5
di disturbi somatici, fino a una vera e propria malattia che viene
definita “sindrome d’astinenza” che scompare però immediatamente
nel momento in cui viene ripreso l’uso della droga.
4
Nell’opinione di G. Blumir
5
è proprio l’ignoranza del concetto di
dipendenza fisica una delle principali cause della diffusione delle
tossicomanie, ed è l’unica nel caso delle tossicomanie involontarie.
Tale autore sostiene che si può diventare tossicomani perché:
- si ignora che cos’è la dipendenza fisica e si ignora che esiste tale
fenomeno;
- si ignora che una determinata droga, o psicofarmaco, dà
dipendenza fisica, anche se si ha un concetto (non importa se
sbagliato o confuso) di che cos’è la dipendenza fisica.
A livello di massa esisterebbe, secondo l’autore, piuttosto una
nozione vaga, estesa alla droga in genere, e che potrebbe riassumersi
nel concetto di “schiavitù”.
6
La dipendenza psichica o “abitudine” è stata invece definita
dall’O.M.S. come un “sentimento di soddisfazione e una tendenza
psicologica che richiede una somministrazione periodica o continuata
della droga per produrre l’effetto desiderato o per evitare disagio”.
7
È, in altre parole, il desiderio di continuare ad assumere la droga, per
il senso di benessere che essa determina.
Con il concetto di tolleranza si fa riferimento al fatto che gli effetti di
una determinata droga diminuiscono dopo un certo periodo di uso e
di conseguenza il consumatore è costretto ad aumentare la dose per
ottenere lo stesso effetto. Ma tale fenomeno può avere gravissime
conseguenze nei casi in cui la dose la dose necessaria per ottenere gli
effetti desiderati sia molto vicina alla soglia della dose letale (ossia
quella che può portare al decesso). La tolleranza tende a scomparire
dopo un certo periodo di sospensione dell’uso di droga.
8
4
Ibidem, p. 36.
5
G. Blumir, Eroina. Storia e realtà scientifica. Diffusione in Italia. Manuale di autodifesa, Feltrinelli,
Milano, 1976.
6
Ibidem, p. 65.
7
G. Arnao, 1976, p. 37.
8
Ibidem, p. 36.
6
1. IL CONCETTO DI DEVIANZA
1.1 LA REAZIONE SOCIALE E NORMATIVA DAVANTI ALLA
DEVIANZA
Il fenomeno della devianza rappresenta un problema complesso,
oggetto di discussione e di definizione da parte di numerosi approcci
teorici, ognuno dei quali tenta di spiegare la stessa, o alcune sue
forme, in chiave biologica, psicologica, fenomenologica, strutturale,
ecc.
1
Senza mettere in discussione il fatto che nessuno di questi aspetti è
del tutto estraneo al fenomeno della devianza così come lo vediamo
manifestarsi, cosicché ognuno trova sicuramente la possibilità di
definire un proprio spessore che ne legittima la costituzione, e senza
entrare nel merito delle accuse di riduzionismo lanciata nei confronti
dei diversi approcci e dei diversi tentativi di definizione, cercherò nel
presente paragrafo di presentare una definizione sociologica di
devianza, con particolare riferimento alle teorizzazioni proprie della
teoria dell’etichettamento. Non intendo dire che tali assunti siano
generalizzabili, ma sicuramente appaiono adatti a spiegare certi tipi
di comportamento relativi alla devianza giovanile, come ad esempio
la tossicodipendenza, in cui è possibile ricostruire le tappe
dell’esclusione e della stigmatizzazione che rendono, per l’individuo,
la soluzione delinquenziale l’unica credibile e realizzabile, e che lo
portano ad assumere un’identità negativa.
2
Da un punto di vista sociologico, possiamo definire la devianza come
“una infrazione della norma sociale, un comportamento non
conforme ai modelli o alle aspettative istituzionalizzate, una
violazione delle regole sociali”.
