Introduzione
Il presente lavoro di tesi è incentrato sullo stato minerario indiano dello Jharkhand, con particolare
attenzione alle implicazioni sociali dell’incremento dell’attività estrattiva seguito, nell’ultimo
ventennio, all’avvio di importanti politiche di incentivazione dello sfruttamento del settore
minerario, e di privatizzazione dello stesso. Tali trasformazioni, avvenute nel più ampio contesto
del dispiegarsi del processo di globalizzazione in India, hanno avuto importanti ripercussioni sulle
popolazioni che abitano nelle aree rurali, e in specie forestali, in cui giace gran parte della ricchezza
mineraria del paese. Lo Jharkhand è diventato lo Stato indiano che è passato più velocemente da
un'economia rurale a una estrattiva aumentando per il 32% della produzione di carbone, al 31,84%
di ferro, al 25,94% di rame, al 90,98% di pirite e al 57,47% di grafite (Singh, 2012).
La maggior parte di queste zone forestali dello stato, abitate principalmente da popolazioni
indigene, continuano a tutt’oggi a coincidere con le aree del paese in cui si registrano i peggiori
indici di sviluppo dell'Unione. In sintesi se da una parte le politiche di liberalizzazione hanno
favorito l'accesso e lo sfruttamento delle risorse minerarie, dall'altra parte tutto ciò sembra aver
avuto gravi implicazione sulle condizioni di vita della popolazione indigena.
Questo lavoro, che non ha certamente pretesa di esaustività, nasce dall’esigenza di compiere un
primo tentativo verso la comprensione delle implicazioni socio-economiche più delle recenti
politiche di sfruttamento minerario dello Jharkhand, con particolare attenzione alle condizioni di
vita delle popolazioni indigene. La necessita di rispondere a questi interrogativi si è concretizzata
attraverso un'esperienza sul campo nello Stato dello Jharkhand nei mesi di Settembre-Novembre
2011. Quest’esperienza ha rappresentato la parte pratica di un tirocinio svolto presso il Centro
Studio Sereno Regis di Torino, in partenariato con l’associazione Yatra Onlus. Durante la ricerca sul
campo sono state raccolte un totale di 19 interviste semi-strutturate, principalmente a Ranchi,
capitale dello Jharkhand, ma anche nei villaggi di Binda, Khunti e Gumla e nel distretto minerario
di Hazaribagh. Le interviste sono state effettuate principalmente in lingua inglese, benché per
quattro di esse sia stato necessario un interprete che traducesse dal Munda, lingua locale,
all’inglese.
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In questa tesi verranno trattate in primis le trasformazioni sociali, politiche e economiche che hanno
attraversato l'India dall’Indipendenza ad oggi, insieme alla questione dei divari regionali. Nel
secondo capitolo verranno analizzati i processi storico-demografici che hanno contribuito alla
formazione dello Jharkhand, ma anche le prospettive attuali e future, derivate dall'espansione dello
minerario. Nel terzo capitolo sono state analizzate le trasformazioni dello Jharkhand tramite il
concetto di capitale sociale, che ha acquisito una posizione molto rilevante nelle scienze sociali e
nella teoria dello sviluppo. Infatti, si vuole far emergere come una prospettiva incentrata solo sul
concetto di capitale sociale, porterebbe a una “de-politicizzazione dei problemi dello sviluppo”.
Mentre il quarto capitolo cercherà di far emergere, attraverso una serie interviste semi-strutturate e
di gruppo, gli elementi emersi dal lavoro sul campo. Con l'obbiettivo finale di capire, qual è stata la
discrepanza tra la rappresentazione che gli intervistati hanno fatto della liberalizzazione e i reali
cambiamenti effettivi nel panorama economico dello Jharkhand.
