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Capitolo terzo
La funzione educativa della giustizia
3.1 La concezione del carcere e della pena
Il concetto di sistema penitenziario fa riferimento agli “apparati organizzativi che hanno la
finalità, all‟interno del più complessivo sistema penale, di provvedere alla esecuzione delle pene (in
generale limitatamente a quelle preventive o limitative della libertà) inflitte dai tribunali”.
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Nella storia del carcere si assiste al passaggio da un‟organizzazione punitiva, che rappresentava
il luogo in cui scontare una pena, con una finalità volta all‟isolamento del soggetto, ad un‟altra
organizzazione con scopi prevalentemente rieducativi, che manifesta la preoccupazione di quale
soggetto rientrerà nella società una volta che la pena abbia avuto termine.
La parola pena deriva dal latino “poena” e significa castigo e quindi una punizione conseguente
ad un errore commesso che offende o la società, o la tribù, o la divinità.
In tempi remoti, la pena era privata, non esisteva quella pubblica: era il privato che aveva subito
il torto/danno che si rifaceva sul reo offensore (“la legge del taglione” o “la legge del
contrappasso”). Successivamente, intorno al 400 – 500 d.C. la pena diventò pubblica ed era decisa
dall‟autorità costituita; il carcere (dal latino “carcer” costringere, tener chiuso) era un posto dove i
rei erano confinati in attesa di giudizio, ed era costituito dai luoghi più svariati: recinti, cave,
cisterne.
Uno sguardo particolare merita il sistema punitivo romano che distingueva tra pene a carattere
privato (pene private previste per i trasgressori di norme dettate nel prevalente interesse individuale
e consistevano per lo più in una somma di denaro che doveva essere versata all‟offeso come
risarcimento del danno subito) e pene a carattere pubblico ( per i trasgressori di norme dettate nel
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Daga L, Sistemi penitenziari, in Immagini dal carcere, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1994
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prevalente interesse collettivo da comminarsi attraverso un processo penale e consistevano in
condanna a morte, esilio, fustigazione, lavori forzati o nel circo).
Con la caduta dell‟Impero Romano d‟Occidente, il sistema punitivo basato sulla pena pubblica
non trovò più applicazione e ritornò a prevalere la concezione della pena privata.
Nell‟ordinamento feudale, essendo la giustizia amministrata dal Signore, le pene erano determinate
in modo assai vario, secondo la volontà di quest‟ultimo.
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Solo verso la metà del secolo XVIII, il carcere fu inteso come luogo dove espiare le pene
detentive e acquistò rilevanza sociale, perché il ricorso alla pena come privazione della libertà
divenne la sanzione che maggiormente veniva applicata ai condannati. In tale epoca, ad opera
soprattutto di Cesare Beccaria e Giovanni Howard in Inghilterra, emersero alcuni principi
innovatori che ispireranno tutti i successivi orientamenti in materia penitenziaria:
- il principio della umanizzazione della pena intesa come castigo inflitto nei limiti della giustizia,
in proporzione al crimine commesso e non secondo l‟arbitrio del giudice;
- il principio della pena come mezzo di prevenzione e sicurezza sociale e non come pubblico
spettacolo deterrente per la sua crudeltà.
Beccaria pubblicò nel 1764 un breve saggio “Dei delitti e delle pene” dove propugnava
l‟abolizione della condanna a morte e delle pene corporali, la necessità della chiarezza e della
universalità della pena, e la giusta correlazione tra entità della pena e gravità del reato commesso
(principio del proporzionalismo).
La dottrina giuridica illuminista rifiutò il principio della pena come punizione e adottò quello
della pena come rieducazione, affermando che lo Stato ha il diritto di recludere ma ha anche il
dovere di rieducare. Partendo da queste considerazioni, agli inizi del 1800 fu fondata in Italia una
scuola impegnata nella ricerca di una corretta impostazione della funzione detentiva: “Scienza delle
Prigioni”.
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Festa R., Elementi di diritto penitenziario, l'ordinamento penitenziario e l'organizzazione degli istituti di prevenzione
e pena, II ed, Simone, Napoli, 1984.
