Introduzione
Università degli Studi di Firenze – Facoltà di Scienze Politiche
III
Come si vedrà, sport e sociologia sono due sistemi culturali differenti ma che alcuni
autori hanno cercato di rendere meno distanti; si creano così, nella parte finale del
capitolo, le premesse per spiegare il complesso connubio tra loro, accennando alle
numerose teorie sociologiche che si sono sviluppate in proposito.
Il secondo capitolo prevede la trattazione degli approcci e delle prospettive che
legano lo sport alle scienze sociali: dalla teoria della classe agiata di Veblen a Heinz
Risse, dalla teoria di Allenn Guttmann alla teoria configurazionale di Elias, fino alle
analisi di Bourdieu, Lasch e Bromberger. Risulta significativo anche l'accostamento
con alcune delle più importanti teorie sociologiche, come punto di riferimento
essenziale nello studio del fenomeno sportivo: l'approccio struttural-funzionalista, la
sociologia formale di Simmel, la teoria weberiana e quella marxista.
Come si noterà, lo sport, essendo un prodotto della società industriale, ne rielabora
anche alcune importanti rappresentazioni collettive: l'ambiente, lo spazio ed il tempo,
la corporeità, la tecnologia e la globalizzazione.
Dopo una prima parte prettamente sociologica, dedicata quindi allo sport, alla sua
nascita, al suo sviluppo, ed infine alle riflessioni di vari autori, nel terzo capitolo ci si
concentra su uno sport in particolare: il calcio. Questo per analizzare da vicino un
fenomeno sociale di enorme importanza, e quale, se non il calcio, rappresenta e cela
dietro di sé numerosi aspetti appartenenti alla nostra vita quotidiana? Il calcio,
soprattutto in nazioni come la nostra (ma anche in tante altre europee ed
extraeuropee) ha ormai assunto una rilevanza che è doveroso analizzare. Vedremo
perciò come nasce il calcio, cos'è, come funziona, quali sono i suoi significati; dalle
multiformi caratteristiche di una pratica ormai diffusissima, passeremo a
sottolinearne i particolari rituali, da quelli intrinsechi al gioco a quelli relativi ai
protagonisti in campo e sugli spalti. Nella parte finale verrà sottolineata la sua
importanza per i giovani, nel delicato processo di socializzazione, ed i complessi
intrecci che ormai legano calcio e mass-media.
Nel quarto capitolo, passeremo ad analizzare un aspetto importante del pianeta
calcio: il tifo organizzato. Dopo una premessa sulle origini storiche, la nascita e lo
sviluppo di questo fenomeno, si cercherà di analizzare il rituale domenicale, un
evento che porta allo stadio migliaia di appassionati: si prenderanno in
considerazione la loro disposizione sulle gradinate, il linguaggio, le tante
Introduzione
Università degli Studi di Firenze – Facoltà di Scienze Politiche
IV
manifestazioni di massa fino ad arrivare allo studio dell'aggressività. La vita sulle
gradinate è caratterizzata da un'evidente ricerca di identità ma anche da una netta
dicotomia amico/nemico. Andare la domenica allo stadio genera particolari
aspettative ed un'eccitazione collettiva fuori dal comune che spesso può portare fuori
dai binari l'aggressività ritualizzata; a prevalere è così il cosiddetto "bisogno di
apparire" che può portare anche ad episodi di violenza. E' su questi aspetti, cioè
l’insieme di atti di vandalismo e di aggressione, in molti casi anche cruenti che
particolari gruppi di giovani tifosi compiono ai danni di analoghi gruppi avversari,
sia dentro che fuori dagli stadi, che si chiude la quarta parte.