Questo lavoro non sarebbe stato possibile senza il prezioso aiuto del Centro Studi Sereno Regis,
dell'associazione Yatra Onlus e del Circolo Shanti e Shanti che ci hanno sostenuto emotivamente e
intellettualmente. La mia gratitudine va ancora a Paolo de Leo e Binay, che ci hanno accolto,
guidato e cullato. Grazie ai miei fantastici compagni di viaggio, con cui ho condiviso un’esperienza,
emozioni e ricordi. Inoltre vorrei rivolgere un sentito ringraziamento alla prof. essa Adduci e al
prof. Barrera per il loro contribuito alla scrittura di questa tesi e per il loro sostegno intellettuale.
Il mio debito effettivo più grande va tutte le persone, vicine e lontane, che in questi tre anni mi
hanno accompagnato nel corso di questo lavoro assicurandomi conforto e confronto.
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Capitolo 1
Il Contesto socio-economico indiano
L'obbiettivo di questo capitolo è quello di fornire al lettore gli strumenti per comprendere i
cambiamenti del contesto socio-economico indiano, evidenziando i fattori esogeni e endogeni che
hanno influito sulle politiche attuali dell’India. Dall’Indipendenza ad oggi, lo scenario indiano è
stato attraversato da trasformazioni sociali, politiche e economiche che costituiscono il contesto
all’interno del quale leggere le premesse per “interpretare” le specificità socio-economiche dello
Jharkhand. L'ultima parte del capitolo, invece sarà dedicata, alla questione dei divari regionali che
costituisce una delle premesse per affrontare le specificità, prima accennate, dello stato dello
Jharkhand.
1.1 L'erosione del sistema coloniale e l'emersione delle premesse alla svolta liberale
Nel periodo di tempo intercorso tra la prima e la seconda guerra mondiale si assisteva, in molti
paesi del globo, al precipitare del sistema di potere coloniale
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. In questa sede, è sufficiente ricordare
che la cause di tale crisi risiedevano non solo nella crescente forza del nazionalismo indiano e nel
declino dell'Inghilterra come grande potenza, ma anche nella progressiva perdita di importanza
economica dell'India per la Gran Bretagna, in seguito ad alcune importanti trasformazioni
industriali avvenute nei paesi a capitalismo avanzato (Torri, 2007).
L'epoca dell'Indipendenza vide il crescendo di un dibattito economico tra gli indiani, nello
specifico, circa la natura e il meccanismo che poteva sconfiggere l'arretratezza economica e favorire
il benessere generale. L'indipendenza dello Stato fu garantita rafforzando la capacità dello Stato di
controllare il proprio spazio economico interno. Inizialmente, per combattere la povertà, primo
grande problema dell'India, furono individuate politiche interventiste basate sul capitalismo di Stato
che, nonostante tutto, riuscì solo parzialmente nell'obbiettivo che si era proposto. Il problema
1 Le caratteristiche del sistema coloniale possono essere suddivise, a grandi linee, in tre categorie: sistemi di controllo
e governo politico; sistemi di controllo e sfruttamento economico; sistemi di controllo intellettuale e ideologico. In
questa sede ci proponiamo di concentrare l'attenzione principalmente sugli aspetti politici ed economici, per i quali
disponiamo di informazioni più solide rispetto a quello degli effetti psicologici. Si può, dunque, considerare il
colonialismo moderno ad un livello più generale e vederlo come prodotto diffuso, ma nondimeno transitorio, di una
situazione di disequilibrio già esistente tra l'Europa e molte altre parti del mondo.
Fonte http://www.treccani.it/enciclopedia/colonialismo_(Enciclopedia_del_Novecento)/
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fondamentale è stato quello di creare con urgenza una società caratterizzata da una maggiore
produzione di ricchezza e da una sua più equa distribuzione.
