2
La prima parte di questo lavoro può essere considerata come
un’introduzione all’opera di Michel Foucault, dove focalizzerò l’attenzione
sull’analitica e la genealogia del potere, sulle tecnologie del potere nella società
disciplinare, e, inoltre, sull’aspetto produttivo del potere ed il suo rapporto con
il corpo, dove si possono rintracciare i primi passi del filosofo francese relativi
al passaggio dal paradigma sovrano a quello biopolitico. La seconda parte è un
tentativo di sistemare in modo organico la biopolitica a partire da una breve
disamina, dagli autori che l’hanno tematizzata prima di Foucault, per poi
soffermarmi più attentamente sull’opera di quest’ultimo, partendo dalle analisi
sulla medicina sociale a quelle in cui viene introdotto il tema in questione, per
poi evidenziare le oscillazioni che hanno caratterizzato il significato ch’egli ha
attribuito alla biopolitica. Infatti il concetto di biopolitica è caratterizzato da
un’ambivalenza costitutiva che lo espone ad esiti diametralmente opposti:
come politica sulla vita o della vita. Da quando le politiche governative hanno
assunto come compito primario la cura della vita, si è assistito in maniera
paradossale, arrivando così all’ultima parte del secondo capitolo, ad un esito
distruttivo della vita stessa. La terza e ultima parte è un tentativo di superare la
prospettiva di Foucault: in primo luogo, mi sono soffermato su alcuni saggi di
autori che, pur partendo dalle problematiche aperte dal filosofo francese, ne
hanno dato spiegazioni ulteriori in vista di un suo superamento, come, fra gli
altri, Toni Negri; in secondo luogo, ho tentato di sviluppare l’opera di Giorgio
Agamben, la quale si inserisce esplicitamente in un’ottica biopolitica, ma in
polemica con la distinzione operata da Foucault tra il potere sovrano e il
biopotere.; infine, grazie al pensiero di Roberto Esposito e alla sua riflessione
sul paradigma immunitario, sono riuscito ad intraprendere una strada attraverso
la quale superare lo stallo e l’indecisione che hanno caratterizzato la trattazione
di Foucault.
3
CAPITOLO I
LA SOCIETA’ DISCIPLINARE: ANATOMO-POLITICA DEL
CORPO UMANO
1. Un pensiero critico.
Michel Foucault nasce in Francia, a Poitiers, nel 1926. Si tratta di un
intellettuale dal profilo complesso e difficilmente catalogabile. Molti sono i
suoi interessi: dalla follia e dalle pratiche di reclusione dei malati mentali,
all'analisi del linguaggio, alle forme di potere, alle pratiche sessuali, ecc...Tra i
suoi primi scritti, ricordiamo la Storia della follia nell'età classica (1961), che
analizza le pratiche d’internamento nell'età moderna, Nascita della clinica
(1963), dedicata alla stessa tematica, Le parole e le cose (1966), che studia i
fondamenti comuni alle varie dimensioni del sapere in epoca moderna e
contemporanea e L’ordine del discorso (1970). Per comprendere i principi che
sono alla base della ricerca foucaultiana negli anni sessanta, molto importante è
L'Archeologia del sapere (1969).In questo scritto teorico l'autore si propone di
chiarire le linee guida dei suoi precedenti lavori. Si tratta di un'opera in cui
Foucault presenta la sua interpretazione del linguaggio, inteso come l’insieme
dei discorsi che vengono pronunciati o scritti in un determinato periodo storico.
Oggetto specifico dell’archeologia del sapere sono le regolarità discorsive,
ovvero l’insieme di regole che in una certa epoca determinano la formazione
degli enunciati. Il "discorso" non deve essere inteso come la traduzione, la
traccia esteriore di un significato nascosto, ma deve essere studiato
semplicemente in base alle caratteristiche che regolano la sua comparsa reale.
Piuttosto che credere che il linguaggio prenda forma a partire dagli oggetti ai
quali si riferisce, Foucault ritiene, infatti, che sia il linguaggio stesso a dare
luce ai propri oggetti, a definirli e a renderli argomento del sapere. I discorsi e
gli enunciati che formano il nostro “suolo” culturale, costituiscono un terreno
autosufficiente e positivo; di conseguenza i discorsi non sono un insieme di
4
segni che rimanderebbero ad altro, ma sono delle pratiche che formano gli
oggetti di cui parlano. Analogamente, non esiste un soggetto pensante che sia
autore del discorso, ma è quest'ultimo ad individuare le posizioni da cui in un
determinato momento storico è possibile pensare. Il discorso presenta un suo
ordine interno attraverso il quale vengono create posizioni di marginalità; in
altre parole costituisce una pratica di esclusione. Questa analisi presenta il
discorso come un universo indipendente, capace di creare oggetti e di
individuare posizioni di soggettività. In questo modo, viene messa in
discussione la centralità del soggetto tipica della filosofia moderna e
contemporanea. Questa ostinata critica dell'antropocentrismo è una costante
delle opere di Foucault, che lo accompagna nella sua analisi del linguaggio,
come in quella del potere e della libertà.