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Lo sforzo di questa scuola era diretto sostanzialmente alla soluzione del problema delle prigioni
sotto un duplice profilo:
1) il profilo disciplinare, dove veniva ribadita la necessità dell‟isolamento, del lavoro e
dell‟istruzione, soprattutto religiosa, del recluso;
2) il profilo architettonico dove veniva individuato un nuovo modello strutturale delle carceri,
fornito da J. Bentham, che prevedeva la disposizione a raggiera delle celle, in modo che l‟occhio del
sorvegliante, posto al centro, potesse vigilare su tutta la popolazione detenuta (il Panottico).
Fu con Cesare Lombroso che iniziò un‟era nuova per la giustizia penale internazionale.
Lombroso sotto l‟influsso del pensiero darwiniano identificò alcune particolari anomalie somatiche
e costituzionali che affermò essere alla base del comportamento criminale. Accanto a Lombroso
occorre ricordare l‟opera di E. Ferri e di R. Garofalo che approfondirono gli aspetti sociologici e
giuridici dell‟approccio positivista introducendo concetti quali quelli della responsabilità sociale e
della difesa sociale. Uno dei meriti principali dei Positivisti consiste nell‟aver orientato il pensiero
penalistico verso il trattamento individualizzato dell‟autore di reato, ossia nell‟aver posto l‟accento
sulla determinazione della pena per tipologia di delinquente.
Il Codice Rocco del 1930 recepì quelle istanze e, all‟art. 133, delegava il giudice alla
valutazione della capacità criminale del reo, al fine dell‟individuazione della pena, al di là delle
considerazioni sulla gravità del reato.
Il 1900 fu il periodo in cui si svilupparono studi relativi all‟antropologia, alla psichiatria, alla
psicologia e alla sociologia con l‟obiettivo di far quanta più luce possibile sulla formazione della
personalità del delinquente, per stabilire il trattamento più idoneo a ciascun deviante. E così, intorno
agli anni Cinquanta, si venne affermando l‟ideologia del trattamento, in cui si iniziò a dare rilievo al
recupero sociale da parte dello Stato, “si propugnò una pedagogia della responsabilità, vale a dire
lo sviluppo del senso di responsabilità nel delinquente come compito risocializzativo”.
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Sartarelli G., opera citata.
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La Legge n.354 del 26 luglio 1975 intitolata “Norme sull‟ordinamento e sulla esecuzione delle
misure preventive e limitative della libertà” segna un tappa importante nella concezione di carcere e
di pena.
Le origini culturali di questa legge di riforma vanno individuate nella Dichiarazione Universale
dei Diritti dell‟Uomo del 1948,
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nelle Regole Minime per il trattamento dei detenuti del 1955,
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e
nella nostra Costituzione, in particolare all‟art. 27. Quest‟ultimo articolo sancisce che la pena
restrittiva della libertà personale non è in sé contraria al senso di umanità e non esaurisce i suoi fini
nella retribuzione del reato in misura adeguata alla gravità del fatto e alla personalità del reo, ma si
pone il problema del rientro del condannato nella società dalla quale si è autoescluso con il reato,
una volta che la pena inflitta abbia avuto termine, e che tale rientro sia il meno traumatico
possibile. La pena detentiva è una risposta efficace al reo se diventa anche un‟occasione per
arricchire di contenuti positivi e propositivi l‟intervento restrittivo della libertà personale del
detenuto.
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L‟art. 1 della L. 354/75, afferma che il trattamento penitenziario è quel complesso di attività che
vengono organizzate nell‟Istituto a favore dei condannati (attività lavorative, culturali, sportive,
ricreative, religiose, assistenziali, disciplinari, ecc.) e che sono finalizzate alla rieducazione e al
recupero del reo e al suo reinserimento nella vita sociale. Il trattamento deve essere “conforme ad
umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”, e deve essere improntato ad
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« Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono
agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. » (Il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani).
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“ La carcerazione e le altre misure che hanno per effetto di togliere un delinquente dal mondo esterno sono afflittive
per il fatto stesso che tolgono all'individuo il diritto di disporre di se stesso e lo privano della libertà… il sistema
penitenziario non deve, perciò, aggravare le sofferenze inerenti a tale situazione.. Scopo e giustificazione delle pene e
misure private della libertà sono, in definitiva, la protezione della società contro il delitto. Tale scopo non sarà raggiunto
se il periodo di privazione della libertà non sarà utilizzato per ottenere, nei limiti del possibile, che il delinquente, una
volta liberato, sia non soltanto desideroso, ma anche capace di vivere nel rispetto della legge e di provvedere a se stesso.
