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Gli studi e ricerche fatti sul rapporto donna – droga si sono limitati per lo più
al tema della tossicodipendente madre, per individuare i fattori di rischio per
la salute psico - fisica del bambino, affrontando i problemi medico giuridici
collegati.
Molto scarsa è stata invece l’attenzione scientifica posta alla donna
tossicodipendente in quanto persona, portatrice di un dramma individuale,
che ha bisogno di essere ascoltata, capita ed aiutata nella sua specificità di
donna, figlia, madre, moglie.
Chi e quante sono le donne tossicodipendenti?
Le motivazioni che spingono una donna ad assumere droga sono uguali a
quelle dell’uomo?
Come, perché, quando e a chi la tossicodipendente chiede aiuto?
Vi sono delle risorse, dei percorsi, delle strategie particolari su cui fare
affidamento nel programma di recupero per la donna tossicodipendente?
Sono questi alcuni quesiti forti alla base del mio lavoro di studio e ricerca,
effettuato consultando prima dati statistici e la scarsa letteratura esistente in
materia, svolgendo poi una personale attività di indagine presso Servizi di
assistenza, cura e recupero per la tossicodipendenza.
Nella ricerca dei dati statistici sul fenomeno tossicodipendenza femminile,
mi sono scontrata subito con una realtà problematica.
I dati ufficiali sulla tossicodipendenza provengono dall’Osservatorio
Permanente sul Fenomeno Droga del Ministero dell’Interno che, a sua volta,
li ricava dai Ministeri interessati alla tossicodipendenza (Sanità, Grazia e
Giustizia, Finanze, Difesa) e si riferiscono ai tossicodipendenti in contatto
con i vari servizi (Ser.T, Comunità Terapeutiche, Carceri …)
Nella Relazione Annuale al Parlamento sullo Stato delle Tossicodipendenze
5
in Italia (curata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento
per gli Affari Sociali) si afferma poi che l’85,5% del totale delle segnalazioni
di assunzione di droga riguarda il personale militare, soprattutto giovani in
servizio di leva.
Questi dati suggeriscono quindi che una parte talvolta consistente della
popolazione tossicodipendente che non ricorre ai servizi venga ignorata. Il
dato della minor incidenza delle donne tossicodipendenti rispetto agli uomini
può pertanto essere messo in dubbio nella sua corretta corrispondenza
all’entità del fenomeno.
Ho cercato allora di interrogarmi sull’ipotesi di una sommersa realtà nella
tossicodipendenza femminile e di individuare, appoggiandomi alle
interpretazioni fatte prevalentemente sul piano empirico da studiosi ed
operatori del settore, il significato della discrepanza numerica fra la
tossicodipendenza femminile e quella maschile.
Entrando nello specifico della tipologia della donna tossicodipendente, mi è
sembrato indispensabile organizzare il mio lavoro partendo da un’analisi,
anche se necessariamente sommaria, del difficile percorso che la donna
compie nella società attuale per acquisire la propria identità femminile.
Ho cercato quindi di capire le condizioni di vita, le tensioni, le convinzioni,
le contraddizioni, le aspirazioni, gli orientamenti culturali dell’attuale
generazione femminile, soffermandomi particolarmente sul periodo
adolescenziale per alcuni precisi motivi:
- Nel processo di costruzione dell’identità di genere, l’adolescenza è un
momento tra i più significativi. La scoperta del proprio corpo di donna, la
percezione del sé femminile inserito in un contesto familiare e sociale e
l’interiorizzazione del proprio ruolo caratterizzano la transizione all’età
adulta.
- In una realtà piena di contraddizioni come quella odierna, dove le
tradizionali attribuzioni di genere non sono ben codificate come nel
6
passato e il ruolo femminile di donna-madre è alle volte causa di conflitti,
dove la raggiunta parità uomo–donna sacrifica il rispetto della differenza,
dove spesso si assiste ad una sempre maggiore omologazione dei
comportamenti maschili–femminili, l’acquisizione della propria identità
di genere può essere particolarmente difficile.