Negli anni '70, con opere come Sorvegliare e punire (1975), La volontà di
sapere (1976) e la raccolta di scritti Microfisica del potere (1977), Foucault
comincia a deviare i suoi interessi dall'analisi del linguaggio a quella del
potere; mentre L’Archeologia del sapere è un’opera ancora fortemente
condizionata dallo strutturalismo, in queste nuove ricerche dedicate al potere,
invece, viene meno tale ispirazione. Lo studio delle "forme di potere" intende
ricercare un terreno comune da cui provengano le pratiche discorsive, così
come quelle istituzionali, politiche, sociali, intellettuali, ecc.... Il terreno
comune fra tutte queste differenti pratiche è ora individuato da Foucault nei
"rapporti di potere". Bisogna chiarire che cosa intende il filosofo francese
quando parla di potere; non si tratta di un'unica forza centrale che va dall'alto
verso il basso, secondo il modello classico del potere regio che si esercita sui
sudditi: non esiste, infatti, un potere unico, ma siamo in presenza di una "rete di
rapporti di potere" che si applica a tutti i livelli della nostra vita. Questa visione
è stata influenzata dalla lettura di Nietzsche; infatti, il nostro autore gli dedica
un saggio in Microfisica del potere. Dal pensiero di Nietzsche egli ha tratto
l’immagine del divenire come una lotta perpetua tra forze, origine di tutte le
forme e di tutte le istituzioni: nell'interstizio tra queste forze si produce potere,
il quale non è esercitato da un soggetto, non ha un’unica origine, ma è il
5
risultato sempre ribaltabile della lotta tra le forze. Tale lotta, che produce
potere, è una battaglia sempre in divenire e mai conclusa.
Le ultime due opere di Foucault, L'uso dei piaceri (1984) e La cura di sé
(1984), dedicate all'analisi dell'etica classica nelle sue dimensioni più semplici
e quotidiane, è un’analisi sul margine d’azione riservato all'uomo in un
contesto di lotta perenne e, soprattutto, sul significato della soggettività umana.
Sembra strano che il filosofo critico verso l’antropocentrismo torni a parlare di
soggettività, ma quando parla di soggetto non lo intende come un’interiorità
sempre identica a sé, distaccandosi così dalla tradizione filosofica, ma piuttosto
lo considera un insieme di processi d’individuazione che si producono
attraverso le reti di potere.
2. Dalla «archeologia» del sapere, alla «genealogia» del
potere.
Convinto che nei discorsi sia già all’opera il potere, riconosciuto come l’a
priori storico, Foucault mostra come verità e sapere siano inserite da sempre in
rapporti di potere che li condizionano e li guidano. In questo modo il nostro
filosofo passa dall’archeologia del sapere ad una «genealogia del potere» e dei
microsistemi di potere presenti nella società contemporanea; per seguire
quest’impostazione teorica bisogna liberarsi dalla concezione unicamente
politico-istituzionale del potere, che non è nemmeno più in grado di spiegare i
fenomeni in atto in una società complessa come la nostra. Ciò che si propone di
elaborare, infatti, è un’analitica e non una teoria del potere, che parte da
cinque precauzioni metodologiche: 1) Studiare il potere dove diventa capillare,
nelle sue forme e istituzioni locali e deterritorializzate, senza partire dal suo
centro; 2) Non analizzare il potere a livello intenzionale o decisionale, ma
analizzarlo dove la sua intenzione è incaricata in pratiche concrete e produce i
suoi effetti; 3) Considerare che il potere si esercita attraverso
un’organizzazione reticolare e che esso non si applica sugli individui, ma li
attraversa e li percorre e di fatto essi sono già uno dei primi effetti del potere; 4)
Non si deve fare una analisi dall’alto verso il basso, ma si deve partire dai
6
meccanismi infinitesimali e capire in che modo sono inseriti in meccanismi
generali, cioè bisogna fare un’analisi ascendente del potere; 5) Tenere presente
che il potere, per esercitarsi in meccanismi infinitesimali, deve sempre produrre
degli apparati di sapere che non corrispondono a delle ideologie
1
. Questa
impostazione è di indubbia originalità e la sua analitica è soprattutto volta a
costruire una genealogia, di cui Foucault tenta di dare una definizione: «una
forma cioè di storia che renda conto della costituzione dei saperi, dei discorsi,
dei campi di oggetti, ecc., senza aver bisogno di riferirsi ad un soggetto che sia
trascendente rispetto al campo di avvenimenti che ricopre, nella sua vuota
identità, lungo la storia»
2
. La genealogia foucaultiana mira, dunque, ad
analizzare i meccanismi di potere per portare allo scoperto le dinamiche che
costituiscono i discorsi ed i soggetti e nello stesso tempo va contro ogni
generalizzazione astratta volendo raggiungere l’elaborazione di una fisica del
potere, anzi meglio, ad una microfisica del potere, capace di cogliere la realtà
dei rapporti di potere nella vita quotidiana.
