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INTRODUZIONE
Il presente lavoro scaturisce da una investigazione impegnativa e riverente ma
soprattutto avvincente del particolare rapporto intertestuale tra due pellicole
cinematografiche e le opere di Shakespeare. Il termine particolare non a caso è stato
evidenziato, poiché la loro tipologia - non sono, di fatto, trasposizioni cinematografiche
di testi shakespeariani - potrebbe non rivelare apertamente tale intertestualità.
Ci si riferisce a due film che in lingua originale hanno lo stesso titolo: To Be or Not
to Be. Il primo, in bianco e nero, datato 1942, è firmato dal maestro berlinese Ernst
Lubitsch, ( il pubblico italiano conosce la pellicola come Vogliamo Vivere!); il secondo
- del 1983 - è quel che si dice un remake del primo, un rifacimento: ne è protagonista
l‟istrionico attore e regista Mel Brooks, ed il titolo italiano del film è stato tradotto
letteralmente in Essere o non essere.
Secondo una efficace esemplificazione di Marie Anne Guerin, (docente di cinema
presso l‟ Université de Paris III) il remake, se frutto del lavoro dell‟autore dell‟opera
ispiratrice è “un‟eco cinematografica del lavoro del pittore o dell‟architetto, che può
comporre una serie di quadri ispirati allo stesso soggetto”
1
. In questo caso, l‟autore non
è lo stesso ma il tratteggio dell‟opera prima è rimasto, e vi è stato aggiunto il colore.
Fin dal principio è necessario specificare che, mentre Lubitsch è regista del primo film,
del secondo Brooks è attore e produttore, diretto da Alan Johnson.
1
GUERIN M.A., Le rècit de cinema. Edition Cahiers du cinèma, Paris 2003 (trad. it. Il racconto
cinematografico, Lindau, Torino, 2006), p. 13.
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Non sia comunque considerata inesatta l‟attribuzione del film all‟attore/regista
americano, poiché dichiaratamente ponderata era stata la sua scelta di essere diretto dal
collega e collaboratore, pur mantenendo per sé la supervisione e non rinunciando al suo
stile inconfondibile. Brooks aveva infatti espresso la volontà di avere “l‟occhio di un
regista puntato su di sé”, per evitare di strafare:
I was making a little bit of a move toward a more complicated character, the most
complicated I‟ve ever played. I wanted a director‟s eye on me, watching my excesses as
an actor, helping me to strive for the more subtle moments so that I didn‟t play everything
„over the top‟.
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Si tratta di due pellicole che a loro volta citano altre due tra le più famose e significative
opere di Shakespeare: Amleto e Il mercante di Venezia. Per esattezza della definizione
di “citazione”, in questo caso si tratterebbe di citazione esplicita, in quanto gli attori dei
film recitano la parte di attori che annoverano nel loro repertorio anche opere
shakespeariane, delle quale assistiamo a stralci di recitazione.
Citazioni ed allusioni, “strizzate d‟occhio”, ammiccamenti allo spettatore attraverso
battute, e riferimenti letterari, quando linguaggi e media diversi entrano in contatto,
sono opportunamente descritti da Giorgio Tinazzi nel suo La scrittura e lo sguardo –
cinema e letteratura (Marsilio, Venezia, 2007).
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2
«Mi stavo avvicinando cautamente ad un personaggio un po‟ più complicato, il più complicato che
avessi mai interpretato. Volevo avere puntato su di me lo sguardo di un regista, che cogliesse i miei
eccessi di attore, aiutandomi a perfezionare persino il più piccolo dettaglio in modo da non essere sempre
„sopra le righe‟». In PARISH J.R., It’s Good to Be the King, the Seriously Funny Life of Mel Brooks, p.
243 (trad. mia).
3
Capitolo “La citazione” p. 109-116.
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Sin da queste prime battute che introducono una doppia realizzazione dei film, la
citazione di due testi, si introduce il tema del doppio, del quale ci si occuperà
abbondantemente nel corso dell‟analisi. Per quanto riguarda Shakespeare, poi, non sarà
certamente passato inosservato, fin dall‟inizio, un riferimento all‟Amleto. Riferimento
involontario, magari, da parte di Mel Brooks, ma lampante in quella dichiarazione di
volontà di essere contenuto negli eccessi istrionici: il pensiero va infatti al monito fatto
dal principe di Danimarca agli attori, quello di non strafare appunto, e di “adattare
l‟azione alla parola e la parola all‟azione” (Amleto III, 2, 17-18).