- E nello specifico della ricerca, l’adolescenza è un momento
particolarmente a rischio. La tossicodipendenza è concordemente
considerata un fenomeno specificatamente giovanile. “L’uso di sostanze
rappresenta uno dei possibili comportamenti del periodo adolescenziale e
giovanile, una fra le tante strategie (anche se disfunzionali) che un
soggetto in via di sviluppo ha a disposizione per affrontare e risolvere i
compiti che avverte come problematici nella sua specifica fase della
vita”
3
Durante l’adolescenza il/la giovane ha bisogno di allargare il proprio campo
di esperienza, uscire dalla dipendenza della famiglia, sperimentare ruoli e
modelli diversificati, alla ricerca della propria autonomia. L’adesione totale
al gruppo dei pari, dove vi è la curiosità di sperimentare nuovi stili di
comportamento, al limite della trasgressione, per sentirsi adulti e
indipendenti, la sempre più frequente contiguità con la realtà della droga,
possono portare l’adolescente al primo contatto e poi allo stabilizzarsi del
consumo, se egli ha elaborato un orientamento favorevole che consideri
l’esperienza piacevole e interessante.
Per la ragazza il rapporto affettivo con un partner che fa uso di sostanze
stupefacenti potrebbe essere uno stimolo in più ad assumere droghe, per
vivere con lui le stesse esperienze e ancora (ed è uno degli aspetti che la mia
ricerca ha affrontato) per cercare di capirlo e di aiutarlo con un
3
RAVENNA M., Adolescenti e droga. Percorsi e processi socio psicologici del consumo, Il
Mulino, Bologna 1993, p.10
7
atteggiamento di protezione consono al suo tradizionale ruolo femminile:
aiutare chi soffre.
Se l’adolescenza è una tappa particolarmente fondamentale nell’acquisizione
della propria identità, il percorso di maturazione personale continua nell’arco
di tutta la vita.
Un processo di crescita è sempre faticoso, ma alle volte, quando la “fatica”
viene ritenuta troppo grande, si può sconfinare nel disagio e nella sofferenza.
L’adolescenza, ma anche il matrimonio con la maternità, la menopausa sono
tappe nella vita della donna che le richiedono una continua ridefinizione del
suo “sé” femminile.
Per questo nel mio lavoro ho voluto affrontare brevemente il fatto che anche
questi momenti potrebbero rappresentare delle specifiche situazioni di
disagio, legate alle precise, pressanti richieste che le derivano dal suo essere
donna nella società d’oggi. Donna chiamata ad assumersi compiti e
responsabilità in nome di una sua “naturale” predisposizione al sacrificio e
alla rinuncia per gli altri; donna, prima “adolescente”, che cerca di acquisire
una propria identità sessuata in un contesto sociale pieno di contraddizioni e
dove non vi sono sempre chiari punti di riferimento; donna “giovane” alla
quale viene richiesto di fare delle scelte precise per il suo futuro e spesso
deve scontrarsi con radicati atteggiamenti culturali che la condizionano;
donna “madre” combattuta tra i ruoli diversi di “buona madre” sempre
disponibile ed attenta alla cura dei figli e di “donna lavoratrice” impegnata
ed efficiente; donna in menopausa che, raggiunta la maturità deve ridefinire
se stessa.
La depressione, la bulimia, l’anoressia, l’alcoolismo, insieme alla
tossicodipendenza, possono essere delle risposte alla sua fatica di essere
donna.
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Proseguendo, prima di passare alla parte centrale del mio lavoro, ho ritenuto
importante richiamare il concetto di tossicodipendenza e di accennare al
fenomeno delle nuove droghe che si espande sempre più prepotentemente e
alle risposte del Servizio pubblico nella prevenzione, nella cura e nel
trattamento.
Sono in questo capitolo raccolte alcune fondamentali tabelle di dati statistici
ufficiali, nazionali e regionali, sull’estensione e sull’andamento del
fenomeno tossicodipendenza (numero e tipologie degli utenti dei servizi
pubblici e privati) e delle principali problematiche collegate.
In modo sintetico ho cercato di sottolineare il ruolo delle comunità
terapeutiche nella cura e nel trattamento delle tossicodipendenze.
