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tossicodipendenza ha sempre rappresentato un motivo di ripensamento legislativo; il
drogato è il “ criminale” che più frequentemente incontriamo nelle nostre vie. Questo
lo rende un bersaglio famigliare, riconoscibile e sicuramente meno pericoloso.
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1° CAPITOLO
Il pregiudizio.
L’immaginario collettivo: quando i muri sono barriere
di gesti mancati consolidati dall’abitudine.
“Che cosa è la paura?
La paura è un’ emozione che appartiene all’uomo, ma anche ad altri animali. E’ come
un campanello d’allarme, una reazione davanti al pericolo, ma, a differenza degli
animali, per l’uomo la paura riveste un valore ambivalente, oscilla tra istinto ed
elaborazione culturale e si colloca nel cuore della nostra vita psichica divenendo un
determinante fattore di crescita e di involuzione. Basta osservare le diverse
espressioni che utilizziamo per parlare della paura: paura di crescere, paura di amare,
paura del futuro, paura del nulla, Paura del prossimo, paura di noi stessi”
1
La paura è un criminale per la nostra identità, delegittima i meccanismi di potere che
ci fanno essere un “io” convinto e ci costringe ad affrontare il buio di ciò che non si
conosce: oltre quel buio troviamo la possibilità di conoscere e affrontare le nostre
barriere, cogliendo le sfide della conoscenza.
Per una società, che, secondo gli insegnamenti di Platone, è l’ uomo scritto a caratteri
maiuscoli
2
, è tutto più difficile e tutto più indispensabile, non si può scegliere. Non si
può scegliere se affrontare il problema del carcere, come quello dell’Istruzione della
1
Anna Oliviero Ferraris, Trasmissioni sul tema il grillo 2002 (puntata registrata il 12 dicembre 2001, Rai educational.)
2
Platone, La repubblica, Libro II : “La polis è l’uomo scritto a lettere maiuscole”.
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Sanità: siamo tutti malati, siamo tutti istruiti da un sistema, ma siamo tutti “cattivi”?
No no: “Nella vita si sceglie da che parte stare, delinquente si nasce, stiamo alla
larga da quella gente, ormai bisogna aver paura ad uscire di casa.” Bisogna aver
paura, frasi dette da tanti, da tutti. Frasi nere, un nero che sentiamo dentro ogni volta
che guardiamo oltre la porta, quella che decidiamo di chiudere al di là di tutto quello
che riteniamo sbagliato rispetto ad un mondo che abbiamo avuto la fortuna di
interiorizzare.
Può capitare che ci si imponga di sedersi vicino ad un gruppo di tossicodipendenti e di
senza tetto che prendano posto sul nostro steso autobus ; capita che due posti, su
quell’autobus pieno, rimangono sempre vuoti. Non si siede nessuno e non ci sediamo
neppure noi. Ecco come si comprende la paura , dialettica più di ogni altra
manifestazione umana . Essa allontana con una forza repulsiva incontrollabile e
avvicina come la più sincera delle compassioni. Si ha paura di mille cose, quelle mille
che fanno rimanere sempre quei posti vuoti. Paura di essere derubati, toccati o molto
semplicemente di essere sfiorati con una mano. Ma non accade tutto ciò ci si guarda
con diffidenza, si fanno sorrisi di circostanza, stranamente ricambiati .
Siamo simili, differenti quanto basta per guardarsi come estranei con un mondo
interiore che prescinde da tutto e fa parte di tutto, ed ecco che il buio che fa quei posti
vuoti comincia ad avere forme e spiegazione: fra noi e loro c’è la distanza di un passo
mosso in un senso o nell’altro, e intorno la pienezza di un sistema che è più grosso di
un uomo solo davanti ad un altro uomo solo, che, fa paura e per questo stimola il
coraggio della conoscenza .