3
1
G. De Leo, A. Salvini, Normalità e devianza. Processi scientifici e istituzionali nella costruzione della
personalità deviante, Milano, Mazzotta, 1978, p. 13.
2
P. Faccioli, La devianza giovanile nelle teorie sociologiche, in A. Balloni, G. Pellicciari, L. Sacchetti (a
cura di), Devianza e giustizia minorile, Angeli, Milano, 1979, p. 82.
3
F. Demarchi, A. Ellena, B. Cattarinussi (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, San Paolo, Milano,
1987, v. Devianza p. 655, op. cit.
7
È lo stesso concetto di devianza a presupporre quello di norma e a
porsi in relazione ad esso; appare logico chiedersi allora cos’è la
norma.
Secondo l’accezione comune si tratta di un “criterio o di uno
standard per giudicare il carattere o la condotta di un individuo o di
ogni funzione o espressione di vita sociale”.
4
All’interno di una società le norme possono essere di diverso tipo. Vi
possono essere norme decretate formalmente e introdotte nella legge,
cosicché il compito di farle rispettare è assegnato alle forze
dell’ordine dello Stato. In altri casi, le norme rappresentano delle
convenzioni informali, rivestite dell’autorità del tempo e della
tradizione; vari tipi di approvazioni informali vengono usate per fare
rispettare tali norme. Allo stesso modo, se una norma è in vigore
secondo la legge o se è più semplicemente il risultato di un consenso,
il compito di farla rispettare può essere assegnato ad un’istituzione
specializzata, ma può essere anche compito di chiunque faccia parte
del gruppo al quale la norma si dovrebbe applicare,
5
per la semplice
ragione che la sopravvivenza della società, con le sue attuali
strutture, ed anche con le contraddizioni esistenti, deve, o almeno
dovrebbe, rappresentare il fine ultimo e più importante per tutti i
membri. Ne consegue che le norme istituzionali o anche legittimate
dal semplice consenso dei membri dovrebbero diventare i valori più
alti che vincolano gli individui.
6
Emerge da queste considerazioni il carattere culturale della norma,
che ci rimanda alla modalità specifica attraverso la quale gli
aggregati, i gruppi umani affrontano i problemi fondamentali della
sopravvivenza comune e dell’organizzazione della vita sociale. In tal
senso la cultura dà l’idea di un certo grado di uniformità di
esperienze e di modelli condivisi, di una certa omogenea
disposizione a porsi di fronte alla realtà e ai problemi e ad
affrontarli. È pertanto necessario riconoscere alla cultura una
4
Ibidem, v. Norma, p. 1370, op. cit.
5
H. S. Becker, Outsiders. Saggi di sociologia della devianza, Gruppo Abele, Torino, 1987, p. 17.
6
G. Mazzoli, A. Roberti, Devianza, droga e politica, in A. Balloni, P. Guidicini (a cura di),
Tossicodipendenze e devianza nell’attuale società, Angeli, Milano, 1981, p. 125.
8
funzione coesiva, di socializzazione e di consenso. La cultura ha
sempre quindi un carattere normativo: essa tende cioè ad orientare
l’azione ed i rapporti sociali secondo determinate esigenze e finalità.
7
Queste considerazioni su norma e cultura ci pongono di fronte a quel
processo di legittimazione strutturale della società attraverso cui
vengono prescritti, o meglio definiti, i codici di riferimento per il
comportamento normale, e quindi socialmente accettato, e per quello
anormale o deviante, non accettato socialmente.
L’esigenza di legittimazione è l’elemento atto a garantire la
continuità della realtà sociale, che fonda le proprie basi nell’esigenza
di giustificare e legittimare quelle pratiche e quelle conoscenze che
ne garantiscono la sopravvivenza.
8
Il comportamento deviante è
proprio quello che viola le aspettative legittime e condivise entro un
dato sistema sociale.
La sociologia definisce tale comportamento umano collegandosi al
significato strettamente culturale del sistema normativo, costituito
essenzialmente dai valori e dalle norme condivise in un determinato
gruppo sociale.
