INTRODUZIONE
6
“un’icona verbale” del passato comporta alcune ripercussioni sul nostro
rapporto con la Storia. Due aspetti in particolare saranno perciò sottolineati:
1. Le sue tesi, catalogate sotto il nome di narrativismo, hanno
contribuito, negli ultimi trent’anni, ad evidenziare lo stretto legame
che corre tra la storiografia e la narrativa, soprattutto per tramite
della Retorica.
2. Inoltre, come conseguenza diretta dei suoi studi tecnici riguardo alla
scrittura della Storia, è risultato particolarmente problematizzato il
rapporto tra i fatti storici e la modalità o la possibilità della loro
conoscenza.
Dopo una rapida ricapitolazione delle impostazioni che hanno dominato il
campo della teoria della storiografia nel ventesimo secolo, vale a dire
prevalentemente lo storicismo di stampo tedesco e il neopositivismo, mi
soffermerò sulla critica della testimonianza e della nozione di “evento” che
Marc Bloch, con la sua scuola delle Annales, affinò particolarmente in
ambito storiografico. Quindi andrò ad offrire necessari cenni rispetto alle
nozioni sia di Retorica che di narrativa, intesa nella sua accezione di
finzione. In particolare differenzierò la retorica antica da quella moderna,
perché solo dopo un tale distinguo è possibile comprendere pienamente sia
le posizioni di White, sia le critiche di alcuni suoi detrattori. Un paragrafo
INTRODUZIONE
7
sarà poi dedicato alla distinzione del “verosimile” dal “credibile”: due
categorie contigue ma non sovrapponibili. Teoria della storiografia,
testimonianza, Retorica, finzione e narrazione di ciò che può essere creduto
sono infatti gli elementi essenziali che compongono le articolate tesi di
White. In questi stessi elementi inoltre si annidano tutte le aporie della sua
posizione, come vedremo nel penultimo capitolo.
Nel secondo capitolo introdurrò più precisamente la figura di Hayden
White, accennando ai suoi primi lavori - in particolare ai suoi studi su Vico
e Croce
2
; quindi passerò all’analisi della sua prima e fondamentale opera,
Metahistory. Con questo libro del 1973, egli raccolse la nascente
impostazione narrativista e la rivisitò alla luce di nozioni di linguistica e
con strumenti fornitigli dallo strutturalismo. Come vedremo la chiave di
lettura principale che White utilizza è quella della retorica della struttura,
altra da quella della frase: non si tratta di rilevare le varie singole figure
retoriche presenti in qualsiasi opera di storiografia - come del resto in ogni
altro tipo di discorso - quanto piuttosto di scoprire il modo preciso in cui lo
storico si è prefigurato l’intero campo del passato, perché da tale modo
deriva la sua particolare visione della Storia. Nell’affrontare il libro di
White sarà inevitabile tenere in considerazione i suoi principali referenti:
Auerbach, Gombrich, Frye, Pepper e Mannheim.
2
Principalmente H. White, What is Living and What is Dead in Croce's Criticism of Vico, in G.
Tagliacozzo, op. cit., pp. 379-389.
INTRODUZIONE
8
In seguito studierò le opere successive di White per rilevare gli eventuali
ridimensionamenti o le modificazioni subite dalla sua prima formulazione
teorica: in particolare tratterò dei suoi libri The Tropics of Discourse, del
1978, e The Content of the Form, del 1987. Inoltre avranno notevole
importanza alcuni suoi articoli degli anni novanta riguardanti i rapporti tra
narrativismo, Storia e i moderni media.
Nel terzo capitolo mostrerò il valore che le tesi di White hanno assunto
nelle opere di chi, senza negarle completamente, le ha ridimensionate
inserendole all’interno di una visione più larga della storiografia: in questo
senso mi riferirò prevalentemente a Paul Ricoeur, ma anche a Krzysztof
Pomian. Inoltre affronterò le principali critiche verso le impostazioni di
White mosse sia da storici che da filosofi, quelle di Arnaldo Momigliano e
Carlo Ginzburg in primis. Proprio nelle loro critiche alla Metastoria di
White, come vedremo, è leggibile in controluce la scollatura che spesso si è
verificata tra filosofi e storici riguardo alla teoria della storiografia.