Ma chi è la donna tossicodipendente del giorno d’oggi? Come ho già detto,
la letteratura si è occupata di lei solo come madre per cercare di proteggere il
bambino, per garantire a questi un regolare periodo prenatale e un normale
sviluppo psicofisico.
Lo stato di gravidanza è uno dei principali motivi che convincono la donna
tossicodipendente a chiedere aiuto ai Ser.T o alle Comunità Terapeutiche.
Ma a lei, come donna, portatrice di un profondo dramma è riservato uno
spazio sufficiente e adeguato e delle risorse specifiche per aiutarla a superare
il suo grave disagio?
Spesso per quanto riguarda la tossicodipendenza femminile il dato
scientifico si limita a rappresentare l’entità del fenomeno, che viene
confinato in un terzo di quello generale e conglobato poi, nello studio della
genesi, del trattamento e della cura, in quello più esteso maschile. Si parla di
interventi rivolti alla persona, ma l’esistenza di una specificità di genere (che
ho cercato di fare emergere nella prima parte, riportando brevemente alcuni
fondamentali tratti rilevati dagli studi sull’identità) può far supporre la
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necessità di affrontare il problema tossicodipendenza femminile nella sua
singolarità, tenendo ben presenti le diversità psicologiche, sociali e culturali
tra maschi e femmine.
La stigmatizzazione della donna tossicodipendente, la tendenza a nascondere
il suo dramma potrebbero essere le cause di una realtà ancora nascosta che
richiede urgente, particolare attenzione.
Poiché ricercare l’esistenza di specificità nella genesi e nel trattamento della
tossicodipendenza femminile era l’obiettivo del mio lavoro, ho ritenuto
significativo effettuare una personale indagine raccogliendo tramite
questionario e interviste le opinioni di chi è a contatto con donne
tossicodipendenti per assisterle e per curarle o perché strettamente legate a
loro da vincoli parentali.
Tengo subito a precisare che la ricerca da me sviluppata non aveva
l’ambizione di indagare in maniera esaustiva il fenomeno (ciò avrebbe
richiesto un arco di tempo notevole, un campione molto più esteso, e
soprattutto strumenti diagnostici non in mio possesso), ma offrirsi come un
piccolo contributo, da confrontarsi con la riflessione scientifica e porsi come
affermazione di portata limitata a sostegno della mia ipotesi iniziale.
Nella quarta parte del lavoro vengono elaborati dei tentativi di risposta ai
quesiti posti all’inizio di questa presentazione, resi possibili dall’analisi dei
dati raccolti, intervistando, tramite questionario, operatori dei Ser.T,
Responsabili di Comunità Terapeutiche di recupero tossicodipendenti e di
Strutture private e alcuni genitori che hanno vissuto o vivono il dramma
della tossicodipendenza.
Avrei voluto nel mio lavoro approfondire maggiormente la ricerca di
specificità nella genesi della tossicodipendenza femminile, intervistando
donne coinvolte direttamente e studiando la loro storia tramite l’analisi delle
10
loro cartelle cliniche conservate nei Ser.T. della Provincia di Trento.
Purtroppo, pur garantendo che avrei svolto questo mio lavoro di ricerca nel
massimo rispetto della Legge 31 dicembre 1996 n. 675 sulla “privacy”, la
reale impossibilità di acquisizione di informazioni dirette sulle utenti del
Servizio per le disposizioni contenute in detta Legge, mi ha portato a
modificare il progetto iniziale. E se da una parte ciò ha “snellito” in termini
di tempo il mio lavoro, dall’altra sono convinta mi abbia privato di
importante e insostituibile documentazione; un attento, accurato studio sulle
cartelle cliniche mi avrebbe consentito di ricavare, con maggior facilità, pur
nella unicità di ogni caso, la specificità della tossicodipendenza femminile,
oggetto della presente ricerca.
Raccogliere le testimonianze privilegiate di chi lavora nel campo della
tossicodipendenza mi ha comunque offerto un’ulteriore opportunità
d’indagine: verificare se gli operatori dei vari Servizi si siano posti il
problema della peculiarità degli aspetti somatici e psichici della donna
tossicodipendente, nel tentativo di rispondere nel modo più efficace possibile
alla sua richiesta d’aiuto.
