2
1.1.1. Alle radici della fiaba popolare
E’ proprio uno degli autori più famosi di fiabe, Italo Calvino, a proporre la
questione della difficoltà di localizzazione e datazione della fiaba come
documento storico. Secondo la sua opinione <<il racconto di meraviglie
magiche, dal “c’era una volta” iniziale alle varie forme di chiusura, non
ammette d’essere situato nel tempo e nello spazio>>
1
Una visione di questo
tipo non ci permetterebbe una indagine storica del genere fiabesco, e
riterrebbe quindi superfluo cercare di darle una identità storico-letteraria
precisa. In verità gli studi in questo campo sono stati molto fiorenti e nella
seconda edizione di Kinder und Hausmärchen dei fratelli Grimm è possibile
ritrovare il primo tentativo di datazione della fiaba. W. Grimm analizza le fonti
di quelli che considera i “motivi fiabeschi” e le pone nel <<comune sfondo
culturale indo-europeo>>
2
. Secondo la sua opinione tutti i racconti che
presentano strette somiglianze fra loro sarebbero da collocare nella famiglia
linguistica indo-europea. W. Grimm immaginò che in una non ben identificata
regione degli altopiani dell’Asia centrale, un gruppo di pastori avesse portato i
loro racconti, e che gli stessi si fossero poi diffusi tra le genti di quella zona.
Le rassomiglianze tra fiabe e miti non erano da considerare la conseguenza
di prestiti, bensì <<eredità di un comune sfondo culturale protostorico degli
indo-europei. Ecco allora anche spiegato il significato nascosto delle fiabe: si
tratta di miti decaduti e quindi comprensibili solo attraverso l’interpretazione
dei miti primigeni da cui provengono.>>
3
Ad ogni modo questa teoria resse
per poco tempo; successivamente Andrew Lang notò, infatti, che molti
racconti simili a quelli indo-europei venivano riscontrati in Africa, a Samoa,
nella Nuova Guinea e nell’America Settentrionale e Centrale.
1
CALVINO ITALO, Sulla fiaba, Einaudi, Torino, 1988, p.109
2
AAVV, a cura di Domenico A. Conci, Da spazi e tempi lontani. La fiaba nelle tradizioni etniche, Guida editori,
Napoli, 1991, p.387
3
Ibidem, pp. 387-388
3
Questo fatto non poteva che mettere in luce l’esistenza di un <<patrimonio
popolare di narrazioni più arcaiche, da cui avrebbe attinto sia il mito che la
fiaba>>
4
. Propp si spinge oltre, ed i suoi studi lo portano a formulare una
teoria dell’origine del genere fiabesco che collega i racconti ai rituali di
iniziazione delle società di clan di cacciatori e raccoglitori. <<L’origine delle
storie sarebbe dunque orale, sprofondando sia nelle narrazioni che
accompagnavano i riti di iniziazione, sia in quelle che tramandavano le
esperienze a quei riti collegate>>
5
. Secondo Propp l’unità di composizione
della fiaba va collocata in una realtà storica del passato poiché, <<quel che
oggi si racconta, un tempo si faceva, si rappresentava, e quello che non si
faceva, lo si immaginava>>
6
. Quello che Propp voleva dire è che, i riti di
iniziazione venivano rappresentati e mimati, molto spesso accompagnati da
canti e racconti che commentavano il susseguirsi delle scene. Con il passare
dei secoli simili rituali scomparvero, ma sopravvissero forme primitive della
trama di quei racconti e dei personaggi, che confluirono nella tradizione
popolare e si trasformarono, quindi, nella fiaba. Se considerassimo solo il
punto di vista di Propp, ci potremmo chiedere il perché dell’esistenza dei miti,
che costituiscono un genere totalmente differente da quello della fiaba: se la
stessa, infatti, si è prodotta direttamente dai riti di iniziazione, come è nato
invece il mito? Propp sostiene che il fatto della coesistenza fianco a fianco di
miti e favole costituisca la prova che <<un genere non può essere
considerato sopravvivenza dell’altro […] l’esperienza etnologica ci induce a
pensare che, al contrario, mito e favola sfruttino una sostanza comune, ma
ognuno alla sua maniera>>
7
.