9
“Tutti i gruppi sociali creano norme e tentano, in determinati
momenti e circostanze, di farle rispettare. Le norme sociali indicano i
tipi di comportamento propri di determinate situazioni, definendo
certe azioni giuste e vietandone altre sbagliate. Quando una norma è
imposta, la persona che si presume l’abbia infranta può essere vista
come un individuo particolare, che non si può essere sicuri viva
secondo le regole concordate dal gruppo. Tale tipo di persona è
considerato un outsider”
10
, un estraneo, un individuo che non
appartiene a quel gruppo o ambiente sociale, o che da esso è escluso.
Stando a quanto detto finora la devianza dipende essenzialmente da
due condizioni: che un soggetto umano (individuale o collettivo)
produca un’azione o una sequenza di azioni capaci di cadere sotto
7
G. De Leo, A. Salvini, 1978, pp. 33-34.
8
D. Cavanna, Il tossicodipendente come deviante. Questioni teoriche, in E. Gius (a cura di), La questione
droga. Prospettive di ricerca e problemi d’intervento, Giuffrè, Milano, 1982, pp. 6-8.
9
B. Barbero Avanzini, Drogato: chi è? Verso una definizione sociologica della tossicomania giovanile,
in A. Balloni, P. Guidicini (a cura di), 1981, p. 20.
10
H. S. Becker, 1987, p. 17, op. cit.
9
l’attenzione di altri e che esistano dei contesti normativi (norme
implicite o esplicite) che comunque prevedano quell’azione o la
possano definire come trasgressione rispetto ad essi.
Se queste due condizioni possono essere considerate necessarie, esse
non sono però sufficienti per affermare il carattere deviante di un
qualsiasi comportamento.
È necessaria allora una terza condizione, data dalla presenza di
risposte o reazioni attive della società a quell’azione e al suo attore.
11
A livello informale, queste reazioni sociali possono essere di diverso
tipo e di diversa intensità. Si può partire dalla semplice
disapprovazione e dalla punizione, per arrivare a misure quali
l’allontanamento, la stigmatizzazione, fino alla rottura definitiva di
quel quoziente di tolleranza che è un indicatore delle potenzialità di
accettazione dei comportamenti che escono fuori dalla norma,
all’interno di un dato gruppo. La questione fondamentale è che la
reazione degli altri deve essere vista come problematica poiché il
solo fatto che qualcuno abbia commesso un’infrazione non significa
che gli altri reagiranno come se fosse successa. Lo stesso
comportamento può essere considerato un’infrazione delle norme in
un certo momento, ma non in un altro.
12
In virtù di questa terza condizione, sono la definizione pubblica di un
comportamento come deviante ed il trattamento formale ed informale
del suo autore come deviante a rappresentare gli elementi necessari
per il passaggio dalla devianza primaria a quella secondaria.
Si tratta di due concetti introdotti da E. Lemert
13
per indicare, nel
primo caso, un tipo di devianza presente in larghi strati della società,
che non viene però identificata e colpita, e che rimane pertanto allo
stato latente. Anche chi l’ha messa in atto rimane una figura del tutto
anonima. Il secondo tipo di devianza è, invece, quella che viene
scoperta e additata socialmente e che mette in moto un processo che
si concluderà con la stigmatizzazione e l’emarginazione del deviante
11
G. De Leo, Come la tossicodipendenza diventa devianza, in E. Gius (a cura di), 1982, p. 27.
12
M.P. Cuomo La risposta non istituzionale alla devianza: teorie e ricerche, in G. De Leo (a cura di),
L’interazione deviante. Per un orientamento psico-sociologico al problema norma-devianza e
criminalità, Giuffrè, Milano, 1981, p. 53.
10
da parte del gruppo e con la sua accettazione di uno status criminale.
È allora la reazione sociale l’elemento che risulta determinante: nel
caso in cui non sia presente, la devianza primaria rimane senza
conseguenze sia sul piano sociale che su quello individuale.
