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INTRODUZIONE PRELIMINARE
Il focus di questa trattazione è duplice. Vi trova spazio un’analisi
del segmento competitivo dello sportswear e nello specifico di un
brand che ne fa parte: Dsquared2. Parallelamente si è tentato di
evidenziare l’emersione di quel fenomeno che va sotto il nome di
easy-luxury, saggiandone la plausibilità teorica, i profili competitivi e
la sostenibilità economica.
L’interesse per il brand trattato deriva da una personale
predilezione, ma la prospettiva di convertire un gusto soggettivo in
un argomento per questo elaborato lo dobbiamo all’esperienza di
stage formativo maturata all’interno dell’azienda stessa. L’inserimento
nel contesto lavorativo della sezione Comunicazione&Marketing di
Dsquared2 ha consentito sia un’applicazione sul campo dei concetti
appresi durante il percorso di studio, sia una verifica dei meccanismi
interni di una realtà aziendale. Un interesse diciamo emotivo si è
trasformato in interesse analitico, portandoci alla decisione di
approfondire l’argomento con questo elaborato.
L’inserimento parallelo del focus sul lusso accessibile ha invece
consentito di far emergere un argomento estremamente attuale. La
copertura mediatica del caso Mariella Burani ha innescato a catena
tutta una serie di speculazioni e confronti sulla stampa economica,
attorno al tema della democratizzazione del lusso. Ci è sembrato
opportuno e interessante provare a circoscrivere e definire questo
fenomeno, attraverso l’analisi di realtà aziendali diverse.
L’inizio di questo elaborato ha coinciso con l’inizio di una nuova
esperienza professionale, stavolta non più in ambito comunicativo ma
sul versante del prodotto. Durante gli ultimi mesi, mentre la scrittura
e la ricerca di materiale procedevano, abbiamo avuto modo di
misurarci con la realtà del mercato attuale, con la strutturazione di
2
una collezione, con le dinamiche e interrelazioni tra procedure e
persone che innervano l’agire di un’impresa nel settore
dell’abbigliamento. L’esperienza in fieri, arricchita dal confronto con
figure professionali diverse e quindi con diversi punti di vista, ha
imposto una progressiva ri-lettura dell’argomento trattato.
Mentre la sera scrivevamo a proposito dei punti di forza di
Dsquared2, degli elementi che ne hanno sancito il successo
commerciale, durante il lavoro quotidiano lo sguardo sul panorama
competitivo si è fatto più preciso e obiettivo. Sono sorte una serie di
evidenze (circa la direzione stilistica che le aziende stanno
perseguendo, circa gli orientamenti estetici che stanno vieppiù
uniformando il mercato) che hanno modificato l’interpretazione del
posizionamento attuale e soprattutto prospettico del brand.
Alcuni trends emergenti mettono in discussione la prospettiva
dalla quale inizialmente studiavamo il caso Dsquared2. Il core-value
che ne fonda posizionamento (che più avanti abbiamo definito come
trasgressività), e gli stilemi formali che il marchio ha sfruttato per
tradurlo, ci appaiono in controtendenza rispetto ad alcuni segnali
scorti sul mercato e al clima estetico che crediamo si formerà.
Abbiamo cercato di correggere il tiro man mano che l’elaborato
volgeva al termine, dando spazio nella trattazione alle criticità
strategiche rilevate, sollevando alcuni dubbi circa la sostenibilità di un
percorso simbolico che sinora ha incontrato il favore del mercato.
Ci siamo trovati nella situazione di dover in parte sconfessare i
risultati economici positivi che Dsquared2 sta riportando, ma siamo
convinti che la duplice lettura, positiva e negativa, renda conto sia
della mutabilità del milieu socio-culturale attuale, sia del percorso
strategico che un’azienda deve intraprendere per competervi.
Il taglio e le scelte espositive adottate rispecchiano l’evolversi di
un profilo culturale e professionale. Se l’elaborato nel suo insieme
offre una lettura in parte configgente è perché abbiamo cercato di
essere obiettivi di fronte alla complessità del fenomeno analizzato.