4
Ibidem, p. 389
5
Tracciati: La connessione rito-mito-fiaba-epos di Alfonso Cardamone
http://www.graffinrete.it/tracciati/storico/tracciati0/mito1.htm
6
PROPP VLADIMIR JA., tr.it., Le radici storiche dei racconti di fate, Einaudi, Torino, 1949,p. 567
7
PROPP VLADIMIR JA. , tr.it., Morfologia della fiaba, Giulio Einaudi editore, Torino, 1966, p.183
4
Ci sono però studiosi che riconoscono nel mito una prima forma della attuale
fiaba popolare. Meletinski ha studiato minuziosamente le tappe che portano
alla trasformazione di un mito in una fiaba. Secondo lui, le principali sono le
seguenti:
<< […] deritualizzazione; desacralizzazione; indebolimento della fede nella autenticità
degli “avvenimenti” mitici; sviluppo dell’invenzione consapevole; scomparsa dell’elemento
concreto etnografico; sostituzione di uomini ordinari agli eroi mitici, e del tempo
indeterminato della fiaba al Grande Tempo del mito; attenuazione o scomparsa del senso
eziologico; spostamento dell’attenzione che passa dai destini collettivi ai destini individuali,
e dai destini cosmici ai destini sociali – tutto questo con conseguenze sulla comparsa di
nuovi soggetti e di nuove regole strutturali >>
8
Naturalmente teorie di questo genere possono dare una indicazione ancora
molto sommaria della vera origine del genere fiabesco; e ancora una volta è
Calvino a farci riflettere sulla carenza di questi materiali, ponendo l’accento
sull’impossibilità di dare una collocazione temporale precisa della nascita del
racconto popolare. Etnologia, mitologia, studi storico-geografici di scuole
antropologiche non arriveranno mai ad una conclusione definitiva: anche se
considerassimo valida l’ipotesi del rapporto di derivazione tra la fiaba e i miti e
i riti più arcaici <<come colmare l’intervallo che si apre tra le manifestazioni
attuali della tradizione e contesti culturali che per l’Europa ci rimandano
addirittura al paleolitico?>>
9
. Non abbandoneremo del tutto il riferimento a miti
e riti arcaici, ma per ora ci concentreremo sull’elemento che, a mio parere,
sembra più importante quando parliamo delle ‘radici’ del racconto popolare: la
parola. Nonostante le differenti teorie riguardanti l’origine della fiaba, un punto
viene condiviso da tutti: questo genere di racconti ha una tradizione orale alle
spalle ed è stato, quindi, tramandato oralmente per molto tempo prima di
confluire in un’opera letteraria. Stith Thompson ci dice che un grande numero
8
MELETINSKIJ E.M., tr.it, La struttura della fiaba, Sellerio editore, Palermo, 1977, pp. 125-126
9
CALVINO ITALO, Sulla fiaba, op. cit. , pp. 109-110
5
di fiabe letterarie mostra <<una tale preponderanza di versioni orali, e tali e
tante altre indicazioni di un’origine popolare, da indurre a concludere che
l’apparizione di queste fiabe sul piano letterario deve considerarsi come del
tutto accidentale>>
10
. In sostanza Thompson non ha dubbi circa la natura
orale dell’origine di questi racconti; inoltre, insiste sul fatto che anche se si è in
grado di citare una forma letteraria di una data fiaba molto antica, non si sarà
mai in grado di stabilire se si è raggiunta la fonte originaria della tradizione,
perché quella potrebbe essere solo <<una delle cento versioni assunte dalla
fiaba stessa e non avere maggiore importanza delle altre
novantanove>>
11
.Ecco perché uno studioso come Elliott Oring non si pone più
il problema di datare precisamente l’origine della fiaba popolare, ma si limita a
stabilire quali sono le caratteristiche principali di questo genere, e quando si
può parlare effettivamente di racconto folclorico. Ciò su cui si sofferma in
particolare è la predisposizione di questo tipo di narrazione alla manipolazione
ed alla variazione:
<< A folk narrative, in other words, must be re-created with each telling. As a result of this
process of re-creation, the folk narrative reflects both the past as well as the present.
