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Introduzione
Lo scopo di questo elaborato è quello di dimostrare come le ville, riportate alla luce
nel corso dei secoli, presenti sul territorio di Torre Annunziata, forniscano
innanzitutto una chiara testimonianza dell’evoluzione del concetto di otium e
negotium, ma soprattutto, il novum al mio cursus studiorum, è ipotizzare la
presumibile connessione tra la Villa di Poppea, villa d’otium per antonomasia, e la
Villa di Lucius Crassius Tertius, complesso dedito al negotium, al momento della
catastrofica eruzione avvenuta nel 79 d.C.
In primis per realizzare questo progetto, tenendo conto dei suggerimenti ricevuti, ho
analizzato il materiale necessario ed utile al mio lavoro, innanzitutto le fonti classiche.
Partendo da queste ho introdotto il contesto storico all’interno del quale prende corpo
la mia analisi, con la descrizione degli avvenimenti, ho osservato e analizzato, secondo
la mia visione, la nascita e lo sviluppo della mia città, che è stata uno scenario
importante nel corso dei secoli, sia per la sua posizione privilegiata, sia per la salubrità
del suo clima e la fertilità della sua terra e sia per la sua notevole vicinanza a Pompei.
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Ripercorrendo, dunque, e analizzando la storia di Oplontis, primo nome rinvenuto sulla
tabula Peutingeriana
1
dell’attuale Torre Annunziata, sono arrivato alle aspre lotte
portate avanti dall’esercito Romano per insediarsi in Campania e di come essa sia
passata da Ager a Felix, ed è proprio in questa dolce culla del bacino campano, si è
articolato il mio studio del mutato concetto di otium e negotium.
Ho ritenuto necessario discernere le origini e studiarne l’evoluzione in epoca romana,
di come entrambe le filosofie abbiano ben calzato il mutarsi di Roma nel corso dei
secoli e di come tangibilmente esse hanno preso vita ad Oplonti. Se da un lato ci hanno
consegnato la Villa A (così catalogata dagli archeologi) lussuosa, sfarzosa, che
incantava allora come lo fa oggi e che presumibilmente è appartenuta a Poppea Sabina,
quindi ascrivibile a tutti gli effetti come Villa Imperiale; dall’altra abbiamo la così detta
Villa B, complesso che rappresentava, come affermato anche dal Direttore Generale
del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel, un vero e proprio insediamento
industriale, esempio quanto mai appropriato di negotium.
Prima di soffermarmi però, sull’analisi degli scavi archeologici di Oplonti, e quindi
spiegare il novum al mio cursus studorium, provando a trovare una connessione tra i
due edifici, ho ritenuto doveroso e necessario analizzare minuziosamente, nel secondo
capitolo della tesi, il concetto di otium e negotium e di come esso sia mutato nel corso
1
Il toponimo Oplontis è indicato nel segmentum VII della Tabula Peutingeriana, una rielaborazione
medioevale di una mappa stradale raffigurante l’intero Impero Romano, così chiamata in onore
dell’umanista austriaco Konrad Peutinger (1465 – 1547) che la pubblicò parzialmente nel 1511. Non si
tratta di un vero e proprio documento cartografico poiché essa non tiene conto delle esatte proporzioni
degli elementi fisici. Sulla tavola Oplontis è ubicata a tre miglia da Pompei e da Stabia e a sei miglia da
Ercolano, per cui è facile dedurre che essa debba trovarsi all’interno del tessuto urbano dell’odierna
Torre Annunziata.
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dei secoli; solo così sarei riuscito a trovare un ipotetico canale di comunicazione tra le
due ville.
