5
Inoltre si mettono in evidenza le ragioni proibizioniste e
antiproibizioniste, che rischiano, di distogliere l’attenzione, dal
problema di fondo, trasformando in ideologie, questo fenomeno così
complesso.
La seconda parte intende, mette a confronto gli effetti delle politiche per
la riduzione della domanda e dell’offerta in occidente focalizzando
l’attenzione all’Italia degli ultimi trent’anni. L’obiettivo di tale analisi,
non è di esaminare le politiche sociali, cosa alquanto ardua, per le sue
molteplici variabili e sfaccettature, ma si vuole mettere in luce
incongruenze, che non danno la possibilità di attuare un intervento
sistemico tra Stato e attuazione pratica. Luigi Rigogliosi, psicologo e
pedagogista, dice: “Ciò che più stupisce è che i cambiamenti di rotta non
nascono dal confronto con gli operatori del settore, non si fondano su
valutazioni oggettive d’efficacia o inefficacia dei trattamenti, ma su
affermazioni assiomatiche, su assunti di principio che tendono a
squalificare il lavoro compiuto, in nome di un nuovo inizio, risolutivo e
miracoloso”
1
.
Queste parole, chiariscono in modo sintetico, ciò su cui si fonda la mia
ipotesi che viene esposta nella terza parte. Essa nasce dalla lettura
dell’incoerenza tra le “Parti” e dal desiderio di proporre un intervento
coeso e unito nella prassi operativa. Questa proposta è volta al diritto del
“marginale” nel recupero della dignità di essere persona, come uomo
produttivo, per fare ciò è necessario interpretare il fenomeno, in una
prospettiva pluricentrica e complessa, adottando l’approccio socio-
fenomenologico. La scelta di questo orientamento è data dalla sua
attenzione alla centralità del soggetto e alle sue molteplici variabili,
nella relazione con il mondo.
Infine, ho voluto inserire negli allegati la testimonianza dell’esperienza;
le voci dei professionisti e quelle dei ragazzi/e , la voce di chi è sul
campo e lotta giorno per giorno.
1
Rigogliosi L., introduzione “la normativa sugli stupefacenti in ambito europeo” Romano, Bottoli
edizione Carrocci 2002
6
Dalle dichiarazioni dei ragazzi, emerge una molteplicità di fattori, che
conducono al “male di vivere” e trovano conferma in alcuni studi:
“Condizione necessaria perchè la tossicodipendenza si verifichi è la
presenza di un disordine grave, di equilibri fra l’individuo e il suo
ambiente; esperienze dolorose e drammatiche di ordine familiare e
sociale costituiscono spesso lo sfondo… del tossicodipendente e delle
sue difficoltà ad inserirsi nella società”.
2
Credo che per ridurre il numero
dei soggetti tossicodipendenti, sia necessario lavorare per promuovere un
cambiamento nei valori e nei costumi della società. Come affermano
Berger e Luckmann, “La società è un prodotto umano. La società è un
dato oggettivo.
L’uomo è un prodotto sociale.”
3
In questa circostanza, le scelte di
Politica sanitaria di “riduzione del danno,” tendono ad accettare la
convivenza con questo fenomeno, diventandone indirettamente complici,
soprattutto se lo si accetta, come unico strumento per vincere la “lotta
alla droga. Tutto ciò viene messo in luce dai dati e dalle motivazioni
delle politiche sociali, è infatti assente a livello nazionale, un dato
importante: il follow- up dei recuperi; inoltre è trascurata la fase di
reinserimento, per la quale la spesa pubblica è minore rispetto ai
finanziamenti sui progetti di “bassa soglia.”
Molti studiosi, rilevano che nel soggetto tossicodipendente, non c’è solo
il rifiuto e la fuga dalle responsabilità, ma anche il tentativo di
comprendere o di costruirsi una realtà creduta migliore, ed è proprio su
questa capacità di comprendere e di costruire, che desidero gettare le
basi di un nuovo progetto.
2
CancriniL. Malagoli M. Meucci G.P. “Droga chi come perchè e soprattutto che fare”, Sansoni Firenze, 1977, pag 23.
3
Berger P. Luckmann P.,“ The social construction of reality” 19767, Anchor Books, Garden City, NY., Pag.61
7
Parte I
Evoluzione legislativa ed effetti delle politiche
per la riduzione dell’offerta e della domanda.
