operavano a Fabriano,
che consentì un salto di qualità della carta nella seconda metà del XIII secolo.
Le principali innovazioni che modificarono profondamente il sistema arabo
riguardarono la preparazione della pasta, la collatura e la filigranatura. La pasta iniziò
ad essere preparata utilizzando magli multipli azionati da un albero a camme collegato
ad una ruota idraulica. Più efficienti del mortaio dei cinesi o della mola degli arabi,
mossi da uomini o animali, i magli, lavorando in verticale, sfibrano canapa e lino più
velocemente e meglio, riducendo così i costi e migliorando la qualità. La collatura con
amido di riso o grano fu sostituita con una a base di gelatina animale - detta carniccio -
ricavata facendo bollire gli scarti delle pelli animali forniti dalle concerie locali che
migliorò caratteristiche di impermeabilità e di resistenza a insetti e microrganismi.
Infine, la filigranatura dei fogli consentiva, mediante l‟impronta lasciata nello
strato di carta dal disegno in filo di rame, di contraddistinguere il proprio prodotto con
segni particolari, come, con altri accorgimenti, facevano i lanaioli. I primi cartai infatti
usarono i segni della filigrana per marcare il proprio prodotto. Più tardi gradualmente si
passò ai segni più complicati e rifiniti per contraddistinguere i vari tipi di carta e il
formato dei fogli o per contrassegnare e individuare i diversi committenti o per stabilire
i periodi di fabbricazione.
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Da quell‟insediamento industriale marchigiano, come per gemmazione, si
formarono e si svilupparono altri centri cartai in Italia, a Bologna, Pioraco, Foligno,
Treviso, Modena, Padova, Colle Val d‟Elsa nel XIV secolo e poi, nel Quattrocento,
l‟espansione in modo particolare nel Settentrione in Piemonte, Lombardia, Liguria,
Veneto, ma anche al Centro in Toscana, nelle Marche, in Abruzzo. Tutte queste aree per
diversi e per lunghi periodi furono grandi produttrici di carta, alcune anche con
caratteristiche proprie, ma è ormai accertato che, nell‟arco temporale che va dal XIV al
XV secolo, la mobilità della manodopera specializzata proveniente da Fabriano fu
prevalente.
Si può intravedere nella diaspora storica degli artigiani fabrianesi, che andarono
– o per intraprendenza o per chiamata – ad impiantare nuove cartiere o a lavorare
altrove, portandosi dietro il prezioso bagaglio di una tecnologia avanzata, una sorta di
"know how" ante litteram che impresse alla manifattura cartaria italiana una dinamica
eccezionale e tale da portarla a svolgere un contributo fondamentale nell‟opera di
diffusione della carta in tutta Europa. A Fabriano, nello stesso periodo si contavano
quaranta cartiere che mediamente producevano 250 mila chilogrammi di carta all‟anno
destinati ai mercati italiani ed europei conquistati, con una merce che non temeva
ancora la concorrenza, da validi e bene introdotti operatori commerciali. Alcuni di
questi si identificano con la figura del mercante-imprenditore, anticipatore, per certi
versi, del mondo proto-industriale dei secoli successivi.1
La fabbricazione della carta si diffuse rapidamente in tutta Europa, specie dopo i
progressi della tipografia, e la carta fabrianese occupò un posto eminente fino al „600,
per cedere il passo a quella genovese e amalfitana. Nel „700 la tradizione venne
riportata in auge da Pietro Miliani (1744 – 1817) e da allora Fabriano manterrà un posto
di primo piano in questo settore.2
1
G. CASTAGNARI, La città della carta: ambiente, società, cultura nella storia di Fabriano,
Fabriano, Città e Comune, 1982; cit. pag. 37.
2
A.F. GASPARINETTI, Pietro Miliani fabbricante di carta, Fabriano, 1963.
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I.2) Le tecniche di fabbricazione fino al secolo XIX
Fino al XIX secolo l‟industria della carta dovette far ricorso essenzialmente agli
stracci, una materia prima che si fece sempre più rara in proporzione alla crescente
domanda di carta in tutto il mondo. Il processo produttivo iniziava con l‟assortimento
degli stracci3, i quali dopo essere stati asciugati venivano ripartiti in tre gruppi: fini,
mezzani e terzi, a seconda della qualità che dipendeva dal grado di bianchezza e di
finezza delle tele. Gli stracci fini servivano per la carta da scrivere di prima qualità; i
mezzani contenevano della lana che mal si amalgamava con le altre fibre di origine
vegetale e il loro utilizzo era limitato a carte ordinarie; gli stracci terzi venivano
impiegati per le carte da imballaggio. L‟assortimento era fondamentale per ottenere
delle paste omogenee e quindi carta di buona qualità. Questa operazione era
generalmente compiute da donne che lavoravano a due a due di fronte ad una cassa a tre
comparti nella quale raccoglievano gli stracci, una volta raschiati con il coltello, a
seconda della loro qualità. Gli scarti della raschiatura, buttati ai loro piedi, venivano
raccolti da un apprendista e costituivano una quarta qualità, impiegata per la produzione
di carta grigia grossolana, con la quale venivano avvolti le risme di carta bianca o lo
zucchero.
La seconda fase del processo consisteva nel lavaggio e fermentazione dei cenci4.
Una volta selezionati, gli stracci erano inseriti nelle tine munite di buchi sul fondo e
graticci di filo metallico ai lati, dove erano continuamente rimossi e sciacquati con
acqua corrente. Poi venivano pressati, coperti con tela di sacco e lasciati fermentare per
almeno una settimana, questa operazione trasformava gli stracci in un impasto unito,
compatto, morbido e resistente.
La terza fase, il taglio degli stracci5, inizialmente veniva effettuata a mano con
una falce e un ferro a forma di uncino. Successivamente venne impiegata un‟apposita
macchina, che consisteva in una tramoggia verticale dove i cenci, ben assortiti, erano
assortiti e pigiati. Un cilindro orizzontale armato di uncini, posto sotto la tramoggia,
3
ANNA DELL‟OREFICE, L’industria della carta nel Mezzogiorno d’Italia, Libraire Droz,
Geneve, 1979.
4
Ibidem.
5
Ibidem.