Se, d’altra parte, discorso teorico e prassi storica raramente concordano,
altrettanto raramente si esibiscono in uno scontro frontale. Nell’ultima
parte, infatti, tenterò di mostrare come le critiche mosse a White non siano
del tutto inconciliabili con la sua stessa impostazione. Appurato il
relativismo e, soprattutto, l’epistemologia di tipo “nietzschiano” che
permeano tutta l’opera del filosofo americano, restano almeno due ambiti di
comunicazione positiva con quanti rivendicano un nesso stretto tra Storia e
INTRODUZIONE
9
verità: da una parte il rapporto tra resoconto del fatto storico e documento o
prova, mai negato del tutto neppure da White; e, dall’altra, la non
sovrapponibilità della nozione di inganno a quella di illusione. Benché,
infatti, la “verità” cui ogni storico può giungere sia per White solamente
una “verità” poetica, occorre distinguere quest’ultima dalla mera “falsità”.
Scrivere - e leggere - la Storia come se si trattasse di una narrazione
significa inventare il passato: ma occorre intendere l’inventare anche
secondo la sua etimologia, invenire, trovare, scovare dopo una ricerca. È
questa, a mio avviso, l’ambiguità che va dileguata: White non pensa ad una
storiografia che crea il passato, quanto piuttosto ad una che lo trova, pur
utilizzando strumenti che influenzano profondamente la ricerca stessa.
CAPITOLO I
10
CAPITOLO I
1. Le principali teorie della storiografia del ventesimo secolo
Nella seconda metà degli anni sessanta del ventesimo secolo, la
teoria della storiografia si è aperta ad una impostazione relativamente
inedita: il narrativismo. Le tesi narrativiste, nate negli Stati Uniti, tendono
ad indicare proprio la narrazione come l’atto essenziale della storiografia:
secondo esse il mestiere di storico consisterebbe prevalentemente nel
raccontare in una storia - nel senso inglese di story o fiction - ciò che è
accaduto in un luogo ed in un tempo determinato. Questa concezione della
disciplina storica è inedita nella misura in cui viene dotata, dai suoi
esponenti principali
3
, di un apparato teorico che si avvale di strumenti quali
la linguistica o la semiologia; eppure posizioni affini erano già comparse
nel corso dei secoli, se pur in forme e con argomenti differenti. Basti
pensare alla concezione di Storia
4
propria della cultura europea sino alla
fine del settecento: essa, ancora con Voltaire, era considerata un caso
3
Come vedremo in seguito i più noti esponenti del narrativismo sono Arthur Danto, William
Gallie, Louis Mink, Paul Veyne e, principalmente, Hayden White.
4
Uso la parola “Storia” per indicare la disciplina o scienza che studia il passato; al contrario
utilizzerò “storia” per intendere le narrazioni o i racconti scritti da studiosi o letterati. Storia è
quindi la disciplina che viene convenzionalmente fondata da Erodoto, mentre storie, ad esempio,
sono sia i singoli episodi riportati, sia le innumerabiles fabulae (Cicerone) che egli inserisce
all’interno del proprio lavoro.
CAPITOLO I
11
particolare delle belles lettres. Soltanto successivamente, durante tutto il
diciannovesimo secolo e fino alla prima metà del ventesimo secolo, è
rilevabile uno sforzo teso a trasformare la disciplina storica in qualcosa di
autonomo. Sia che si considerino gli sforzi degli storici di professione
(Michelet e Marc Bloch, solo per citare due nomi che, pur nella loro
distanza, hanno difeso l’autonomia della Storia), sia che si considerino i
numerosi interventi da parte dei filosofi (Dilthey e Hempel, nuovamente per
citare due esempi distanti tra loro), l’intenzione comune riscontrabile è
quella di affrancare la storiografia dalla sua dimensione letteraria per
fornirla di una epistemologia rigorosa. Le strade percorse in questo senso
sono fondamentalmente tre: lo storicismo di stampo tedesco; la storiografia
francese, in particolar modo la scuola delle Annales; il neopositivismo. A
partire dal 1964, anno della pubblicazione di Philosophy in Historical
Understanding
5
di William Gallie, il narrativismo si affianca alle posizioni
storiografiche già esistenti, peraltro tutte investite da una profonda crisi
(fatta esclusione per la scuola delle Annales la quale, composta da storici e
non da filosofi, ha continuato negli anni un’intensa attività sia di ricerca, sia
teorica
6
).