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INTRODUZIONE
Lusso accessibile. Quindi anzitutto un ossimoro. Il ricorso a questa
figura retorica, quando tratta dall’ambito artistico per essere applicata
a tutt’altra disciplina, testimonia il più delle volte lo sforzo
(l’incapacità forse) di leggere analiticamente un evento, una realtà,
una dinamica. L’ossimoro attesta in un certo senso una debolezza
interpretativa, un tentativo di nominare e capire un evento nuovo o
che ha subito uno scarto rispetto al significato usuale.
D’altronde dare un nome alle cose è condizione necessaria per
iniziare a fronteggiarle, per iniziare ad agire su di esse, nel
management come in altri campi d’applicazione. Nella fattispecie è un
nuovo scenario di competizione economica a necessitare di una ri-
lettura esauriente, articolata. Assieme ad essa vengono poi gli
strumenti che ogni realtà aziendale appronta per agirvi, per innestarvi
il proprio comportamento strategico.
Per sommi capi il lusso accessibile sembra essere la risultante di
movimenti opposti caratterizzanti due diversi gruppi di players sul
mercato dell’abbigliamento: le aziende che operano nel lusso (sia
quello autentico, sia quello dei suoi gradienti più soft) e quelle che
agiscono sul segmento mass (tipicamente retailers). I primi stanno
progressivamente ed in modo corale abbassando i propri entry-
prices
1
così da capitalizzare su fasce più ampie di clientela. Sempre
con lo stesso proposito essi ampliano la proposition-value attraverso
linee secondarie e diversificano con il licensing. Allo stesso tempo si
avvalgono sempre più spesso di codici estetici tratti dalla dimensione
stagionale della moda. Un movimento, questo, che possiamo
chiamare trading-down. I secondi, in modo diametralmente opposto,
sfruttano gli stilemi comunicativi, stilistici e soprattutto distributivi
1
Il prezzo più basso attraverso il quale si accede al sistema di offerta di un brand.
4
dell’alto di gamma, proponendo allo stesso tempo prodotti
caratterizzati da un rapporto contenuto moda/prezzo estremamente
aggressivo. Movimento che va sotto il nome di trading-up
2
.
Tra i due estremi i vari gradienti. Realtà aziendali che si
sottraggono a facili tassonomie, che necessitano di nomenclature
specifiche che ne descrivano l’unicità, ma che in un certo senso fanno
proprie queste logiche di movimento verso l’alto o il basso (a livello di
prezzo, di distribuzione, di prodotto). Come potremmo definire
Dsquared2, il brand oggetto di questa trattazione, ad esempio? Il
percepito predominante lo descrive come un marchio di sportswear di
lusso, o come un high casual wear. Che sarebbe a dire t-shirts a 120
€ e jeans a 300€. Il valore che propone al mercato, e che viene
tradotto formalmente su tutte le leve del posizionamento (prodotto,
comunicazione, distribuzione), è quello della trasgressività, della
provocazione. Eppure le sfilate più recenti mostrano un netto virare
verso i tagli eleganti sulla confezione maschile e un appropriarsi di
caratteristiche formali dell’haute-couture sugli abiti sera da donna. La
stessa indefinitezza anima ad esempio tutti quei brand in cui una
logica di programmato che si avvale di sfilate, eventi e reti
distributive esclusive convive con la dimensione prontomodista. O
ancora American Apparel, che a differenza di Zara o H&M presenta
stagionalmente un sistema d’offerta basico e continuativo,
sostanzialmente indifferenziato, ma che riesce comunque a spuntare
un premium price considerevole
3
.
Quello che si va profilando è un panorama competitivo articolato e
complesso. Alcune realtà consolidate dell’alto di gamma rivedono i
propri percorsi strategici per continuare a competere fronte ad una
situazione economica che ha inciso le loro crescite, ed a dei pattern
d’acquisto inediti. Altri players nella fascia bassa di mercato hanno
2
Silverstein M. J. e Fiske N., Trading Up. La rivoluzione del lusso accessibile, Etas,
Milano, 2004.