Il quinto ed ultimo capitolo della tesi rappresenta il frutto di un'indagine "sul campo",
con la presentazione di una specifica ricerca empirica. In particolare sono state
realizzate varie interviste nelle quali il tifo organizzato è al centro delle domande
rivolte ai diretti interessati, tifosi ed ultras, in due diverse nazioni: Italia e Spagna,
rispettivamente nelle città di Firenze e Siviglia. La scelta di analizzare questi due
centri abitati, e di conseguenza, le rispettive tifoserie, è dovuta in gran parte a motivi
personali. Si tratta di due realtà a me particolarmente care e vicine benché
completamente diverse: Firenze (e la sua squadra di calcio locale, la Fiorentina) è
luogo della mia nascita, la città dove sono cresciuto e nella quale si è sviluppata la
mia passione per i colori viola; Siviglia rappresenta una tappa importante della mia
vita, un luogo che mi ha segnato profondamente, anche dal punto di vista calcistico e
del tifo. Dall'indagine sono emersi aspetti interessanti sui temi dibattuti in
precedenza: la socializzazione dei giovani "iniziati" al calcio ed al tifo,
l'identificazione personale ed i rapporti sociali, i rituali, l'aggressività che spesso può
sfociare in violenza. I due gruppi presi in considerazione, tifosi ed ultras,
evidenziano, come vedremo, differenze importanti. Anche tra l'Italia e la Spagna, tra
Firenze e Siviglia sarà possibile delineare somiglianze e diversità. La chiusura è
invece dedicata alle prospettive, al futuro che si pensa verrà riservato al tifo
organizzato.
Infine, nell'Appendice sono riportate le tracce di intervista, cioè la serie di domande
rivolte ai due gruppi distinti (diverse tra loro solamente per pochi aspetti), unitamente
alle interviste (trascritte per intero).
Parte Prima – Capitolo 1
1 E’ UN FINTO TITOLO
PARTE PRIMA
Capitolo 1
Capitolo 1 – Lo sport: un fatto sociale totale
2
Lo sport: un fatto sociale totale
1.1 Dal gioco allo sport
Per risalire alla nascita dello sport moderno, sul quale concentreremo la nostra
attenzione, è necessario fare un passo indietro, tornando al gioco ed al suo
significato. In particolare, per tracciare il passaggio dall’azione disinteressata del
“giocare” alla gara vera e propria.
Partiamo dunque analizzando la natura ed il significato del gioco dal punto di vista di
Johan Huizinga nel suo Homo ludens
1
, l'opera di maggior importanza sull'argomento.
Secondo l'autore, "il gioco è più antico della cultura perché il concetto di cultura
presuppone convivenza umana e gli animali non hanno aspettato che gli uomini
insegnassero loro a giocare"
(Huizinga, 1979, p.3). E’, infatti, nel gioco animale che
si rintracciano le prime forme di gioco. Ma già nelle sue forme più semplici come
questa, il gioco è qualcosa di più di un fenomeno puramente fisiologico, anzi,
oltrepassa i limiti dell’attività biologica perché contiene un senso. Ogni gioco
significa qualcosa e ci si chiede: perché e a che fine si gioca? Molti saggi hanno
provato a rispondere a questa domanda: alcuni circoscrivono l’origine e la base del
gioco ad uno sbarazzarsi del superfluo di forza vitale; altri sottolineano il bisogno di
rilassamento, di allenamento all’autocontrollo o l'essere capaci di qualche cosa; altri
ancora poggiano l’accento sull’ansia di dominare, di evadere dalla grave onerosità
della vita o di appagare desideri in realtà inappagabili. Ma il gusto del gioco resiste
ad ogni interpretazione logica. E’ una realtà che non può essere fondata su un
rapporto razionale perché la ragione la limiterebbe al mondo umano e, come detto,
non è così. Giocare è un’attività dello spirito, non è materia, è una pratica irrazionale,
1
In Homo ludens (Giulio Einaudi editore, Torino 1979), Huizinga analizza la nozione di gioco,
sottolineandone la costante presenza in ogni comportamento culturale, in ogni fenomeno sociale, sport
compreso.
Capitolo 1 – Lo sport: un fatto sociale totale
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è un modo d’agire che si distingue dalla vita ordinaria ed ha una funzione sociale.