Per fare ciò, dobbiamo allontanarci dal concetto di otium procul negotiis
2
,
elaborato dall'aristocrazia romana durante l'età repubblicana, che implica un
confine ideale tra la vita politica dell'Urbe e la pratica dell'otium. Così la proprietà
di una villa extraurbana, intesa come luogo di svago lontano dalla vita politica,
divenne il fondamento dell'aristocrazia romana. Con la nascita dell'impero, il
confine ideale tra le sfere di otium e negotium divenne vago e cominciò a rompersi,
perché l'imperatore non poteva rimanere fuori dalla vita politica. Pertanto le
procedure sociali e politiche, gli eventi cerimoniali e il lusso imperiale
cominciarono a manifestarsi sia sul Palatino che nelle residenze extraurbane,
all'interno di complessi architettonici arricchiti da elementi innovativi e singolari
che riflettono questo cambiamento e il nuovo concetto di otium come strumento di
potere. la Villa A ne è un’assoluta conferma.
La pratica dell'otium, o il ritiro dalla vita urbana in una sorta di finta libertà, è
inestricabilmente legata alla vita di villa. A partire dal II secolo a.C., l'area
campana, in particolare il Golfo di Napoli, divenne sede di ville aristocratiche
appartenenti alla nobiltà romana, che si ritirò dall'Urbe, lasciandosi alle spalle
il negotium per dedicarsi all'otium. L'ambiente favorevole e il clima mite non sono
sufficienti a spiegare perché l'élite romana preferisse il Golfo di Napoli per i loro
"periodi di vacanza"; piuttosto, fu la forte matrice culturale greca qui resistente
2
Il riposo, lontano dal lavoro e dagli affari, è fecondo. Sono le parole di un epodo di Orazio, in cui viene
celebrata la felicità di chi può vivere lontano dai “negotia” cioè gli impegni e gli obblighi della vita
cittadina.
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alla dominazione sannitica e alla romanizzazione che alla fine attirò i romani nel
golfo della Campania Felix.
Il concetto di mutamento è riscontrabile secondo la studiosa Elaine K. Gazda
3
,
e assolutamente condivisibile, anche dal punto di vista architettonico, di fatti
dall'inizio del I secolo a.C., la pianta assiale delle ville con sale sequenziali (atrio
e peristilio) organizzate in un unico blocco architettonico, come nel caso, ad
esempio, della Villa dei Misteri di Pompei, fu ricollocata da grandiose ville
costruite in nuclei di edifici separati disposti su terrazze e spesso raggiungendo
dimensioni enormi. Molti erano dotati di ormeggi, che garantivano una rapida
comunicazione con Napoli e le altre località del golfo, incubatoi per l'allevamento,
crostacei e molluschi, edifici monumentali, giardini, camminamenti, terme, alloggi
della servitù, ninfei, triclinia, portici, e camere che si aprivano sul mare. Residenze
di questo tipo apparivano come città, ma erano costruite al servizio del piacere e
dell'otium, per soddisfare i sensi e lo spirito e per concedere ai proprietari l'ambita
opportunità di sorprendere e stupire gli ospiti con la loro magnifica proprietà.
La radicale separazione tra otia e negotia cominciò però a svanire con la fine della
Repubblica, quando la tumultuosa vita politica dell'Urbe iniziò a spingere oltre i
confini del Golfo di Napoli. Con la nascita dell'impero, il concetto di otium
cominciò a cambiare, soprattutto per l'imperatore stesso che, come tale, pur
essendo membro della classe aristocratica, non poteva più rimanere al di fuori
della vita politica, perché l'essenza politica di Roma era concentrata nel suo essere,
ed egli ne era la massima espressione.
3
Elaine K. Gazda, Leisure & Luxury in the Age of Nerone: The Villas of Oplontis Near Pompeii, 2016.
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Secondo l’archeologo Henner von Hesberg,
l'idea di otium non era più
determinata dall'interazione e dalla competizione tra i nobili romani, ma
piuttosto dal concetto di imperatore; in questo modo, si trasformò lentamente
insieme al concetto di impero fino a diventare uno strumento di potere, tanto da
poter tranquillamente parlare del potere dell'otium. Gli ambienti vati e lussuosi
frequentati dall'imperatore stesso erano un segno di prestigio e avanzamento
sociale. Questo fenomeno segna la totale disgregazione del confine ideale tra otium
e negotium, come attività, rituali e dinamiche sociali e politiche un tempo limitate
ai coni dell'Urbe, ma nel corso del I secolo d.C., difatti cominciò ad estendersi
oltre i confini di Roma per svolgersi anche nelle residenze extraurbane, dove
furono attuate attraverso l'emanazione dell'otium imperiale, che divenne così uno
strumento di potere.