3
Il prezzo al consumatore di un accessorio intimo, scevro da loghi e arricchimenti
di sorta, sostanzialmente eguaglia quello di D&G, o Just Cavalli.
5
modificato per sempre le connotazioni ascrivibili ai termini “lusso” e
“low-cost”, segnando un viatico che i new comers stanno
interpretando in modo nuovo e scardinante. Nelle fasce di mezzo una
miscellanea di realtà aziendali (alcune di successo, altre in declino)
dai contorni sfumati, che sfruttano indiscriminatamente stilemi e
codici tratti dai diversi segmenti, complessificando la visione
d’insieme. Le più interessanti, a nostro avviso, sono quelle che
basano il proprio posizionamento
4
su una interpretazione originale
dello sportswear: sia per il consenso commerciale crescente che
questa tipologia di offerta sta incontrando sul mercato, sia perché
questo ambito competitivo si presta a contaminazioni di genere e a
sviluppi strategici innovativi.
L’ elaborato tenta una ricognizione analitica attorno a questo caos
competitivo, soppesandone le diversità interne e cercando (ove
possibile) di rintracciare l’omologia nella diversità. Il punto di vista e il
focus saranno proprio quelli di un’azienda ibrida, di mezzo:
Dsquared2. Il successo e la crescita di questo player (del quale
analizzeremo i vettori) nella nostra opinione si è generata proprio
nella commistione di strategie e codici misti, apparentemente distanti
tra loro.
Adesso l’aneddotica. L’invenzione dell’ossimoro “lusso accessibile”
non è da attribuirsi ad un sociologo ma ad un imprenditore: Giovanni
Burani. L’ Amministratore delegato di Mariella Burani Fashion Group
coniò il termine all’indomani dell’attentato alle Twin Towers del 2001.
Con questa espressione tentava una circoscrizione (a ben vedere
abbastanza rarefatta da poter abbracciare qualsiasi cosa) del proprio
ambito competitivo e allo stesso tempo una definizione del proprio
business model.
La parabola del gruppo che fa capo a Giovanni Burani è
abbastanza esemplificativa del tema trattato da potersi prestare ad
4
Con il termine posizionamento ci riferiamo qui al presidio da parte di un brand di
una porzione del percepito della clientela effettiva o potenziale.
6
esserne l’apertura. L’azienda, sorta nel 1959 per iniziativa di Walter
Burani, si è sviluppata storicamente muovendosi lungo due direttrici
diverse: in primis la stipulazione di contratti di licenza con players di
rilievo (tra essi Valentino nel 1993, Gai Mattiolo nel 1996, Calvin Klein
nel 1999); in secondo luogo, e soprattutto, acquisizioni azionarie di
aziende indipendenti (Mila Schön nel prét-à-porter, Baldinini nei
leather goods, per citarne due).
Sono proprio le acquisizioni, numerose, irriflesse col senno di poi,
che hanno rappresentato il vettore principale della crescita della
Holding. Un problema che si è probabilmente posto fronte ad uno
sviluppo tanto articolato e capillare è stato quello di trovare un
minimo comun denominatore che abbracciasse, circoscrivesse e
desse un senso unitario alle varie componenti. Il senso e la direzione
dell’agire economico complessivo dovevano essere esplicitati di fronte
agli stakeholders, soprattutto dal 2000, anno della quotazione in
Borsa. Si iniziò quindi a parlare di lusso accessibile. Nell’opinione del
management dell’azienda questo avrebbe dovuto significare valore
elevato (qualitativo e d’immagine) proposto a dei prezzi democratici.
