2
Introduzione.
La concezione dell’Altro è stata ed è una delle tematiche nodali nella storia del pensiero e della cultura
occidentale, una questione che ha attraversato in modo trasversale le varie discipline, assumendo
svariate connotazioni e trovando molteplici modi di declinarsi nel corso del tempo. In particolare
durante il XX secolo l’interesse focale sulla soggettività e sulla crisi dell’identità ha contribuito a far
emergere prepotentemente, nei distinti ambiti intellettuali, il problema della definizione dell’Altro, cui
sono indissolubilmente legati temi come la definizione del Sé, l’accettazione o meno della differenza,
il riconoscimento e il significato della diversità, nonché il tramonto definitivo della ragione
egocentrica e del primato dell’Io. Argomenti, questi, che non mancano di avere una forte risonanza
anche sulle riflessioni che ci impone il panorama storico attuale.
Inevitabilmente, quindi, il concetto di alterità ha occupato un posto di rilievo nei dibattiti e nelle
formulazioni teoriche sia della psicologia che della filosofia contemporanea, ponendosi come istanza
primaria da cui ripartire per riconsiderare l’idea del Sé e del mondo.
Dagli anni Settanta – Ottanta la psicologia dello sviluppo ha assistito ad una vera e propria esplosione
di studi sul pensiero dell’Altro: si è progressivamente abbandonato il paradigma precedente, che
vedeva concentrata l’attenzione esclusivamente sugli aspetti intraindividuali della crescita cognitiva ed
emotivo-sociale del singolo, in favore di un approfondimento maggiore delle dinamiche interpersonali
coinvolte in tali processi. Questo filone teorico sulla social cognition, fortemente influenzato dagli
scritti di Vygotskij e della scuola storico-culturale russa, pone in risalto i fattori contestuali alla stregua
di regolatori dello sviluppo cognitivo: “la costruzione della mente si trasforma da impresa individuale
in impresa relazionale, culturale e sociale. In questa impresa, costante e continuo è l’incontro con il
pensiero dell’altro sotto molteplici forme, e dunque l’estensione della propria mente e di sé al pensiero
dell’altro. L’”altro” partecipa in modo strutturante alle costruzioni cognitive del soggetto sia in forma
diretta, attraverso l’interazione interpersonale, sia in forma indiretta, attraverso l’interazione
dell’agente cognitivo con gli strumenti, i segni, i sistemi di ragionamento, le conoscenze teoriche, le
istituzioni sociali in cui nel corso del tempo il sociale ha preso forma. Tale incontro con l’altro è
costruttivo non soltanto delle competenze cognitive in senso stretto, ma anche del Sé, dell’identità”
1
.
La costruzione del Sé diventa, dunque, in quest’ottica, co-costruzione con l’Altro, tramite i suoi
continui rimandi che permettono la creazione congiunta dei significati – della situazione, del contesto,
del rapporto, del linguaggio, del discorso.
Su questa stessa linea, Bruner sostiene che il concetto di Sé di ognuno di noi non è un’essenza né un
nucleo di coscienza isolato, racchiuso nella mente, ma il risultato costantemente nascente della
negoziazione continua tra le nostre interpretazioni del Sé e le interpretazioni del nostro Sé che gli altri
1
A. Marchetti, O. Liverta Sempio, Il pensiero dell’Altro: la mente, le menti e la dinamica esterno - interno, in O. Liverta
Sempio, A. Marchetti (cur.), Il pensiero dell’Altro. Contesto, conoscenza e teorie della mente. Raffaello Cortina, Milano,
1995, p. XXXIII.
3
ci restituiscono
2
. Il nostro stesso Io, quindi, secondo l’autore, ha una natura fortemente intersoggettiva,
e la consapevolezza che maturiamo di noi stessi ci deriva dal nostro incessante confronto con l’Altro.
D’altronde già Winnicott sosteneva che il bambino può diventare consapevole della propria vita
personale unicamente quando è solo, e la sua prima esperienza dell’essere solo riesce a conseguirla in
presenza della madre, pertanto, paradossalmente, il bimbo esperisce se stesso quando è in grado di
percepirsi solo in presenza dell’Altro, tramite il suo costante rimando
3
.