5
W. Gallie, Philosophy and Historical Understanding, in «History and Theory», 1963.
6
Nonostante Marc Bloch, fondatore della scuola delle Annales, abbia dichiarato polemicamente
che, dal punto di vista teorico, egli non è stato altro che “un artigiano che ha sempre amato
meditare sul proprio compito quotidiano” (M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere dello
storico, Torino, 1998, p.18), i contributi teorici delle Annales hanno concorso in modo
determinante alla ridefinizione dell’attività storica. In particolar modo le Annales hanno aperto la
Storia verso discipline anche distanti, come la geologia o la biologia, scorgendo nel contributo che
CAPITOLO I
12
Storicismo e Neopositivismo soprattutto si antepongono con due
visioni alternative, rispetto alla teoria della storiografia. Il primo, nato già
all’inizio dell’ultimo ventennio dell’ottocento
7
, proponeva una divisione tra
scienze naturali – o scienze propriamente dette – dotate di metodi specifici,
e scienze sociali. La distinzione, ridefinita in seguito anche da Max Weber,
poneva la Storia all’interno del secondo tipo di scienze, quelle sociali.
Dilthey
8
, il capostipite dello storicismo tedesco, distingueva addirittura la
Storia dalle altre scienze sociali, quali ad esempio la filosofia o la
psicologia, perché il fenomeno storico sarebbe altro sia da quello fisico, sia
da quello psicologico o filosofico: esso è un unicum verificatosi nel passato
e non più ripetibile. La natura dell'oggetto della conoscenza storica viene
riconosciuta nella sua individualità, in opposizione al carattere generico,
uniforme e ripetibile, degli oggetti della conoscenza della natura, ma anche
della psicologia o della filosofia.
esse potevano offrire strumenti preziosi per lo studio del passato. Occorre in ogni caso notare
come negli ultimi venti anni anche la rivista si sia resa consapevole di una crisi diffusa in molta
parte dell’attività storica e storiografica: sia in un editoriale comparso sulla rivista Annales nel
1988 che in un articolo del 1999, Jacques Revel ha infatti usato a più riprese espressioni come
“crisi generale”, “tempo delle incertezze” e “svolta critica”, proprio a sottolineare l’imbarazzo che
gli storici provano di fronte all’avanzamento delle posizioni narrativiste (“svolta critica” –
tournant critique – è infatti espressione da opporre direttamente a “svolta linguistica” – linguistic
turn – formula con cui viene indicato proprio il narrativismo di stampo anglosassone).
7
Lo storicismo si sviluppa prevalentemente in Germania e nella cultura di matrice tedesca. La sua
nascita viene convenzionalmente fatta coincidere con la pubblicazione da parte di Wilhelm Dilthey
di Introduzione alle scienze dello Spirito, nel 1883, mentre il suo atto conclusivo sarebbe costituito
da Origini dello storicismo, di Meinecke nel 1936. L'arco di sviluppo temporale dello storicismo
comprende, quindi, eventi quali la I guerra mondiale, il crollo della potenza germanica, le
rivoluzioni russe del 1905 e 1917, la Repubblica di Weimar e il sorgere del nazi-fascismo. Occorre
poi distinguere lo storicismo tedesco da quello sviluppatosi in Italia: pensatori come Croce e
Gentile declineranno le posizioni storicistiche in maniera differente, per lo più recuperando il
pensiero di Hegel. Sull’argomento cfr. P. Rossi, Lo storicismo contemporaneo, Torino, 1968.
8
Vedi W. Dilthey, Introduzione alle scienze dello Spirito, Firenze, 1974.