Narrators must draw upon past language, symbols, events, and forms which they share
with their audience for their narrations to be both comprehensible and meaningful […] The
narrator shapes the narratives he re-creates in accordance with his own dispositions and
circumstances >>
12
La fiaba è dunque un genere in continua trasformazione, che viene fissato
solo nel momento in cui è trascritto sulla carta. Il fatto che venga trascritto,
però, non ne interrompe i processi di rilettura e riscrittura, e questo ci avvicina
in modo particolare al nostro studio. Riassumendo, le vere radici della fiaba
non possono essere portate alla luce, rimangono un mistero, proprio come
10
THOMPSON STITH, tr.it. , La fiaba nella tradizione popolare, Il Saggiatore, Milano, 1967, p. 257
11
THOMPSON STITH, tr.it. , La fiaba nella tradizione popolare…, op. cit. , p. 255
12
ORING ELLIOTT, Folk Groups and Folklore Genres: An Introduction, Utah State University Press, Logan, 1986,
p.123
6
sono misteriosi gli elementi in essa contenuti. L’unica vera indagine della fiaba
può essere fatta a partire dalle prime testimonianze scritte della stessa, e
saranno proprio queste a condurci sulla strada del racconto popolare come
genere letterario in senso stretto.
1.1.2. L’affermazione di un genere letterario
Nel momento stesso in cui la fiaba viene trascritta e pubblicata, essa assume
la veste di genere letterario e comincia a ‘viaggiare’ di paese in paese,
attraverso luoghi, culture e tempi storici diversi per giungere fino ai nostri
giorni e nelle nostre case. Ma come ci è arrivata? Qual è stato il suo
percorso? Nel XIV secolo nasce in Europa una forma di narrazione breve
denominata novella; Boccaccio la utilizza come forma principe del suo
Decamerone, e la sua popolarità la porta a presentarsi in due forme: la
raccolta di novelle e la novella singola. Dalla Toscana questa forma si diffonde
in tutti i Paesi dell’Occidente letterario. Nel 1550 Francesco Straparola
riprende la forma della novella e pubblica Le piacevoli notti, una raccolta di
racconti che, in alcuni casi, presentano nuove caratteristiche rispetto a quelle
della forma di novella classica.
13
Ci si stava avvicinando alla fiaba. Anche la
struttura dell’opera di Straparola ricorda i presupposti della fiaba popolare; nel
“racconto cornice” un nobile caduto in disgrazia si rifugia a Murano con sua
figlia, la quale riunisce intorno a se’ dieci gentili damigelle. Ciascuna
racconterà una storia seguita da un enigma; al termine della tredicesima
giornata la nobile compagnia si separerà per dedicarsi a doveri religiosi.
14
E’
proprio l’atto di narrare agli altri che ci fa capire come il racconto orale fosse
già allora percepito come una fonte importante nel campo letterario. Tra il
1634 ed il 1636 appare l’opera di Giambattista Basile Lo cunto de li cunti, più
13
JOLLES ANDRE, tr.it. , Forme semplici, Mursia editore, Milano, 1980.
14
BELMONT NICOLE, tr.it. , Poetica della fiaba, Sellerio editore, Palermo, 2002.
7
tardi conosciuto come Pentamerone. L’opera è una sorta di ‘scatola’ il cui
involucro è costituito da una storia che comincia nella prima parte e trova la
sua conclusione solo al termine del libro stesso. Questo racconto cornice è
l’unico originale; gli altri quarantanove traggono materia dalla narrativa orale,
tanto da far ritenere Basile il primo scrittore di fiabe in Europa.
15
In verità, per
giungere alle raccolte di fiabe vere e proprie bisogna spostarsi in Francia alla
corte del Re Sole. La fiaba acquistò una sua dominanza proprio verso la fine
del Seicento, grazie ad una moda denominata Mode de fées in cui, negli ultimi
trent’anni del suo regno, le fate invasero la corte di Luigi XIV
16
. Fu proprio
intorno al 1696 che Madame d’Aulnoy compose le sue prime fiabe e le fece
circolare nei salotti; nel 1697 furono pubblicati i primi tre volumi dei Contes de
fées (seguiti dai Contes nouveaux e da Les Fées à la mode). Mme d’Aulnoy
indicava come fonte dei suoi racconti un vecchio schiavo arabo, fatto che
potrebbe rappresentare una ‘romantica ammissione’ che le storie le fossero
state raccontate da un suo servitore.