Secondo Hobson, l’essere umano nasce dotato di una innata sensibilità nei confronti dei rappresentanti
della sua stessa specie in quanto corpi e menti, e proprio grazie alle prime interazioni affettive, quelle
più significative, il soggetto acquisisce quell’esperienza in base a cui costruire la conoscenza
dell’Altro. I contesti interattivi diventano, perciò, le occasioni in cui la mente dell’Altro viene
incontrata e gradualmente compresa; anzi, a suo parere, la consapevolezza dell’esistenza delle mente
altrui è un prerequisito per il conseguimento di una autoconsapevolezza riflessiva
4
. Ancora una volta,
quindi, la conoscenza di Sé passa attraverso il riconoscimento dell’Altro. E a riprova di quanto sia
connaturato nell’uomo la capacità di comprendere e rapportarsi con il pensiero altrui è l’ipotesi, ormai
comunemente accettata
5
, che uno dei tratti salienti della sindrome che per antonomasia rappresenta la
chiusura verso il mondo dell’Altro, l’autismo, sia l’incapacità di formulare una “teoria della mente”,
ovvero la mancanza dell’abilità intuitiva di comprendere che le altre persone hanno intenzioni, scopi,
credenze, pensieri diversi dai propri. Incapacità, peraltro, che, a livelli sicuramente differenti,
caratterizza, purtroppo, molte persone apparentemente non affette da alcun tipo di sindrome psichica.
Se le tematiche brevemente accennate costituiscono un’evoluzione relativamente recente della
psicologia dello sviluppo, particolarmente incentrata sulle dinamiche connesse al pensiero del e alla
relazione con l’Altro, una trattazione del concetto dell’Altro decisamente antecedente e di tutt’altro
stampo, sempre in ambito psicologico – per la precisione, psicoanalitico – è, invece, quella formulata a
partire dagli anni Cinquanta da Lacan e la sua scuola. Di tutt’altro stampo perché fortemente intrisa di
connotazioni filosofiche (presenti, in parte, anche negli autori precedentemente menzionati, ma solo
come suggestioni, non come aspetti integranti del discorso) e perché espressa in un linguaggio spesso
non di facile accesso, e comunque esclusivamente teorico, non supportato – come per la psicologia
dello sviluppo – da evidenze empiriche o ricerche e indagini sperimentali. Ciò nondimeno, a ben
guardare, permangono alcuni significativi punti in comune – nell’importanza della parola e del
linguaggio, del riconoscimento dell’Altro per la formazione del Sé, nell’interdipendenza inscindibile
tra l’Io e l’Altro, ad esempio.
Per Lacan l’Altro è “il luogo di dispiegamento della parola”: un soggetto parla perché la verità della
sua parola sia riconosciuta dall’altro, e la funzione della parola è quella di rendere possibile un’altra
soddisfazione per il soggetto rispetto a quella puramente narcisistica che caratterizza il rapporto con la
2
Cfr. J. S. Bruner, La ricerca del significato (1990), Bollati Boringhieri, Torino, 1992, pp. 21-70.
3
Cfr. D. W. Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente (1958), Armando, Roma, 1974, pp. 29-41.
4
Cfr. R. P. Hobson, Against the theory of “theory of mind”, “British Journal of Developmental Psychology, 9/1991, pp. 33-
51.
5
Cfr. U. Frith, L’autismo. Spiegazione di un enigma (2003
2
), Laterza, Roma, 2005.