Per tornare al rapporto di particolare intertestualità introdotto fin dall‟inizio, si è già
fatto presente che non siamo di fronte ad adattamenti cinematografici di opere
shakespeariane. Questo ci porta a stabilire un diverso tipo di approccio nei loro
confronti, che altrimenti sarebbe stato di comparazione tra il macrotesto e le opere ad
esso ispirate, e tra le caratteristiche intrinseche dei media espressivi utilizzati per
rappresentarle.
Va inoltre specificato che, nonostante l‟ambientazione dei due film in un momento
storico preciso, (l‟invasione tedesca della Polonia, la Seconda Guerra Mondiale),
neanche l‟approccio strettamente storico sarebbe adeguato all‟occasione.
Altresì dicasi per una analisi completamente accentrata sull‟universo “Cinema”: la
tipologia del corso di laurea e gli obiettivi prefissati, non consentono di farne un oggetto
principale di indagine. Questo senza nulla togliere alla convinzione (ed alla realtà dei
fatti) che le opere e i personaggi shakespeariani si prestino perfettamente ad essere
„tridimensionalizzati‟, come efficacemente dimostrato dai vari adattamenti di Lawrence
Olivier, Peter Brooks, Kenneth Branagh ed altri registi e sceneggiatori.
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Giova altresì sottolineare che, siamo lontani da quelle rappresentazioni di Berlino e
Budapest, descritte nell‟interessante saggio di Zoltan Markus intitolato “Berlino e
Budapest: “Gli Amleti dell‟Europa in guerra”, in La traduzione di Amleto nella cultura
europea, a cura di Maria Del Sapio Garbero.
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La sezione del saggio di Markus dedicata all‟Amleto di Budapest del 1943 è
intitolata “Un Amleto anti-tedesco”: unica analogia con i nostri film, dato che nel caso
specifico, oltre a non essere traduzioni sperimentali del dramma, gli attori che in essi
interpretano Amleto agiscono contro i nazisti in quanto loro potenziali vittime.
Altro esercizio che si vuole accuratamente evitare in questa sede è quello della mera
individuazione nei film delle battute del monologo del terzo atto dell’Amleto o di quelle
del Mercante di Venezia, in quanto decisamente svilente per emittente e destinatari.
Escludendo quanto indicato, si possono definire più specificatamente le finalità e
l‟oggetto di questo lavoro: superare, in primo luogo, la speculazione del play within the
play già racchiusa in molte delle opere shakespeariane e già abbondantemente dibattuta
da illustri critici e intellettuali.
Andare quindi oltre l‟elencazione di esempi quale il dramma a corte nell‟Amleto, le
pirotecniche e faustiane creazioni di Prospero ne La Tempesta, ma anche, più
comicamente parlando, oltre le esibizioni strampalate degli artigiani nel Sogno di una
notte di mezza estate o lo spettacolo/burla preparato per Sly ne La Bisbetica domata,
nonchè altre innumerevoli rappresentazioni nella rappresentazione. Si cercherà inoltre
di superare la dimensione dove il dramma nel dramma è a sua volte racchiuso nello
spettacolo cinematografico, poiché gli adattamenti sono anche essi una sfruttata forma
di investigazione e di studio.
4
In DEL SAPIO GARBERO M. (a cura di), La Traduzione di Amleto nella cultura europea, Marsilio,
Venezia, 2008, pp. 61-75.
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E‟ altresì noto che il “patto finzionale”, elemento scontato tra autore e lettore/spettatore
dell‟opera teatrale, sia evidentemente amplificato negli adattamenti cinematografici fino
a diventare „al quadrato‟, e ancora amplificato, nel caso di Brooks: si veda, quale
semplice esempio, all‟inizio del film, la decostruzione del patto, quando la voce fuori
campo invita i protagonisti ad abbandonare l‟idioma polacco e recitare nella lingua di
arrivo. Ma è cosa nota.
Si proverà quindi ad intraprendere una strada ancor più specifica ed apparentemente
paradossale: evincere quanto ci sia di sostanzialmente shakespeariano negli attori
all‟interno dei film, proprio quando Shakespeare, per lo più, non lo sanno recitare.
In questa ottica, il rimando a Bottom e compagni nel Sogno di una notte di mezza
estate non è, come anticipatamente sostenuto, sperequato (fermo restando che i
protagonisti dei nostri film sono attori professionisti mentre gli artigiani, di mestiere,
fanno ben altro).
Si ricercherà quanto di Shakespeare ci sia in costruzioni sceniche, in meccanismi
recitativi che egli aveva anticipato, andando oltre il primo verso del monologo più
famoso dell‟Amleto, diventato titolo, in questo caso, di entrambi i film.
