5
Introduzione.
Il 9 maggio 1950 il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman pronuncia le ottocentosettantotto
parole destinate a cambiare il corso della storia mondiale, europea e italiana. Mondiale perché la
Dichiarazione Schuman non solo avvia il processo di unificazione europea, portando alla creazione
di un nuovo soggetto geopolitico nel contesto bipolare della guerra fredda ma, soprattutto, risolve a
favore del blocco occidentale il problema della collocazione della Repubblica Federale Tedesca.
Europeo perché, da una parte, inaugura la costruzione dell’asse franco-tedesco sul quale si sarebbe
imperniato il futuro sviluppo dell’Europa comunitaria. Dall’altra, invece, perché per la prima volta
nella storia del continente europeo sei Stati decidono di derogare al principio cardine delle relazioni
internazionali dalla pace di Westfalia, quello dello Stato sovrano, cedendo volontariamente una quota
della loro sovranità nazionale, limitatamente al settore carbosiderurgico, e accettandone la
regolamentazione da parte di un organismo sovranazionale
1
. Italiana, infine, perché il nostro paese
partecipa a questo processo, nella convinzione che questo potesse significare la sua definitiva
riammissione nel concerto internazionale e l’archiviazione della marginalizzazione subita dalla fine
del secondo conflitto mondiale.
La storiografia ha generalmente riconosciuto l’importanza della Dichiarazione Schuman. Il francese
Bossuat, per esempio, ne sottolinea il “grande merito storico di aver risolto gravi divergenze
intraeuropee”
2
, riferendosi al secolare e radicato contrasto franco-tedesco. Lo stesso fa il tedesco
Wilfried Loth, che considera la storia del Piano Schuman una storia soprattutto franco-tedesca
3
. Il
tedesco Schwabe, invece, parla esplicitamente di “svolta nella politica mondiale”
4
, sottolineandone
l’impatto determinante sulle relazioni internazionali postbelliche:
1
Secondo Milward, tuttavia, il processo di unificazione europea non avrebbe causato la crisi dello Stato nazionale. Cfr.
Alan Milward: États-Nations et communauté: le paradoxe de l’Europe?, in “Revue de synthèse”, IV serie, Vol.111, n. 3,
luglio-settembre 1990, pp. 253-270.
2
Gerard Bossuat: Il Piano Schuman del 9 maggio 1950: luogo simbolico della ritrovata fiducia degli europei, in Ruggero
Ranieri e Luciano Tosi (a cura di): La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (1952-2002). Gli esiti del Trattato
in Europa e in Italia, Padova, CEDAM, 2004, p. 12. Cfr. anche ID: L’Europe du plan Schuman et de la CED, in L’Europe
des Français, 1943-1957. La IVe République aux sources de l'Europe communautaire, Paris, Publications de la
Sorbonnes, 1996;
3
Wilfried Loth: Der Schuman-Plan und die Zukunft der Europäischen Union, in “Integration”, vol. 33, n. 4 (Ottobre
2010), 2010, pp. 350-357.
4
Karl Schwabe: Il Piano Schuman: una svolta nella politica mondiale, in R. Ranieri e L. Tosi (a cura di): Op. cit., p. 19.
6
Naturalmente la guerra fredda continuò, anche con maggiore intensità. Ma la principale incognita della guerra fredda – la
posizione poco chiara della Germania nella politica internazionale – era stata eliminata: aderendo al Piano Schuman la
Germania dell’Ovest aveva optato per l’Occidente
5
.
L’interazione tra il contesto bipolare della guerra fredda e la genesi della dichiarazione è stata
ampiamente dimostrata dagli storici, concordi nel considerare l’iniziativa francese la reazione alla
decisione americana di integrare la Repubblica Federale Tedesca all’interno del blocco occidentale,
al fine di impedirne l’attrazione nell’opposto schieramento sovietico
6
. Questa matrice politica della
Dichiarazione Schuman è sottolineata, per esempio, da Varsori:
[…] la Francia, nella visione della sua leadership politica […] avrebbe dovuto ritornare a svolgere un ruolo centrale nelle
relazioni internazionali. Uno degli ostacoli alla realizzazione di questo ambizioso obiettivo era proprio la prospettiva che
[…] la Repubblica Federale Tedesca nata nel maggio 1949, tornasse a rappresentare un elemento centrale in Europa
occidentale, anche perché nell’opinione dei leader americani e britannici, con l’acuirsi del contrasto Est-Ovest, la
Germania Ovest appariva un alleato sempre più prezioso
7
.
Altrettanto importante è stata ritenuta la matrice economica della dichiarazione, dovuta alla volontà
francese di mantenere il controllo sulle riserve carbosiderurgiche tedesche, nel timore che la loro
eventuale restituzione alla Repubblica Federale Tedesca avrebbe innescato il processo del suo futuro
riarmo e di una sua troppo rapida ripresa industriale. Come sottolineato da Morelli,
Il punto limitato, ma decisivo, su cui intervenire per produrre il cambiamento necessario era il settore carbosiderurgico,
strategico per la ricchezza e la potenza di entrambe le nazioni. In questo campo la sovranità andava esercitata in comune
in modo da permettere la ricostruzione dell’economia tedesca senza mettere in pericolo la sicurezza francese
8
.