4
sua immagine (come avviene nella fase dello specchio). La centralità attribuita alla parola viene quindi
inestricabilmente associata a quella attribuita alla dimensione della intersoggettività. Al punto che la
negazione di questa stessa intersoggettività porta alla psicosi: “il delirio è, in effetti, una parola che
non entra in dialettica con l’Altro, ma resta chiusa in se stessa, rimanendo refrattaria alla logica del
desiderio di essere riconosciuta”
6
– in altri termini, rimane senza risposta, poiché l’Altro viene escluso
(in quanto, per Lacan, è impossibile, per lo psicotico, rompere il cerchio narcisistico che lo imprigiona
alla sua immagine, al suo doppio speculare). La necessità del riconoscimento è presente già nel
neonato che piange per comunicare un suo disagio: spetta alla madre “interpretare” questo appello e
fornire una risposta, che può essere di cibo, di calore, o quant’altro. Il bimbo riceve il senso, il
significato della sua domanda dalla risposta che gli giunge dall’altro, dal primordiale luogo dell’Altro
rappresentato dalla madre. Secondo Lacan, il maggior pericolo è, in questi casi, che la richiesta del
bambino venga sempre scambiata per una domanda di “cose” (come il cibo), senza che si comprenda
che la domanda è sempre domanda dell’altro, domanda di amore: ciò che ciascuno desidera, al di là
della sfilata di domande, è di essere riconosciuto come soggetto di desiderio
7
.
Dopo questa breve carrellata di alcune delle principali posizioni tramite cui è stato declinato il
concetto di Altro all’interno delle discipline psicologiche, passiamo, sull’onda della suggestione
offerta dal pensiero di Lacan, ad analizzare altrettanto velocemente alcune delle molteplici
illustrazioni dello stesso tema in ambito filosofico.
Partendo, appunto, da un richiamo che quella “domanda di amore” come impossibile ricerca di un
appagamento che sopperisca alla propria “mancanza-a-essere” tramite il riconoscimento di essere
desiderato da (e quindi, di avere un valore per) l’Altro inevitabilmente riecheggia: l’amare, che “è,
nella sua essenza, il progetto di farsi amare”
8
, espresso da Sartre. Anche per lui, la coscienza di Sé
trova il suo fondamento fuori da se stessa, nella coscienza (o nello sguardo) dell’Altro. L’incontro con
l’Altro, per il filosofo francese, si configura originariamente come negazione reciproca: l’Altro è il
non-me, ciò che mi limita e con cui devo fare i conti. Inizialmente mi appare, come mero oggetto tra
gli oggetti, ma così come, guardandolo, lo avevo oggettivato, il suo sguardo su di me reciprocamente
mi oggettiva, ed è precisamente in questo modo che si determina la scoperta dell’Altro come soggetto,
nonché il rapporto tra l’Io e l’Altro. Prima di allora, fino a che la coscienza è unicamente apertura al
mondo, non si poteva parlare propriamente di un Io, perché mancava la consapevolezza di sé, che si
ottiene, propriamente, solo con l’apparizione, con l’incontro con l’Altro. Un incontro e una relazione
che possono avere, per Sartre, solo due possibili esiti: il soggetto può tentare di far proprio l’Altro –
nell’amore – o tentare di annullarlo – nell’odio. Entrambi i progetti, che mirano ad annullare la propria
eteronomicità annullando l’Altro come alterità, sono destinati a fallire, e solo nell’ultima fase del suo
pensiero, Sartre vedrà nella possibilità cooperativa dell’”essere insieme”, dello stare in gruppo, del
6
A. Di Caccia, M. Recalcati, Jacques Lacan, Paravia Bruno Mondadori, Milano, 2000, p.134.
7
Cfr. S. Vegetti Finzi, Storia della psicoanalisi. Autori, opere, teorie 1895-1990, Arnoldo Mondadori, Milano, 1990
2
, pp.
376-404.
8
J. P. Sartre, L’essere e il nulla (1943), il Saggiatore, Milano, 2002, p. 425.
5
lavoro, della classe sociale, un’eventuale potenziale scappatoia – pur se nella convinzione che l’Altro
rimanga per definizione l’inafferrabile e che la natura dei rapporti tra le coscienze sia il conflitto
9
.