14
In questo modello di devianza, in cui l’individuo assume davanti a se
stesso e agli altri un carattere deviante, le sue cause originarie
recedono, mentre assumono importanza fondamentale le reazioni
riguardanti la disapprovazione, la degradazione e l’attribuzione di
etichette stigmatizzanti da parte della società.
15
Quello che viene sottolineato è il fatto che la devianza è creata dalla
società: sono i gruppi sociali che la creano, istituendo norme la cui
infrazione costituisce la devianza stessa, applicando quelle norme a
determinate persone e attribuendo loro l’etichetta di devianti. “Il
deviante è una persona alla quale questa etichetta è stata applicata
con successo; un comportamento deviante è un comportamento che la
gente etichetta come tale.”
16
L’esperienza di essere etichettato pubblicamente come deviante
costituisce uno dei passi maggiormente decisivi nel processo di
costruzione di un modello stabile di comportamento deviante,
influendo in tal modo sulla successiva partecipazione sociale e
sull’immagine che una persona ha di se stessa. La conseguenza più
importante consiste in un cambiamento drastico nell’identità
pubblica dell’individuo, poiché il fatto di commettere l’atto e quello
di essere pubblicamente sorpreso a farlo lo pongono in un nuovo
status, quello di deviante, per un’identificazione che comanda sulle
altre.
17
“Quando l’individuo viene etichettato come drogato, prostituta, o più
in generale come deviante, ciò porta a favorire ed ad accelerare il
processo del divenire proprio quella cosa”.
18
13
E. M. Lemert, Social Patology, M.C. Graw Hill, New York, 1951.
14
M. P. Cuomo, in G. De Leo (a cura di), 1981, p. 52.
15
P. Faccioli, La devianza giovanile nelle teorie sociologiche, in A. Balloni, G. Pellicciari, L. Sacchetti (a
cura di), 1979, p. 83.
16
H. Becker, 1987, p. 22, op. cit.
17
Ibidem, pp. 36-38.
18
D. Matza, Come si diventa devianti, Il Mulino, Bologna, 1976, p. 246, op. cit.
11
Si mette in moto, in sostanza, un processo di significazione e
definizione attraverso cui il deviante si costituisce come tale e
assimila sé stesso ad una condizione positiva di negatività. Cosi,
anche un occasionale atto illecito potrà divenire fattore costitutivo
d'identità nel caso in cui l’individuo, catturato nel ruolo che gli è
stato attribuito, continuerà a rappresentarlo.
19
Scrive D. Matza a proposito: “Significare sta per simboleggiare, nel
senso di rappresentazione o esemplificazione. Un oggetto che è
significato, sia esso un uomo o una cosa, è reso più significativo.
Essere significato come ladro (…) accresce l’importanza di un furto
nella vita di chi lo ha perpetrato, e accresce il significato di quella
persona agli occhi degli altri. Essere significato (…) come ladro
comporta la perdita della felice condizione di essere individuo. (…)
si tratta di uno spostamento, ancorché graduale verso l’essere un
ladro e il simboleggiare il furto.”
20
Il processo per cui si passa dall’essere chiamati devianti all’esserlo
realmente è piuttosto complesso e si esplica attraverso i successivi
livelli del bando (che attribuisce un carattere di colpa al
comportamento e demonizza il trasgressore), dell’arresto, in cui la
reazione sociale ha giustificato e autorizzato un intervento punitivo e
correttivo, dell’incasellamento, per cui si accelera quel meccanismo
secondo il quale si tende a diventare quello che gli altri dicono che si
sia, e dell’esclusione, in cui lo status di deviante diventa basilare e
non più secondario per il soggetto.
21
Si comprende in tal modo come il Sé, struttura cosciente attraverso
cui l’individuo diviene oggetto di sé stesso, della propria
autopercezione, sia un’entità riflessa che trae origine non solo da
processi di interazioni importanti tra l’Io e gli altri, ma anche da
processi di attribuzione di significati, rappresentati
dall’interiorizzazione delle attese e delle valutazioni degli altri,
dall’insieme delle credenze e delle opinioni che la persona si forma
19
T. Zeloni, Analisi critica di alcune categorie esplicative del comportamento deviante, in G. De Leo (a
cura di), 1981, p. 46.