Aperta all’adesione di tutti i paesi che ne avessero fatto richiesta, benché esplicitamente rivolta solo
alla Francia e alla Repubblica Federale Tedesca, l’iniziativa francese viene accolta con favore dai
paesi del Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo) e dall’Italia. Perché l’Italia aderisce all’iniziativa?
Perché il Presidente del Consiglio De Gasperi e il Ministro degli Affari Esteri Sforza decidono di
5
Ivi, p. 29.
6
Su questo, cfr. Pierre Melandri: Le rôle de l’unification européenne dans la politique extérieure des États-Unis 1948-
1950, in Histoire des debuts de la construction europeenne, Actes du colloque de Strasbourg, 28-30 Novembre 1984,
Bruylant/Bruxelles, 1986, pp. 25-45.
7
Antonio Varsori: La Cenerentola d’Europa? L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 a oggi, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2010, pp. 81-82.
8
Umberto Morelli: Storia dell’integrazione europea, Milano, Guerini Scientifica, 2018, p. 60.
7
accettare la proposta di Schuman? È da queste domande che nasce la presente tesi, dedicata
all’indagine dei motivi alla base della scelta italiana. La ricerca storiografica su questo tema si è
sostanzialmente divisa in tre schieramenti: quelli che sostengono la preminenza della matrice politica,
quelli che riconducono la scelta del governo italiano agli interessi economici e quelli che, infine,
vedono nell’adesione italiana una combinazione equilibrata dei due elementi. Tra i primi, ci sono
Mammarella e Cacace, secondo i quali il “capo del governo e Sforza afferravano subito il significato
politico di quell’iniziativa”
9
. La stessa linea è condivisa da Daniela Preda:
La decisione del governo italiano ebbe carattere politico: l’accento fu posto sulla volontà di costruire un’Europa unita,
garante di pace e sicurezza, nell’ambito dell’Occidente libero e democratico
10
.
E, ancora, escludendo categoricamente la possibilità di un condizionamento da parte degli ambienti
economici italiani, soprattutto in considerazione delle testimonianze del capo della delegazione
italiana Taviani:
Alla luce dei documenti e delle testimonianze disponibili, questa versione non sembra possa essere messa in dubbio, né
tantomeno sembra corretto avanzare ipotesi circa un collegamento stretto tra adesione e tornaconto nazionale, come
invece suggerisce una storiografia troppo spesso talmente immersa nella minuziosa ricostruzione dei dettagli diplomatici
e tecnici del negoziato da arrivare a spogliare del loro carattere ideale e politico le scelte epocali di quel periodo […]
11
.
La matrice economica viene, invece, rivalutata da Ruggero Ranieri, uno dei principali studiosi della
storia industriale italiana e, segnatamente, dei negoziati condotti alla Conferenza di Parigi per la
definizione del Trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio:
[la partecipazione italiana] non fu un episodio di presenzialismo, né ubbidì a criteri prevalentemente politico-diplomatici
[…] Fu parte invece di una strategia industriale perseguita soprattutto dall’IRI e dalla Finsider, e sostenuta dal governo,
volta a dotare il paese di una moderna siderurgia di massa, competitiva sul piano internazionale
12
.
9
Giuseppe Mammarella – Paolo Cacace: La politica estera dell’Italia. Dallo Stato unitario ai giorni nostri. Bari-Roma,
Laterza, 2018, p. 191.
10
Daniela Preda: Alcide De Gasperi federalista europeo, Bologna, il Mulino, 2004, p. 508.
11
Ivi, pp. 505-506, nota 12.
12
R. Ranieri: L’Italia e l’integrazione economica europea negli anni Cinquanta, in “Storia delle Relazioni internazionali”,
1998/2-1999/1 (XIII-XIV), p. 361.
8
Anche Federico Romero individua l’origine dell’adesione italiana nella dimensione economica, in
particolare nella volontà della classe politica di trovare una soluzione europea al problema
dell’eccedenza di manodopera:
La via dell’interdipendenza europea – con la liberalizzazione dei movimenti della manodopera o, ancora meglio,
l’integrazione in un mercato comune del lavoro – diveniva quindi per l’Italia una condizione imprescindibile per
l’attuazione dello stesso progetto di crescita […] Le ragioni profonde dell’europeismo italiano risiedevano nella sintesi
degasperiana dell’interesse nazionale
13
.
Appartiene, invece, al terzo gruppo la Neri Gualdesi, che, sottolineando l’assenza di “divaricazione
tra motivazioni di carattere economico e motivazioni politiche”
14
, esprime la convinzione che
la scelta europeista rappresentasse la soluzione più efficace per coniugare necessità economiche e l’esigenza politica di
vedere riconosciuta all’Italia la piena uguaglianza con i grandi paesi europei
15
.