Il mondo rurale indiano era caratterizzato, al momento dell'indipendenza, da una serie di problemi e
squilibri. Il primo era la presenza di grandi proprietari assenteisti (zamindar, talukdar e in molti ex
stati principeschi jagirdar) che percepivano considerevoli rendite, in genere non reinvestite in
attività produttive (Torri, 2007). Costoro, per quanto formalmente solo dei fittavoli, formano un'élite
che subordinava a sé il resto della popolazione rurale ed erano in uno stato di perpetua tensione con
i grandi latifondisti (Torri, 2007). Inoltre nelle campagne indiane, le politiche dettate dagli interessi
della potenza coloniale, contribuirono a istituire e a consolidare specifiche relazioni sociali, che
furono penalizzanti per la maggioranza della popolazione contadina e per la vitalità del settore
rurale nel suo insieme (Adduci, 2009). Per quanto riguarda le condizioni socio-economiche della
popolazione basti pensare che tra il 1920 e il 1947 il livello di reddito pro capite rimase stabile, e
talvolta diminuito, mentre secondo le prime stime ufficiali disponibili, calcolate dopo
l'indipendenza, nel 1960-61 circa il 40% della popolazione rurale e quasi il 50% di quella urbana
versava in condizioni di indigenza (Corbridge, Harriss e Jeffrey, 2013). Per erodere alla base il
problema delle élite rurali, di stampo coloniale, durante l'epoca Nehruviana vennero attuati dei
progetti di ristrutturazione del mondo rurale che però riscontrano essenzialmente due e due
problemi. Il primo fu che, a norma della costituzione, gran parte della legislazione necessaria poteva
essere attuata dagli Stati e non dal governo dell'Unione (Torri, 2007). Mentre l secondo problema
riguardava l'attuazione di queste riforme visto che erano presenti numerosi gruppi di interesse che
rappresentavano gli stati. In sostanza, le riforme portarono, nel corso degli anni Cinquanta,
all'abolizione del sistema zamindar, talukdar e jagirdar furono privati dei loro latifondi, ma venne
loro lasciato il diritto di mantenere la proprietà della terra anteriormente utilizzata per uso personale
(la terra, cioè, la cui coltivazione, almeno in teoria, era stata gestita in prima persona dal
latifondista) (Torri, 2007). Il limitato sviluppo dell'India rurale si è tradotto anche, in una crescita
altalenante della produzione agricola, sicuramente superiore al periodo coloniale ma, rimasta ben al
di sotto del suo potenziale. Allo stesso tempo il nascente settore industriale, contribuiva a poco più
del 15% del prodotto interno lordo totale e occupava meno del 10% della popolazione (Adduci,
2009). In generale questa interazione tra il cause esogene e cause endogene e cioè, tra evoluzione
del mercato e le contraddizioni interne, hanno gettato le basi per un cambio di paradigma. Infatti, il
fronte di critiche mosse sulla crisi dell'economia pianificata, rappresentò l'occasione immediata per
il pacchetto “riforma economica” del 1990-91. Quest'ultima verrà trattata, in modo approfondito,
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nei capitoli successivi.
Il Capitalismo di stato e l'interventismo furono gli strumenti indispensabili per lo sviluppo e la
relativa autonomia del capitalismo indiano, in più, l'economia capitalista riuscì a spostare i capitali
metropolitani dalla posizione preminente che avevano occupato nell'economia coloniale
(Chandrasekhar e Ghosh, 2002) Indipendenza significava libertà dal dominio coloniale, e questo
non poteva essere garantito senza dare allo stato indiano un ruolo importante nella costruzione di
infrastrutture, nell'espansione e nel rafforzamento della base produttiva economica, nella creazione
di nuove istituzioni finanziarie. Tuttavia, in India, la classe capitalista si rivelò incapace di
sottomettersi o imporre un simile grado di disciplina e, quindi, una alternativa al regime capitalista
non poteva emergere. Ciò significava che l'unica alternativa praticabile al dirigism fu quella di un
processo di deregolamentazione e liberalizzazione (Chandrasekhar e Ghosh, 2002). Infatti, il
fallimento dell'economia pianificata e il difficile contesto socio-economico post-coloniale,
costituirono le premesse per l'avvio di una riforma neo-liberale.