20
D. Matza, 1976, pp. 244-245, op. cit.
21
M. P. Cuomo, in G. De Leo (a cura di), 1981, p. 57.
12
su se stessa e che manifesta, dall’assunzione di ruoli e di regole
conformi ai contesti d’interazione e dalla definizione sociale dei suoi
comportamenti.
22
Il culmine del processo di significazione è raggiunto dalla
rappresentazione collettiva della devianza che, da una parte, nel
rispetto della funzionalità del sistema sociale, raccoglie in un'unica
categoria le scorie negative, le cosiddette classi pericolose, e
dall’altra lascia invece tranquilli i buoni cittadini, ai quali vengono
assicurati il rispetto e l’immunità.
23
Dalle considerazioni sopra esposte emerge che il comportamento
deviante non definisce qualità e caratteristiche intrinseche all’azione,
ma rinvia al rapporto, in senso generale, fra l’azione dell’individuo e
la norma che la definisce e, in senso più concreto, fra quell’azione e
la reazione che essa suscita negli altri. È questa risposta, questa
reazione, a produrre le conseguenze pratiche affinché quell’azione,
quel comportamento, si ponga socialmente come azione deviante,
criminale.
24
L’idea e l’esperienza di devianza sono pertanto improponibili e
inconcepibili fuori da un contesto normativo e da una concreta
dimensione interazionale in cui si registrino delle reazioni a dei
comportamenti. È perfino superfluo proporre di tentare delle sfide a
trovare delle forme di devianza che sfuggano a questi nessi. E anche
dove si riscontrano delle azioni universalmente antisociali, ci sono
puntualmente, ad esse collegate, delle norme e delle reazioni di
gruppo, di comunità, ecc., che possono essere considerate universali
allo stesso titolo.
Devianza, norma e risposta sociale possono essere considerate, per
così dire, la stessa cosa: esse sono funzioni culturali, sociali e
psicologiche non solo coesistenti e connesse, ma indispensabili l’una
all’altra. È per questo che è necessario esaminare i fenomeni devianti
in rapporto ai soli quadri di riferimento che gli danno un senso
22
B. Passi, A. Salvini, La rappresentazione del Sé in un gruppo di tossicodipendenti: una verifica della
Labelling Theory, in E. Gius (a cura di), 1982, p. 50.
23
M. P. Cuomo, in G. De Leo (a cura di), 1981, p. 58.
13
concreto: i contesti sociali, culturali e di interazione in cui essi
avvengono.
25
Dobbiamo allora guardare alla devianza come ad un fenomeno che
deriva da una dialettica tra fattori soggettivi e fattori socio-culturali,
in cui il deviante (termine che in sé è solo un riferimento ad una
realtà normativa) risulta legato a certe opportunità di scelta, è
protagonista attivo di condotte pianificate e cognitivamente orientate,
è inserito in sistemi definiti da regole e logiche specifiche.
26
Così come l’atto deviante, anche le sue motivazioni vanno
individuate in due ambiti fondamentali, che non escludono, come è
stato messo in evidenza, la possibilità di interazioni reciproche:
1) cause da individuare nelle caratteristiche personali del soggetto,
- di ordine psicologico, come tipo di personalità o livello di
maturazione della stessa,
- di ordine psico-sociale, con riferimento al sesso, all’età e alla
realtà socio-professionale del soggetto.
2) cause da riferire a situazioni socioculturali, riconducibili a:
- l’occasione favorevole, che viene identificata come connessa ad
elementi ambientali e al gruppo amicale;
- l’esperienza di vita, che appare correlata soprattutto alla realtà
familiare, scolastica ed economica;
- la struttura sociale in quanto tale, con il suo sistema di valori
culturali, che è chiamata in causa come uno dei poli di reazioni
anomiche, sotto o contro-culturali;
- l’atteggiamento societario che identifica il comportamento e lo
stigmatizza come deviante.