Questa disgregazione tra otium e negotium è un passaggio fondamentale, per la
mia riflessione, sulla connessione tra le due ville. Così com’è fondamentale la
concezione di otium imperiale che si percepiva ad Oplonti a ridosso della
catastrofica eruzione, perché è nei rapporti politici, nei giochi di potere, che si
possono cogliere le maggiori opportunità di collegamento tra diversi ceti sociali
che presumibilmente caratterizzavano le due ville riportate alla luce.
Mi sono servito di storici, letterati, architetti e politici, tra gli altri, per sviluppare lo
status quaestionis della mia ricerca, ma l’insieme di essi non mi consegnavano la
risposta alla mia domanda, cioè se vi era o meno un legame, tra le due strutture, distanti
poche centinaia di metri, al momento dell’eruzione del 79 d.C.
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Spostandomi quindi sugli scavi archeologici avvenuti nei secoli sul territorio di Torre
Annunziata, nel terzo capitolo del mio elaborato, ho trovato fondamentale il confronto
con gli storici John R. Clarke e Michael L. Thomas
4
, che per quindici anni hanno
diretto i lavori denominati “Oplontis Project”
5
, capaci con il loro preziosissimo
operato, di riportare alla luce la Villa detta B.
Un complesso completamente dedicato al negotium. Osservando la Villa di Lucius
Crassius Tertius, passeggiandoci all’interno si capisce l’importanza che essa aveva per
l’intera economia dell’ager Oplontis, e non solo. Sono infatti condivisibili le
considerazioni di J.R. Clarke in merito alla posizione logistica del complesso: il facile
accesso al mare, così come la strada che la collegava all’arteria principale che
conduceva a Pompei, confermano l’importanza della struttura al momento
dell’eruzione del 79 d.C.
Altrettanto condivisibili sono le sue considerazioni in merito all’importanza di Oplonti,
che svolgeva un ruolo “industriale” a conferma del già citato archeologo Gabriel
Zuchtriegel. Lo testimoniano le anfore rinvenute; gli studi sui materiali organici
rinvenuti in esse ci raccontano di prodotti quali vino, olio, garum, cosmetici e spezie,
pronti per essere lavorati, confezionati e spediti. Ma non solo, ci raccontano anche di
tecniche all’avanguardia nel conciare il pellame, o dei fitti legami internazionali che la
città aveva mediante il commercio, fondamentali in tal senso le iscrizioni sul collo delle
ceramiche che ci consentono e consentiranno in futuro di approfondire gli studi in
merito alla politica e al commercio.
4
Direttore inoltre del CSAI (Centre of Study of Ancient Italy).
5
Progetto sovvenzionato dall’Università del Texas, Austin, ha ridato alla luce dopo quindici anni di scavi
il complesso e reso fruibile dal Luglio del 2021.
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L’architettura stessa della Villa B, il cortile centrale circondato dal porticato, con i
settanta ambienti sviluppati su due piani, citando nuovamente i due archeologi Clarke
e Thomas, mostrano uno spazio pensato per l’efficienza, per la praticità del suo fine,
in netta contrapposizione alla Villa A, che fa del lusso, dello sfarzo, la sua caratteristica
più preziosa.
Queste interpretazioni vanno assolutamente condivise, così come è assolutamente
certa, la totale assenza di persone nella Villa A al momento dell’eruzione che colpì
l’intera zona nel 79 d. C.
Ed è proprio qui che si è posta, nuovamente la mia attenzione, ed ho deciso di
continuare ad approfondire, cercare nuovi studiosi contemporanei per trovare altre
risposte alla mia domanda, perché dal mio punto di vista, vi è l’assenza (forse voluta),
anche nella mastodontica ricerca di “Oplonti Project” di una visione unitaria dello
spazio, inteso come unico, collegato e interfacciante tra la Villa A e la Villa B, perché
una connessione tra esse, potrebbe regalare nuove importanti notizie sui giorni che
precedettero la furia devastatrice dell’onda piroclastica.