Minacciando la nostra identità la contraddizione costante tra realtà oggettiva e
soggettiva impone all’uomo una tensione continua. Davanti alle sfide dell’ignoto, e
quindi di tutto ciò che rappresenta “l’altro” si può scegliere di fuggire o affrontare, è
una scelta quotidiana : “La personalità razionale accetta le contraddizioni
dell’esistenza……..in un travaglio d’incessante integrazione che struttura la
soggettività con gli elementi sociali e culturali che le danno senso ………………Le
esigenze provenienti dal mondo individuale tendono a negare, e quindi a non
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riconoscere, a deformare, ad assorbire le esigenze del mondo oggettivo (del mondo
sociale e storico)…………………………Le forme della contraddizione sono
potenzialmente infinite………………………
L’integrazione del momento di soggettività e di oggettività ……..è un’esigenza, un
atto della personalità stessa, un atto di costruzione in diretto rapporto con la sua
potenzialità trasvalutatrice e creatrice………………Laddove non vige l’esigenza di
tale sintesi riscontriamo l’assenza di personalità: prevalgono le strutture oggettive o
quelle soggettive indifferentemente, in un loro scialbo accostamento diretto da
costanti psicologiche costituzionalmente portate all’inerzia, come possiamo riscontare
nei tipi mediocri o scarsamente originali.”
3
Per salvaguardare la nostra originalità dobbiamo riconoscere che è
straordinariamente umano avere paura, come è umano il pregiudizio, la rabbia, tutte
queste manifestazioni possono essere comprese dagli uomini e quindi combattute.
Affrontando l’argomento del pregiudizio e della rabbia che determinati
comportamenti “antisociali” causano nelle persone rispettabili, si può comprendere
che non bisogna porsi davanti ad atteggiamenti da combattere, ma da capire, perché
sono in ognuno più di quanto siamo disposti ad ammettere.
Dopo aver affrontato con sincerità introspettiva la paura che ci tiene distanti dalle
differenze scomode, si può andare al cuore dei pregiudizi per comprendere quanto un
atteggiamento pre-giudicante può influire sull’emarginazione di una categoria.
Si potrebbe riflettere sulla possibilità che una società, una volta diventata più grande
di ogni singolo uomo davanti ad un altro, possa strumentalizzare l’errore umano per
legittimare i suoi meccanismi di potere.
Seguendo in parte il percorso conoscitivo dell’umanità si evidenzia un cammino che
ha condotto all’accettazione dello stereotipo (e quindi in parte del pregiudizio) come
risultato di un processo mentale umano: la categorizzazione. Con questa
consapevolezza si è, però, fatta strada la speranza di poter educare ad un pensiero
3
G.M. Bertin, Educazione alla ragione, Roma, Armando, 1968, pp.129-135.
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libero. Diventa, quindi, centrale finalizzare lo sforzo dell’intelligenza
all’emancipazione di se stessa, eliminando quell’operazione di economizzazione che è
comoda, veloce e umana; come sono umani gli occhi di un bambino, di un
professionista, di un muratore, di un anziano, di un tossicodipendente e persino quelli
di un condannato a morte. Si può, forse, pensare che se abbiamo vinto le leggi fisiche
con la forza del pensiero, lo stesso pensiero può vincere la sua tendenza alla
superficialità.
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Il pregiudizio : le possibili spiegazioni alla prigione della
nostra mente
“………………La vita di una persona che sbaglia pare un elastico. Oggi sbagli,
paghi, ti rimetti in carreggiata, ma non hai pagato abbastanza, la tua vita ritorna punto
a capo da dove sembrava cambiare rotta. E’ costruttivo ? ………. Certo io continuo a
combattere, non mollo, …………..ma non vorrei che il dolore, la frustrazione
provocata da non vedere risultati concreti sovrasti il mio giusto credo nella possibilità
di eliminare, o perlomeno sfocare, il timbro indelebile che bolla una persona una volta
che ha deviato dalla carreggiata .”
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Pregiudizio = TIMBRO INDELEBILE
“
……Questa mia esperienza ho deciso di raccontarla, perché qui in carcere ho saputo
parecchie storie di ragazze che hanno subito violenze, ma ho visto anche che non
convincerei mai le persone a parlarne in pubblico, e allora ho deciso di cominciare a
farlo io.
Io vengo da un’esperienza di tossicodipendenza e quando ti va tutto in pezzi e poi
cerchi di rimettere assieme il “puzzle”, ti accorgi che non puoi cominciare a
ricostruirti, se non tiri fuori anche quelle cose che hai tentato a lungo di rimuovere
perché ti fanno stare male. E alla fine riconosci che devi affrontarle. Così in questa
carcerazione ho trovato la forza di raccontarmi ………………..