Spesso nella nostra coscienza, il gioco si oppone alla serietà, ma in realtà non è così
perché bambini, calciatori, scacchisti possono giocare senza la minima tendenza a
ridere.
Ma torniamo ad analizzare il gioco, soprattutto quello di indole sociale, cioè di un
gruppo o di una società.
Innanzitutto, dice Huizinga "ogni gioco è un atto libero"
(Huizinga, 1979, p.11), ciò
vale per il bambino come anche per l’animale. Per l’adulto ha una funzione
superflua, ma è invece una parte fondamentale in quanto adorna la vita e la completa.
"E’ quindi indispensabile, all’individuo ed alla collettività, per il senso che contiene,
per i legami spirituali e sociali che esso crea, insomma in quanto funzione culturale"
(Huizinga, 1979, p.12).
Altra caratteristica è che "si svolge entro certi limiti di spazio e tempo" (Huizinga,
1979, p.13), esso crea un ordine, è ordine. In questo rapporto con l’idea dell’ordine
sta la ragione per cui il gioco pare situato sul terreno dell’estetica. Infatti, i termini
con cui è definito sono tensione, equilibrio, contrasto, ritmo, armonia ovvero parole
che richiamano tale campo. La qualifica di tensione ad esempio ha un posto
importante, è un elemento presente sia nel bambino che gioca a palla sia nei giochi
solitari d’abilità che nel tiro a segno e cresce di importanza a seconda che il gioco
abbia un carattere più o meno rivaleggiante. Nella gara sportiva la tensione giunge ad
un limite estremo ed è anche l’elemento che dà un senso etico all’attività. Con essa
viene messo alla prova nel giocatore il vigore fisico, la resistenza, il coraggio ma
anche la forza morale perché in ogni caso egli si deve mantenere entro i limiti del
lecito prescritto. E’ qui che le qualità di ordine e tensione ci portano a considerare
anche l’importanza della regola del gioco.
"Ogni gioco ha le sue regole" (Huizinga, 1979, p.15), esse determinano ciò che varrà
dentro quel mondo temporaneo delimitato dal gioco stesso, sono obbligatorie ed
inconfutabili. Appena si trasgrediscono non esiste più gioco, ad esempio il fischietto
dell’arbitro serve per ristabilire “il mondo normale”. Da tutto questo, si evince come
la lealtà sia ovviamente inerente al gioco.
Riassumendo, per Huizinga "si può chiamare il gioco un’azione libera: conscia di
non essere presa sul serio e situata al di fuori della vita consueta, che nondimeno può
Capitolo 1 – Lo sport: un fatto sociale totale
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impossessarsi del giocatore; azione a cui non è congiunto un interesse materiale, che
si compie entro un tempo ed uno spazio definiti, che si svolge con ordine secondo
date regole e suscita rapporti sociali che facilmente accentuano mediante
travestimento la loro diversità dal mondo solito" (Huizinga, 1979, p.17). Il gioco è
un'azione che impegna in maniera assoluta, che ha un fine, è accompagnata da un
senso di tensione o gioia. Così determinata, la nozione comprende tutto ciò che
chiamiamo gioco: giochi d'abilità, di forza, d'intelligenza, d'azzardo. E comprende
anche l'elemento spirituale.
