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Immaginiamo di avere una conversazione faccia a faccia
con un robot, di comprendere il suo linguaggio e di non
dover fare alcuno sforzo nell’impartirgli un comando. Im-
maginiamo di chiedere alla nostra casa di accendere le luci
o di aprire la porta agli ospiti o di chiacchierare amabil-
mente con la nostra automobile durante il tragitto casa-
lavoro.
L’uomo ha sempre desiderato creare una macchina in gra-
do di comprendere perfettamente parole, sentimenti e
atteggiamenti. Pensiamo ai racconti di Isaac Asimov o a
film come “Intelligenza artificiale”, “Supercar” o “Eureka”
dove i robot, le automobili e le case sono in grado di capi-
re parole, sentimenti e atteggiamenti umani. Da semplici
strumenti di uso quotidiano diventano amici e aiutanti dei
protagonisti.
Tra fantascienza e realtà
Comunicare con una macchina
è realmente possibile?
L’obiettivo di questo elaborato è quello di capire come la tecnologia si sia evoluta nel
tempo e come continuerà a farlo per assomigliare sempre più all’uomo. Si cercherà di
capire come le macchine siano state modificate e migliorate per poter comunicare con i
loro creatori e quali potranno essere i miglioramenti futuri e le aspettative di questo
sforzo innovativo.
Proveremo a rispondere a domande come:
Gli umani e le macchine possono realmente socializzare e come?
I robot possono relazionarsi tra di loro provando sentimenti umani? E se sì, quali
saranno le conseguenze? Anche le macchine avranno diritti e saranno tutelati dalla
legge?
Le macchine sono in grado di imparare come i bambini?
9
Note
1
Ad esempio i telefonini ci
permettono di comunicare
con altre persone a km di
distanza.
2
Human-computer interac-
tion.
3
Qualificate come utenti.
4
User-centered design. Lo
scopo della disciplina è quello
di far sì che gli utenti siano in
grado di interagire con le
macchine grazie al loro de-
sign e al modo in cui sono
state progettate.
1. Human Computer Interaction – HCI
Iniziamo il nostro percor-
so spiegando il significato
di interazione uomo-
computer (Fig. 1).
L'interazione con le mac-
chine occupa gran parte
della nostra vita quotidiana. Seb-
bene tendiamo ad associare alla
parola "computer" un unico og-
getto, il classico Pc, ogni giorno
interagiamo con decine di pro-
dotti che contengono un compu-
ter, ossia un microprocessore
comandato da un software.
Essi possono essere sempre più
ricchi di funzioni, pensiamo ai
telefonini, agli elettrodomestici,
alle automobili, alle macchine
fotografiche. Durante la nostra
vita entriamo in contatto con una
infinità di servizi regolati da pro-
grammi, come in aeroporto, negli
ospedali, al cinema, o semplice-
mente a casa nostra. Questi soft-
ware modellano le interazioni
con gli oggetti, ma allo stesso
tempo con altre persone attra-
verso la loro mediazione
1
.
L’interazione uomo-computer o
uomo-macchina, in inglese HCI
2
è
una disciplina che studia l’intera-
zione tra le persone
3
e i compu-
ter, per progettare e sviluppare
sistemi interattivi usabili, affidabi-
li e che facilitino le attività uma-
ne. Propone metodi per focaliz-
zare il progetto delle macchine
sull’utente
4
: esse verranno co-
struite tenendo conto che verran-
no usate da esseri umani. Saran-
no necessarie conoscenze psico-
logiche e studi delle varie catego-
rie di persone che utilizzeranno il
servizio, al fine di rendere la tec-
nologia semplice e utile. Per que-
sto motivo lo studio dell'intera-
zione copre aspetti di informati-
ca, psicologia, scienze cognitive,
ergonomia, design, ed altre ma-
terie. La progettazione dovrà va-
lutare i possibili contesti d’uso, gli
obiettivi e i bisogni degli utenti.
Fig. 1 HCI
Cenni storici
La scheda perforata (Fig. 2), introdotta in ambito
industriale tessile già nei primi del 1800, è consi-
derata un primo elemento di quella che per alcu-
ni corrisponde ad una vera e propria rivoluzione
informatica. Fu Charles Babbage a creare il co-
siddetto motore analitico, da molti considerato
10
l'antenato del calcolatore elettronico, che usava
le schede perforate e il riporto automatico.