4
Di Anna Maria, luglio 2002 ( detenuta nella casa di reclusione di Venezia). www.ristretti.it
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Avevo 11 anni, eravamo in Germania . Io ho una famiglia numerosa con quattro
sorelle e due fratelli. Una mattina mia madre era uscita per fare la spesa sono scesa
dalla camera da letto, ancora in camicia da notte, e mio fratello più grande ,che aveva
17 anni , mi ha presa e trascinata per terra in cucina mentre io piangevo dicendogli di
lasciarmi stare, senza capire cosa stava facendo . Ed è successo tutto lì, dopo lui se ne
è andato .Quando è tornata a casa mia madre io ero in un angolo che piangevo
disperatamente e lei mi ha chiesto cos’era successo, le ho raccontato il fatto e lei mi
ha risposto di stare zitta e di non raccontarlo a nessuno, di andare a lavarmi e a
vestirmi . Sono passati cinque o sei mesi, abbiamo cambiato casa, dal paese siamo
andati ad abitare in città, e non si è più affrontato questo discorso.
Con mio fratello non parlavo più. Una domenica eravamo tutti quanti a tavola. Io ho
avuto un diverbio con mia madre, c’era anche mio padre, e lei davanti a tutti ha
sostenuto che io avevo detto di essere stata violentata da mio fratello e che invece ero
stata di sicuro io ad andarmela a cercare. Lì per lì ci sono rimasta da cani, avevo 11
anni e mezzo e da quel giorno mia madre non mi ha più vista piangere, ma questa
cosa non gliel’ho mai perdonata . E’ un crollo psicologico totale quando vieni
violentata.
E’ strano, perché lui era un bel ragazzo e aveva tutte le ragazze che gli correvano
dietro, non ho mai capito perché avesse cercato proprio sua sorella….
Qui di storie così ce ne è tante . E sempre in famiglia, dal padre, dallo zio, dagli amici
del fratello .
Prima non ne parlavo mai, ma non avevo capito che, finchè non riesci ad affrontare
questo argomento ti rimane dentro e non lo superi….
….Forse c’è chi è diventata omosessuale per questo motivo . Mentre per me credo che
anche da lì siano nati i miei problemi con la tossicodipendenza.”
5
Pregiudizio = giudizio precedente all’esperienza
5
Di Christine, gennaio 2004 (detenuta alla Giudecca). www.ristretti.it.
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C’è qualcosa in noi che porta a guardare un tossicodipendente, un carcerato come una
persona che sbaglia,una persona che sbaglia e basta, forse la nostra esperienza, fino a
questo momento impediva di capire che si può sbagliare anche per i motivi che
abbiamo appena letto, che si può diventare criminali per aver subito un crimine.
A dispetto di una convinzione comune abbastanza diffusa, i pregiudizi e le
conseguenti discriminazioni sono estremamente presenti nel nostro attuale modo di
pensare. La tendenza a ridurre in stereotipi la realtà forse non fa parte di un periodo
buio della storia ma dell’uomo stesso ….Perché?
Le spiegazioni psicologiche del pregiudizio sono moltissime, usando come mappa
concettuale lo schema di classificazione proposto da Mazzara
6
si possono individuare
due criteri: l’ordinarietà (in cui si individuano quei settori della scienza umana che
hanno sostenuto l’universalità della preferenza per i propri simili e l’avversione per
gli estranei, ma anche i recenti sviluppi della psicologia cognitivista, nei quali si è
dimostrato come la mente abbia la necessità di ridurre e organizzare l’immensa
quantità di stimoli ambientali sui quali si trova a dover operare) o l’eccezionalità
(quanti ritengono che pregiudizi e stereotipi siano fenomeni storicamente determinati,
quindi non caratteristici della natura umana). Un ulteriore criterio di discriminazione
individuato dall’autore evidenzia un gruppo di spiegazioni che mettono l’accento
sull’individuo e un gruppo che spostano l’accento sulle interazioni tra gli esseri
umani.
La prima spiegazione presa in esame riguarda il fondamento biologico dell’ostilità
contro i diversi: paura istintiva nei confronti di ciò che è diverso da noi, non tipica
peraltro solo della specie umana, ma di tutti gli animali.. I nostri freni mentali
sarebbero, quindi, il risultato della selezione naturale, per cui un istinto potente come
gli altri ci spinge a riconoscerci in gruppi ristretti di simili.