Quel «To Be or Not to Be» maldestramente recitato dal protagonista di ognuno di
essi, sarà solo un pretesto e diventerà un „pre-testo‟ per sottolineare quanto opere che
pare sfiorino solo all‟apparenza quelle shakespeariane ne siano, al contrario, intrise
profondamente.
Queste convinzioni sono sorrette da un dato importante: i personaggi apparentemente
lontani da quelli che agiscono nelle opere del Bardo attraverso dinamiche anche esse
apparentemente differenti, ne posseggono, per contro, caratteristiche simili ed
inaspettate. Essi sono esempi di quell‟Umanità varia ma prevedibile che il drammaturgo
ha saputo sapientemente fotografare, se al termine si voglia attribuire non solo il
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significato metaforico ma anche il potere di “rubare l‟anima”, come veniva
superstiziosamente creduto agli albori della fotografia e tuttora da alcune culture.
Una volta di più, con la consapevolezza che su Shakespeare e sul cinema esiste già
un vero e proprio corpus, si consideri questo un approccio diverso, possibilmente
originale, che evidenzi quanto, quell’anima, sia stata sapientemente „rubata‟ con il
risultato di manifestarsi in tutte le sue prismatiche sfaccettature e senza soluzione di
continuità.
In base a queste premesse, dal punto di vista pratico si procederà da una necessaria
sinopsi iniziale di entrambi i film - anche se, in virtù dei numerosi colpi di scena, nella
trama non se ne potranno rispettare appieno le caratteristiche di brevità - e se ne
evidenzieranno in seguito le differenze. A questo riguardo, si anticipa una piccola
curiosità: solo 50 battute delle 75 dell‟originale vengono mantenute nel remake, il che
equivale a circa una battuta per scena
5
. Il prosieguo sarà una disamina del tema del
travestimento, sempre circostanziato, ma per quanto possibile vario, dato che tanto
anche di questo è stato scritto e detto.
Si accennerà alla figura del “doppio”, essenza del mestiere dell‟attore, in quanto
“doppio” di qualcun altro, protagonista di un „lecito sdoppiamento della personalità‟ e
indispensabile strumento del mestiere. Il tema ricorrerà spesso nella trattazione, come
anche quello del travestimento verrà ricordato più volte: il trucco che nasconde la vera
identità, con il beneplacito dello spettatore che riconosce non solo l‟attore famoso nei
panni dell‟eroe, ma anche in quelli del consumato lestofante, prima ancora che ci
riescano (per artificio, ovviamente) gli altri interpreti sulla scena.
5
CRICK R.A. The Big Screen Comedies of Mel Brooks, McFarland & Co., Jefferson, North Carolina,
2007 , p. 244.
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Per quanto riguarda i cenni biografici sui due attori/registi, ci si soffermerà su
testimonianze e caratteristiche che si ritiene possano essere più attinenti alle opere prese
in considerazione, evitando, si spera, di scadere in una pedissequa biografia di ognuno.
Come, di fatto, l‟essere umano è stato oggetto di speculazione per Shakespeare, ciò che
interessa evidenziare in questa sede sono gli aspetti umani - anche se documentati da
biografie e dichiarazioni personali - dei protagonisti di questa analisi, al di qua e al di là
dell‟obiettivo della macchina da presa.
Alcune forme di umorismo saranno imprescindibilmente oggetto di indagine durante
tutto il corso della trattazione, sia per la tipologia delle pellicole stesse che per scoprirne
l‟origine attraverso le culture di appartenenza proprie dei registi e degli attori presi in
considerazione. L‟utilizzo del registro comico da parte dei due registi, come si vedrà,
risulterà un meccanismo di causa ed effetto, in quanto, censura permettendo, in molte
occasioni possiede alcune peculiari finalità (non a caso si dice “l‟arma dell‟ironia”).
E‟ necessario precisare che nello snodarsi dei capitoli si svilupperanno analogie in
particolare con i testi già indicati (l‟ Amleto ed Il Mercante di Venezia), ma saranno
presenti accenni ad altre opere, come il Re Lear, e alcune commedie di Shakespeare che
presentano figure e spunti di un „micro-canone‟ interno alla dissertazione, racchiuso nel
canone più ampio di tutte le opere considerate.
Si darà quindi un piccolo spazio anche ad altri film dei due registi e di altri, proprio
per dimostrare che lo Spettro di Shakespeare, quello che amiamo e non temiamo,
appare allo spettatore consapevole in tante rappresentazioni, nonché per dare il giusto
valore all‟inesauribile eredità che questo Spettro ha benevolmente lasciato a teatro e
cinema di tutti i tempi.