Nel 1924 nasce l’ IBM e negli anni successivi
macchine tabulatrici e a schede vennero intro-
dotti in ambienti professionali rivoluzionando
molte imprese e anche il lavoro delle persone.
Nel 1944 venne creato Mark 1, in grado di fare
anche calcoli logarit-
mici, esponenziali e
trigonometrici.
La dimensione di questa macchina, e di quelle
successive, costituisce la principale differenza di
interazione con l'uomo rispetto ai computer
attuali: l'utilizzatore aveva un rapporto total-
mente diverso con la macchina, che non era un
oggetto da manipolare ma un laboratorio in cui
accedere. Mark 1 pesava 5 t ed era meno poten-
te delle odierne calcolatrici tascabili.
Nel 1946 entra in funzione l'ENIAC
5
(Fig.3), il pri-
mo calcolatore digitale completamente a valvo-
le, dando inizio all'era elettronica. L'ENIAC era in
grado di effettuare oltre 300 moltiplicazioni in
un secondo, possedeva 18.000 valvole e occu-
pava una superficie di 180 m². Una squadra di
tecnici lavorava per diversi giorni per collegare
manualmente i circuiti elettrici necessari per una
determinata operazione.
Già in quegli anni emergeva l'esigenza di formu-
lare tecniche di programmazione; le nuove mac-
chine vennero basate sul concetto di programma
memorizzato, venivano registrati non solo i dati
su cui lavorare, ma anche le istruzioni per il fun-
zionamento.
Il calcolatore diventava un elaboratore capace di
eseguire l'operazione aritmetica ad alta velocità
e di elaborare qualsiasi tipo di informazione.
Negli anni ’50 vennero introdotte memorie
esterne ausiliarie come nastri, dischi e tamburi
magnetici. In questo periodo il miglioramento
delle macchine era legato prettamente all’incre-
mento di potenza e di memorizzazione dei dati:
si è ancora troppo lontani dal rapporto cognitivo
tra l'uomo e la macchina.
Fig. 2 Scheda perforata
Mark 1 pesava 5 t ed era meno potente delle odierne calcolatrici tascabili.
Fig. 3 ENIAC
11
Nel 1945 Vannevar Bush progettò il Memex,
un'estensione della memoria umana, un conge-
gno in grado di registrare libri, archivi, comunica-
zioni, ecc... . Questo congegno era meccanizzato
in modo da poter essere consultato con eccezio-
nale velocità e versatilità. Le intuizioni di Bush
furono utilizzate successivamente da Ted Nelson
e da coloro che divennero i precursori dell'iper-
testo e dello sviluppo delle banche dati relazio-
nali.
J. C. R Licklider capì che il vero obiettivo del suo
lavoro era quello di adattare i computer agli es-
seri umani, rendendo l’interazione più semplice
e immediata. Man Computer Symbiosis
6
racco-
glie le sue teorie sulla creazione di un sistema di
supporto all'uomo semplice da usare per la ge-
stione delle attività cognitive, dei documenti e
della memoria.
A metà degli anni ‘50 un gruppo di esperti dell’
IBM sviluppava un linguaggio noto come FOR-
TRAN o “traduttore di formule” che sostituiva i
numeri con delle lettere e dei simboli che ne
esprimevano un significato. Con questo linguag-
gio l'uomo si esprimeva con parole come
“moltiplica” e “calcola”, che l’elaboratore prov-
vedeva poi a trasformare automaticamente in
linguaggio macchina.
All’inizio degli anni ’60 erano già stati inventati
linguaggi di programmazione che permettevano
anche ad utenti meno esperti di utilizzare l’ela-
boratore, diminuendo la possibilità di errori e il
tempo di preparazione della macchina. Inoltre
vennero
ideati pro-
grammi
preconfe-
zionati
capaci di
risolvere
problematiche comuni ad un certo modello di
aziende. Esse dovevano completarli inserendo
dati inerenti alla loro specifica applicazione.
Introdotto il circuito integrato, nacque una nuo-
va generazione di computer più veloci e capaci di
gestire programmi intercambiabili, periferiche e
terminali. I programmi diventavano i protagoni-
sti: rispondevano su misura ad ogni tipo di pro-
blema. Non era più necessario progettare com-
puter adatti ad ogni singola problematica.