17
Non c’è dubbio comunque che le sue
storie provenissero dalla tradizione orale, che rappresentassero più che altro
un lavoro di trascrizione, e non di composizione originale. Ciò che stupisce, in
un certo senso, è che questo tipo di intrattenimento non fu concepito
inizialmente per un pubblico infantile: anche se personaggi ed ambienti si
collocavano a pieno titolo nel ‘mondo fiabesco’, gli intrecci erano spesso
troppo sofisticati per essere recepiti dai bambini.
18
Macchia insiste sul fatto
che <<la Francia di Luigi XIV è un Paese senza innocenza, ove i bambini non
sono più bambini>>
19
; la fiaba si discostava quindi da quell’intento che le
attribuiamo oggi e diventava un veicolo per mostrare un <<fondo torbido,
oscuro, angoscioso, anche in quelle affascinanti avventure di uomini mutati in
15
Ibidem
16
La “société de salons” nasce in Europa nel XVII secolo: i componenti di questi “salotti letterari” sono scrittori,
filosofi, studiosi, ma soprattutto donne che finiscono per costituirne le figure principali. E’ in questi circoli che si
diffonde la narrazione di fiabe.
17
CARPENTER HUMPHREY, PRICHARD MARI, The Oxford Companion to Children's Literature, Oxford
University Press, Oxford, 1999.
18
MUIR PERCY, English Children’s Book, 1600 to 1900, Batsford, London, 1954.
19
MACCHIA GIOVANNI, La letteratura francese dal Rinascimento al Classicismo, BUR, Milano, 1995, p. 517
8
cavalli, in tutto quel filone di sognante medievalismo che percorre in forme più
o meno sotterranee il Seicento francese >>
20
. Sulla scia di Mme d’Aulnoy altre
donne si dedicarono al genere fiabesco; ad esempio, Mme de Beaumont, che
fu una delle prime autrici di fiabe ad utilizzarle in parte come veicolo
d’istruzione morale. A differenza di Mme d’Aulnoy, Mme de Beaumont si
indirizzava anche al pubblico infantile utilizzando uno stile colloquiale e
informale, rendendo quindi più comprensibili i testi ed il loro messaggio.
21
Pian
piano ci si stava avvicinando a quella forma della fiaba popolare che
conosciamo tutt’oggi, ma il contributo maggiore in questo senso fu dato da un
autore che rappresenta ancora adesso la personalità più importante nella
letteratura infantile, Charles Perrault. Nel febbraio del 1696 apparve nel
Mercure Galant un racconto dal titolo La Belle au bois dormant ed appena un
anno dopo Claude Barbin riprese questa storia e la pubblicò insieme ad altri
sette racconti sotto il titolo Histoires, ou contes du temps passé avec des
Moralitées. Il successo fu immediato, e prima della fine dello stesso anno la
raccolta fu ristampata diverse volte. Il libro iniziò ad essere conosciuto in poco
tempo con il titolo Contes de ma mère l’Oye, riferendosi alle parole che
apparivano sul frontespizio della prima edizione. L’opera era stata pubblicata
anonima; l’unico riferimento autoriale era riscontrabile nella lettera di dedica
iniziale, firmata P. Darmancour. Il figlio di Charles Perrault aveva adottato da
poco un nome aggiuntivo, ed era quindi conosciuto come Pierre Perrault
Darmancour; questo fece pensare che proprio a lui fosse da attribuire la
paternità dell’opera, ma studi successivi provarono definitivamente che il vero
autore dei racconti era suo padre.
22
Charles Perrault entra quindi a pieno titolo
nel panorama della letteratura infantile, ma quando i suoi racconti furono
pubblicati si assistette ad un fenomeno singolare: i racconti che aveva
dedicato specificamente ai bambini rimasero <<intrappolati nella moda da
20
Ibidem
21
CARPENTER HUMPHREY, PRICHARD MARI, The Oxford Companion…, op. cit.