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Dato altresì il precedente percorso accademico triennale, quello in Lingue e Culture
Straniere - Teoria e Prassi della Traduzione - e dato soprattutto che la presente tesi
magistrale è in Letterature e Traduzione Interculturale, si è un ritenuto esercizio dovuto,
aggiuntivo e soprattutto interessante, cimentarsi anche nella traduzione di alcuni dei
passi riportati, mantenendo per altri le traduzioni di illustri critici shakespeariani.
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1. TO BE OR NOT TO BE 1942-1983: LUBITSCH E BROOKS
Sinopsi
1939, Polonia, città di Varsavia: due attori, marito e moglie, rispettivamente Maria e
Josef Tura nel film di Lubitsch e Anna e Frederick Bronski nel remake di Brooks del
1983, insieme alla propria compagnia teatrale, recitano una pièce parodica nei confronti
di Hitler e del nazismo (si tratta di attori ebrei). Alla notizia dell‟invasione nazista, per
evitare la chiusura del teatro debbono ripiegare su un classico: l‟Amleto
shakespeariano, interpretato - mediocremente - e ritenuto suo cavallo di battaglia da
Josef/Frederick.
Durante le prime due rappresentazioni, allo scandire della battuta iniziale del
famoso monologo - titolo dei due film - l‟attore nota con disappunto l‟alzarsi dalla
platea e l‟allontanarsi di un giovane ufficiale polacco, il tenente Sobinski (per la
precisione, il nome di battesimo dell‟ufficiale nel film del 1942 è Stanislav, mentre nel
rifacimento di Brooks sarà Andre). Quello che, da parte dell‟aitante giovanotto
sembrerebbe un affronto personale alla presunta arte del protagonista, è in realtà un
approfittare dell‟ assenza dell‟attore per andare a corteggiarne la moglie (gratificata ma
non del tutto compiacente) in camerino.
Allo scoppio della guerra, con l‟invasione appunto della Polonia, Sobinski viene
mandato a Londra e, durante una serata, si ritrova con altri compagni al circolo ufficiali
insieme all‟anziano professor Siletski, spia dei tedeschi creduto patriota, in quanto
anche speaker politico per la radio polacca. Gli ufficiali incaricano ingenuamente il
professore di inviare saluti e messaggi affettuosi ai propri cari a Varsavia, fornendo così
incautamente alla spia nomi ed indirizzi utili ai nazisti: quello di Sobinski sarà quel To
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Be or Not to Be indirizzato a Maria/Anna, in memoria dei loro incontri durante la tirata
del marito.
Il professore, insospettisce il tenente quando sembra non conoscere Maria/Anna (la
fama dei Tura/Bronski è grande a Varsavia), quindi, avvertiti i superiori, l‟ufficiale
viene rispedito nella città natale per fermare la spia. Purtroppo Siletski riesce a
raggiungere il quartier generale e manda a chiamare l‟attrice per chiedere conto di
quello che gli sembra un messaggio in codice. Nel frattempo, con conseguente reazione
negativa di Tura/Bronski, che in lui ha riconosciuto il „disertore‟ del suo monologo
shakespeariano, Sobinski si è nascosto nell‟appartamento di fortuna della coppia.
Il lussuoso appartamento che possedevano gli attori è stato sequestrato dai tedeschi e
Sobinski, avvertito del loro trasferimento aveva raggiunto Maria/Anna e le aveva
raccontato i piani del professor Siletski.
L‟interrogatorio di Maria/Anna si risolve in un corteggiamento da parte del
professore - convinto che la donna sia dedita ad avventure extraconiugali - e in presenza
della donna Siletski riceve la convocazione per un appuntamento col colonnello
Erhardt, capo della Gestapo. Di ciò verranno messi al corrente Josef/Frederick e
Sobinski.
Sarà Tura/Bronski, dunque, su consiglio dei compagni a travestirsi da colonnello
(Siletski non lo conosce personalmente) in modo da essere lui a farsi consegnare la lista
dei partigiani polacchi in modo da porli al riparo da rappresaglie. Per ricevere Siletski,
la compagnia convertirà il teatro in finto quartier generale tedesco, ma durante il
colloquio, il professore scopre l‟inganno e dopo un inseguimento dietro le quinte viene
ucciso dal tenente.
Scatta dunque un nuovo travestimento per il capocomico: vestirà i panni di Siletski e
sarà lui a doversi recare da Erhardt, ma non per consegnargli i nomi dei partigiani,