La legge è un evidente strumento della repressione morale e culturale, ma la
sua conseguenza specifica è la nascita di un mercato nero: Il gangster fece
notare: “ la marijuana è il prossimo affare.” Protestai sorpreso: “ma non è una
droga che dà assuefazione come la morfina e l’eroina e poi costa poco per
essere un affare interessante!” Egli rise; “Non capisci! In diversi stati stanno
facendo passare delle leggi contro l’erba e presto, sarà messa al bando anche
dallo zio Sam, allora il prezzo salirà, e la cosa inizierà a farci guadagnare
molto...”
4
L'oppio, nato 4000 anni A.C., veniva utilizzato per alleviare le
sofferenze ed era considerato un mezzo per stabilire contatti con le
divinità. Nel 1800, l’uso libero delle droghe si è diffuso ovunque. In
America meridionale, migliaia di persone masticando foglie di coca,
cercando di alleggerire il peso della fatica e diminuire i morsi della
fame. In Occidente l’uso dell’oppio, interessava particolarmente la moda
e gli ambienti artistici. Con l’avvento della seconda guerra mondiale, la
droga iniziò a diffondersi soprattutto tra i soldati inglesi che, per vincere
la paura, iniziano ad assumere anfetamine. Negli anni 60/70, la droga
diviene un fenomeno di massa. I governi sconvolti dall’evolversi di tale
avvenimento, iniziano a legiferare, assumendo una tendenza
proibizionista in quasi tutti i paesi. Penso sia importante sottolineare
che, fin dalla nascita delle Convenzioni internazionali, i principi
ispiratori, appaiono maggiormente suggeriti dall’America. Questo è un
primo punto di riflessione, in quanto, ritengo non sia appropriato,
estendere a tutti i Paesi ciò che può essere conveniente ad una sola
Nazione; poiché ogni Luogo ha la sua cultura, politica, economia,
pensiero, non è detto che la spiegazione dell’abuso di sostanze
stupefacenti, sia il medesimo.
4
Alfred Lindesmith, in “The addict and the law”, Indiana University Press 1965 nel
capitolo: “The marijuana problem: myth reality?”
8
L’effetto delle legislazioni è un punto centrale su cui porre attenzione, in
quanto se non se ne tiene conto, uno dei rischi è il fallimento della
legislazione stessa, in quanto la mancanza di una riflessione di questo
tipo, può generare una tendenza ideologica, sovrapponendo la norma
morale a quella giuridica, e ciò indurrebbe ad un amento del fascino alla
trasgressione.
9
1.PROIBIZIONISMO /
ANTIPROIBIZIONISMO
In tutti i Paesi, esiste un’oscillazione tra due polarità, quella repressiva
e quella della depenalizzazione: è la stessa oscillazione che troviamo tra
le ragioni invocate a sostegno dell’intervento legislativo. Le motivazioni
principali a favore della criminalizzazione del consumo e/o detenzione
per uso personale sono:
• la forza preventiva delle norme penali;
• la forza simbolica della prevenzione, destinata a strutturare la
personalità dei giovani;
• il carattere criminogeno della tossicodipendenza;
• la pressione dell’opinione pubblica;
• il diritto di vietare comportamenti che aggravano i costi della
protezione socio- sanitaria.
Sul fronte della depenalizzazione troviamo come principali motivazioni:
• un alto tasso di recidiva e quindi prova dell’inefficienza delle norme;
• l’accusa di indurre i tossicomani a delinquere.
• il condizionamento dell’opinione pubblica e della stampa, dalle
affermazioni istituzionali;
• il maggior peso delle spese destinate alla repressione rispetto a quelle
socio-sanitarie.
È necessario tener conto che il fenomeno droghe è da sempre un tema
politico e indipendentemente dalle ragioni delle teorie di desta o di
sinistra, ciò che sembra pesare maggiormente è tranquillizzare le paure
dei cittadini, dicendo loro ciò che vogliono sentirsi dire, al fine di
acquisire maggiore credibilità e consensi. Non si tiene in considerazione
quello che emerge dai dati e dalle analisi delle problematiche relative a
questo fenomeno, riducendo il problema a puro ideologismo, o a una
questione di costi di spesa pubblica.