CAPITOLO I
13
La differenza costitutiva degli oggetti studiati dalla scienza naturale
da una parte e da quella storica dall’altra divarica il sapere umano: se i
fenomeni fisici possono essere spiegati, gli eventi storici possono
solamente venire compresi. È quindi la categoria ermeneutica della
comprensione (Verstehen) ad interessare i fatti storici; e su quella stessa
categoria si fonda, per lo storicismo tedesco, l’insieme delle scienze sociali.
Comprendere significa conoscere dall’interno; è una forma di sapere in cui
il soggetto conoscente deve venire ad impossessarsi completamente
dell’oggetto della sua conoscenza. Nel caso specifico della Storia è
necessario “rivivere” la realtà storica in questione
9
.
Intorno agli anni trenta, in ambiente anglosassone, la distinzione tra
scienze naturali e scienze sociali inizia a venire rifiutata. È però un
austriaco, Otto Neurath, ad iniziare tale processo. Nei primi anni trenta del
novecento Neurath pubblica, infatti, il saggio Empirische Soziologie, nel
quale propone il progetto di una scienza unificata. In quel saggio egli
sostiene che la distinzione tra comprensione e spiegazione, e quindi anche
quella tra scienze della natura e scienze dello spirito, non avrebbe alcun
senso; conseguentemente la Storia, che Neurath considera parte della
sociologia, dovrebbe fondarsi solamente su basi empiriche, cioè su
9
Per un rapido excursus sui concetti di spiegazione e comprensione vd. F. Bianco, Introduzione
all’ermeneutica, Bari 1998, pp. 3-12; inoltre A. M. Iacono, L’evento e l’osservatore. Ricerche
sulla storicità della conoscenza, Bergamo 1987, specialmente la prima sezione (pp. 15-77).
CAPITOLO I
14
asserzioni che registrino i fatti (protocolli). I protocolli devono essere
coerenti tra loro, proprio come richiesto agli enunciati delle scienze fisiche.
In altre parole la Storia diventa scienza perché acquisisce il linguaggio
caratteristico della fisica: si tratta di una riduzione della Storia alle scienze
di tipo fisico che è in linea con quanto tentato dal positivismo sin dal
diciannovesimo secolo. La differenza risiede nel fatto che il positivismo
aveva inteso fondare su basi ontologiche l’unificazione del sapere umano:
esso sarebbe omogeneo dal momento in cui le varie discipline costituiscono
le parti di un’enciclopedia sistematica, le porzioni integrate e comunicanti
tra loro di un edificio complessivo. Il neopositivismo invece, pur
recuperando l’intenzione di unificare le scienze, consuma quella stessa
intenzione sul campo del linguaggio: ottiene così una Storia che sottostà al
metodo della fisica perché persegue una coerenza interna. Tale riduzione
verrà ben presto abbandonata, almeno in questa forma, ma rappresenta
un’importante tentativo di rottura della divaricazione del sapere umano
compiuta dallo storicismo. Nel 1942 l’inglese Carl G. Hempel, nel suo
articolo The Function of General Laws in History
10
, compie un ulteriore
passo in quella stessa direzione indicando nel modello ipotetico-deduttivo
di spiegazione la base della scientificità della Storia. Come le scienze
fisiche impiegano ipotesi di spiegazione dei fenomeni studiati, ipotesi che
10
C. G. Hempel, The Function of General Laws in History, in «The Journal of Philosophy», 39
(1942) pp. 35-48
CAPITOLO I
15
deducono dall’osservazione
dei fatti e che si evolvono in leggi di spiegazione se vengono verificate, così
anche la Storia deve formulare ipotesi di spiegazione e, in definitiva, leggi.
Il singolo evento, dunque, viene messo in relazione con una forma di
regolarità: dato un certo contesto e determinate premesse, ciò che accade si
evolve in una precisa maniera. In realtà le leggi storiche hanno, anche per
Hempel, le caratteristiche di indicazioni generali di regolarità, ma questo
avviene perché è molto difficile creare una premessa esatta rinvenendo tutte
le cause che compartecipano all’accadimento. Con Hempel la spiegazione,
vale a dire la sussunzione di un certo fenomeno sotto una legge generale,
diventa l’operazione conoscitiva che caratterizza tutte le scienze e, quindi,
anche la Storia. Spiegare significa “coprire” un evento con una legge
generale (covering law model) ed evidenziare tutte le cause che lo hanno
prodotto. La costituzione di una scienza unificata compiuta da Hempel
viene però criticata quasi immediatamente: non è il caso qui di ripercorrere
il dibattito avvenuto a riguardo in ambiente neopositivista, basterà segnalare
gli autori che con più forza hanno contribuito nel campo storico ad un
ridimensionamento dell’impostazione riduzionista di Hempel
11
.