Il fatto è che la crescita del gruppo, tra l’altro omaggiata nel 2006
con il “Confindustria Awards for Excellence”, era più figurata che
altro. Per la precisione non era sostenibile, cioè si trattava di una
crescita che non assicurava uno spread positivo tra rendimento e
capitale impiegato
5
. L’azienda si è sempre contraddistinta per un
livello alto di indebitamento, per un livello di passività (sin dal
debutto su Piazza Affari) ben superiore alla capacità di fare cassa. Il
ricorso al credito bancario per far fronte alle numerose acquisizioni
azionarie ha debilitato inesorabilmente la posizione finanziaria. Il
coup de grâce è stata la progressiva criticità della situazione
economica, sfociata nella crisi che tutt’oggi mina trasversalmente i
settori. Il risultati per il gruppo, saliti agli onori della cronaca
5
Mazzola P., La crescita dimensionale, in Bruni M. (a cura di), Materiali per
l’insegnamento di Strategie di crescita delle aziende di marca, Arcipelago Edizioni,
Milano, 2008.
7
economica, sono impressionanti: un debito cumulato che ammonta a
770 milioni (492 per Mariella Burani Fashion Group, 280 divisi tra le
controllate), la Holding principale Burani Private messa in
liquidazione, gli asset strategici svalutati e ceduti
6
.
Motivi e dinamiche passibili di aver concorso al declino del gruppo
si accavallano numerosi. Sarebbe abbastanza semplice, in parte
necessariamente vero, ricondurre tutto alla congiuntura economica.
Un dissesto che dalla sfera meramente finanziaria si è rapidamente
trasferito all’economia reale colpendo i consumi, troncando così il
ritorno sugli investimenti per l’azienda emiliana. Il fatto che in
situazioni recessive i comparti dell’abbigliamento siano tra i primi a
flettersi è sicuramente vero, ma uno sguardo ai risultati conseguiti
lungo il 2008-2009 mostrano un panorama di performances
variegato: a situazioni difficili fanno da contraltare risultati eccellenti
in senso relativo.
Il punto cruciale di questa trattazione non è tanto speculare su
casi di mal gestione o sull’incidenza della situazione attuale sui
risultati di bilancio. La domanda cui cercheremo di rispondere è: in
che misura il crollo di quest’azienda rappresenta la metafora
dell’insufficienza di un posizionamento? La sostenibilità che ci
interessa verificare attiene ad un segmento competitivo specifico: il
lusso accessibile. Tenteremo di saggiare la plausibilità concettuale ed
effettiva del termine e la sua perseguibilità operativa, raffrontandola
con i percorsi e le strategie di aziende diverse.
Quando parliamo di easy-luxury di cosa stiamo parlando
veramente? Una prima possibilità è che si stia parlando di una realtà
fattuale. Un simile mercato esisterebbe e si sarebbe effettivamente
formato in tempi recenti. L’evolversi del profilo del consumatore da
una parte e delle dinamiche competitive dall’altra avrebbe creato i
presupposti per uno spazio sia concettuale che economico sufficiente
per essere presidiato da un’insieme di aziende accumunabili in alcuni
6
Pavesi F., Quei 770 milioni di debiti dei Burani, in Il Sole 24 Ore, 07/01/10.
8
tratti del business-model. Un simile sviluppo non sarebbe certo
inedito. Gli ultimi anni hanno visto avvicendarsi alcune innovazioni
radicali
7
che hanno proposto e diffuso un modo nuovo di interpretare
un’area di business, modulando di conseguenza nuovi pattern di
consumo. Un esempio interessante, tra l’altro particolarmente
pregnante, è quello di Prada. Sul finire degli anni 90’
8
l’azienda
milanese si è contraddistinta per una innovazione che ha saputo
intrecciare la dinamica stilistica ad un trend sociale emergente
(ancora non pienamente espresso), esplicitandola in un nuovo
marchio: Prada Sport. Questo sub-brand, anche sulla scorta di una
serie di competizioni sportive particolarmente acclamate al momento,
si è sostanziato nell’unione di stilishness e sportswear. Se oggi la
cosa non suona nuova è proprio perché l’idea si è rivelata allora
particolarmente lungimirante e profittevole, creando proseliti a
cascata. Un’innovazione di tipo culturale particolarmente spiazzante e
azzeccata, e non di meno un emergere di orientamenti d’acquisto
inediti, hanno quindi la forza di creare spazi abbastanza ampi da
rivedere le posizioni/direzioni che animano i players sul mercato.