10
1.1. Le radici razziali delle leggi sulla droga
Ho voluto inserire all’interno del quadro legislativo anche l’ aspetto
legato alla discriminazione razziale, in quanto, oltre a motivi economici,
morali, politici, della diffusione del fenomeno, esso incide, oggi,
intervenendo nelle statistiche, come una variabile di disturbo, in quanto,
spesso il tossicodipendente viene incarcerato non come tale ma per
motivi razziali. Oggi, dall’indagine sul campo emerge che, la maggior
parte del piccolo e medio spaccio, in molti Paesi occidentali è detenuto
da Magrebini, Algerini, Albanesi.
Nel passato la discriminazione attuata in America, era utilizzata come
capo espiatorio di un disagio sociale di più ampio raggio. Infatti, dalla
letteratura emerge che i movimenti razziali contro le droghe, negli Stati
Uniti, hanno radici fin dalla metà dell’Ottocento, all’origine di questo
accanimento ci sono la ferma fede puritana e soprattutto le difficoltà di
integrazione sociale. Secondo il sociologo Tomas Szasz, in nessun posto
come in America il proibizionismo contro le droghe ha legami stretti
con il razzismo. Inoltre, A. Averni, compie un’analisi dettagliata
dell’evoluzione di questo tipo di politica: affermando che: “inizialmente
il problema era causato dai cinesi fumatori di oppio, ora sono i neri,
fumatori di crack e spacciatori di ogni tipo di sostanza illegale”
5
. Egli
sostiene che i primi avversari dei bianchi padroni, furono i cinesi, a
seguito delle grosse migrazioni di metà Ottocento, la Comunità bianca
infatti si trovò a dover competere sullo stesso piano lavorativo con
quelle orientali,. In breve tempo lavorando per pochi soldi i cinesi
riuscirono a costituire una forte Comunità nel territorio della California,
fu soprattutto l’accettazione di un basso salario, a renderli estremamente
competitivi, rispetto i lavoratori bianchi, i quali oltre a rifiutare le
mansioni più pericolose, chiedevano remunerazioni più alte. Le prime
avvisaglie di un odio verso i cinesi, si ebbero dopo la Guerra di
successione, in un periodo di crisi per il Paese. Sempre secondo Tomas
Szasz, gli americani non potevano riconoscere di odiare e temere i
5 cfr.Averni,1999 pp.99.
11
cinesi, perché lavoravano più sodo e disposti a lavorare in cambio di
salari inferiori, per cui, “una maggioranza meno abile, attribuisce ad una
minoranza più abile una colpa, mediante cui, la prima, giustifica il fatto
di perseguitare la seconda.”
6
Nel caso dei cinesi si trattava del vizio di
fumare oppio. Nella relazione parlamentare che accompagnò la legge di
proibizione dell’oppio, su scala nazionale del 1909, si affermava ad
esempio, che l’oppio catturava le donne bianche che convivevano more
uxorio con uomini cinesi.
La situazione con il passare degli anni non sembra cambiare molto, dai
dati che emergono oggi, nei paesi occidentali, il numero di immigrati
incarcerati rispetto agli autoctoni, per traffico di droga è elevatissimo.
Ernest Drucker, direttore della Division of Community Health, al
Montefiore medical centre, di New York, in “La Riduzione del
danno”scrive: “L’aspetto razziale e di classe della guerra alla droga non
deve essere lasciato in secondo piano, la popolazione bersaglio è quella
del centro città, giovani, minoranze etniche, gruppi cui viene garantito
poco sostegno nei campi della scuola, dell’assistenza sociale e della
salute: esse sono persone facili da arrestare. Attualmente negli Stati
Uniti più del 25% dei maschi neri, tra i 20 e i 30 anni, è stato arrestato e
incarcerato per un reato. Sotto questo aspetto, inevitabilmente i
fenomeni droga e immigrazione sono correlati.
Oggi per quanto riguarda l’Italia dal 1995 al 1999, vi è stato un vistoso
incremento di stranieri deferiti alle autorità giudiziarie per reati contro il
D.p.r.309 del 1990 e cioè connessi alla droga e si è passati infatti da
7.478 a 10.045, 8.877 di questi ultimi pari all’88,37% del totale sono
stati sottoposti a provvedimenti restrittivi. I cittadini italiani segnalati
sono stati invece 24.252 nel 1999 ma solo 15.739 di essi hanno subito
provvedimenti restrittivi pari al 64,89 % del totale
7
. E’ evidente a
questo punto una certa rigidità nell’applicazione delle misure restrittive
nei confronti di immigrati, penalizzati rispetto ai cittadini della nazione
ospitante.