27
Quanto detto finora rende necessario un breve richiamo alla teoria
del campo elaborata da K. Lewin
28
il quale, secondo la nota formula
C=F(P,A), mette ben in evidenza come il comportamento di un
individuo debba essere considerato in funzione sia delle sue
24
G. De Leo, Azione deviante, responsabilità e norma: proposta per un nuovo schema concettuale, in G.
De Leo (a cura di), 1981, pp. 7-8.
25
Ibidem, pp. 6-7.
26
T. Zeloni, in G. De Leo (a cura di), 1981, p. 48.
27
B. Barbero Avanzini, Giovani, droga e società, Il Mulino, Bologna, 1981, p.14.
28
K. Lewin, Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, Il Mulino, Bologna, 1972.
14
caratteristiche personali, sia in funzione dell’ambiente nel quale è
inserito.
La riconosciuta validità di questa formula ci consente di poterla
applicare a qualsiasi tipo di comportamento, deviante e non. Pertanto
anche i comportamenti che stanno alla base della dipendenza delle
droghe vanno considerati in relazione non solo alla personalità
dell’individuo, ma anche in relazione a fattori ambientali e sociali,
perché essi incidono notevolmente sul loro consumo.
29
1.2 I DIVERSI ATTEGGIAMENTI DI FRONTE ALLA
TOSSICODIPENDENZA
La tossicodipendenza non è un fenomeno che si configura in modo
isolato e a se stante, ma è parte del più complesso fenomeno della
devianza che ha origine principalmente nel disagio e nella
conflittualità giovanile che la società industrializzata e tecnologica
produce. Inoltre, a rendere più acuto il fenomeno concorrono fattori
personali, familiari, ambientali, sociali e anche casuali che lo
rendono estremamente complesso e stratificato.
Oggi il problema della tossicodipendenza non rappresenta più un
tema di novità. Tutti lo affrontano e lo discutono, ciascuno secondo
una particolare prospettiva.
Appare, in particolare, accreditata la tesi secondo cui la
tossicodipendenza, favorita e rinforzata attraverso catene di eventi e
scambi interattivi stigmatizzanti ed emarginanti, sia il frutto da un
lato delle pressioni del mercato e dall’altro della condizione globale
di crisi culturale, di conflitto sociale ed economico, di anomia diffusa
che è propria, in diversa misura, di tutte le società industriali
contemporanee.
30
Quello di anomia è un “concetto esistenziale e sociale che ci
consente di capire perché l’individuo possa passare con estrema
29
A. Balloni, Crimine e droga, Clueb, Bologna, 1983, pp. 33-34.
30
E. Gius (a cura di), 1982, p. 9-11.
15
facilità e rapidità da una norma all’altra, da quella condotta normale
a quella condotta deviante”.
31
Le situazioni anomiche si creano in un clima di socializzazione in cui
mancano le condizioni per una interiorizzazione cognitiva ed emotiva
di valori culturalmente e socialmente utilizzabili, e producono una
frattura tra l’adeguamento alla norma ed il consenso cognitivo ed
emotivo dei soggetti, per cui l’individuo cessa di essere produttore
per sé e per gli altri di norme ispirate da valori, e diventa semplice
riproduttore di schemi comportamentali conformisticamente
orientati.
32
Attraverso tale concetto Merton
33
interpreta i comportamenti devianti
come sintomatici della dissonanza che esiste in un determinato
contesto sociale fra le aspirazioni indotte culturalmente e le vie
indicate dalla società per la loro realizzazione. Secondo l’autore il
consumo di droga rappresenta una modalità di adattamento
rinunciatario, un comportamento essenzialmente individuale, molto
simile a quello degli psicopatici, dei paria, dei reietti, dei vagabondi.