Per aumentare l’efficienza della macchina ven-
nero creati i “sistemi operativi” che ne controlla-
vano il funzionamento senza l’intervento dell’o-
peratore. Nuovi linguaggi furono sviluppati te-
nendo conto dei concetti di multi-
programmazione e di time sharing, riuscendo ad
elaborare più programmi contemporaneamente
e a permettere a più utenti di collegarsi al termi-
nale simultaneamente.
Il terminale fu un’importante innovazione per-
ché permetteva al singolo fruitore di relazionarsi
con la macchina attraverso un monitor di lavoro
personale, avvicinandosi all’interazione che si
sarebbe affermata con la nascita dei personal
computer.
Note
5
Electronic Numerical Integrator and
computer
6
Libro scritto da Licklider nel 1960.
12
Da semplici macchine in grado di trasmettere e
ricevere dati, i terminali divennero sempre più
potenti e intelligenti, fino a svolgere operazioni
aritmetiche e logiche, registrare e stampare dati.
Soltanto negli anni ’70 venne inventato il primo
chip programmabile, avvicinandosi alla nascita
dei personal computer e ad un nuovo modo di
pensare all’utente.
Nell’evoluzione delle macchine, i fruitori hanno
ricoperto diversi ruoli: si passa da esperti inge-
gneri e programmatori che costruivano sia
l’hardware che
il software, a
individui sem-
pre meno con-
sapevoli delle
procedure
adottate dagli
elaboratori per
svolgere deter-
minate attività.
L'introduzione
dei programmi
e dei linguaggi ha avuto un'influenza positiva
sull'interazione con il computer, ma lo scopo dei
miglioramenti non era di certo incentrato sull’u-
tente come, invece, accade oggi. L’obiettivo era
quello di ottimizzare le prestazioni della macchi-
na potendo effettuare operazioni sempre più
complesse in breve tempo.
Negli anni ’70 l’impiegato amministrativo godeva
di un posto di lavoro informatizzato, ma non an-
cora del tutto privo di problematiche comunica-
tive con il terminale. Iniziava, quindi, a risentire
della situazione; nascevano i primi casi di com-
puter anxiety, una forma di stress provocata dal
cambiamento radicale del modo di lavorare e
della formazione insufficiente.
Si comincia a parlare dell’ “utente”, destinatario
di una tecnologia non più oggetto di lavoro, ma
strumento per lavorare. Da
questo momento si studiano
miglioramenti
atti a creare
una nuova for-
ma di intera-
zione con il
terminale, al
fine di rendere
più semplice e
immediata la comunicazione.
Oggi ogni tipo di tecnologia vie-
ne adattata ai bisogni e alle caratteristiche dei
fruitori (Fig.4).
Ciò che mancava era un approccio sistematico e
scientifico alla questione del rapporto uomo-
artefatto e agli aspetti umani coinvolti e non
solo all'analisi delle applicazioni migliori per la
produzione.
Fig. 4 Design for
Humans
Sottolineano che è
stata studiata una
tecnologia
incentrata sul
fruitore, sulle sue
Il principale obiettivo dell’HCI è l'usabilità...
13
Oggi viviamo in una fase in cui la ricerca tecnolo-
gica prende in considerazione in maniera sempre
crescente fattori cognitivi, emotivi, relazionali,
semiotici, linguistici, del rapporto e della comu-
nicazione che si creano tra l'uomo e la macchina.
Fu la seconda guerra mondiale la causa che fece
incontrare per la prima volta ingegneri e psicolo-
gi: si necessitava di sistemi molto complessi facili
da utilizzare in condizioni di pericolo e stress. Gli
ingegneri cominciarono a prendere in considera-
zione il fattore umano, gli psicologi cercarono di
adattare il modello concettuale del calcolatore al
cervello umano, attraverso simulazioni di quanto
avviene nella mente umana.
Si cominciò a prendere in considerazione aspetti
cognitivi, antropometrici e fisiologici, dell'intera-
zione dell'uomo con gli strumenti di lavoro.