Sulla stessa posizione si assesta Morelli, secondo il quale:
L’Italia condivideva con gli altri paesi le motivazioni di fondo dell’europeismo […] ma a queste si aggiungevano
specifiche ragioni legate alla sua storia. Per il paese, l’Europa non rappresentava solo l’occasione per superare la
condizione di minorità determinata dalla sconfitta, ma anche la possibilità di portare a compimento la costruzione dello
Stato democratico e di superare l’enorme ritardo nello sviluppo politico ed economico
16
.
Più articolata risulta, infine, la posizione di Varsori. Lo storico, infatti, riconosce la preminenza
iniziale della matrice politica:
[…] il governo italiano rese immediatamente nota la sua adesione, per quanto è probabile che su questa scelta influissero
soprattutto considerazioni di natura politica: sia l’opportunità di non essere esclusi da un importante negoziato
internazionale, sia quella di vedere confermato per l’Italia un ruolo di qualche rilievo in ambito europeo
17
.
13
Federico Romero: Emigrazione e integrazione europea 1945-1973, Roma, Edizioni Lavoro, 1991, pp. 141-142.
14
Marinella Neri Gualdesi: Il cuore a Bruxelles, la mente a Roma. Storia della partecipazione italiana alla costruzione
della Comunità Europea, Pisa, ETS, 2007, p. 36.
15
Ivi, p. 45.
16
U. Morelli: Op. cit., p. 68.
17
A. Varsori: La Cenerentola d’Europa? ..., p. 84.
9
Subito dopo, però, ritiene che ci sia stata una più attenta e compiuta valutazione della situazione da
parte degli attori politici nazionali: “l’Italia si presentò al negoziato che ebbe avvio a Parigi nel giugno
del 1950 con posizioni chiare: il governo di Roma aveva compreso l’importanza della posta in gioco,
non solo dal punto di vista politico, ma anche, e forse soprattutto, da quello economico […]”
18
.
La sussistenza di queste divergenze dimostra quanto la valutazione dei motivi alla base della scelta
italiana necessiti di una ricostruzione più approfondita del contesto politico ed economico all’interno
del quale questa si è determinata. È quello che si è cercato di fare in questa tesi. Questo è stato reso
possibile non solo attingendo alla bibliografia disponibile, nel complesso relativamente ampia, ma
anche ai documenti dell’Archivio De Gasperi, conservato presso gli Archivi Storici dell’Unione
Europea a Firenze, e ai quotidiani dell’epoca, in particolare Il Popolo, l’Unità e l’Avanti!, gli organi
di stampa ufficiali rispettivamente della Democrazia Cristiana, del Partito Comunista Italiano e del
Partito Socialista Italiano. Fondamentale è stata, inoltre, la lettura dei resoconti stenografici di tutte
le sedute, tenute sia al Senato della Repubblica che alla Camera dei Deputati, del dibattito di ratifica
parlamentare del Trattato istitutivo della CECA. L’ampia serie di argomenti trattati dagli oratori
intervenuti, sia di carattere politico che economico, infatti, permette non solo di valutare le divergenze
politiche tra la maggioranza e le opposizioni ma anche, e forse soprattutto, di ricavare informazioni
centrali sull’assetto e le condizioni dell’industria siderurgica italiana alla vigilia della Dichiarazione
Schuman e sull’impatto che questa avrebbe potuto avere dall’entrata in vigore del Trattato.
La tesi è divisa in tre capitoli. Il primo è dedicato all’esame della reazione della politica italiana al
Piano Schuman ed è a sua volta suddiviso in tre paragrafi. Dopo un breve esame della Dichiarazione
Schuman, al quale è dedicato il primo, nel secondo vengono studiate le matrici politiche della scelta
italiana. Viene, infatti, sottolineato come il Presidente del Consiglio abbia visto nel progetto
monnettiano non solo il punto di arrivo della politica estera seguita dalla fine del secondo conflitto
mondiale ma, soprattutto, il primo passo concreto verso la realizzazione dell’unificazione europea.
Da una parte vengono, quindi, ricostruiti sia l’origine che i caratteri dell’europeismo degasperiano e
ne viene seguita la progressiva transizione al federalismo, avvenuta anche per influenza delle
riflessioni condotte sul tema sia dal mondo cattolico che da quello laico nella seconda metà degli anni
Quaranta. Viene, inoltre, ricostruito il sostegno dato dal Presidente del Consiglio ai movimenti
federalisti e il suo diretto coinvolgimento nelle loro iniziative. Dall’altra vengono, invece, ricostruiti
gli snodi principali della politica estera degasperiana, con una focalizzazione particolare sul
progressivo distacco di De Gasperi dalle posizioni neutraliste e terzaforziste e la maturazione della
scelta atlantica e occidentale. Nell’ultimo paragrafo, infine, viene brevemente analizzato
18
Ibidem.