Altro come negazione del Sé, dunque, come limite alla propria libertà e come eterno conflitto tra
irriducibili estraneità. Quasi all’opposto il titolo stesso dell’opera di Ricoeur, Sé come un altro, che
indica come “l’ipseità” del se stesso (cioè l’aspetto narrativo che si modifica ogni volta che il soggetto
costruisce un racconto di sé) implichi l’alterità ad un grado così intimo che l’una non si lascia pensare
senza l’altra. La contropartita del Sé è sempre l’Altro: “l’altro cui debbo la risposta nel mantenermi lo
stesso, l’altro da cui dipendo perché mi costituisce, l’altro in me come il mio mondo, il mio partner, la
tradizione che mi accoglie. E nella misura in cui mi riconosco nell’altro avviene lo scambio: l’altro in
quanto sé, sé in quanto altro”
10
. In Ricoeur non c’è né il primato dell’Altro, né il primato del Sé: la
costruzione dell’identità appartiene all’intreccio fra il Sé, l’Altro e l’Umanità. Quest’ultima è
rappresentata da tutta la Storia costruita con tutte le sue manipolazioni, i suoi abusi, ma anche con
tutto il patrimonio culturale presente, definito dall’autore “l’archeologia del soggetto”, e anche da tutta
la storia che vive negli archivi, nei monumenti, nelle opere della letteratura, della musica e delle arti
figurative. Posizione non molto distante, quindi, da quella già ricordata di Bruner e della psicologia
culturale
11
. Le tre figure dell’alterità – sempre secondo Ricoeur – sono il corpo proprio, l’altra persona
e la voce della coscienza che risuona come un Altro in se stessi. Questa triade impedisce al soggetto di
pensarsi come autosufficiente, chiuso dentro di Sé, capace di farsi da solo. L’etica
dell’intersoggettività comprende il riconoscimento reciproco dei soggetti: riprendendo Kant, l’autore
afferma che l’Altro diventa un centro di obblighi per il Sé, e l’obbligo è una sintesi astratta dei
comportamenti possibili nei confronti dell’Altro. Ciò porta dalla simpatia al rispetto, con cui l’Io si
limita e pone l’Altro come valore assoluto, come esistenza, come radicalmente diverso dalle cose,
ossia come fine
12
.
L’importanza attribuita all’aspetto etico nel rapporto con l’Altro è un concetto condiviso da Lévinas,
che ritiene compito della filosofia pensare il Totalmente Altro, la cui essenza è irriducibile a categorie
predeterminate. L'alterità è totalmente estranea all'ego (frattura tra Sé e l'Altro) e, pertanto, la mia
esperienza non sarà mai paragonabile a quella di un altro, io non posso vivere il dolore, la gioia e le
altre esperienze limite di un altro. Secondo lui, l'etica costituisce la possibilità di uscita dalla
conoscenza come comprensione dell'Altro, che viene generalmente assimilato a Sé ed espropriato
della sua alterità e diversità. L'Altro, per essere tale, non può essere ricondotto né alla conoscenza che
io ne ho (che è sempre un'interpretazione parziale), né all'amore che parte da me e intende
abbracciarlo. Non è dall’Io che parte l’accesso all’Altro, che mi si presenta con il suo starmi di fronte,
come ciò a cui io devo rispondere e che chiede conto. Questo essere si manifesta non a partire da me,
ma da se stesso, si impone come presenza che si dà in un “volto”, che determina il riconoscimento: “il
9
Cfr. S. Moravia, Introduzione a Sartre, Laterza, Roma – Bari, 2001, pp. 56-70 .
10
P. Ricoeur, Sé come un altro (1990), Jaca Book, Milano, 1993, p. 55.
11
Vedi articoli di Cole; Lave e Rogoff; Baker-Sennett e Matusov, in O. Liverta Sempio, A. Marchetti (cur.), Il pensiero
dell’Altro. Contesto, conoscenza e teorie della mente. Raffaello Cortina, Milano, 1995, pp. 97-125; 139-162.
12
Cfr. P. Ricoeur, Simpatia e rispetto. Fenomenologia ed etica della seconda persona, in F. Riva (cur.), Il pensiero dell’altro
(1954), Lavoro, Roma, 1999, pp. 13-38.