Abbiamo affermato che il gioco esisteva già prima di qualunque traccia di cultura;
ma esso si mantiene anche in uno stato di sospensione al di sopra di ogni cultura, o
almeno se ne stacca. L’uomo gioca come il bambino, per divertirsi e ricrearsi, sotto il
livello della vita seria. Ma può anche giocare al di sopra di quel livello, giochi
improntati a bellezza ed a senso sacro. Proprio il rapporto tra culto e gioco si può
definire meglio. Nelle società precedenti la nostra, le attività che assomigliavano a
giochi e gare erano sempre state connesse agli ambiti della vita governati dal sacro e
dal magico e le gare sportive erano parte di tutte le manifestazioni religiose. C'è una
forte rassomiglianza tra forme rituali e forme ludiche ma fino a che punto ogni
azione sacra ricade dentro l’ambito del gioco? Nelle distinzioni formali del gioco
figurava l’isolamento del luogo d’azione dalla vita quotidiana. Lì si compie il gioco e
lì valgono le sue regole. Una delimitazione del luogo consacrato è anche la
primissima caratteristica di ogni azione sacra. Tale delimitazione è assolutamente
una ed identica per un fine sacro o per un puro gioco. L’ippodromo, il campo da
tennis, la scacchiera non si differenziano funzionalmente dal tempio o dal cerchio
magico. Questo bisogno di limitazione ed isolamento è spiegato come una misura per
difendersi da influenze esterne dannose. A.E.Jensen, nel suo Beschneidung und
Reifezeremonien beu Naturvolkern (1933), descrive come nei rituali e nelle
cerimonie sacre dei selvaggi siano gli uomini ad avere la regia del tutto, a produrre le
maschere ed il fruscio annunziante l'apparizione dello spirito. Si crea in questi casi
un atteggiamento che oscilla tra commozione, finta follia, eccitazione e timore,
manifestazioni di questo genere possono essere spontanee ma anche “cose che
bisogna fare”. Nel capitolo Primitive Credulity del Threshold of Religion, Marett
chiarifica in qual modo un certo elemento di “far credere”, partecipi sempre nella
Capitolo 1 – Lo sport: un fatto sociale totale
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fede dei primitivi (Marett, 1912, pp.41-42). Essi sono incantatori ed incantati, spesso
“recitano una parte”, c’è una consapevolezza del “non essere vero” dei rapporti
magici ma questo non significa che il sistema di fede e di pratiche religiose sia
soltanto un inganno; appare però evidente come nelle cerimonie magico-sacre dei
popoli primitivi non si possa perder d’occhio neppure per un solo momento la
nozione di gioco, che unisce la solenne serietà con ostentazione e “scherzo”. Gioco
indispensabile alla salute della collettività, fondamentale per lo sviluppo sociale, e
nondimeno un gioco, un’azione che si compie (come la vide Platone) fuori e sopra la
sfera della vita seria dei bisogni e delle cose gravi. Questa sfera del gioco sacro è
quella dove si ritrovano il bimbo ed il poeta, insieme col selvaggio primitivo.
Se ci spostiamo dalle selvagge e bizzarre pratiche sacre dei popoli primitivi (africani,
australiani o americani) alle religioni mistiche o “superiori”, come ad esempio quella
egiziana, anche per esse vale la qualifica di gioco. I giochi sono consacrati alla
divinità, all’obiettivo più alto cui l’uomo possa dedicare la sua energia. "L’azione
sacra di ogni tempo rimane per alcuni suoi aspetti compresa nella categoria del
gioco, ma in tale subordinazione non va perduto nulla della sua sacralità" (Huizinga,
1979, p.34).
Avviciniamoci ora al concetto di gara, che meglio ci conduce al fenomeno dello
sport vero e proprio. Nelle lingue germaniche, e non soltanto in queste, il termine
gioco richiama la lotta seria con le armi: gioco è lotta e lotta è gioco. Nelle culture
arcaiche le due categorie (lotta e gioco) non sono divise, tanto meno dunque c'è
ragione di scindere la gara dal gioco. Ma è soprattutto nella Grecia che si delinea
questo simbolico "passaggio". Il concetto di gara è infatti sempre unito alla nostra
idea della civiltà ellenica in quanto i greci solevano gareggiare in tutto ciò che
potesse prestarsi ad una gara. Gare di bellezza, canto, resistenza (al sonno o al cibo).
La maggior parte di esse si svolgeva con grande serietà ma ciò non è sufficiente per
scinderle dal gioco. La gara presenta tutte le caratteristiche formali del gioco, e anche
quasi tutte quelle funzionali. La gara può insomma esser classifica nella categoria del
gioco, si gioca o si gareggia "per qualche cosa" che non è però il risultato materiale
bensì il fatto immateriale che il gioco sia riuscito. Tale riuscita crea nel giocatore una
soddisfazione, accresciuta dalla presenza degli spettatori, comunque non
indispensabili (ad esempio nel gioco di carte del "solitario"). D'importanza vitale
Capitolo 1 – Lo sport: un fatto sociale totale
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sono il "potersi vantare della buona riuscita di fronte agli altri" (Huizinga, 1979, p.