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CAPITOLO PRIMO
IDENTITÀ DI GENERE
Acquisire un’identità di genere significa prendere coscienza della specificità
del “sé”, nella sua totalità di corpo sessuato e di psiche, inserito in un preciso
contesto socio - familiare - ambientale. Questo richiede un lungo processo di
maturazione, che passando attraverso l’interiorizzazione dei ruoli e dei
modelli sociali, dall’infanzia alla adolescenza, alla maturità, permetta
all’individuo di essere se stesso nella pienezza del suo significato: femmina
o maschio portatrice/portatore di desideri, valori, conoscenze,
comportamenti innegabilmente diversi nei due sessi.
1.1 L’infanzia
Fin dalla nascita, maschi e femmine mostrano evidenti differenze
psicologiche e comportamentali. Trattando nello specifico dell’identità di
genere femminile, si può dire che le bambine, in generale, denotano una più
grande disponibilità alla comunicazione dimostrando, nei primi giorni di
vita, una maggiore sensibilità alla voce umana, all’odore del corpo materno e
maggior capacità di orientare selettivamente lo sguardo. Nelle prime
settimane le femmine rivelano più ricchezza di espressioni facciali e di
scambi preverbali.
4
All’entrata nella scuola dell’infanzia le bambine di solito si dimostrano più
caute e prudenti verso il nuovo ambiente, ma superato il momento iniziale di
timore, denotano nelle varie attività una partecipazione più attiva e autonoma
rispetto ai bambini. In tutto l’arco della scuola le femmine presentano una
4
Cfr. Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza, Una volto o
una maschera? I percorsi di costruzione dell’identità, Istituto degli Innocenti, Firenze 1997
12
progressione scolastica più rapida e regolare, dimostrando nell’ap-
prendimento, soprattutto negli ambiti linguistico-espressivi, più capacità di
attenzione e riflessione.
5
Numerosi studi hanno rivelato che fin dall’infanzia gli adulti, genitori ed
educatori, tendono ad assumere comportamenti diversi rapportandosi ai
bambini a seconda del loro sesso.
Alcuni autori hanno, ad esempio, osservato che le cure neonatali
(accudimento ed alimentazione) offerte alle femmine sono qualitativamente
inferiori di quelle offerte ai maschi.
Sia per il bambino, sia per la bambina, il primo oggetto affettivo è sempre
comunque una donna, la madre. Ma il fondamentale rapporto madre –
bambino/a, analizzato da molti studiosi, è, per natura e cultura, vissuto in
modo completamente diverso a seconda del sesso del figlio.
“La donna nasce da un essere del suo stesso genere, l’uomo da qualcuno di
genere diverso. La donna può generare in sé come sua madre, l’uomo genera
fuori di sé. Essi costituiscono quindi la relazione con l’Altro in modo assai
differente: la ragazza è situata sin dalla origine in un rapporto tra soggetti
dello stesso genere che l’aiuta a strutturare un rapporto con l’altro, più
difficile da costruire per il ragazzo. Ma il soggetto femminile diventa più
vulnerabile perché è costretto ad ospitare ed accogliere l’altro in sé, sia nella
relazione sessuale che nella maternità. La costruzione della soggettività nella
donna implica anche che lei esca da un rapporto esclusivo con la medesima
da sé e che sia capace di costruire una relazione con l’altro diverso,
rimanendo allo stesso tempo se stessa”
6
5
Cfr. Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza, Un volto o
una maschera? I percorsi di costruzione dell’identità, op. cit., pp. 160-161
6
Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza, Un volto o una
maschera?, op. cit., p 166
13
Numerosi sono gli studi scientifici sull’acquisizione dell’identità e non è
certo possibile la loro illustrazione all’interno di questo lavoro. Mi
sembrano, comunque, opportuni alcuni brevi cenni su alcune delle
fondamentali teorie.
7
Secondo Sigmund Freud l’apprendimento delle differenze di genere da parte
dei bambini è incentrato sulla presenza o l’assenza del pene. L’avere il pene
o meno è non solo una differenza anatomica, ma esprime simbolicamente la
mascolinità e la femminilità.
Secondo Freud le bambine nella fase edipica, tra i 4-5 anni, soffrono per
“l’invidia del pene” e avvertono nella madre un atteggiamento di
sottomissione nei confronti del padre che possiede quell’organo in più.