Nell’approfondire la mia ricerca, nello studiare coloro i quali si stanno interrogando
sul materiale riemerso dagli scavi della Villa B di Oplonti, gioca un ruolo fondamentale
l’intervento della Dott.ssa Vincenzina Castiglione Morelli, Redattrice della Rivista di
Studi pompeiani, che si sofferma sull’ingente quantità di monete e gioielli riportate
alla luce dai cumuli dell’edificio di negotia
6
.
6
Vincenza Castiglione Morelli. Un gruzzolo della stanza degli “Ori di Oplontis”. 2000. pp 187 – 234.
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Di fatti con lo scavo del 1984 è stata rinvenuta all’interno di una cassa di legno
nell’ambiente 15 dell’edificio di Lucius Crassius Tertius, probabilmente crollata dal
piano superiore, con all’interno numerosi oggetti d’oro e monete. Si va ad aggiungere
ai numerosi oggetti di valore, ai gruzzoli e ai peculi rinvenuti nell’ambiente 10, vale a
dire laddove sono stati rinvenuti 54 individui, che li si rifugiarono per aspettare la fine
dell’evento vulcanico, o presumibilmente aiuti da mare, cosi come per gli ercolanesi.
Trovandomi d’accordo con quanto affermava il Prof. Maurizio Vitale, ad oggi è
impossibile sapere se tutti gli individui abitassero la villa o si fossero recati lì per
cercare salvezza, ma le monete, come si apprende dal giornale di scavo, rinvenute
presso alcuni scheletri non sono monete di uso corrente, bensì valuta pregiata
tesaurizzata. In particolare hanno attirato la mia attenzione gli scheletri catalogati come
7, 9 e 27. Le somme rinvenute presso i tre individui rappresenta una tra le più alte
documentate nel vesuviano, ma è lo scheletro 7 che più di tutti ha destato la mia
attenzione, quello che secondo me può realmente essere considerato come la
connessione tra la villa di otium e quella di negotium.
Il corpo in questione, presumibilmente di donna, per i gioielli e per i materiali organici
trovati su di esso (al quale è stato impossibile effettuare il calco), per motivi ancora da
chiarire fu rimosso e messo insieme allo scheletro 6, rinvenuto poco distante,
all’interno di una cassa. Il corredo dello scheletro 7, comprende un bracciale a teste di
serpente frammentato, uno spillone in bronzo ed una somma di denaro che
presumibilmente le apparteneva, composta da 409 monete, divise tra valuta aurea,
argentea e enea
7
. Ed è proprio la cospicua presenza di quest’ultima, 218 esemplari, che
7
La moneta enea è detta aes grave cioè asse pesante ed era così chiamata perché il nominale maggiore,
l’asse, pesava una libbra, pari a oltre 300 grammi.
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rappresenta secondo le deduzioni della studiosa Vincenzina Castiglione Morelli, e
ampiamente condivisa, la particolarità dell’individuo che non può essere qualificato
come matrona in quanto priva di gioielli d’oro e di certo non poteva essere una comune
casalinga, vista la notevole quantità di beni con lei rinvenuti.
Queste deduzioni, come dicevo, sono assolutamente condivisibili, ma la mia ipotesi
prende largo in quanto la stessa studiosa V. Castiglione Morelli, conferma che anche
individui di edifici limitrofi provarono a trovare riparo all’interno della Villa B, che
dista, per ricordarlo, poche centinaia di metri dalla Villa A.
Dunque come avrò modo di trattare nel terzo ed ultimo capitolo del mio elaborato,
confidando negli scavi futuri, nello studio degli elementi rinvenuti e nelle nuove
scoperte si potrebbe magari scoprire, in futuro, che l’individuo numero 7 rappresenta
un importantissimo anello di congiunzione tra un mondo di otium e uno di negotium.
Il presente lavoro è nato dunque, con l’intento di costituire un campione d’indagine.
Al di là dei risultati scientifici, mi sembra valido come metodo di ricerca rivolto alla
risoluzione di un enigma affascinante.