I consumatori di droga, pur condividendo le mete proposte dalla
società, non sono però in grado di perseguirle, né con mezzi
legittimi, né tanto meno con quelli illeciti, a causa delle proibizioni
che si sono interiorizzate. Questo processo si verifica mentre non si è
ancora rinunciato al valore supremo dello scopo del successo.
L’esperienza di profondo insuccesso che ne deriva fa sì che essi ad
un certo punto, nel tentativo di trovare comunque una forma di
adattamento sociale, abbandonino e rinuncino all’idea di impegnarsi
attivamente, e decidano di risolvere il conflitto attraverso
l’evasione.
34
“(…) Il senso di sconfitta, il quietismo, la rassegnazione
si manifestano in meccanismi di fuga che alla fine portano
l’individuo a fuggire dalle imposizioni della società. Il conflitto
viene risolto abbandonando entrambe gli elementi, le mete ed i
31
D. Cavanna, in E. Gius (a cura di), 1982, p. 21, op. cit.
32
Ibidem, p. 22.
33
R. K. Merton, Teoria e struttura sociale, Il Mulino, Bologna, 1971.
34
M. Ravenna, Adolescenti e droga. Percorsi e processi socio-psicologici del consumo, Il Mulino,
Bologna, 1993, p. 98.
16
mezzi. La fuga è completa, il conflitto è eliminato e l’individuo
diventa asociale.”
35
Tale interpretazione della tossicomania è stata ripresa da Cloward e
Ohlin
36
, non più però in termini di soluzione individuale, privata, ma
in termini di sottocultura di gruppo. Essi ritengono che il consumo di
droga sia una delle forme più gravi di comportamento astensionista
che porta i consumatori ad associarsi gli uni agli altri, se non altro
per assicurarsi l’accesso ad un rifornimento regolare di droghe. Come
non si può spiegare l’attività criminale stabile con il riferimento alla
sola motivazione, così non si può spiegare completamente il consumo
costante di droghe soltanto con tale riferimento. Occorre che sia
presente anche la possibilità di consumare droghe ma, poiché tali
possibilità sono limitate, i nuovi consumatori devono associarsi con i
vecchi consumatori. È pertanto necessario comprendere il
consumatore non solo in riferimento alla sua personalità e alla
struttura sociale, ma anche in termini di nuove forme di rapporti e
valori alle quali è esposto mentre ricerca l’accesso alle droghe.
Quanto più è inserito nella trama di queste relazioni, tanto maggiore
è la probabilità che persista nel consumo della droga, in quanto è
divenuto incorporato in una subcultura che esercita un controllo
sopra il suo comportamento.
37
Gli autori ritengono che l’ingresso
nella sottocultura astensionista sia la conseguenza di un doppio
fallimento, determinato inizialmente dall’impossibilità di
raggiungere le mete culturalmente prescritte attraverso l’impiego di
mezzi legittimi. Il secondo fallimento il giovane lo sperimenta nel far
ricorso ad opportunità illegittime, o a causa delle proibizioni
interiorizzate circa l’uso di mezzi illegittimi, oppure a causa
dell’impossibilità di ricorrere ad essi a causa di ostacoli socialmente
strutturati. Il tutto mentre permane la tensione verso il successo.
38
35
R. K. Merton, in A. Balloni, Criminologia in prospettiva, Clueb, Bologna, 1983, p. 122, op. cit.
36
R. A. Cloward, L. E. Ohlin, Teoria delle bande delinquenti in America, Laterza, Bari, 1968.
37
Ibidem, pp. 193-194.
38
Ibidem, pp. 195-196.
17
Anche A. K. Cohen
39
interpreta la tossicomania in termini di
sottocultura di gruppo. Egli sostiene che ci troviamo di fronte ad una
comunità di devianti, un insieme di persone che hanno in comune
un’inclinazione verso una qualche attività stigmatizzata e penalizzata
dalla società circostante.