Le interpretazioni di molti studiosi convergono, nel riscontrare un'interazione tra i cambiamenti del
contesto esterno e l'accentuazione delle contraddizioni interne al sistema economico indiano che
favorirono un periodo intenso di liberalizzazione. Infatti nel periodo 1951-1965, la produzione
manifatturiera crebbe ad un tasso medio annuo di 7,8 %, ma nel resto del decennio (1965-1970) il
tasso cadde al 3,3%. Dietro la retorica socialista del 1950, sono emerse delle strategie di crescita
post-indipendenza che si sono dimostrate limitanti per le potenzialità del sistema indiano
(Chandrasekhar e Ghosh, 2002).
Quello che risulta evidente, per il fine di questa tesi, è che il pacchetto di “riforme neo-liberali”
non potesse essere ricondotto a fattori esogeni ma a scelte ben precise.
1.2 L'età nehruviana e l'economia pianificata
Come già accennato in precedenza, il peso dell'eredità coloniale ebbe delle forti ripercussioni sugli
strati più poveri della popolazione, sul settore agricolo e sullo lo sviluppo industriale. Nonostante i
limiti però, l'economia pianificata va collocata storicamente come tentativo di spezzare i legami con
il colonialismo. Dopo l' indipendenza, del 1947 Jawaharlal Nehru assunse la carica di primo
ministro decidendo così di farsi carico di un paese che verteva in condizioni critiche. Jawaharlal
Nehru fu la “via della pace” attraverso cui era possibile il “cambiamento sociale” a, poiché come
Gandhi, desiderava realizzare un percorso di crescita coniugato alla giustizia sociale.
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Per comprendere l'affermarsi del progetto di pianificazione dell'economia nell'Unione Indiana è
necessario tener conto del più generale clima intellettuale che informava quella che sarebbe
divenuta la teoria dello sviluppo nell'immediato dopoguerra, caratterizzato da un ampio consenso
riguardo al fatto che l'obbiettivo dello sviluppo fosse la crescita economica, che lo Stato fosse
l'agente dello sviluppo e il mezzo da utilizzarsi fosse la pianificazione, nel contesto delle politiche
di Bretton Woods (Leys, 1997). All'interno di questo contesto l'India si rese protagonista di un
esperimento di portata unica, tanto da divenire un punto di riferimento costante per la
contemporanea letteratura sulla pianificazione (Adduci, 2009). Tale esperimento consisteva in una
strategia di “economia mista”, volta a ristabilire il controllo nazionale sullo spazio economico
interno, che coniugava, all'interno di un sistema democratico multipartitico, il ruolo di leadership
del settore privato nel processo decisione con un sostanziale intervento statale mirato
all'accelerazione della crescita e alla redistribuzione dei suoi benefici (Chandrasekhar e Gosh,
2004).
Più specificatamente, gli obbiettivi intorno ai quali venne formulata la politica economica nel
periodo immediatamente successivo all'Indipendenza consistevano, a fianco dello sviluppo nel
settore agricolo, nella creazione di una moderna industria pesante statale ad alta intensità di capitale
e nella promozione di un'industria privata, essenzialmente concentrata nella produzione di beni di
consumo, presumibilmente ad alta intensità di lavoro (Adduci, 2009). E' a questo punto importante
ricordare che secondo la logica che informava il progetto di pianificazione, la crescita economica
sarebbe derivata in prima istanza dal potenziamento della base industriale del paese, cui veniva
destinata la maggior parte delle risorse disponibili. Ne conseguiva che, per quanto riguardava il
settore primario il pur fondamentale impegno verso una politica di riforma agraria rispondeva in
primo luogo una tensione verso la giustizia sociale che era parte integrante del progetto di sviluppo
nehruviano (Torri, 2000). A ciò si accompagnava d'altra parte l'assunto secondo cui sarebbe stato
comunque possibile raggiungere buoni livelli di crescita in agricoltura, attraverso i cambiamenti
istituzionali promossi nelle campagne (Chakravarty, 1987, Cordbridge e Harriss, 2000).