22
Ibidem
9
salotto>>
23
e quindi letti in particolare da un pubblico adulto. Solo molto più
tardi i racconti di Perrault entrarono a far parte del patrimonio dei fanciulli; per
molto tempo rimasero invece un <<prodotto di cultura che viveva grazie alla
società a cui era destinato>>
24
, e sappiamo bene che in quella società i
bambini non avevano un loro spazio. Ad ogni modo la fiaba non aveva
ancora, o almeno non del tutto, assunto quelle caratteristiche sotto le quali la
riconosciamo oggi: anche se Perrault è considerato uno dei primi scrittori ad
aver consacrato i propri sforzi verso la formazione di un genere dedicato
all’infanzia, il passo decisivo fu fatto in Germania da due fratelli, Wilhelm e
Jacob Grimm. Cecilia Gatto Trocchi concentra la sua attenzione sul fatto che
<<il Settecento non aveva ancora una codificazione dei generi narrativi di
fantasia>>
25
e fu solo nel cuore del Romanticismo tedesco che questo tipo di
codificazione iniziò a prendere piede. La <<fiaba, come si viene delineando a
partire dal 1812, attraverso un lento processo culturale è quindi un prodotto
generato da una necessità filologica e da una possibilità letteraria.>>
26
In
effetti il progetto iniziale dei Grimm consisteva nel realizzare un’opera
scientifica <<raccogliendo le tradizioni popolari prima che sparissero e
contribuendo ad edificare una storia dell’antica poesia germanica di cui i
racconti rappresentavano, agli occhi dei fratelli Grimm, delle vestigia>>
27
. Il
progetto però non prese piede come i fratelli si sarebbero aspettati, e fu presto
deciso di abbandonarlo. Fu il loro amico von Arnim ad incoraggiarli alla
pubblicazione delle fiabe raccolte fino a quel momento, e seguendo il
consiglio i Grimm diedero alle stampe nel 1812 la prima edizione dei Kinder
und Hausmärchen, dedicato a Frau Elisabeth von Arnim ed in particolare al
piccolo Johannes Freimund, suo figlio.
28
Era finalmente nata la fiaba come
genere letterario, dotata di tutte le caratteristiche attraverso la quale la
23
BELMONT NICOLE, tr.it. , Poetica della fiaba, op. cit. , p. 25
24
MACCHIA GIOVANNI, La letteratura francese…, op. cit. , p. 516
25
AAVV, a cura di Domenico A. Conci, Da spazi e tempi lontani…, op. cit. , p. 386
26
Ibidem
27
BELMONT NICOLE, tr.it. , Poetica della fiaba, op. cit. , p. 26
28
CARPENTER HUMPHREY, PRICHARD MARI, The Oxford Companion…, op. cit.
10
riconosciamo ai nostri giorni. L’opera dei Grimm era diventata una pietra di
paragone per tutte le fiabe a venire e per quelle che ancora dovevano essere
trascritte, ma risiedevano da molto tempo nella ‘culla’ della tradizione orale. I
Kinder und Hausmärchen contenevano fiabe tratte anche da fonti scritte, ma
quelle di natura orale erano considerate le più importanti della raccolta. I
Grimm si facevano raccontare fiabe da amici, conoscenti, governanti,
istitutrici, e la fonte più notevole fu rappresentata da Katharina Viehmann, la
moglie di un sarto che svolgeva la sua attività in un villaggio vicino e che
vendeva le uova alla famiglia Grimm. Si racconta che Katharina ricevesse
alcuni favori dai due fratelli in cambio del racconto di fiabe mai trascritte, e
conosciute dalla donna solo attraverso la narrazione di persone che le erano
state vicine durante la sua infanzia
29
. Gli autori delle fiabe non erano quindi i
fratelli Grimm, ma <<anche le narratrici ed i narratori dalla cui voce i Grimm le
ascoltarono, e pure coloro da cui essi le avevano ascoltate, e così via tutti gli
uomini e le donne che hanno trasmesso questi racconti di bocca in bocca per
chissà quanti secoli.>>
30
Italia, Francia e Germania non furono gli unici Paesi
ad essere toccati da questo fenomeno; oltre all’Inghilterra, che tratteremo in
modo specifico nel prossimo paragrafo, anche in Danimarca e Russia la fiaba
fece la sua comparsa grazie ad alcune personalità di rilievo. <<In Russia
Afanasjev raccolse, intorno al 1840, circa seicento racconti popolari orali>>
31
,
mentre in Danimarca comparve nel 1829 Snee-Dronningen, la prima fiaba di
Andersen. La sua prima raccolta di fiabe fu pubblicata solo nel 1835 con il
titolo Eventyr fortalte for Bjorn seguita a breve distanza di tempo da altre due
raccolte pubblicate tra il 1835 ed il 1837
32
. Grazie alla traduzione tutte le
opere dei vari autori, europei e non, circolarono senza sosta e continuano ad
essere tradotte e pubblicate anche ai giorni nostri, contribuendo ad un vero e
29
CARPENTER HUMPHREY, PRICHARD MARI, The Oxford Companion…, op. cit.