Come lo stesso Mazzara sottolinea esiste, però, una spiegazione evolutiva anche per la
cooperazione : un istinto contrario al precedente che porta a considerare la diversità
quale fonte di curiosità conoscitiva. Potremmo quindi interpretare la spiegazione
6
Mazzara, “Stereotipi e pregiudizi” Bologna , Il Mulino 1997.
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sociobiologia con grande ottimismo; abbiamo due strumenti istintivi, l’uomo deve
solo usare il cuore e la ragione per mantenerli in equilibrio.
Vi è, poi, una spiegazione che forse più di altre riesce a giustificare la difficoltà della
nostra mente a superare la tendenza a categorizzare: la spiegazione cognitiva. Nel
1954 lo psicologo americano Gordon Alport pubblicò un volume dal titolo “La natura
del pregiudizio”, Il primo capitolo si intitola “La normalità del pregiudizio”
7
.
L’idea di base è che il sistema cognitivo ha come sua necessità prima quella di ridurre
e semplificare la massa delle informazioni da trattare, raggruppandole in insiemi
omogenei definibili come categorie. Nel mondo sociale si creano delle categorie che
portano a raggruppare gli altri in base a criteri che spesso sono funzionali alle nostre
necessità. Si creano stereotipi e pregiudizi estendendo i requisiti di base che
definiscono la categoria, sommati ad altri di tipo psicologico creati dalla nostra mente
tramite un meccanismo di inferenza. Utilizziamo quindi le nostre esperienze
precedenti attribuendogli un valore cognitivo che in realtà non sempre possiedono;
impedendo alle nuove esperienze di destabilizzare i nostri giudizi.
Proseguendo nel percorso interpretativo del pregiudizio si incontrano quelle
spiegazioni che lo descrivono non come risultato di caratteristiche proprie del sistema
cognitivo, quanto piuttosto di speciali processi psicologici che si attivano fra
l’individuo e il suo contesto sociale.
Il pregiudizio si manifesterebbe, in processi che coinvolgono le interazioni tra gli
uomini, uno di tali processi riguarda l’effetto dell’appartenenza sociale nella
formazione dell’identità dell’individuo . In questa prospettiva gli stereotipi e i
pregiudizi non sarebbero altro che le manifestazioni nel linguaggio, nelle immagini,
negli atteggiamenti e nel comportamento del favoritismo per il gruppo di
appartenenza. Ciò che rende la comune appartenenza così importante per l’individuo è
il fatto di offrirgli protezione e sostegno nella vita quotidiana, una rassicurazione che
significa dare e ricevere costantemente conferma del proprio modello culturale,
7
Gordon Alport, “La natura del pregiudizio” Firenze, La nuova Italia, 1973.
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sentirsi parte di un sistema di regole che si conoscono bene e dal quale ci sentiamo
garantiti. La tendenza umana sarebbe, quindi, quella di considerare la propria cultura
di appartenenza come il centro dell’universo mentre tutte le altre (vicine o lontane)
vengono valutate potenzialmente pericolose .
All’interno delle spiegazioni socioantropologiche vi sono ,infine , gli approcci definiti
costruzionisti, per i quali il pregiudizio è il risultato della sedimentazione di
conoscenza e di memoria collettiva. Sarebbe quindi un meccanismo di assegnazione
di senso alla realtà, tramandato inconsciamente attraverso simboli condivisi e
sostenuti da una struttura retorica di scambi comunicativi.
Vi sono, infine, quelle spiegazioni che considerano il pregiudizio estraneo alla natura
dell’uomo, individuandolo solo come manifestazione di dinamiche patologiche. La
più nota di tali spiegazioni è la concezione psicanalitica, secondo la quale l’individuo
agisce sempre sulla spinta di una tensione psichica che si attiva nel momento in cui
egli si propone uno scopo, qualora gli sia impedito di raggiungere lo scopo si crea
una frustrazione e la tensione rimane insoddisfatta . Allora si verifica quella che in
psicoanalisi si chiama dislocazione dell’aggressività :essa si dirige verso un altro
bersaglio nei confronti del quale l’aggressione sia più semplice, di solito si tratta di
soggetti sociali deboli, i quali svolgono la funzione di capro espiatorio.