Per la complessità di interpretazione e per vincoli di spazio, l'era nehruviana nell'accezione appena
proposta in questa tesi viene suddivisa in due fasi. La prima, caratterizzata dalla crescita e dal
consolidamento dei suoi elementi distintivi, coincise con il periodo in cui Nehru fu primo ministro e
si prolungò per alcuni anni dopo la sua morte, fino al 1969. La seconda, si può far iniziare con la
prima grande scissione del Congresso, appunto nel 1969, e con l'inizio di uno stile di governo
sempre più autoritario da parte dell'allora primo ministro, Indira Gandhi, che fu caratterizzata dalla
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distorsione, destrutturazione e, in certi casi, eliminazione degli elementi distintivi del sistema
nehruviano (Torri, 2007).
I tratti essenziali dell’età nehruviana possono essere fondamentalmente riassunti in una democrazia
politica (sia come sistema, sia come ideologia), la presenza di un partito politico dominante
caratterizzato da una vivace democrazia interna, il prevalere dell'ideologia laica e, per finire, un
sistema economico contraddistinto dall'intervento dello stato e dal protezionismo (Torri, 2007) .
Inoltre il non allineamento a livello internazionale coincise ancora una volta con la volontà di non
allinearsi a nessuno dei due blocchi e, con la crescente voglia di leadership dell'India all'interno
delle nazioni afroasiatiche
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.
Il sistema a partito dominante è stato così accompagnato da un periodo, in cui la centralità statale
diventò il motore dello sviluppo. Gli anni Cinquanta furono caratterizzati dall'avvio dell'economia
pianificata e dal raggiungimento, soprattutto in occasione del primo piano quinquennale, di obiettivi
che non solo sembrarono rilevanti ma che, soprattutto, fecero pensare alla possibilità di un rapido
superamento della situazione di sottosviluppo economico. I primi cinquantacinque progetti
comunitari iniziarono nell'ottobre del 1952, sotto la supervisione della Commissione di
Pianificazione ma, con l'assistenza tecnica e finanziaria americana. In origine erano stati concepiti
solo come programmi di sviluppo intensivo e agricolo destinati esclusivamente alle aree che
avevano bisogno della costruzione di un sistema efficiente di irrigazione (Frankel, 2005).
La logica di questo piano si basava sull'intervento dello Stato su tutti quei settori che richiedevano
investimenti elevati, e che avevano dunque almeno inizialmente una bassa redditività.
L'introduzione dei primi tre piani quinquennali cercava di determinare l'allocazione ottimale di
investimenti tra i settori produttivi, attraverso l'applicazione di modelli statistici, al fine di capire
come massimizzare la crescita economica di lungo periodo, coniugandola con l’obiettivo della
giustizia sociale
3
.
I piani possedevano, infatti, degli di espliciti richiami alla “crescita equa” riformulando anche il
problema dello sviluppo agricolo. La politica di riforma agraria fu allora articolata intorno ad alcuni
obbiettivi principali. In primo luogo venne riconosciuta di prioritaria importanza l'imposizione di un
2 Si costituì gradatamente un fronte di stati asiatici e africani con l'obiettivo: di formare di un' “area di pace” che
avrebbe dovuto restare libera da interferenze politiche e strategiche dei due blocchi.
3 Il riferimento è al modello di P.C. Mahalanobis che ha contribuito a scrivere il secondo piano. Per una lettura più
approfondita sui limiti si richiama a T. Byres (2000),“The Indian economy” Major debates since Indipendece,
Oxford, Oxford University Press,
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