30
CALVINO ITALO, Sulla fiaba, op. cit. , p. 83
31
La fiaba
http://www.comune.bologna.it/iperbole/llgalv/iperte/mito/narraz/fiaba.htm
32
MUIR PERCY, English Children’s Books…, op. cit.
11
proprio effetto ‘a macchia d’olio’ che ha portato nelle nostre case fiabe dei più
diversi Paesi e sotto le più svariate forme. Traduzioni libere, adattamenti,
riscritture, riletture, rivelano un interesse ancora molto vivo per il genere: a
volte lo avvicinano per lodarlo, altre ancora per criticarlo, ma è innegabile una
sua influenza enorme nel panorama letterario di tutto il mondo. Una volta
entrata a pieno titolo nel nostro patrimonio letterario, la fiaba ha assunto una
importanza ancora maggiore rispetto a quella che deteneva rimanendo
relegata al livello orale e vedremo in seguito fino a che punto la sua ‘forza’
può spingersi.
1.1.3. Approdo in Inghilterra
Nella prefazione al suo interessante testo dal titolo Victorian Fairy Tales, Jack
Zipes scrive:
<< The Victorian fairy-tale writers always had two ideal audiences in mind when they
composed their tales - young middle-class readers whose minds and morals they wanted
to influence, and adult middle-class readers whose ideas they wanted to challenge and
reform. It was through the fairy tale that a social discourse about conditions in England
took form, and this discourse is not without interest for readers today. >>
33
Si capisce fin da subito che l’arrivo della fiaba sul suolo inglese è
accompagnata da due motivazioni molto differenti: innanzi tutto essa doveva
costituire un materiale di intrattenimento ed educazione infantile, in secondo
luogo essa rappresentava un mezzo di protesta contro le problematiche più
scottanti sul piano sociale. Ad ogni modo, questo genere faticò ad entrare a
pieno titolo nel panorama della letteratura inglese; vi erano degli ostacoli alla
sua affermazione e proprio per questo una introduzione ‘forzata’ delle fiabe
33
ZIPES JACK, Victorian Fairy Tales: The Revolt of the Fairies and Elves, Routledge: London New York, New York,
1991, p. XI
12
non poteva che apparire carica di tensione e forza oppositiva. Jack Zipes fa
notare come, in contrasto con Francia e Germania, l’Inghilterra non
sperimentò il fiorire del genere fiabesco fino alla metà del XIX secolo.
Razionalità e rifiuto dell’immaginazione erano i principi cardine della cultura
puritana, tanto da far considerare la fiaba come un mezzo poco adatto
all’educazione infantile. Al suo posto si fecero strada testi religiosi o più
propriamente didattici, che nulla avevano a che fare con il magico mondo
delle fate e degli incantesimi fiabeschi. Fu solo con l’arrivo del Romanticismo
in Inghilterra che il racconto di tradizione orale venne inserito a pieno titolo nel
panorama letterario. Si iniziò a considerare la fiaba come un mezzo di
opposizione alla sempre crescente alienazione nella sfera pubblica, dovuta al
processo di industrializzazione. Scrittori come Charles Dickens, Thomas
Carlyle, John Ruskin furono tra i primi a criticare gli effetti deleteri della
rivoluzione industriale, e tutti usarono la fiaba per attirare l’attenzione sulle
ingiustizie e le disuguaglianze rilevabili sul piano sociale.