Resta da vedere quanto il lusso accessibile rientri in questa casistica.
Una seconda possibilità è che invece la democratizzazione del
lusso non abbia la forza di sostanziarsi in un mercato effettivo,
circoscritto e definibile. Che non rappresenti cioè una modalità di
operare sul mercato perseguibile in ottica di lungo periodo. Questa
lettura in negativo potrebbe essere suffragata da due possibilità.
La prima è che l’easy-luxury non sia tanto una modalità strategica
strutturale di operare sul mercato quanto una modalità tattica.
Rifacendosi alla dicotomia bellica proposta da Michel De Certeau la
strategia rappresenta la lettura/modifica delle forze in campo
effettuata a partire da una porzione di territorio definibile come
propria. La tattica, tipica della guerriglia, si sostanzia viceversa
7
In contrapposizione alle innovazioni cosiddette incrementali, basate sul
miglioramento continuo del modus operandi vigente.
8
Il sub-brand Prada Sport è nato nel 1997.
9
nell’azione compiuta all’interno del territorio nemico da parte di un
soggetto sprovvisto di uno spazio proprio. Nel primo caso abbiamo
una predisposizione ponderata degli elementi utili. Nel secondo caso
vige l’improvvisazione, lo sfruttamento occasionale di
elementi/circostanze ambientali
9
. Nel caso preso in esame la
dimensione specificamente tattica si sostanzierebbe un’insieme di
azioni circostanziate nel tempo o limitate ad una porzione della
propria proposition value, senza incidenze significative sul core
business distintivo. Si tratterebbe di effetti di breve periodo, che
spesso riferiscono ad un’altra area di business, nella maggior parte
dei casi tesi a modificare la percezione simbolica del marchio.
Seconda lettura in negativo: il segmento del lusso accessibile in
realtà non esiste, cioè è emerso come possibilità all’inizio del nuovo
millennio salvo ritrarsi fronte alla congiuntura economica e al suo
effetto domino. La parabola dei Burani rappresenterebbe quindi
nascita e declino del segmento, suggellandone la natura effimera.
Tentare una risposta il più possibile documentata ed imparziale a
simili quesiti sarà l’intento di questo lavoro.
La trattazione gravita attorno al tema dei posizionamenti ibridi.
Quelli che appunto si costituiscono dalla commistione di dimensioni
semantiche diverse, anche distanti tra loro. Lo farà attraverso l’analisi
di un brand, Dsquared2, che ha visto crescere negli ultimi anni il
proprio peso specifico all’interno del bilancio competitivo del casual-
wear. Il marchio italo-canadese ha in un certo senso portato avanti
ed estremizzato il percorso inaugurato da Prada Sport, attenuando
fortemente la dimensione performativa e facendo leva piuttosto su
derivazioni street dalla connotazione culturale decisa.
Ciò che rende interessante il caso preso in esame è appunto la
natura polimorfa del posizionamento perseguito, a cavallo tra
sportswear, ready-to-wear d’alta gamma e orientamento
9
De Certeau M. (1980), citato in Grandi R., I Mass Media fra Testo e Conteso,
Lupetti, Milano, 1994.
10
commerciale. La crescita economica sinora riportata da Dsquared2,
assieme all’aumento della sua visibilità sociale, è a nostro avviso
esplicativa dell’evoluzione che ha caratterizzato i codici vestimentari
negli ultimi quindici anni, specialmente tra le sub-culture giovanili.
Allo stesso tempo gli empasses strategici e le criticità prospettiche
che evidenzieremo possono fornire uno scorcio sulla nuova direzione
che sembrano assumere i trend emergenti e come essi varino in base
a variabili interrelate: temporali e culturali, economiche e attitudinali.
Se l’analisi invalsa tra gli esperti di mercato parla di un
radicalizzarsi della competizione su posizioni estreme e antitetiche
(alta gamma da una parte, segmento low-cost dell’altra) proveremo a
valutare quanto invece il presidio di zone mediane, più sfumate, sia
economicamente valido.