Per sfuggire, però, dalla facile trappola di ritenere i pregiudizi prerogativa delle
persone frustrate, si potrebbe riflettere sull’enorme quantità di frustrazioni che
contraddistinguono la vita di tutti gli uomini ogni giorno, forse pensando a tutti gli
scopi che ognuno di noi non è riuscito a raggiungere fino ad oggi si valuterebbe
l’eccezionalità della spiegazione sopra esposta molto relativa.
Esiste, poi una chiave di interpretazione di pregiudizi e stereotipi che li vede come
conseguenza di una particolare configurazione di tratti che renderebbero alcune
persone più inclini di altre a giudicare in modo distorto e rigido ; Tra queste spicca
quella che fa riferimento alla cosiddetta personalità autoritaria, titolo di un celebre
studio condotto alla fine degli anni ’40 da Theodor Adorno con altri ricercatori della
scuola di Francoforte. Lo studio fu commissionato dal comitato ebreo americano ed
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era destinato a far luce sul fenomeno dell’antisemitismo, in un periodo in cui erano
ancora recenti le ferite di guerra e l’orrore per lo sterminio degli ebrei .
Un’immagine negativa dell’essere umano con tendenza a vedere dovunque pericoli e
minacce, ostilità nei confronti dei gruppi esterni e marcata rigidità mentale: scarsa
tolleranza per ogni tipo di ambiguità e accettazione acritica degli stereotipi, sarebbero
le manifestazioni di una sindrome la cui causa principale è una debolezza dell’io che
porta ad identificarsi nel potere e nelle certezze .
L’ultimo tipo di spiegazioni prese in esame attribuiscono stereotipi e pregiudizi alla
particolarità della situazione sociale, prende il nome di teoria del conflitto reale e
mette in correlazione diretta la tendenza al pregiudizio con la competizione per le
risorse umane. Il livello di competizione fra i gruppi aumenta il favoritismo per il
gruppo di appartenenza, la competizione non è esclusivamente legata alla sussistenza
ma si riferisce al concetto di deprivazione relativa: lo scarto fra la propria realtà e ciò
che si ritiene che la propria realtà potrebbe essere.
Fra patologia o normalità, ipotizzando che si possa stabilire un confine, ogni giorno
grandi quantità di timbri indelebili vengono stampati e hanno trovato sicuramente una
triste definizione in chi li rappresenta, questo rimane il motivo per cui la conoscenza
tenta di spiegare e modificare un modo di pensare che emargina e allontana.
Malgrado ciò, è impossibile pensare il mondo senza cultura, e la cultura consiste in un
insieme di giudizi che qualcuno ha già formulato, di conoscenze arbitrarie, noi senza
quel qualcuno e senza quelle conoscenze non saremmo quello che siamo.
Riprendendo le parole di Tullio Tentori: “La cultura mi libera da un buio che sarebbe
totale se non sapessi che intorno a me esistono persone che intendono i segnali che
emetto e di cui a mia volta intendo i segni. Ciò non vuol dire liberazione dalla paura
dell’incognita degli altri . … perché non comprendo tutti ne sono compreso da
tutti……..Ogni sistema diverso dal mio manda in pezzi il mio e quindi ne sono in
qualche modo geloso……….la cultura è un bisogno, ma è anche un rischio . Tale è
quando dimentichiamo che è da noi prodotta per dare un senso e un valore alle norme
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mediante le quali organizziamo i nostri rapporti, per elaborare concezioni e
spiegazioni della realtà, almeno nelle nostre intenzioni veritiere e razionali.”
8
Dalla nostra esigenza di essere compresi e di comprendere, nascono grandi quantità
di mondi che tentano di descriverci e a volte ci somigliano ma quasi mai soddisfano il
nostro desiderio di comunicare tutto, ed è da questo desiderio che noi ci difendiamo.
L’impossibilità di tradurre, rendere esplicito, conoscibile agli altri tutto ciò che
vediamo, proviamo o pensiamo ci rende deboli, vulnerabili; il bisogno di uscire da se
stessi nasconde, forse, il problema e la soluzione: per quanto sia difficile afferrare la
differenza non si può privare mai l’uomo della speranza di essere compreso da un
altro uomo, emarginare ed etichettare equivalgono ad un furto di speranza e di
complessità umana.
8
Tulio Tentori, “Il rischio della certezza”,Edizioni Studium, 1987 Roma, pp. 33,34.