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spettacolo. Che tipo di rapporto intercorreva fra il teatro lirico e il teatro d'operetta:
se vi erano cioè momenti o situazioni di conflitto, di concorrenza o, al contrario, di
totale indifferenza. E infine ancora, quale era il punto di vista, come veniva giudicata
e recensita la piccola lirica italiana da giornalisti, cronisti o eventuali critici musicali.
Col tentativo di fornire adeguate risposte utili ad approfondire e analizzare questa
particolare forma di teatro, spesso trascurata o poco studiata dagli esperti musicali,
abbiamo preso in esame alcuni articoli relativi alla lirica leggera italiana scritti tra il
1910 e il 1930, tratti dai principali quotidiani torinesi dell'epoca quali «La Stampa» e
la «Gazzetta del Popolo». La scelta di tale periodo storico è motivata dal fatto che,
proprio in quegli anni, l'operetta italiana vive quella particolare situazione storica
felice, chiamata «epoca d'oro», in cui celebra i suoi massimi trionfi.
Decisamente numerosi (più di 300) sono gli articoli rinvenuti in sede di ricerca,
quali interviste a maestri compositori, impresari di compagnie, capocomici o
comunque ad artisti direttamente interessati. Presentazioni e recensioni di operette
nuove o di repertorio, riflessioni pro o contro questo particolare genere di teatro,
iniziative socio-culturali ad esso collegate, pubblicazioni di norme e contratti
lavorativi, nonché gestione e programmazione dei teatri cittadini. Fra tutti questi
articoli abbiamo selezionato quelli di maggior interesse storico-culturale e ne
abbiamo trascritto alcuni stralci per documentare e confrontare la situazione storica
generale della piccola lirica italiana con quella torinese.
La visione di questi articoli ci pone direttamente a contatto con un'altra realtà, ci
porta indietro nel tempo, in un passato remoto che appartiene ad un'epoca diversa e
per questo misteriosa e affascinante. Si rivivono le emozioni e le impressioni del
pubblico che aveva assistito alle prime rappresentazioni, si viene a conoscenza del
suo modo di ridere, di evadere, delle sue preferenze artistiche. Apprendiamo le trame
e i nomi di operette che non sono passate alla storia, il cui ricordo è legato al solo
debutto o al massimo a qualche successiva replica, e le trame e i nomi di quelle che
invece, hanno segnato un'epoca, coronate da grandi duraturi successi, a noi ben note
perché ancora oggi rappresentate ed applaudite con grande entusiasmo. Scopriamo i
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giudizi estetico-musicali espressi dai vari cronisti di turno, sempre assorti nella
risoluzione della diatriba sulla natura dell'operetta italiana e intenti a dimostrare, con
arguti paragoni ed erudite disquisizioni, se la piccola lirica nostrana è solo
un'occasione di divertimento, un puro fatto commerciale o se invece merita l'ambita
definizione di opera d'arte.
Confrontando questi articoli, ci si rende subito conto che, da un punto di vista
formale, la maggior parte di essi, e in particolar modo le recensioni, si presentano
molto simili fra loro in quanto sono costruite seguendo punti e tematiche ricorrenti.
E' pertanto possibile tracciare una sorta di schema-tipo degli articoli reperiti.
Solitamente, una di queste recensioni fornisce informazioni generali o
particolareggiate sugli autori, qui intesi come musicista e librettista, a seconda della
loro notorietà, oppure, se l'operetta in questione, pur essendo una novità, ha già
riscosso in altre piazze strepitosi successi. Seguono analisi, giudizi e critiche
minuziose sulla musica: si considerano eventuali riminescenze francesi, influenze
viennesi o l'originalità della creazione, apprezzando patriotticamente il vero prodotto
«made in Italy». Stessa identica sorte spetta al testo del libretto del quale,
solitamente, viene riferito in modo frettoloso e sommario il canovaccio, ovvero la
trama della vicenda, valutandone l'originalità di ispirazione, se è stato scritto ex novo
o se è tratto da un lavoro pre esistente.
Particolare attenzione viene rivolta all'allestimento dell'operetta, alla sua messa in
scena, considerandone tutti i suoi principali elementi quali gli artisti e la loro
interpretazione, le coreografie, l'esecuzione orchestrale, il direttore d'orchestra (che
sovente è lo stesso compositore), la scenografia, gli effetti luminosi, i costumi,
ponendo particolare accento sulla toilettes della soubrette, vera diva dello spettacolo.