59) ed il concetto del vincere, cioè del "risultare superiore" nell'esito, nella posta in
palio che può essere simbolica o materiale. Sta qui la differenza tra l'azione
disinteressata del "giocare" e la gara vera e propria, che è un gioco competitivo. Si
compete non soltanto "per" qualcosa ma anche "in" qualcosa, per riuscire primi in
destrezza. L'usanza del potlatch delle tribù indiane della Columbia britannica è una
grande solennità festiva durante la quale uno dei due gruppi fa all'altro doni in grande
quantità, con molto sfoggio e con tante cerimonie, per dimostrare la propria
superiorità. L'altro è obbligato a restituire la festa entro un limite di tempo,
possibilmente superandola. Insomma, la forma d'azione è proprio quella della gara,
poiché il punto centrale sta proprio nel vincere, ed è l'esempio di come, anche in
società arcaiche, esistesse l'esigenza fondamentale da parte del genere umano del
gioco per la fama e l'onore.
Dobbiamo a questo punto far chiarezza su un altro termine accanto a quelli di gioco e
gara: quello di sport. Già, perché se intendiamo lo sport come gioco, allora esso
risale a molto prima del genere umano, come già sottolineato parlando di Huizinga.
Secondo i marxisti è la caratteristica che separa l'uomo dalla bestia, è una
manifestazione culturale importante per la preparazione al lavoro; seguendo una
concezione tradizionale delle sue origini, lo sport sarebbe apparso in maniera
spontanea nel corso dell'età dell'oro della Grecia classica per poi scomparire in attesa
di "resuscitare" ai nostri giorni; secondo una concezione critica, gli sport non hanno
un'origine antica ma sono un adattamento peculiare alla vita moderna. Gli storici
dello sport affermano che il fenomeno è sempre esistito ma che ebbe periodi di
maggior splendore in determinate età. Tuttavia, gli sport "precedenti" non sono
facilmente separabili dalla vita sociale, il problema è che sono stati registrati pochi
dati e le poche conoscenze sullo sport pre-moderno sono raccolte da un insieme
scarso di elementi. Molte attività del passato che assomigliano ai nostri sport erano
nella pratica del tutto diverse. A ciò va aggiunta una certa difficoltà nel reperire
materiale del genere visto che pochi sono stati gli studi completi sull'argomento.
Il termine sport ha un'ampia accezione, sbrigativamente si dice che è un vocabolo
inglese che deriva da diporto ma è un modo troppo semplice per risolvere il
problema. "Punto di partenza è il latino deportare e anche ex-portare, cioè portar via,
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uscire dal lavoro e da cui sono poi derivare (in italiano) deportare e diportarsi, cioè
svagarsi" (Dizionario dello sport, 1977,p.1143). Paul Adam (studioso di storia dello
sport) afferma che deportare si riferiva all'uscire fuori di porta, fuori dalle porte della
città, per dedicarsi ai giochi di competizione che, come è noto, si svolgevano fuori
dalle mura. Dal latino deportare proviene il provenzale de-portar che fa la sua
apparizione nel XIII secolo, per poi dare origine alle varie forme delle molteplici
lingue europee. Insomma, l'origine è latina ma la matrice provenzale. Nacquero
numerosi termini simili, lo spagnolo deporte, il portoghese desporto e l'italiano
deporto i più importanti. Già nel 1540 accanto a desport ritroviamo la parola sport,
per quella tendenza alla brevità che caratterizza le mutazioni delle parole inglesi (con
l'afèresi, cioè la sottrazione della prima sillaba). Tutto ciò, è ben riassunto nella
tabella che segue, tratta dalla p. 1144 del "Dizionario dello Sport" di Enrile.