6 cfr. T. Szasz,1980 pp.81
7
cfr. Relazione annuale sulle tossicodipendenze del Ministero per gli affari sociali 1999
12
2.1. Proibizionismo
Nel sedicesimo e diciassettesimo secolo, acquavite, caffè, tè e tabacco
venivano considerate sostanze problematiche. L’elite culturale, politica e
religiosa, temeva che l’uso incontrollato di nuove sostanze, avrebbe
messo in pericolo le strutture di potere e l'ordine voluto da Dio. Nel
diciannovesimo secolo, la società cambiò nettamente, in Europa gli
alimenti di produzione propria diminuirono, ma molte persone erano già
malnutrite: cacao, caffè, hashish, oppio, tè cinese e alcool si ritrovarono
come alimenti sostitutivi nelle cucine dei poveri. In particolare l'alcool
che era dissetante, calmava la fame e faceva dimenticare le
preoccupazioni, aiutando l’uomo a sopportare meglio il duro lavoro in
fabbrica. Ingerito in grandi quantità, permetteva di evadere dalla
quotidianità, per questo, il consumo di acquavite diventò un problema
per i bassi ceti sociali.
L’idea di proibire le droghe aveva preso piede in Occidente da iniziative
che partivano tutte dagli Usa, dove alla fine del secolo scorso si era
diffusa una seria tossicodipendenza da oppiacei. Con la convenzione di
Haag sull' oppio del 1912 venne creata la base contrattuale per il
proibizionismo del ventesimo secolo, il testo dell' accordo parla di
"aspirazione umana" come base di una politica di divieto dei paesi
contraenti. Durante le conferenze tenute dopo la prima guerra mondiale
gli USA avevano un ruolo decisivo nell’ imporre l'applicazione
repressiva, inizialmente limitata all'oppio, ai suoi alcaloidi (eroina) e
alla cocaina, fino ad arrivare agli anni del grande proibizionismo
Americano. Ma durò pochi anni, in quanto a seguito delle conseguenze
aberranti, come il formarsi del mercato nero e di organizzazioni mafiose
e a delinquere, il proibizionismo venne abolito, a quel punto i
proibizionisti, si accanirono contro la canapa, propagandandola come
droga "killer", che faceva inebriare gli adolescenti al punto da farli
diventare una minaccia imprevedibile per la società americana. Ancora
oggi, al centro delle argomentazioni contro la legalizzazione delle
droghe vi è la loro dannosità, sono considerate, fonte di patologie, dalle
13
più gravi alle più leggere, inoltre alla cannabis viene attribuita la
caratteristica di influenzare le percezioni della realtà, dei consumatori
abituali.
Durante la realizzazione di "war on drugs", il vero scopo non era tanto
di origine razziale o morale, ma relativo ad interessi politici ed
economici sopratutto americani: la lotta all’oppio era un mezzo per
guadagnare sempre più potere, nella contraddittorietà dell'alta società
occidentale che consumava morfina e cocaina senza subirne alcuna
conseguenza.
Con il passare del tempo proprio l’America, si ritrovò per prima a
destreggiarsi con un numero sempre crescente di persone che usavano
“illegalmente” sostanze stupefacenti, fenomeno che si è allargato in tutto
l’Occidente a patire dagli anni ’60, e le legislazioni di quasi tutto il
mondo ancora oggi sostengono tesi proibizioniste, le cui finalità
comuni sono: la repressione a tutti i costi del consumo e del commercio
delle droghe. Non è concepibile secondo quest’ottica, nessun tipo di
concessione perché la legalizzazione e i passi in quella direzione,
sarebbero come gettare la spugna. Questa guerra è il punto forte del
programma politico di quasi tutti i governi del mondo occidentale ad
iniziare ovviamente dagli Stati Uniti che hanno il ruolo di leader
nell’ispirazione di questa politica.
L’attuale sistema di tipo proibizionistico dei paesi europei è legata alle
tre Convenzioni Internazionali delle Nazioni Unite: la Convenzione
Unica sugli stupefacenti di New York del 1961, la convenzione di
Vienna del 1971 sulle sostanze psicotrope, e quella del 1988 contro il
traffico illecito, ispirata ad un inasprimento delle pene.