Si elargiscono informazioni sul pubblico descrivendone l'eleganza, il numero, la
disposizione in sala, l'eventuale presenza di nobili e aristocratici, di personaggi
celebri; si riportano le richieste di bis, gli eventuali fischi. Si sottolinea il calore e la
partecipazione del pubblico che si configura come giudice supremo dello spettacolo,
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al quale spetta indiscutibilmente di decretare, scontrandosi quasi sempre col giudizio
degli esperti o dei critici musicali, il successo o il fiasco dell'operetta rappresentata.
Dalla lettura di questi articoli emerge chiaramente che l'operetta fu a Torino un
genere di spettacolo molto apprezzato e seguito da un folto quanto appassionato
pubblico. D'altro canto, l'elevato numero di articoli dimostra che anche la critica
giornalistica era molto interessata e seguiva con particolare attenzione questo genere
di teatro, il suo mondo colorato, i suoi artisti, e il suo pubblico affezionato. Un
pubblico, quello torinese, che appare molto diverso da quello delle altre città italiane,
forse più difficile, sicuramente più critico.
Leggendo alcune recensioni apprendiamo che talvolta, operette che in altre città
della penisola avevano riscontrato entusiasmanti trionfi, giunte a Torino
inciampavano, cadevano miseramente o tutt'al più ottenevano tiepidi consensi. A
volte ciò era giustificato dalla reale insufficienza artistica, dalla pochezza di
contenuti, dalle volgarità dell'operetta proposta; ma in altri casi, pur trovandoci
difronte a creazioni decorose, sufficientemente apprezzabili, il pubblico torinese
reagiva con un eccessivo riserbo.
Le ragioni di tale comportamento non sono facili da ricercare. E' difficile infatti
spiegare i motivi e le circostanze che fanno della stessa operetta, un successo per un
certo tipo di pubblico e un fiasco, o comunque un non-successo per un altro. Forse
ciò può dipendere dalle caratteristiche culturali e caratteriali del gruppo di persone
che formano quel determinato pubblico, dalla sua abitudine di andare a teatro, dalla
sua educazione, il suo livello culturale, la maggior riservatezza nel manifestare
liberamente le proprie emozioni.
Qualunque siano le ragioni, ancora oggi Torino, come piazza teatrale, conserva
questa sua particolare caratteristica, detenendo il titolo di città con un pubblico
difficile e ipercritico. Molti artisti infatti tuttora la considerano un vero e proprio
banco di prova.
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Non mancarono comunque nella Torino dell'epoca, i grandi successi operettistici, i
piccoli capolavori i quali, grazie anche alla bravura e alla simpatia degli interpreti,
seppero sciogliere l'iniziale freddezza del pubblico torinese, trascinandolo in un
crescente entusiasmo fino a spingerlo all'euforia collettiva. L'operetta seppe
coinvolgere questa difficile piazza plasmando e creando man mano un pubblico di
estimatori e di veri appassionati. La piccola lirica divenne così uno spettacolo alla
moda attirando l'attenzione e la curiosità di un pubblico sempre più numeroso ed
eterogeneo: musicisti, artisti vari e personaggi illustri, oltre al pubblico ordinario,
frequentarono sempre più questo genere di teatro.
Poco o nulla di nuovo traspare invece sul rapporto fra teatro lirico e operetta. I due
generi teatrali, pur avendo molte similitudini in comune, viaggiarono sempre su
binari ben distinti. Anche se è vero che molti illustri nomi della lirica si cimentarono
nel nuovo genere, fallendo nel tentativo di creare un'operetta italiana, questi celebri
compositori lo fecero sempre su commissione di teatri esteri o comunque privati, in
quanto il teatro lirico italiano, inteso come ente o istituzione, non finanziò mai il
teatro operettistico, il quale fu sempre gestito e prodotto da società e compagnie
private. Furono invece i critici musicali, scettici o comunque sempre diffidenti verso
questa forma di spettacolo, gli unici a voler proporre continui paragoni fra la piccola
lirica e il suo illustre predecessore (il teatro lirico) con l'inevitabile risultato che, se
dal punto di vista prettamente artistico, sovente l'operetta risultava perdente, se ne
decretava la sua rivincita attraverso il successo riscosso tra il pubblico, lo sfarzo, la
lussuosità della messa in scena, la perfetta organizzazione che prevedeva una
capillare e fruttuosa distribuzione degli spettacoli in tutta Italia.