11
Per notizie più dettagliate riguardo alle critiche a Hempel in ambito storico e all’evoluzione
delle posizioni neopositiviste rimando a: P. Rossi, La teoria della storiografia oggi, Milano, 1983,
pp. VII-XXII; ho trovato utile anche R. Dami, I Tropi della Storia, Milano, 1994, pp, 13-39 e P.
Ricoeur, Tempo e Racconto, 3 voll., Milano, 1983, vol. 1, pp. 170-216. Occorre inoltre notare
come lo stesso Hempel, negli anni sessanta, abbia proposto di ricondurre la spiegazione storica al
modello probabilistico anziché a quello deduttivo.
CAPITOLO I
16
È principalmente attraverso i lavori di Gardiner
12
e di Dray
13
che si compie
il distacco dalla rigida base hempeliana. Il primo individua nell’indagine
storica la presenza di spiegazioni che non si avvalgono di generalizzazioni,
bensì utilizzano riferimenti ai molteplici motivi che possono aver spinto i
vari attori dell’evento storico in questione ad agire così come hanno agito.
Tali motivi affondano le proprie radici in fattori caratteriali, contingenti,
psicologici. Non è quindi la sola generalizzazione basata su rapporti di
causa/effetto che può fornire una spiegazione di ciò che è accaduto: al
contrario i modelli esplicativi cui occorre riferirsi nello studio della Storia,
ma non solo di essa, sono molteplici. William Dray d’altra parte non si
limita a criticare la ristrettezza del modello esplicativo proposto da Hempel:
egli nega quasi completamente la legittimità delle leggi di spiegazione in
Storia. Se la Storia è composta da eventi singoli e peculiari, ogni tentativo
di ridurre questi sotto leggi generali risulta fuorviante. Non è riconducendo
il singolo fatto sotto una casistica generale che il buono storico conosce
quanto è avvenuto in passato: Dray critica dunque proprio il carattere
nomologico della spiegazione storica. L’unica legge valida per spiegare un
dato evento sarebbe, per Dray, quella legge che comprendesse nella sua
formulazione tutti gli elementi che hanno preceduto e accompagnato
l’evento da spiegare.
12
P. Gardiner, La spiegazione storica, Roma, 1978.
13
W. Dray, Leggi e spiegazioni in storia, Milano, 1974.
CAPITOLO I
17
In altre parole, l’unica legge in grado di spiegare un evento deve essere
coestensiva all’evento stesso: quindi del tutto inutile in quanto legge
generale. Occorrerebbe piuttosto sostituire alla spiegazione nomologica
quella razionale: e cioè la ricostruzione di quello che l’agente può aver
conosciuto, pensato, provato e così via, prima di agire
14
. Si tratta di un
evidente spostamento verso le posizioni dello storicismo.
In entrambi i casi, però, la storiografia non si divincola
completamente dal tema della spiegazione caro al neopositivismo: se
Gardiner amplia i modelli esplicativi cui lo storico deve far ricorso e Dray
nega la riduzione della spiegazione storica a quella scientifica, entrambi non
riescono a proporre una vera novità rispetto alla visione neopositivista. Sia
che quella venga modificata e resa più malleabile, sia che venga
radicalmente criticata e ridotta addirittura ad un assurdo, non si affaccia con
nessuno dei due alcuna alternativa nel campo della teoria della storiografia.
Negli stessi anni in cui Neurath ed Hempel proponevano la propria
alternativa allo storicismo tedesco, in Francia nasce la rivista Annales
d’historie économique et sociale (1929), divenuta poi Annales. Economies,
Sociétés, Civilisations (1946), fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre.