Implicitamente a tutte le motivazioni proibizioniste, non dobbiamo
dimenticare il moralismo in cui spesso si riscontrano frasi quali: “le
sanzioni legali contro l’uso di droga servono come deterrente e come
strumento di prevenzione, impedendo che molti, per rispetto della legge
sperimentino le droghe. Il fatto che queste siano vendute da persone che
hanno contatto diretto con la criminalità e quindi, siano più propense a
14
derubare il prossimo, funge da ulteriore elemento repulsivo, nei
confronti delle sostanze illegali.” Penso che questa modalità di
approccio richiama la tesi del “criminale nato”, dimenticando che non si
nasce tossicomani, inoltre se le sanzioni, sono considerate strumento
preventivo, viene dato per scontato un futuro immutabile, annullando le
speranze e le capacità degli uomini di progredire.
3.1. Le ragioni dell’antiproibizionismo
Le tesi antiproibizioniste, contano in tutto il mondo svariati sostenitori.
Altrettanto ricco è il panorama di idee da essi sostenute. All’estremo del
panorama antiproibizionista vi sono i liberalizzatori: coloro che
immaginano il mercato delle droghe come un mercato qualsiasi, nel
quale lo Stato non ha alcuna ragione di intervenire, per liberalizzazione
essi intendono l’assoluta libertà di commercio senza vincoli. In un simile
sistema quello che adesso è dispregiativamente chiamato spacciatore
sarebbe un venditore al dettaglio e colui che è detto narcotrafficante un
grossista.
Più moderata la posizione di chi prospetta la soluzione della
legalizzazione, in questo schieramento si registrano numerose differenze
su come raggiungere questo obiettivo; vi è chi propone una strada
graduale percorsa attraverso varie sperimentazioni, una di queste è
applicata in Svizzera dal 1992, con la somministrazione controllata di
eroina, inoltre un decreto ha depenalizzato il consumo di droghe
leggere. Il Governo svizzero sull’onda dei risultati positivi ha
recentemente presentato al Consiglio cantonale una legge che prevede la
legalizzazione del consumo e della vendita di canapa, nonchè il
passaggio ad una vasta scala di tossicodipendenti della
somministrazione controllata di eroina.
Tra i legalizzatori comunque vi è anche, chi vuole l'immediata
legalizzazione posta sotto il controllo dello Stato: le droghe dovrebbero
venire distribuite nelle farmacie o drogherie, dietro ricetta medica in
caso di droghe pesanti, senza alcuna precauzione nel caso della
15
cannabis. Su questo fronte viene preso in considerazione anche il
modello olandese dei coffee shop.
Una delle ragioni degli antiproibizionisti è costituita dall’impotenza
finora dimostrata dalle autorità, nel fermare il traffico di droga, essi
affermano che: le grandi organizzazioni dedite alla produzione e al
traffico, operano pressoché indisturbate in tutto il mondo e il potere che
esse hanno è ramificato in tutti i livelli, da quello politico a quello
economico e a quello militare. La legalizzazione invece, ridurrebbe in
maniera considerevole, il traffico e le incarcerazioni.
Altro importante nodo concettuale della battaglia antiproibizionista è
quello riferito alla purezza della sostanza, i vari stupefacenti si
distinguono fra di loro per effetto, potenziale di dipendenza ecc., alcune
delle sostanze illegali come ad esempio i prodotti di cannabis,
contengono un potenziale dannoso nettamente minore rispetto a certe
altre droghe legali come l’alcool. Questo aspetto oggi, non viene preso
in considerazione nel divieto attuale sulla droga e nella differenziazione
arbitraria di droghe legali o illegali.
In evidenza: Prendendo in prestito una citazione di Andrea Chiti-
Batelli, il quale pensa ad una terza via, scrive: “La difesa delle
istituzioni e dell’economia presa d’assalto dai trafficanti, la protezione
degli onesti cittadini contro le aggressioni dei “balordi” … consente a
chi ha scelto la propria rovina di non essere costretto con la forza a
salvarsi”
8
. Egli propone una politica finalizzata alla salvaguardia della
società e alla libertà del soggetto tossicodipendente, di morire.
Detta in questo modo, anche se vera, è una realtà troppo cruda da
digerire e nello stesso tempo, mette in luce tutti i moralismi e le false
ideologie che hanno portato, ai discutibili interventi attuati fino ad ora.