34
Nel 1804 apparve
per la prima volta una serie intitolata Tabart’s Popular Stories, nella quale
molte delle più conosciute fiabe furono stampate nella forma di libretti illustrati
per bambini. Benjamin Tabart non si limitò alla pubblicazione di questo
materiale e, a distanza di un anno, pubblicò anche un libro di filastrocche dal
titolo Songs for the Nursery. Se considerassimo le sue imprese editoriali alla
luce della nostra situazione storica e sociale, non troveremmo nulla di strano o
sovversivo nella sua attività; in realtà queste due pubblicazioni suscitarono
critiche e proteste, tanto da far pensare che il nome Tabart non appartenesse
ad una vera persona, ma venisse utilizzato come denominazione fittizia da un
certo Sir Richard Phillips, già più volte ripreso per i suoi continui attacchi al
Governo inglese.
35
Un’altra data importante per l’affermazione della fiaba
come genere letterario in Inghilterra è il 1823.
34
ZIPES JACK, Victorian fairy tales…, op. cit.
35
CARPENTER HUMPHREY, PRICHARD MARI, The Oxford Companion…, op. cit.
13
In quell’anno Edgar Taylor diede alle stampe German Popular Stories, una
traduzione dell’opera Kinder und Hausmärchen dei fratelli Grimm.
Nell’introduzione Taylor fece riferimento al dibattito sulla fiaba e si autodefinì
“nemico dell’Illuminismo”.
36
Ancora una volta il genere si arricchiva di un
significato più profondo: pur essendo destinato agli ‘scaffali nelle stanze dei
bambini’, il suo messaggio più importante giungeva agli adulti in una veste
totalmente nuova. Dal 1840 al 1880, questa tendenza ad usare la fiaba come
un mezzo di protesta non si esaurì. In questo periodo, Charles Dickens e
Lewis Carroll furono i due rappresentanti più importanti del genere fiabesco:
Dickens pubblicò i suoi Christmas Books tra il 1843 ed il 1848, proponendosi
come uno dei ‘campioni’ della causa a favore delle fiabe contro i <<nursery
moralists>>
37
; Lewis Carroll non mostrò apertamente il suo dissenso verso la
denigrazione della fiaba come genere, ma Alice in Wonderland evidenziava
già di per se’ la necessità di mantenere vivo il potere d’immaginazione del
fanciullo.
38
Il caso di Carroll è così particolare da non poter essere trascurato:
il suo primo libro infatti, pubblicato nel 1860, fu un trattato di matematica per il
sostegno degli studenti con difficoltà nel recepire la materia.
39
Si può dire,
quindi, che i suoi primi sforzi fossero diretti più che altro verso la ragione a
discapito della fantasia, ma fu il suo rapporto con la figlia di Henry George
Liddell, il decano di Oxford, che lo portò ad interessarsi alla letteratura per
l’infanzia. Fu in occasione di uno dei compleanni della piccola Alice che
Charles Lutwidge Dodgson (il vero nome di Carroll) le regalò un manoscritto
dal titolo Alice’s Adventures Under Ground, testo che venne poi pubblicato nel
1865 con il titolo Alice in Wonderland, una delle opere più famose nel
panorama della letteratura infantile.
40
In verità, Alice in Wonderland non è una
fiaba: la sua lunghezza e struttura la discostano dai canoni della tradizione
36
MUIR PERCY, English Children’s Books…, op. cit.
37
CARPENTER HUMPHREY, PRICHARD MARI, The Oxford Companion…, op. cit. , p. 148
38
ZIPES JACK, Victorian fairy tales…, op. cit.
39
Lewis Carroll Home Page
http://www.lewiscarroll.org/carroll.html
40
CARPENTER HUMPHREY, PRICHARD MARI, The Oxford Companion…, op. cit.