La teoria di Freud ha sollevato notevoli obiezioni, primo perché parte
dall’idea che gli organi sessuali maschili siano superiori a quelli femminili.
Poi perché ritiene che l’apprendimento della nozione di genere sia
concentrato nella fase edipica, fra i 4 o 5 anni; infine perché considera il
padre come fonte di autorità, quando, in molte culture, è la madre che svolge
un ruolo importante nell’educare alla disciplina.
Nancy Chodorow (1978) attribuisce un ruolo fondamentale nello sviluppo
del genere piuttosto che al padre alla madre, la cui influenza è dominante
nelle fasi iniziali della vita. Il distacco dall’attaccamento materno,
indispensabile nell’acquisizione del senso di sé, descritto da Freud come
transizione edipica, avviene in modo diverso nelle bambine rispetto ai
bambini. Le femmine rimangono attaccate alla madre più a lungo dei maschi.
Non essendoci una separazione netta dalla madre, la bambina, e più tardi la
donna adulta, hanno un senso di sé meno separato dagli altri e la loro identità
7
La sintesi delle varie teorie è stata tratta da cfr. GIDDENS ANTHONY, Sociologia, Il Mulino,
Bologna, 1995 pp. 174-178
14
ha maggiori probabilità di essere fusa e dipendente da quella di un altro:
prima la madre, poi un uomo.
Le idee della Chodorow spiegano molto della natura femminile e sono
importanti per comprendere la natura del dominio maschile sulle donne.
Per Carol Gilligan (1982) le donne definiscono se stesse in termini di
rapporti personali e giudicano la propria realizzazione in base alla capacità di
prendersi cura degli altri. Prestare assistenza e aiuto fa parte del loro ruolo,
compiti questi spesso svalutati dagli uomini che considerano più importante
il successo individuale.
Per Gilligan le donne nei loro giudizi morali mostrano il conflitto tra il
rispetto di un rigido codice morale e l’esigenza di non recare danno agli altri.
La loro visione di se stesse è fondata sul soddisfacimento dei bisogni altrui
più che sull’orgoglio del successo personale.
Secondo Erikson il sentimento di identità si acquista in modo specifico in età
adolescenziale quando il soggetto, sulla base delle proprie appartenenze
sociali e della propria storia personale, determina il proprio “sé”,
selezionando alcune fra le sue identificazioni infantili e scartandone altre,
partendo dai propri interessi, talenti e valori.
Per Erikson l’identità è una componente di tutti gli stadi del ciclo di vita
dell’uomo, ma è l’adolescenza che precisa “l’orientamento allo sviluppo di
tutti gli stadi precedenti del ciclo di vita e costituisce la base per gli sviluppi
successivi della personalità”.
8
Se la persona al termine della adolescenza, non riesce ad individuare il filo
conduttore tra il proprio passato, il presente, il futuro, ed è priva di quel
sentimento di continuità del sé (sameness) di cui parla Erikson, non è in
8
PALMONARI A. (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Il Mulino, Bologna,1997, p. 55
15
grado di coerentemente stabilire corretti rapporti interpersonali nella realtà
in cui vive.
1.2 L’adolescenza
Fuggirai dal tuo bozzolo
liberandoti dai fili di seta
che ti imprigioneranno
e salirai verso il sole
con la coscienza di essere
non un morso di mela
e nemmeno una costola d’uomo.
(…)
(Antonia Dalpiaz )
9
La prima adolescenza è una tappa molto importante nel processo di sviluppo
della persona perché, in questo periodo, avvengono delle trasformazioni
psico - fisiche grandissime, che portano la ragazza a diventare donna, il
ragazzo uomo. È questo il periodo che segna il passaggio dall’infanzia
all’età adulta. Si cambia radicalmente il modo di essere e di pensare.
L’adolescente si trova a dover rinunciare all’identità acquisita e ricercare una
nuova identità personale e sociale separandosi dalle figure dei genitori che
fino a quel momento avevano garantito protezione e sicurezza e confrontarsi
con la società.