40
Secondo l’autore, gli elementi che concorrono a determinare la
tensione anomica sono da individuare essenzialmente in alcuni
aspetti della struttura sociale, quali ad esempio la possibilità di
accedere ai mezzi e la effettiva distribuzione delle ricompense. Egli
trae le sue ipotesi da un confronto tra la situazione inglese in cui, dal
momento che l’uso delle droghe non viene considerato delitto,
l’essere drogato non comporta l’esclusione dal mondo della gente
onesta, e quella americana in cui l’essere drogato condanna invece un
individuo allo stato di emarginato dando vita ad una comunità che,
sebbene non possa essere considerata compatta e solida, è anche in
un certo grado una comunità morale, la quale “congiuntamente
sostiene una cultura che dà significato, legittima uno status e un
modo di vita imperniati attorno alla droga”.
41
Mi sembra di poter affermare che le teorie sopra esposte risultano
ancora oggi estremamente attuali, soprattutto se si prendono in
considerazione le condizioni di sviluppo della società capitalistica
avanzata, in particolare nella fase di attuale crisi e di ristrutturazione
economica. Il mutamento sociale rapido e le conseguenti forme di
anomia richiamati come fattori predisponenti l’emergere della
devianza acquistano in tale ambito la giusta dimensione di elementi
determinati e indotti dal mutare incessante della realtà economica,
che implica una ridefinizione della collocazione sociale di ampie
fasce della popolazione, colpendo in particolare quelle più deboli e
generando non poche situazioni di disgregazione sociale e di
disperazione esistenziale. I giovani in tali condizioni vivono le
contraddizioni precedentemente richiamate tra aspettative e realtà, tra
bisogni avvertiti e strumenti a disposizione per soddisfarli, tra
39
A. K. Cohen, Controllo sociale e comportamento deviante, Il Mulino, Bologna, 1969.
40
Ibidem, p. 158.
18
esigenze di autonomia e assenza di basi materiali su cui costruirle. In
tali condizioni il fenomeno droga fa risolvere in chiave personale e
autodistruttiva l’insieme di tensioni che nella società si originano.
42
Può essere utile chiedersi a questo punto rispetto a quali valori, a
quali principi e a quali regole e aspettative generalizzate i
comportamenti di tossicodipendenza appaiono indesiderabili e
disapprovabili, posto che una precisa condizione della devianza è che
ci sia l’infrazione di una norma attiva a qualche livello.
Attualmente in Italia i comportamenti di farmacodipendenza e di
tossicomania in quanto tali non infrangono alcuna norma penale e
quindi non costituiscono neppure in astratto una forma di devianza
criminale. Se prima della legge 685 del dicembre 1975 questi
comportamenti erano considerati reati, come lo sono tuttora in molti
altri paesi del mondo, attualmente la nostra legislazione non
considera reato l’assunzione di droghe, ma definisce tale
comportamento come genericamente illecito e tende ad impedirlo
senza sanzioni, tranne il sequestro della sostanza rinvenuta. Ciò
significa che questi comportamenti non infrangono le norme penali,
ma infrangono invece altre norme di carattere generale ad altri
livelli.
43
Quali sono queste norme?
Si può ipotizzare che il tossicomane contravvenga pesantemente allo
schematismo normativo o, almeno, al modello ideale interiorizzato
che vede nel giovane studente di medio o buon livello, possibilmente
sportivo, politicamente e socialmente impegnato ma lontano da
pericolosi estremismi, sufficientemente maturo da avere assimilato
come inevitabile l’alta competitività della nostra struttura sociale,
quell’immagine che genitori, educatori, agenzie di elaborazioni di
modelli sociali altamente prediligono. Rispetto alla norma
rappresentata da questo tipo di giovane, l’immagine sociale del
tossicomane sembra discostarsi più o meno vistosamente, soprattutto
41
Ibidem, p. 160 op. cit.
42
F. Prina, Tossicodipendenze e servizi: risposte istituzionali e forme di controllo sociale, in E. Gius (a
cura di), 1982, pp. 81-82.
43
G. De Leo, in E. Gius (a cura di), 1982, pp. 34-35.