Si cercarono soluzioni per rappresentare le infor-
mazioni ottenute dall’elaboratore con display e
dispositivi di output. Si adottarono font, dimen-
sioni dei caratteri, colori e spazi per rendere più
piacevole la comunicazione con lo strumento. Si
studiarono anche nuove tipologie di output e
input. Inizialmente gli studi ergonomici in ambito
informatico si limitarono ai rischi per la salute
degli operatori, che potevano risentire di proble-
mi legati alla vista e alla cattiva postura adottata
durante le ore di lavoro. A partire dagli anni ‘80
nasce la Human Computer Interaction, un setto-
re dedicato al dialogo tra uomo e calcolatore.
Nel 1982 si svolse la prima conferenza in
“Human Factors And Computing Systems” negli
Stati Uniti e nel 1985 la prima edizione del con-
vegno CHI organizzato dall’ Association For Com-
puter Machinery. Negli ultimi anni il settore ha
riscontrato un notevole interesse, consolidando
il suo status di disciplina collegata sia alla Com-
puter Science sia alla psicologia cognitiva e all’er-
gonomia cognitiva.
L’usabilità
Il principale obiettivo dell’HCI è l'usabilità, ossia
la misura con cui un prodotto può essere usato
da specifici utenti, per raggiungere alcuni obietti-
vi con efficacia, efficienza e soddisfazione in un
determinato contesto d'uso. L'usabilità è impor-
tante perché aumenta la produttività degli uten-
ti, aumenta la sicurezza, aumenta le vendite, si
riducono i costi di addestramento e si riduce la
necessità di sostegno degli utenti.
Un concetto distinto è il concetto di accessibilità:
il sistema, oltre ad essere utilizzabile, deve esse-
re anche accessibile. Se non si può accedere al
sistema non lo si può nemmeno utilizzare.
Donald Norman e le fasi nell’in-
terazione uomo-macchina
Donald Norman è stato direttore del diparti-
mento di Psicologia e fondatore e direttore del
Dipartimento di Scienze Cognitive presso l'Uni-
versità della California, San Diego.
Attualmente insegna Psicologia, Scienze Cogniti-
ve e Informatica presso la North Western Uni-
versity. Ha raggiunto una fama mondiale per i
suoi studi sulla memoria, l'attenzione e altri pro-
14
cessi cognitivi, ed è considerato uno dei
padri della moderna psicologia cognitivi-
sta.
Per capire cos'è l’interazione uomo-
macchina e l'usabilità bisogna far riferi-
mento al modello di Norman che identi-
fica le sette fasi principali nell'interazio-
ne utente-oggetto (Fig.)5:
formulare l'obiettivo/scopo
formulare l'intenzione
specificare l'azione
eseguire l'azione
percepire lo stato del sistema
interpretare lo stato del sistema
valutare il risultato dell’azione rispetto all'o-
biettivo.
Norman propone una teoria dell’azione con con-
seguenze dirette per il design. L’azione ha due
aspetti principali, ossia quello di fare qualcosa
(esecuzione) e quello di verificare gli effetti
(valutazione)
. Ogni azione è definita da uno sco-
po iniziale che per essere raggiunto ha bisogno
di un’azione nota che si chiama intenzione.
L’esecuzione è composta da:
scopi;
intenzione ad agire in modo da realizzare lo
scopo;
effettiva sequenza di azioni che progettiamo
di eseguire;
esecuzione fisica della sequenza di azione.
Stabilito un obiettivo, si trasforma l'intenzione in
azio-
ne.
La valutazione è composta da:
percezione dello stato del mondo;
interpretazione della percezione secondo le
nostre aspettative;
valutazione delle interpretazioni in confron-
to alle aspettative precedenti.
I sette stadi dell'azione descritti da Norman co-
stituiscono un modello approssimativo, non è
una teoria psicologica completa, ma è molto
utile per dare indicazioni al design. Gli scopi pos-
sono essere anche legati alle circostanze, non
sono sempre pianificati. Ad esempio, uno stimo-
lo del mondo esterno può generare un'interpre-
tazione e un risultato che produce un nuovo sco-
po. La difficoltà consiste nel cogliere il rapporto
tra le intenzioni e le interpretazioni mentali e tra
le azioni e gli stati del mondo fisico. Norman par-
la di "golfi" che separano gli stati mentali degli
stati fisici. La distanza fra le intenzioni e le azioni
possibili è detta "Golfo dell'esecuzione". Il
Fig. 5 Fasi di interazione uomo-oggetto