Negli anni presi in esame infatti, il teatro lirico aveva perso un po' della sua fama e
del suo pubblico. La gloria del passato non bastava più a riempire i teatri e pochi
erano ormai i nuovi successi. La nascente organizzazione delle varie compagnie
operettistiche, seppe approfittare di tale situazione sfavorevole a proprio vantaggio,
colmando il vuoto teatrale lasciato dalla lirica, decretando il proprio successo. Col
passare degli anni anche la critica più dura smussò la propria prevenzione e, dopo le
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iniziali stroncature e le diverse recensioni negative, diventò sempre più compiacente
nei riguardi della lirica leggera, o forse, semplicemente, si rassegnò all'evidenza del
fatto che ormai l'operetta era uno dei principali e più seguiti intrattenimenti artistici.
Quasi tutti i maggiori teatri torinesi dell'epoca quali il Carignano, il Vittorio
Emanuele, il Politeama Chiarella, il Balbo, l'Alfieri, lo Scribe e il teatro del Parco
Michelotti proponevano infatti nei loro cartelloni spettacoli operettistici, ospitando
numerose compagnie del panorama italiano che si alternavano in periodi stabiliti. A
titolo dimostrativo dell'enorme popolarità raggiunta dal nuovo genere, sovente
poteva capitare che due, tre, a volte anche quattro sale cittadine ospitavano, nello
stesso periodo di tempo, diverse compagnie operettistiche. Talvolta queste
compagnie proponevano, in teatri diversi, la stessa operetta contemporaneamente,
ottenendo comunque un grosso successo e un riscontro di pubblico tale che, come
risulta dalle recensioni d'epoca, le sale erano quasi sempre piene, affollate o
addirittura esaurite. I fratelli Chiarella, l'impresa Suvini-Zerboni e l'anonima società
di spettacoli erano i principali gestori-impresari delle più importanti sale teatrali di
Torino. Grazie alla loro abilità organizzativa e imprenditoriale e, naturalmente, di
quelli successivi, la nostra città fu meta di compagnie rinomate che allestivano nuove
operette in prima nazionale o proponevano al pubblico torinese i grandi successi del
genere.
Spesso una compagnia si fermava a Torino per un lungo periodo di tempo. Ciò era
possibile grazie all'elevato numero di spettacoli d'operetta che ogni compagnia,
soprattutto le primarie, disponeva in repertorio (da un minimo di 10 a un massimo di
20) e alla loro consuetudine di debuttare in un teatro importante con relativi alti
prezzi, rimanendovi per un numero di repliche variabile secondo gli incassi e il
successo ottenuto, e successivamente di trasferirsi in teatri di minor prestigio per
poter applicare prezzi popolari.
Dalla numerosa lista di sale teatrali cittadine, possiamo giustamente affermare,
concordando con l'autorevole parere del maestro Cesare Gallino (1), che il Balbo,
l'Alfieri e il Politeama Chiarella erano i teatri torinesi che dedicavano più spazio,
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nell'arco di tempo esaminato, alla piccola lirica, divenendo veri e propri «templi
d'operetta». In queste sale teatrali, alternandosi magari a spettacoli di opere liriche,
stagioni di prosa, o a rappresentazioni varie (circensi, di rivista o cinematografiche),
l'operetta ha sempre avuto la sua programmazione stagionale, proponendo un ricco
repertorio di vecchi, e soprattutto nuovi successi italiani.
Prima di terminare, ci preme ricordare che l'Operetta è l'unica delle forme di
spettacolo appartenete al teatro musicale minore, quali la Rivista, il Varietà,
l'Avanspettacolo, che nonostante gli alti e bassi, i periodi di «rinascita» e di
«letargo», continua ancora oggi a vivere, rallegrando ed entusiasmando come nel
glorioso passato un pubblico sempre affezionato.
Le operette sono «favole per grandi» che, sulle note di semplici melodie, vogliono
solo divertire, aiutare ad evadere, far sognare. Esse costituiscono «un patrimonio
culturale, musicale, che non può, non deve essere dimenticato; un documento vivo,
ancora validissimo, grazie a quella musica di ieri, che è di oggi e sarà di domani». (2)
Concludiamo questa premessa con un celebre aforisma:
«L'operetta, figlia dell'opera comica, è come una ragazza di buona famiglia che si sia
lasciata traviare. Però, tutti sanno che esistono delle traviate attraentissime»
Camille Saint-Saëns