I punti di vista inerenti a questo fenomeno sono molteplici e non è facile
scegliere un orientamento; per i giuristi è necessario salvaguardare le
masse a scapito dei pochi, per noi educatori, operatori del sociale e del
disagio è giusto salvare il singolo a scapito di molti.
8
Chiti-Batelli A., “Droga problema europeo , una terza via tra proibizionismo e legalizzazione?” ed. Franco
Angeli 1992, pag. 7
16
2. GLI INTERVENTI IN MATERIA DI LEGISLAZIONI
PER LA RIDUZIONE DELLA DOMANDA E
DELL’ OFFERTA
1.2.Le politiche per la riduzione del fenomeno
In questa parte si delinea il complesso intreccio dell’evoluzione delle
leggi sul fenomeno droga, dagli inizi del XX secolo, ai giorni nostri.
Evidenziando i passaggi, tra repressione/ depenalizzazione, dal principio
di punibilità a quello di riabilitazione e cura. Vengono presi come punti
di riferimento, Italia, Europa occidentale, USA, specificando all’interno
delle legislazioni, alcune modifiche che segnano in alcuni Paesi
l’inizio di nuove strategie.
Di importanza fondamentale per le queste politiche, sono le Convenzioni
Internazionali: con la Convenzione Unica del 1961 tutti i Paesi europei
aderenti, tendono ad applicare le stesse normative, con una
omologazione sostanziale degli interventi e una collaborazione
finalizzata, alla riduzione del traffico e della domanda, inerente al
fenomeno della tossicodipendenza. Dal punto di vista legislativo le
politiche in materia di droga si svolgono su 4 livelli: ONU, Unione
Europea, politica nazionale, politiche locali.
A livello sopranazionale, la politica sulle droghe viene gestita dallo
United Nacional International Drugs Control Progaram (UNDCP) organo
di coordinamento delle Nazioni Unite, sorto nel 1990, con sede a Vienna.
Un altro organo importante di coordinamento è l’Osservatorio Mondiale
della Sanità (OMS) che dispone tra l’altro di un programma di lotta
contro le dipendenze e svolge un ruolo centrale in materia di sanità
pubblica. Un’importante ruolo per lo studio e la ricerca, al fine di
fornire un quadro generale alla Commissione europea è svolto
dall’osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze,
(OEDT) che ha sede a Lisbona, ed è coadiuvata nei suoi compiti, da una
17
rete europea d’informazione: REITOX, che la collega ai vari punti focali
di ogni Stato membro. Inoltre L’OEDT ha attivato un sito internet,
www.emcdda.org accessibile a tutti.
L’organo decisionale supremo sulla politica delle droghe è comunque:
l’Assemblea generale dell’ONU, la cui ultima sessione speciale
sull’argomento si è tenuta a New York nel 1998.
La strategia dell'UE 2000-2004 prevede:
Riduzione rilevante della prevalenza di consumi specie fra i più giovani.
Abbassare la frequenza di danni quali contagi (HIV, HCV, HBV, TBC) e
dei decessi. Aumentare il numero di Tossicodipendenti in trattamenti con
successo. Ovvi sembrano altri obiettivi quali: ridurre la reperibilità
delle droghe illecite, dei reati legati alla tossicodipendenza e
naturalmente colpire il riciclaggio del denaro sporco.
Oggi la tendenza generale delle risposte istituzionali al consumo/abuso
di stupefacenti è quella di passare da una impostazione prettamente
repressiva ad una preventiva e sopratutto di integrare il settore socio-
sanitario.
Non va dimenticato che all’interno delle politiche mondiali si
distinguono due poli opposti: quello repressivo che proibisce
decisamente anche il consumo e lotta contro le droghe illegali a tutti i
livelli, in una visione del tossicodipendente “criminale”; ed un polo
liberale che si muove nell’ottica del rischio minore, partendo dal fatto
che le droghe fanno parte della società, distinguendo tra droghe leggere e
pesanti, in una visione del tossicodipendente come un “malato”.
2.2. Le Convenzioni Internazionali.
La dipendenza e la tossicità caratterizzano l’uso delle sostanze
psicoattive, conseguentemente viene imposto il loro controllo legale.
Di particolare importanza è la nascita delle Convenzioni Internazionali
che sorgono all’interno dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti
d’America.