Nello stesso tempo credo che alla genealogia foucaultiana si possa
attribuire anche un ruolo di lotta, e attività di resistenza, come dimostrano
alcuni passi dove da un’altra definizione di genealogia: «Chiamiamo
genealogia l’accoppiamento delle conoscenze erudite e delle memorie locali,
che permette la costituzione d’un sapere storico delle lotte e l’utilizzazione di
questo sapere nelle tattiche attuali»
3
. In questo modo l’attività genealogica è
volta a resistere all’azione dei microsistemi di potere: si tratta di riabilitare i
«saperi assoggettati»
4
, che sono saperi locali, discontinui, non legittimati
contro il discorso unitario che pretenderebbe di filtrarli e gerarchizzarli in
nome d’una verità scientifica. L’«insurrezione dei saperi assoggettati»
5
non è
diretta contro i contenuti di una scienza, ma soprattutto: «contro gli effetti di
potere centralizzatori che sono legati all’istituzione e al funzionamento d’un
1
Cfr. M. FOUCAULT, Corso del 14 gennaio 1976, in Micrpfisica del potere, interventi
politici, Einaudi, Torino, 1977, pp. 182-188.
2
ID., Intervista a Michel Foucault, in Microfisica del potere, op. cit. , p. 11.
3
ID., Corso del 7 gennaio 1976, in Microfisica del potere, op. cit. , p. 168.
4
Ibidem, p. 166.
5
Ibidem.
7
discorso scientifico organizzato all’interno d’una società come la nostra»
6
. La
genealogia sarebbe, a questo punto, lo sforzo da compiere per liberare i saperi
colpiti dalla congiura del silenzio e restituire loro la capacità di lottare e di
opporsi alla coercizione di un discorso unitario e scientifico: «le genealogie
sono precisamente delle anti-scienze»
7
.
Qui si nota come Foucault prenda le orme da Nietzsche rispetto allo scopo
dell’attività genealogica: infatti quest’ultimo, almeno in certe occasioni, nella
sua genealogia non andava alla ricerca dell’origine: «perché in essa ci si sforza
di raccogliere l’essenza esatta della cosa, la sua possibilità più pura (…) ora, se
il genealogista prende cura d’ascoltare la storia piuttosto che prestar fede alla
metafisica, cosa apprende?»
8
, non apprende l’essenza stessa della cosa, ma
piuttosto che essa è senza essenza. Così il genealogista si serve della storia, che
rappresenta il corpo stesso del divenire, per scongiurare l’origine, e cerca così
di ritrovare tutti gli errori e gli accidenti che hanno prodotto ciò che esiste e di
«scoprire che alla radice di quel che conosciamo e di quel che siamo non c’è la
verità e l’essere, ma l’esteriorità dell’accidente»
9
. In questo modo Foucault
applica allo studio delle strategie di potere una sorta di ricerca storico-
genealogica, che scava il presente e il passato nel tentativo di rinvenire alcune
piccole verità che sono rimaste sepolte e che non sono affatto appariscenti. La
ricerca genealogica di Foucault appare allora orientata all’individuazione delle
pratiche nascoste, attraverso le quali si sono costituiti numerosi concetti
inerenti a diversi campi di sapere, dalla medicina alla giurisprudenza, dalla
politica alla morale, dalla religione alla verità; concetti che troppo spesso
vengono intesi come immutabili e dati una volta per sempre.
A questo punto risulta chiaro come una delle condizioni fondamentali di
una analitica del potere e, nello stesso tempo, della sua genealogia, è la critica
dell’idea secondo la quale il potere viene esercitato in maniera centralizzata. In
altre parole, si vuol liberare del modello hobbesiano del Leviatano incentrato
essenzialmente sulla sovranità.
6
Ibidem, p. 169.
7
Ibidem.
8
ID., Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere, op. cit. , pp. 31-32.
9
Ibidem, p. 35.