14
popolare e non affonda le sue radici nell’oralità. Nonostante questo, l’opera
mantiene molti punti in comune con il genere fiabesco, ma soprattutto utilizza
il ‘meraviglioso’ come filo conduttore della vicenda. L’affermazione del
racconto fiabesco come elemento educativo e d’intrattenimento era ormai
consolidata, ed anche in Inghilterra i bambini potevano godere di tutti i
personaggi e le situazioni che ormai da parecchio tempo erano comparsi sul
territorio europeo. Pur essendoci state diverse traduzioni in inglese delle fiabe
di tutto il mondo prima della fine dell’ 800, il merito di averle raggruppate in
raccolte organiche deve essere conferito ad Andrew Lang. Fu in veste di
antropologo che Lang arrivò ad una seria considerazione della fiaba, ma fu
anche la sua infanzia da <<border boy>>
41
immerso in una terra tra colline
‘infestate’ da leggende e ballate, vecchie canzoni e credenze magiche, che lo
portarono a riporre la sua fiducia nel ‘mondo delle fate’. Fu lo studio dei miti e
delle fiabe popolari che lo portò a pubblicare una serie nota con il nome di
Fairy Books, iniziata nel 1889 con il Blue Fairy Book e finita nel 1910 con il
Lilac Fairy Book. In tutto realizzò una serie di dodici libri contenenti le fiabe più
famose della tradizione di numerose nazioni del Vecchio e Nuovo mondo,
costituendo così un monumento della sua produzione in veste di ricercatore
nel campo folcloristico.
42
Inutile dire che il suo sforzo d’antropologo fu
premiato in particolare dal pubblico più giovane, ma lo stesso Lang aveva
previsto nelle sue prefazioni quali sarebbero stati i destinatari privilegiati della
sua opera. La prima frase del Blue Fairy Book lo mette subito in evidenza:
<< THE TALES in this volume are intended for children, who will like, it is hoped, the old
stories that have pleased so many generations. >>
43
41
GREEN ROGER LANCELYN, A Critical Biography with a Short-Title Bibliography of the Works of Andrew Lang,
Edmundward, Leicester, 1946, p. 80
42
CARPENTER HUMPHREY, PRICHARD MARI, The Oxford Companion…, op. cit.
43
Andrew Lang’s Fairy Books
http://www.mythfolklore.net/andrewlang/
15
Non c’è dubbio che il suo sguardo rimanga quello dell’antropologo, ma con un
occhio di riguardo particolare al fanciullo; è lui che deve trarre il maggiore
godimento da quelle storie. Nel 1896 Lang raccoglie in un’altra opera dal titolo
My Own Fairy Book due fiabe originali: Prince Prigio e Prince Ricardo,
successivamente confluite nell’opera Chronicles of Pantouflia.
44
Lang è quindi
anche scrittore di fiabe originali, ma viene ricordato in particolare per il suo
lavoro di traduzione e riscrittura del materiale fiabesco e non come autore di
testi nuovi. Dobbiamo sicuramente a lui la popolarità delle fiabe più famose in
Gran Bretagna, e senza il suo lavoro molte storie non sarebbero mai state
conosciute dai lettori inglesi, tanto che molti pensarono che Lang non dovesse
essere considerato solo un traduttore, o un filologo, ma il vero e proprio autore
di quelle stesse fiabe. Lang rifiutò sempre questa sua reputazione, ed in
particolare affermò:
<< My part has been that of Adam, according to Mark Twain, in the Garden of Eden. Eve
worked, Adam superintended. I also superintend. I find out where the stories are […] I do
not write the stories out of my own head. The reputation of having written all the Fairy
Books (a European reputation in Nurseries and in the United States of America) is slowly
killing me ! >>
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Lang non avrebbe mai accettato di attribuirsi un simile merito, soprattutto
considerato il suo rispetto verso una tradizione che proveniva da tempi
immemorabili e luoghi lontani. Considerarsi il supervisore di quelle fiabe, lo
doveva portare a mettere la sua personalità in seconda luce e lasciare in
primo piano quel bagaglio di fantasia che affondava le sue radici agli esordi
del tempo e della storia. Dopo di lui furono molti gli scrittori che seguirono la
sua strada, e molti altri che ripresero in mano il materiale disponibile per
proporne delle riletture o delle edizioni originali.
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GREEN ROGER LANCELYN, A Critical Biography…, op. cit.
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GREEN ROGER LANCELYN, A Critical Biography…, op. cit. , p. 96