Le radicali trasformazioni psicofisiche richiedono all’adolescente di
ridefinire il proprio ruolo di maschio o di femmina, anche in risposta alle
aspettative e richieste culturali, sociali e ambientali.
Nello specifico, alla ragazza si richiede l’assunzione del suo ruolo di donna,
adottando norme comportamentali, interessi, aspirazioni femminili. Le
pressioni a conformarsi agli stereotipi comportamentali del proprio ruolo
diventano nel periodo adolescenziale particolarmente intense.
9
Frammenti della poesia Donna domani di DALPIAZ A., in FRANCESCOTTI R. (a cura di),
Donne in poesia nel Trentino, Ed. U.C.T., Trento, 1990, p.75
16
Nella realtà odierna, per l’acquisizione della propria identità di genere, la
giovane deve affrontare alcuni evidenti, nuovi problemi che possono
modificare, rallentare, impedire il processo di crescita e aumentare la
possibilità di vivere situazioni conflittuali; fra questi di particolare rilievo
sono:
1. l’abbassamento dell’età media dello sviluppo puberale e biologico;
2. l’allontanamento dell’indipendenza dalla famiglia a causa dell’allun-
gamento del ciclo di studi e della difficoltà negli sbocchi occupazionali;
3. la pluralità di modelli, alle volte fra loro contraddittori, di identità
femminile, a cui le ragazze possono far riferimento;
4. la tendenza della società alla non differenziazione, alla omologazione dei
comportamenti nei due sessi.
1. Per quanto riguarda il primo punto, diverse ricerche hanno dimostrato che
le ragazze biologicamente precoci, “essendo trattate dagli altri come più
adulte di quello che sono, rischiano di dover rispondere ad aspettative
più esigenti di quelle che, con le loro forze e con la loro maturità
psicologica, sono in grado di affrontare”.
10
Le variabile biologiche maturative potrebbero agire indirettamente sul
comportamento psico – sociale delle adolescenti. Le ragazze con
sviluppo precoce hanno in genere amici più anziani rispetto alle coetanee
e, da parte loro, si considerano più mature e di conseguenza “disponibili”
ad esperienze diversificate.
2. Già le prime due indagine IARD sulla condizione giovanile ( 1983/ 1987)
e numerosi altri studi hanno evidenziato il fenomeno della dilatazione di
processi di transizione dall'adolescenza all'età adulta, che caratterizza la
gioventù d’oggi a causa dell’aumento del tempo degli studi, della
10
PALMONARI A., Psicologia dell’adolescenza, op.cit., p.203
17
difficoltà di trovare lavoro e del ritardo con cui il/la giovane arriva al
matrimonio e alla formazione di una famiglia propria.
Se l’inizio della adolescenza viene fatto coincidere con la crisi puberale,
si fatica invece a fissarne la fine e oggi sempre più si parla di
adolescenza protratta.
Il termine “famiglia lunga” sta appunto a definire il fenomeno per cui
il/la giovane rimane più a lungo nella famiglia.
Il matrimonio in passato veniva fatto coincidere con la raggiunta
indipendenza dalla famiglia di origine e oggi l’età media per sposarsi è
notevolmente avanzata: 28-29 anni per la donna, 30-33 per l’uomo.
La ricerca di indipendenza dalla propria famiglia è una costante
importante per il passaggio dell’adolescente alla vita adulta.
Negli ultimi anni è aumentata notevolmente la scolarità delle femmine e
gli studi sulla dispersione scolastica mostrano chiaramente il loro,
rispetto ai maschi, più alto livello di impegno nel portare a termine, in
tempi più brevi e con migliori risultati, la carriera scolastica. Ma,
completati gli studi, l’inizio dell’attività lavorativa non è sempre facile.
Nel mondo del lavoro per le donne vi sono ancora, di fatto, delle
discriminazioni: spesso nella ricerca di lavoro in diverse categorie
professionali e trovano maggior ostacoli dei maschi.
Il prolungamento della permanenza nella famiglia di origine può essere
vissuto in modo più critico dalla ragazza rispetto al maschio. La ricerca
di indipendenza nella sfera affettivo - sessuale può scontrarsi
maggiormente con il desiderio dei genitori di proteggerla da esperienze
forti e/o deludenti.