Il trattamento… deve essere tale da incoraggiare nel soggetto il rispetto di se stesso e da sviluppare in lui il senso
della responsabilità. A questo scopo, si deve ricorrere in modo particolare alla assistenza religiosa nei Paesi dove ciò
è possibile, all'istruzione, all'orientamento e alla formazione professionale, ai mezzi di assistenza sociale individuale, ai
consigli relativi all'impiego, alla educazione fisica e del carattere morale, conformemente alle necessità individuali di
ciascun detenuto. Occorre tener conto del passato sociale e penale del condannato, delle sue capacità e attitudini fisiche
e mentali, delle sue disposizioni personali, della durata della pena e delle possibilità di riclassificazione.”
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Art. 27.La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le
pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato. Non è ammessa la pena di morte.
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assoluta uguaglianza ed imparzialità, senza distinzione di razza, nazionalità, condizioni socio-
economiche, e soprattutto attuato secondo un criterio di individualizzazione, in rapporto alle
specifiche condizioni dei soggetti.
I punti più importanti della Legge 354/75 sono:
Individualizzazione della pena
Esecuzione penale come occasione di recupero sociale
Apertura del sistema penitenziario alla comunità esterna
Costituzione di ruoli nuovi di operatori professionali.
Individualizzazione significa adattare la pena alla specifica personalità del detenuto,
considerando la sua storia personale, familiare e sociale, tenendo conto degli ostacoli che si sono
presentati nella sua vita, ed intervenendo, per cercare di rimuoverli, attraverso obiettivi e contenuti
possibili e realistici.
L‟individualizzazione ha quindi come diretta conseguenza il secondo punto di questa legge: il
recupero sociale o “risocializzazione” del soggetto; tale recupero si può realizzare attraverso
l‟applicazione delle misure alternative alla detenzione, evitando, in questa maniera, il contatto del
soggetto con l‟esperienza del carcere. Quindi, in quest‟ottica, il ricorso alla pena carceraria,
specialmente quando si tratta di minorenni, diventa extrema ratio. Analoghe finalità, formativa e
risocializzante, sono previste anche dalla legge di riforma del processo penale minorile e dal decreto
di attuazione di essa (D.P.R. 448/88 e D.Lgs. 272/89), che mirano sia a favorire la rapida fuoriuscita
del minore dal circuito penale, sia a deflazionare il ricorso a pene detentive.
“Apertura del sistema penitenziario alla comunità esterna” significa che la finalità del
reinserimento sociale deve essere perseguita anche mediante la partecipazione di istituzioni o
associazioni pubbliche e private all‟azione educativa. Deve esserci una reciproca apertura fra le due
parti (carcere e società libera) allo scopo di facilitare il futuro reinserimento positivo della persona
nella società civile.
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Con la legge di riforma 354/75 è stata introdotta la figura dell‟educatore; la sua competenza “va
rivolta ad obiettivi di consolidamento motivazionale, di sostegno e di rilascio delle energie personali
positive, di incoraggiamento dei sentimenti di responsabilità ed impegno, che possono condurre
gradualmente i detenuti ad assumere un atteggiamento costruttivo nei confronti della realtà del
carcere e dei suoi programmi”.
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L‟educatore, così come tutti gli altri operatori penitenziari, deve rafforzare maggiormente
l‟incisività della sua azione se si trova a lavorare con dei minorenni, in quanto i soggetti in età
evolutiva esigono la specifica individualizzazione e flessibilità del trattamento, e per loro va sempre
affermata la priorità della funzione rieducativa della pena. Inoltre, deve essere assicurato il rispetto
dei diritti del minorenne, come sancito da direttive internazionali, tra le quali ricordiamo le Regole
di Pechino e la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989.
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Di Gennaro G., Breda R., La Greca G., Ordinamento Penitenziario e Misure alternative alla detenzione, Giuffrè
Editore,Milano,1997.
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Queste direttive internazionali indicano una serie di norme a tutela del minore autore di reato, che deve essere
sottoposto ad una tipologia di intervento che ne assicuri in recupero sociale.