Attorno alla rivista e ai suoi due direttori si forma una scuola storiografica,
la cosiddetta “scuola delle Annales”.
14
Vd. W. Dray, ibidem, pp. 13-120.
CAPITOLO I
18
Gli storici francesi non accettano le posizioni storicistiche, ma
neanche sono disposti ad accogliere l’idea
neopositivista di spiegazione. Pur non tracciando mai, né volendolo fare, un
solco teorico profondo entro cui muoversi, è interessante rilevare le
principali impostazione – soprattutto metodologiche – che essi sviluppano.
La nascita della scuola delle Annales è anticipata dal libro del
filosofo Raymond Aron Introduction à la philosophie de l’histoire
15
. Aron,
e poi tutta la scuola delle Annales, recuperando l’idea di Tocqueville
16
di
una storia della lunga durata, in opposizione a quella dell’evento, finisce col
mettere in dubbio il carattere assoluto dell’evento; negare dunque che
l’evento storico sia “ciò che è veramente accaduto” significa porre dei limiti
all’oggettività storica. Aron nel sostenere che il passato, inteso come
l’insieme degli eventi effettivamente avvenuti, è fuori dalla portata dello
storico, polemizza con le posizioni neopositiviste. Alcuni anni più tardi un
altro filosofo, Marrou
17
, ribadisce la vacuità del concetto di “passato in sé”
così come proposto dal neopositivismo. Aron e Marrou, inoltre, sostengono
15
R. Aron, Introduction à la philosophie de l’histoire: essai sur les limites de l’objectivité
historique, Parigi, 1938.
16
Alexis de Tocqueville nelle sue opere di storico (principalmente in Democrazia in America
1835-40 e L’ancien régime e la rivoluzione francese, 1856) aveva messo in crisi l’idea che
l’avvenimento costituisse la categoria fondamentale della Storia, la parte atomica da cui partire per
comprendere il passato: la centralità dell’avvenimento, inteso come guerra, trattato, incoronazione,
rivoluzione ecc..., fu eliminata dall’impostazione di Tocqueville che lo sostituì con l’idea di un
“lungo periodo” entro cui inquadrare l’avvenimento. La percezione tocquevilliana della
Rivoluzione Francese diventa allora quella di un momento che ha prodotto, in modo repentino e
violento, mutamenti che si sarebbero prodotti ugualmente, se pur con modalità e tempi differenti,
perché preparati da un lungo corso di eventi.
17
H.-I. Marrou, De la coinnaissance historique, Parigi, 1954.
CAPITOLO I
19
l’implicazione dello storico nel lavoro storico, vale a dire la presenza
riscontrabile dei valori di questi nella propria opera e, più in generale, il
legame della Storia con l’azione del mondo presente. Su queste coordinate
si inserisce l’opera teorica di Marc Bloch. Egli affianca alla sua attività di
storico quella di teorico, pur nei limiti che abbiamo già sottolineato, limiti
ai quali vanno a sommarsi gli impedimenti causatigli dalle due guerre
mondiali e dalla prigionia tedesca. Bloch, nella sua Apologia della storia,
compie una critica della testimonianza che orienterà l’intera scuola delle
Annales verso una continua caccia all’impostura all’interno delle fonti e dei
documenti. La critica della testimonianza, anticipata già dallo stesso Bloch
nel suo La guerra e le false notizie
18
, diventerà il modello principale per la
conoscenza storica: tutto ciò che ci proviene dal passato – più o meno
remoto – costituisce una traccia su cui interrogarsi. Inoltre egli sottolinea
come non esista un campo privilegiato sul quale lo storico debba muoversi:
egli deve poter fare Storia di tutto ciò che riguarda l’uomo, senza
precludersi lo stesso presente e avendo cura di ricomporre la porzione
studiata in una visione totale. Tutto ciò, ovviamente, non può prescindere
da una scelta che lo storico compie preliminarmente: una scelta concernente
il “cosa analizzare”.
18
M. Bloch, La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e Riflessioni (1921), Roma, 1994,
tr. it. G. De Paola, tit. orig. Souvenirs de guerre 1914-1915 e Réflexions d’un historien sur le
fausses nouvelles de la guerre, Parigi, 1969.